lunedì 30 dicembre 2024
Conoscere la storia... per non ripeterla.
La storia nulla ha insegnato, se tornano di moda i disumani, i cattivi, gli egoisti,
gli ipocriti, i conformisti, i ciarlatani,
i mendaci,
ogni senza cuore avvolto nella sua ignoranza.
Chi non si appropria della storia è destinato a ripeterla!
“ Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e conoscenza.”
Dante Alighieri, Divina commedia, Inferno, canto XXVI.
“La mente non è un vaso da riempire,
ma un fuoco da accendere”.
Plutarco
mercoledì 4 dicembre 2024
Non insegnate ai bambini, Giorgio Gaber.
Un bambino risponde «grazie» perché ha sentito che è il tuo modo di replicare a una gentilezza, non perché gli insegni a dirlo.
Un bambino si muove sicuro nello spazio quando è consapevole che tu non lo trattieni, ma che sei lì nel caso lui abbia bisogno di te.
Un bambino quando si fa male piange molto di più se percepisce la tua paura.
Un bambino è un essere pensante, pieno di dignità, di orgoglio, di desiderio di autonomia, non sostituirti a lui, ricorda che la sua implicita richiesta è «aiutami a fare da solo».
Quando un bambino cade correndo e tu gli avevi appena detto di muoversi piano su quel terreno scivoloso, ha comunque bisogno di essere abbracciato e rassicurato; punirlo è un gesto crudele, purtroppo sono molte le madri che infieriscono in quei momenti. Avrai modo più tardi di spiegargli l’importanza del darti ascolto, soprattutto in situazioni che possono diventare pericolose. Lui capirà.
Un bambino non apre un libro perché riceve un’imposizione (quello è il modo più efficace per fargli detestare la letteratura), ma perché è spinto dalla curiosità di capire cosa ci sia di tanto meraviglioso nell’oggetto che voi tenete sempre in mano con quell’aria soddisfatta.
Un bambino crede nelle fate se ci credi anche tu.
Un bambino ha fiducia nell’amore quando cresce in un esempio di amore, anche se la coppia con cui vive non è quella dei suoi genitori. L’ipocrisia dello stare insieme per i figli alleva esseri umani terrorizzati dai sentimenti.
«Non sono nervosa, sei tu che mi rendi così» è una frase da non dire mai.
Un bambino sempre attivo è nella maggior parte dei casi un bambino pieno di energia che deve trovare uno sfogo, non è un paziente da curare con dei farmaci; provate a portarlo il più possibile nella natura.
Un bambino troppo pulito non è un bambino felice. La terra, il fango, la sabbia, le pozzanghere, gli animali, la neve, sono tutti elementi con cui lui vuole e deve entrare in contatto.
Un bambino che si veste da solo abbinando il rosso, l’azzurro e il giallo, non è malvestito ma è un bambino che sceglie secondo i propri gusti.
Un bambino pone sempre tante domande, ricorda che le tue parole sono importanti; meglio un «questo non lo so» se davvero non sai rispondere; quando ti arrampichi sugli specchi lui lo capisce e ti trova anche un po’ ridicola.
Inutile indossare un sorriso sul volto per celare la malinconia, il bambino percepisce il dolore, lo legge, attraverso la sua lente sensibile, nella luce velata dei tuoi occhi. Quando gli arrivano segnali contrastanti, resta confuso, spaventato, spiegagli perché sei triste, lui è dalla tua parte.
Un bambino merita sempre la verità, anche quando è difficile, vale la pena trovare il modo giusto per raccontare con delicatezza quello che accade utilizzando un linguaggio che lui possa comprendere.
Quando la vita è complicata, il bambino lo percepisce, e ha un gran bisogno di sentirsi dire che non è colpa sua.
Il bambino adora la confidenza, ma vuole una madre non un’amica.
Un bambino è il più potente miracolo che possiamo ricevere in dono, onoriamolo con cura.
lunedì 2 dicembre 2024
Il mondo in cui viviamo...
Il mondo in cui viviamo è il migliore possibile! Così ce lo descrivono i rappresentanti del sistema e i mass-media. Il capitalismo che sia democratico o autocratico sarebbe l’ultima tappa della storia umana. Le tante guerre, i 50 milioni di bambini che, ogni anno, muoiono per fame, i circa 3 miliardi di persone sottoalimentate, le barbarie varie su donne e bambini farebbero parte non delle carenze del sistema, ma di esseri umani con animo cattivo. I cittadini credono a questi luoghi comuni e, se perdono la fiducia in essi, la soluzione non va verso la ribellione, ma verso la rassegnazione. E’ stato sempre così e sempre così sarà, dicono, dimenticando la storia umana e la sua alba con il comunismo primitivo nelle prime comunità. I rappresentanti del capitalismo e i suoi pugilatori a pagamento con lingua da schiavi propagandano per comunismo capitalismi di Stato come lo stalinismo, il maoismo ed altri esempi storici e attuali che in realtà sono stati e sono capitalismi di Stato. In qualsiasi società in cui vi sia la divisione in classi , il profitto e il salario, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo c’è solo il capitalismo e non altro. Per sottrarsi alle fandonie fraudolenti del sistema è necessario appropriarsi della conoscenza e avere coscienza della realtà in cui viviamo. Bisogna unirsi in modo organizzato per essere pronti a portare avanti le lancette della storia e a determinare una nuova alba dell’umanità.
Esiste un solo mezzo per porre fine allo sfruttamento del lavoro da parte del capitale: far si che la classe operaia si appropri dei mezzi di produzione e di tutta l’economia e che la gestisca direttamente. I prodotti del lavoro dovranno andare a vantaggio di tutti i lavoratori. Il tempo di lavoro deve essere propedeutico alla produzione per soddisfare i bisogni di ogni cittadino, in modo tale che lo stesso possa avere il tempo per sviluppare pienamente le sue capacità, dedicandosi allo studio, alla scienza , all’arte e alle sue passioni. Il potere politico deve essere in mano ai cittadini ed ai suoi eletti, revocabili in qualsiasi momento.
Nel capitalismo la persona sopravvive alla vita, nel comunismo ogni persona vive la vita!
Questa è la differenza sostanziale.
Solo nel comunismo ogni essere umano vive “dando secondo le sue capacità e ricevendo secondo le sue necessità”!
martedì 19 novembre 2024
La vita senza una meta, è vagabondaggio.
“Cretinismo parlamentare, infermità che riempie gli sfortunati che ne sono vittime della convinzione solenne che tutto il mondo, la sua storia e il suo avvenire, sono retti e determinati dalla maggioranza dei voti di quel particolare consesso rappresentativo che ha l'onore di annoverarli tra i suoi membri, e che qualsiasi cosa accada fuori delle pareti di questo edificio, - guerre, rivoluzioni, costruzioni di ferrovie, colonizzazione di interi nuovi continenti, scoperta dell'oro di California, canali dell'America centrale, eserciti russi, e tutto quanto ancora può in qualsiasi modo pretendere di esercitare un'influenza sui destini dell'umanità,- non conta nulla in confronto con gli eventi incommensurabili legati all'importante questione, qualunque essa sia, che in quel momento occupa l'attenzione dell'onorevole loro assemblea”.
Engels "Rivoluzione e controrivoluzione in Germania" 1851 - 1852
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“… E dovevano essere colpiti da quella particolare malattia che a partire dal 1848 ha infierito su tutto il continente, il “cretinismo parlamentare”, malattia che relega quelli che ne sono colpiti in un mondo immaginario e toglie loro ogni senso, ogni ricordo, ogni comprensione del rozzo mondo esteriore”
Marx “Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte” – 1852
In ogni elezione diminuiscono sempre i partecipanti. I pugilatori a pagamento con lingua da schiavi e gli stessi “eletti dal popolo” portano avanti analisi senza senso e fuori da ogni logica razionale. I candidati non erano riconoscibili, non erano abbastanza rappresentativi, gli elettori sono chiamati spesso al voto ed altre facezie di tal tipo.
La verità è che, ormai, votano solo i piccoli borghesi ed una minima parte della classe operaia, l’aristocrazia. La stragrande maggioranza del movimento operaio, occupato e non, pensa che se vince uno schieramento o un altro nulla cambi. Ed è vero. Negli ultimi 30 anni hanno governato schieramenti di centrodestra e di centrosinistra e la realtà per i lavoratori è sempre andata in peggioramento. Aumento della precarietà, salari sempre più bassi, diritti aboliti, aumento dello sfruttamento. La pseudo socialdemocrazia italiana è diventata sempre più una forza liberale, dando preminenza agli interessi del capitale e assoggettando al suo giogo la classe operaia. Si è preoccupata dei diritti civili, giusto, ma non dei diritti sociali. La controparte è stata sulla stessa linea dal lato sociale, meno su quello civile. In questa situazione è cresciuta nell’individuo l’individualismo, il conformismo, l’ipocrisia, la ricerca del fatuo illusorio per dimenticare la triste realtà.
E’ un bene che la classe operaia si renda conto dell’inganno del parlamentarismo borghese, visto che le decisioni si prendono nei consigli di amministrazione delle aziende. Se rimane, però, solo una forma di protesta si fa il gioco del sistema e si da spazio ad altri attacchi alle condizioni di vita e di lavoro di chi vive vendendo le proprie braccia e il proprio cervello per cercare di vivere.
L’ astensionismo deve essere cosciente e strategico, avendo una teoria e un’organizzazione, per determinare le azioni presenti e future che portino oggi a difendere meglio le condizioni di vita e di lavoro, domani al superamento di questo sistema brutale.
Serve coscienza, data dalla conoscenza, e organizzazione per dare l’assalto al cielo!
Un cielo dove sia scritto a caratteri cubitali:
” Da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni.”
Se lo vogliamo, possiamo sognare!
“ La vita senza una meta, è vagabondaggio.” Lucio Anneo Seneca.
mercoledì 6 novembre 2024
Ogni essere umano ha diritto a vivere la vita, non a sopravvivere a essa!
Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell' impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione."
Dichiarazione universale dei diritti umani,1948.
" Verba volant, scripta manent".
"Da ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo le sue necessità."
Marx
"Quando il pensiero se ne resta nell'universalità delle idee, come accade nei primi filosofi, a ragione gli si fa rimprovero di formalismo"
Hegel
Più passa il tempo e sempre più vi é necessità di comprendere che l'anatomia di questa società risiede nell'economia. Bisogna però andare oltre e comprendere come si muove, come si nutre, come le sensazioni ed i concetti divengano da forma sostanza.
E' necessario studiare minuziosamente il capitalismo per conoscere tutti gl' ingranaggi di questo sistema.
Studiare, studiare, studiare
per non cadere nelle grinfie ideologiche dei vari piazzisti della politica borghese, che promettono il paradiso e sempre più spingono chi vive, vendendo il proprio cervelllo o le proprie braccia, verso l'inferno dello sfruttamento, del lavoro precario, del lavoro nero, deĺla miseria. Bisogna che chi lavora conti su se stesso, suĺla propria intelligenza, sulla forza del numero e dell'organizzazione per andare verso nuove frontiere, ove ogni essere umano possa sentirsi tale e possa dare cibo alla mente ed al corpo.
Il marxismo ci fornisce gli strumenti di analisi per individuare e prevedere le tendenze di sviluppo capitalistico, i suoi contrasti, le sue contraddizioni, le sue lacerazioni.
Il marxismo è una scienza!
Ma l'analisi e le previsioni sono il presupposto dell'azione. Per questo il marxismo é la scienza del mondo nuovo. La scienza del rapporto tra situazioni oggettive determinate ed azioni soggettive coscienti per il superamento di questo sistema.
"Per i suoi principi, il comunismo é al di sopra del dissidio tra borghesia e proletariato, poiché lo considera giustificato nel suo significato storico soltanto per il presente; esso intende appunto sopprimere tale dissidio. Riconosce perciò, finché il dissidio permane, che il risentimento del proletariato contro i suoi oppressori é una necessità, che rappresenta la leva piu importante del movimento operaio: ma va oltre tale risentimento, perché il comunismo é appunto una CAUSA DI TUTTA L'UMANITÀ."
F. Engels
Ogni essere umano ha diritto a vivere la vita in tutto il suo splendore, non a sopravvivere a essa!
Chi muore.
Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine,
Ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
Chi non cambia la marcia, chi non rischia
E cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.
Lentamente muore chi fa della televisione il suo guru.
Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce
Il nero sul bianco e i puntini sulle i piuttosto che un insieme di emozioni,
Proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
Quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
Quelle che fanno battere il cuore
Davanti all’errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,
Chi è infelice sul lavoro,
Chi non rischia la certezza per l’incertezza,
Per inseguire un sogno,
Chi non si permette almeno una volta nella vita
Di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge,
Chi non ascolta musica,
Chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio,
Chi non si lascia aiutare.
Muore lentamente chi passa i giorni a lamentarsi
Della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto
Prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
Chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi,
Ricordando sempre che essere vivi
Richiede uno sforzo di gran lunga maggiore
Del semplice fatto di respirare.
Soltanto l’ardente pazienza porterà
Al raggiungimento di una splendida felicità.
Chi muore
Martha Medeiros
giovedì 31 ottobre 2024
Vecchi e nuovi ciarlatani della politica borghese.
Vecchi e nuovi ciarlatani della politica borghese.
Il capitalismo, in ispecie nella fase imperialistica, non ha confini se non di carattere geografico. La libertà di commercio è ritenuta “legge naturale”. La libera concorrenza determina la concentrazione della produzione e questa conduce al monopolio. La produzione di merci viene considerata ancora base di tutta l’economia, ma essa è minata ed i maggiori profitti spettano ai geni delle manovre finanziarie. Base di tali operazioni e trucchi è la socializzazione della produzione. Ma l’immenso progresso compiuto dall’umanità, affaticarsi per giungere a tale socializzazione, va a vantaggio degli speculatori. La fondamentale e originaria funzione delle banche consiste nel servire da intermediario nei pagamenti. Esse trasformano poi il capitale liquido inattivo in capitale attivo, cioè produttore di profitto, raccogliendo tutte le rendite in denaro e mettendole a disposizione dei capitalisti. Lo sviluppo e la concentrazione degl’istituti bancari porta costoro ad essere potenze monopoliste, detentrici di quasi tutto il capitale liquido dei capitalisti e dei piccoli industriali, oltre a possedere mezzi di produzione e sorgenti di materie prime. La concentrazione delle banche trasforma il capitalismo in imperialismo capitalista. Nel vecchio capitalismo la caratteristica principale era l’esportazione di merci, nella fase imperialistica assume notevole importanza l’esportazione di capitale. Il sistema capitalistico è la produzione mercantile al suo massimo grado di sviluppo sia a livello nazionale sia a livello internazionale. In esso sono inevitabili disuguaglianze, discontinuità nello sviluppo di singole imprese, di singoli rami industriali, di singoli paesi. La classe operaia in questo contesto è una merce utile a creare plusvalore e quindi profitto. La socializzazione della produzione si scontra con l’appropriazione di pochi delle ricchezze prodotte. Parte di queste vengono utilizzate dai capitalisti per “creare consenso” al sistema tramite i partiti politici prettamente borghesi, opportunisti, che dicono di voler cambiare per nulla mutare, burocrati sindacali collaborazionisti, “pugilatori a pagamento con lingua da schiavi” nei mass-media, religioni varie e , persino, lo sport. Nessuno si questi osa mettere in discussione i rapporti di produzione ed il profitto. Parlano di libertà, equità, a volte uguaglianza, giustizia, ma nascondono la disuguaglianza più grande: l’appropriazione oligarchica della produzione socializzata. Il Papa ha detto che bisogna essere vicini ai poveri, ma non si è sognato di affermare che bisogna superare un sistema orrendo come il capitalismo che genera tanti poveri e pochi ricchi. Egli stesso rappresenta un’istituzione che è parte integrante del sistema. Come le ideologie sono soggette a mutare con il mutare degli eventi e nuove prendono il posto di vecchie con contenuti sempre uguali, così organizzazioni politiche, sindacali, religiose, propagandistiche cercano di contenere l’insoddisfazione di una vita sempre più grama di milioni di persone con finte linee politiche nuove e “rivoluzionarie”, ma che di nuovo e rivoluzionario non hanno proprio nulla. Difatti nè le vecchie né le nuove pongono alla base della loro azione il superamento del capitalismo e dei suoi rapporti di produzione. Tanti lavoratori ci cascavano prima e ci cascano dopo nella fiera dell’illusionismo e delle illusioni ad occhi aperti per poi ricadere nello sconforto e nella rassegnazione. Le statistiche riportano l’aumento dei disoccupati, al di la della propaganda, delle famiglie povere, la diminuzione del potere d’acquisto degli stipendi, l’aumento dei licenziati. Tutti discutono di questi effetti del sistema, ma non lo mettono in discussione. Anzi utilizzano queste situazioni come armi ideologiche di terrore per aumentare la disoccupazione, la povertà, la platea licenziata e per ridurre ancora di più gli stipendi, accrescendo lo sfruttamento dei lavoratori. La classe lavoratrice non deve aspettarsi alcunchè da costoro, che si scontrano per dividersi il profitto, ma che sono compatti contro i lavoratori! Si parla tanto di casta, di costi della politica, di aziende in crisi, di banche affamatrici. Si parla poco o niente, e soprattutto si fa niente, di evasione fiscale e contributiva, di corruzione, di profitti che continuano a non mancare per le imprese, la discontinuità delle singole imprese è caratteristica al sistema. Non si accenna per niente ai salari sempre più bassi, alla disoccupazione crescente, se non in termini moralistici, alla povertà vistosa di tante persone, costrette a non vivere la vita. Si parla di scuola, di sanità, di trasporti come servizi non soddisfacenti, intanto si peggiora sempre più la situazione. In sintesi tante parole per gli sfruttati, fatti concreti per gli sfruttatori del sistema. I nuovi, che dovrebbero cambiare la realtà, proseguono sulle linee precedenti. Le loro proposte politiche, seppur in diversa forma dialettica, sono in molti casi peggiori e dannose per i lavoratori rispetto ai cosiddetti “ vecchi” e mirano a togliere ancor più diritti ed aumentare lo sfruttamento. Sono movimenti piccolo borghesi, che rappresentano quella parte di questa classe, in molti casi improduttiva, che sente in pericolo il proprio “Statu quo”, ma che nulla hanno a che vedere con la classe lavoratrice. Difatti non mettono in discussione i rapporti di produzione, nodo tra chi vuole veramente un mondo nuovo o chi gioca a far finta di cambiare per cambiare nulla. A loro sta bene la democrazia borghese, “miglior involucro per il capitalismo”, e con essa le disuguaglianze, le ingiustizie, la miseria, le guerre che essa produce. A loro sta bene il profitto, causa di disumanità all’interno dell’umanità. Chi vuole veramente cambiare e lotta per un mondo nuovo, dove la soddisfazione dei bisogni materiali e spirituali degli esseri umani è la base della produzione socializzzata, è per superare i rapporti di produzione ed il profitto. Tutto il resto sono chiacchiere da illusionisti.
Amo il mio secolo...
“Amo il mio secolo perché è la patria che posseggo nel tempo… I signori reazionari credono che la psicologia sia il fattore più distruttivo: il pensiero ecco l’infame! Non c’è nulla di più errato. La psiche è l’elemento più conservatore. Essa è pigra ed ama l’ipnosi della routine…E se non ci fossero i fatti turbolenti, l’inerzia sarebbe la miglior garanzia dell’ordine…I fatti però hanno una loro logica interna, anche se il pensiero si ostina a non riconoscerli fino all’ultimo. Esso scambia la propria limitatezza presuntuosa per una lucidità superiore. Povero pensiero! Finisce sempre per sfracellarsi contro il muro dei fatti…I grandi avvenimenti, quelli che come pietre miliari indicano le svolte del cammino storico, si creano all’intersezione di grandi cause. E queste ultime, indipendentemente dalla nostra volontà, si formano nel corso della nostra esistenza sociale.”
Trotsky
lunedì 28 ottobre 2024
Se lo vogliamo, possiamo sognare!
In una realtà della classe lavoratrice sempre più precaria nelle condizioni di lavoro e di vita per effetto delle linee aziendali e dei governi negli ultimi decenni, il sindacato e le forze politiche socialdemocratiche, sono sempre più appiattiti su linee liberali, e non costruiscono una linea di difesa che coinvolga le lavoratrici ed i lavoratori in una piattaforma rivendicativa, che parta dalle esigenze reali e si basi su pochi punti qualificanti. Partiti della cosiddetta sinistra e dirigenza sindacale, in ispecie la Cisl, nel periodo di cui sopra, non sono immuni da linee sbagliate ed, in molti casi, condivisioni di scelte penalizzanti per i lavoratori, ad esempio la riforma delle pensioni del 2011, quando sono state indette tre ore di sciopero senza alcuna organizzazione, mentre era necessario stare in piazza ogni giorno per respingerla. La situazione attuale della classe lavoratrice vede un precariato massiccio, stipendi da fame, età di pensionamento alta, condizioni di lavoro sempre più da caserma in una realtà sociale basata sullo sfruttamento.
La sanità è sempre più privata e meno pubblica.
I trasporti sono orientati a privilegiare l’alta velocità e non i cittadini utenti della rete medio-bassa.
La scuola è carente nei servizi e nell’insegnamento.
Questa dimensione socio-economica non può essere affrontata rincorrendo ogni volta gli ordini del giorno delle imprese e dei governi.
Va sfidata varando una piattaforma che veda i seguenti punti centrali:
contratti di lavoro basati su:
tempo indeterminato;
tempo parziale;
tempo determinato per sostituzione maternità, ferie e periodi d’intensificazione produttiva;
reintroduzione dell’art. 18 per tutti;
età pensionabile a 62 anni per tutti con l’80% dell’ultimo stipendio e, per coloro che raggiungono i 40 anni di contributi, trattamento pensionistico anche con età inferiore;
indicizzazione delle pensioni al 100 %;
riduzione dell’orario di lavoro a 32 ore settimanali a parità di stipendio, unico modo per aumentare l’occupazione, visto che gl’investimenti, se non vi sono nuovi insediamenti produttivi, sono intensivi, ovvero in tecnologie, ed hanno come conseguenza la diminuzione degli occupati;
aumento degli stipendi, non legati alla produttività;
reddito di vita universale.
Questi punti vanno discussi con i lavoratori, presentati alle aziende ed al governo, perseguiti con momenti di lotta fino al raggiungimento degli obiettivi.
I soldi ci sono!
Se tutti pagassero le tasse, versassero i contributi, ci fosse una lotta vera alla corruzione, si avrebbe a disposizione dello Stato quanto esso spende per l’attuale Stato sociale e tutti i problemi sarebbero risolti.
La realtà vede, invece, le lavoratrici ed i lavoratori di ogni settore sobbarcarsi il peso di categorie, spesso parassitarie, rappresentate da forze politiche, che vendono chiacchiere a chi lavora e regalano privilegi a chi gode del plusvalore estratto alla classe lavoratrice.
Il sindacato dei lavoratori deve fare il suo mestiere ed il suo ruolo si svolge nella difesa di chi vive vendendo o le braccia o la sua intelligenza. Se non si pone questi obiettivi è un'organizzazione di servizi, ma non un sindacato, guidato da chi non rappresenta i loro interessi, ma quelli del sistema.
Voglio vedere dove andrebbero i cosiddetti “populisti” se il sindacato portasse avanti questa piattaforma !
I partiti della cosìddetta sinistra sono partiti liberal-democratici. E' giusto reclamare diritti, ma se essi non sono accompagnati da quelli economico-sociali, escludono milioni di cittadini dalla partecipazione al voto, come sempre più sta avvenendo. La borghesia grande, media e piccola, si rivolge a chi rappresenta bene i suoi interessi e li vota. La classe operaia operativa e pensionata non vede difesi da alcuno le sue esigenze di lavoro e di vita e si astiene dalla partecipazione alle varie elezioni, ritenendo tutti uguali. I non votanti appartengono tutti alla classe lavoratrice operativa e pensionata!
E' un bene che la classe lavoratrice si renda conto della truffa del sistema democratico, miglior involucro del capitalismo e altra faccia della medaglia, ma se ferma la sua azione alla frustrazione, alla disillusione, all'apatia e all'indifferenza, si sottomette ancora di più al Tallone di ferro del capitale. E' necessario, invece, prendere coscienza della realtà, organizzarsi e lottare per la difesa dei propri interessi immediati ed iniziare il cammino per superare la società divisa in classi, avendo come meta una realtà economico-sociale dove "Ognuno possa dare secondo le sue capacità ed avere secondo le sue necessità."
giovedì 17 ottobre 2024
" Esiste un solo bene, la conoscenza, ed un solo male, l'ignoranza." Socrate.
“Dobbiamo distinguere con massima chiarezza fra lo stato che è il recipiente, e la razza che è il contenuto. E questo recipiente ha valore solo se sa contenere e custodire il contenuto; altrimenti non ha senso. Il fine ultimo dello Stato nazionale è quello di serbare quegli elementi di razza originari, che, come datori di civiltà, creano la bellezza e la nobiltà di un’umanità superiore.”
“Generalmente la Natura delibera e apporta alcune modifiche nel problema della purezza della razza di creature terrestri. Essa non predilige i bastardi.”
“L’idea nazionale si differenzia principalmente da quella marxista in questo, che essa ammette l’importanza della razza…”
“Ottenere la cittadinanza è come essere ammessi ad un elenco automobilistico. L’aspirante presenta la domanda, si indaga, la domanda viene accettata, e un bel giorno gli si rende noto con una missiva che è diventato cittadino dello Stato. E l’annuncio gli è dato in forma comica: a colui che finora è stato uno Zulù si rende noto che “ è diventato Tedesco”!
“Chi toglie i confini , apre una via di cui si conosce il principio, ma che finisce in un mare senza rive.”
“A me nazionalista che guardo il valore di un popolo dalla sua razza, mi è sufficiente osservare le minori virtù della razza di quella Nazione impedite per non legare l’avvenire del nostro pese con quello loro”
“Quello che porrà Mussolini tra i più illustri uomini del mondo è il proposito di non dividere l’Italia con il comunismo, ma di aiutare gl’italiani annientando il marxismo”
“ Una nazione che, nell’era della soppressione delle razze, pensa ai migliori elementi della propria stirpe, deve essere un domani la padrona del mondo.”
A. Hitler, Mein Kampf.
Questo libro tuti gli esseri umani dovrebbero leggere, affinchè prendano conoscenza, esperienza e monito degli orrori della storia nello scorso secolo per affrontare il presente, che sembra sulla via del passato, ed il futuro.
“Lo duca e io per quel cammino ascoso
Intrammo a ritornar nel chiaro mondo;
e sanza cura aver d’alcun riposo,
salimmo su, el primo e io secondo,
tanto ch’i’ vidi dele cose belle
che porta ‘i ciel, per un pertugio tondo:
e quindi uscimmo a riveder le stelle.”
Dante Alinghieri, La Divina Commedia, Inferno.
“Per i suoi principi, il comunismo è al di sopra del dissidio tra borghesia e proletariato, poiché lo considera giustificato nel suo significato storico soltanto per il presente, non per il futuro; esso intende appunto sopprimere tale dissidio. Riconosce perciò, finchè il dissidio permane, che il risentimento del proletariato contro i suoi oppressori è una necessità, che rappresenta la leva più importante del movimento operaio ai suoi inizi, ma va oltre tale risentimento, perché il comunismo è appunto una causa di tutta l’umanità, non soltanto degli operai.”
F. Engels, “ La situazione della classe operaia in Inghilterra”.
“Noi ci chiamiamo comunisti. Che cos’è un comunista? Comunista è una parola latina. Comunista deriva dalla parola comune. La società comunista significa: tutto in comune, la terra, le fabbriche, il lavoro. Ecco cos’è il comunismo.”
Lenin, “ I compiti delle associazioni giovanili.”
giovedì 10 ottobre 2024
No a nuove tasse! Tassare gli evasori!
Il governo è alla ricerca di soldi e, ancora una volta, il cerchio si chiude su chi già paga le tasse, lavoratori dipendenti e pensionati. No a nuove tasse, no a tagli di servizi e su pensioni! Le tasse le paghino coloro che, finora, non le hanno mai pagate! Sono 10 milioni i cittadini che non fanno la denuncia dei redditi. Le paghino chi evade sia il fisco sia i contributi! Paghino come i lavoratori dipendenti e pensionati i cittadini che versano meno della metà delle categorie di cui sopra. Sono il 7% dei contribuenti ad avere una tassazione agevolata, la tassa piatta. Il 93% versa più del doppio di costoro. I soldi ci sono! Basta volerli cercare veramente e non fare leggi che avvantaggiano ancora di più gli evasori totali, parziali e gli avvantaggiati della tassa piatta.
sabato 5 ottobre 2024
Paul Lafargue,Il libro del capitalista, L 'ecclesiaste.
L’«Ecclesiaste» o il libro del capitalista
Paul Lafargue (1886)
Fonte: Paul Lafargue, Il diritto all’ozio. La religione del Capitale, a cura di Lanfranco Binni, Firenze, Il Ponte Editore, 2015.
Trascritto da Leonardo Maria Battisti su licenza concessa dal Fondo Walter Binni, febbraio 2019.
Questo libro è passato tra le mani di molti capitalisti che l’hanno letto e annotato; ecco alcune delle loro annotazioni:
«È certo che questi precetti della saggezza divina sarebbero male interpretati dalla rozza intelligenza dei salariati. Credo opportuno che siano tradotti in volapiuk1 o in qualsiasi altra lingua sacra».
Firmato: Jules Simon2.
«Bisognerebbe fare come i dottori giudaici che proibivano ai profani la lettura dell’Ecclesiaste dell’Antico Testamento e far conoscere il Libro del Capitalista solo agli iniziati in possesso di un milione».
Firmato: Breichröder.
«Un milione di franchi o di marchi mi sembra una vera miseria. Propongo un milione di dollari».
Firmato: Jay Gould3
I. Natura del Dio Capitale
1. Medita le parole del Capitale, tuo Dio.
2. Io sono il Dio che divora gli uomini; mi siedo a tavola nelle fabbriche e consumo i salariati. Io transustanzio in capitale divino la vita miserabile del lavoratore. Io sono il mistero infinito: la mia sostanza eterna altro non è che carne deperibile; la mia onnipotenza, umana debolezza. La forza inerte del Capitale è la forza del salariato.
3. Principio dei principi: da me inizia ogni produzione, a me finisce ogni scambio.
4. Io sono il Dio vivente, presente in ogni luogo: le ferrovie, gli altiforni, i chicchi di grano, le navi, i vigneti, le monete d’oro e d’argento sono le membra sparse del Capitale universale.
5. Io sono l’anima incommensurabile del mondo civilizzato, multiforme e molteplice all’infinito. Io vivo in ciò che si compra e si vende; agisco in qualunque merce e non ne esiste alcuna al di fuori della mia vivente unità.
6. Io risplendo nell’oro e puzzo nel letame, rallegro nel vino e corrodo nel vetriolo.
7. La mia sostanza, che si accresce continuamente, scorre come un fiume invisibile attraverso la materia; divisa e suddivisa oltre ogni immaginazione, si imprigiona nelle forme speciali assunte da ogni merce e, senza stancarmi, mi travaso da una merce all’altra: oggi pane e carne, domani forza lavoro del produttore, dopodomani lingotto di ferro, tela di cotone, opera drammatica, quintale di lardo, sacco di concime. La trasmigrazione del Capitale non si ferma mai. La mia sostanza non muore, ma le sue forme sono deperibili, finiscono e passano.
8. L’uomo vede, tocca, sente e gusta il mio corpo, ma il mio spirito più sottile dell’etere è inafferrabile per i sensi. Il mio spirito è il Credito; per manifestarsi non ha bisogno di corpo.
9. Chimico più esperto di Berzelius e di Gerhardt4, il mio spirito trasmuta i vasti campi, le colossali macchine, i pesanti metalli e le mandrie muggenti in azioni di carta; e più leggeri di palline di sambuco animate dall’elettricità i canali e gli altiforni, le miniere e le fabbriche rimbalzano di mano in mano nella Borsa, il mio tempio sacro.
10. Senza di me niente inizia e niente si conclude nel paese governato dalla Banca. Io fecondo il lavoro; io assoggetto al servizio dell’uomo le forze irresistibili della natura e metto nelle sue mani la potente leva della scienza accumulata.
11. Io connetto le società nella rete d’oro del commercio e dell’industria.
12. L’uomo che non mi possiede, che non ha Capitale, cammina nudo nella vita circondato di nemici feroci e armati di ogni strumento di tortura e di morte.
13. All’uomo che non ha Capitale, se è forte come un toro, si carica sulle spalle un fardello più pesante; se è laborioso come una formica, gli si raddoppia il compito; se è sobrio come un asino, gli si riduce il cibo.
14. Che cosa sono la scienza, la virtù e il lavoro senza il Capitale? Vanità e frustrazione.
15. Senza la grazia del Capitale, la scienza fa perdere l’uomo nei sentieri della follia; il lavoro e la virtú lo precipitano nell’abisso della miseria.
16. Non la scienza, la virtú, il lavoro appagano lo spirito dell’uomo; sono io, il Capitale, a nutrire la muta affamata dei suoi desideri e delle sue passioni.
17. Io mi do e mi riprendo a mio esclusivo piacimento, senza renderne conto. Io sono l’Onnipotente che comanda sulle cose vive e sulle cose morte.
II. L’eletto del Capitale
1. L’uomo, questo infetto ammasso di materia, viene al mondo nudo come un verme e poi alla fine, chiuso in una cassa come un fantoccio, marcisce sottoterra e il suo marciume ingrassa l’erba dei campi.
2. Tuttavia ho scelto proprio questo sacco di spazzatura puzzolente per rappresentare me, il Capitale, che sono la cosa più sublime che esista sotto il sole.
3. Le ostriche e le lumache hanno un valore per le loro semplici qualità naturali; il capitalista conta per il solo fatto che sono io a sceglierlo come mio eletto, vale solo per il Capitale che rappresenta.
4. Arricchisco lo scellerato nonostante la sua scelleratezza, impoverisco il giusto nonostante la sua onestà. Scelgo chi mi pare.
5. Scelgo il capitalista non per la sua intelligenza, onestà, bellezza e giovinezza. La sua imbecillità, i suoi vizi, la sua bruttezza e la sua vecchiaia sono altrettante prove del mio incalcolabile potere.
6. Dal momento che ne faccio un mio eletto, il capitalista incarna la virtù, la bellezza, il genio. Gli uomini trovano spiritosa la sua stupidità e affermano che il suo genio non ha niente a che vedere con la scienza dei pedanti, i poeti cercano inspirazione in lui, e gli artisti accolgono in ginocchio le sue critiche come leggi del gusto, le donne giurano che è il Don Giovanni ideale, i filosofi sentenziano che i suoi vizi sono virtù, gli economisti scoprono che la sua vita oziosa è la forza motrice del mondo sociale.
7. Un gregge di salariati lavora per il capitalista che beve, mangia, se la gode, e si riposa del lavoro del ventre e del basso ventre.
8. Il capitalista non lavora né con le mani né con il cervello.
9. Ha un bestiame maschile e femminile per arare la terra, forgiare i metalli e tessere le stoffe; ha direttori e capireparto a dirigere le fabbriche, e scienziati per pensare. Il capitalista si consacra al lavoro delle latrine: beve e mangia per produrre letame.
10. Ingrasso l’eletto con un benessere eterno; che cosa c’è di meglio e di più reale sulla terra che bere, mangiare e godersela felici? Il resto non è che vanità e tormento dell’anima.
11. Addolcisco le amarezze, elimino ogni pena affinché la vita sia dolce e piacevole all’eletto.
12. La vista ha il suo organo; anche l’odorato, il tatto, il gusto, l’udito e l’amore hanno i loro organi. Non rifiuto nulla di ciò che desiderano gli occhi, la bocca e gli altri organi dell’eletto.
13. La virtù ha un doppio aspetto: la virtù del capitalista è l’appagamento, la virtù del salariato è la privazione.
14. Il capitalista si prende sulla terra tutto ciò che gli piace, è il padrone. Se si è stancato delle donne, risveglierà i suoi sensi con vergini bambine.
15. Il capitalista è la legge. I legislatori redigono i Codici secondo i suoi interessi, e i filosofi adattano la morale ai suoi costumi. Le sue azioni sono giuste e buone. Ogni atto che leda i suoi interessi è un crimine e sarà punito.
16. Riservo agli eletti una felicità unica, sconosciuta ai salariati. Fare profitti è la gioia suprema. Se l’eletto che incassa utili perde la moglie, la madre, i figli, il cane e l’onore, si rassegna; ma se smette di realizzare profitti, è una sciagura irreparabile di cui il capitalista non potrà mai consolarsi.
III. Doveri del capitalista
§ 1
1. Molti sono chiamati, pochi sono gli eletti; ogni giorno riduco il numero dei miei eletti.
2. Mi do ai capitalisti e mi divido tra loro; ogni eletto riceve in deposito una piccola parte del Capitale unico, e ne conserva il godimento solo se la accresce e la fa prolificare. Il Capitale si ritira dalle mani di chi non adempie la sua legge.
3. Ho scelto il capitalista per estrarre plusvalore; accumulare profitti è la sua missione.
4. Per essere libero e a proprio agio nella caccia agli utili, il capitalista spezza i legami dell’amicizia e dell’amore; non conosce amici, fratelli, madre, moglie, figli quando si tratta di realizzare un guadagno.
5. Egli si eleva al di sopra delle vane demarcazioni che confinano i mortali in una patria o in un partito; prima di essere russo o polacco, francese o prussiano, inglese o irlandese, bianco o nero, l’eletto è sfruttatore; è monarchico o repubblicano, conservatore o radicale, cattolico o libero pensatore, solo per soprammercato. L’oro ha un colore, ma al suo cospetto le opinioni dei capitalisti non hanno alcun colore.
6. Il capitalista intasca con la stessa indifferenza il denaro bagnato di lacrime, il denaro macchiato di sangue, il denaro sporco di fango.
7. Non concede nulla ai pregiudizi del volgo. Non produce per vendere merci di buona qualità, ma che procurino grandi utili. Non fonda società finanziarie per distribuire dividendi, ma per impossessarsi dei capitali degli azionisti; perché i piccoli capitali appartengono ai grandi e, sopra di loro ci sono capitali ancora più grandi che li sorvegliano per divorarli al momento giusto. È questa la legge del Capitale.
8. Elevando l’uomo alla dignità di capitalista, gli trasmetto una parte della mia onnipotenza sugli uomini e sulle cose.
9. Il capitalista deve dire: «La società sono io, la morale sono i miei gusti e le mie passioni, la legge è il mio interesse».
10. Se un solo capitalista è leso nei suoi interessi, la società intera ne soffre; perché l’impossibilità di accrescere il Capitale è il male dei mali, contro il quale non esistono rimedi.
11. Il capitalista fa produrre ma non produce, fa lavorare e non lavora, gli è interdetta ogni occupazione manuale o intellettuale che lo distoglierebbe dalla sua missione sacra: l’accumulazione dei profitti.
12. Il capitalista non si trasforma in uno scoiattolo ideologico che fa girare una ruota a macinare vento.
13. Si cura molto poco che i cieli raccontino la gloria di Dio; non gli interessa sapere se la cicala canta con il didietro o con le ali e se la formica è una capitalista*1.
14. Non si preoccupa né dell’inizio né della fine delle cose, gli interessa soltanto che producano utili.
15. Lascia ai teologi dell’economia ufficiale le dispute sul monometallismo e il bimetallismo, mentre intasca senza alcuna distinzione le monete d’oro e d’argento che gli capitano a tiro.
16. Lascia agli scienziati, buoni solo a questo, lo studio dei fenomeni naturali e agli inventori l’applicazione industriale delle forze della natura, ma si affretta ad accaparrarsi le loro scoperte appena si possano sfruttare.
17. Non si affatica il cervello per sapere se il Bello e il Buono sono una sola cosa, la stessa cosa, ma si regala tartufi cosí buoni da mangiare ma piú brutti degli escrementi di maiale.
18. Applaude i discorsi sulle verità eterne, ma guadagna denaro con le falsificazioni di giornata.
19. Non specula sull’essenza della virtú, della coscienza e dell’amore, ma specula sulla loro compravendita.
20. Non si chiede se la Libertà sia buona in sé, ma si prende ogni libertà per non lasciarne che il nome ai salariati.
21. Non sta a discutere se il diritto prevalga sulla forza, perché sa di avere tutti i diritti dal momento che possiede il Capitale.
22. Non è né a favore né contro il suffragio universale, né a favore né contro il suffragio ristretto, e si serve di entrambi: compra gli elettori del suffragio ristretto e imbroglia quelli del suffragio universale. Se deve scegliere, si pronuncia a favore di quest’ultimo, piú economico: infatti mentre è costretto a comprare gli elettori e gli eletti del suffragio ristretto, con il suffragio universale gli basta comprare gli eletti.
23. Non partecipa ai chiacchiericci sul libero scambio e sul protezionismo; di volta in volta è liberoscambista e protezionista secondo le convenienze del suo commercio e della sua industria.
24. Non ha alcun principio: neppure il principio di non avere principi.
§ 2
25. Il capitalista è nella mia mano la verga di bronzo per comandare l’indocile gregge dei salariati.
26. Il capitalista soffoca nel suo cuore ogni sentimento umano, è senza pietà; tratta il suo simile più duramente di una bestia da soma. Gli uomini, le donne e i bambini per lui non sono altro che macchine da profitto. Il suo cuore di bronzo non palpita quando i suoi occhi contemplano le miserie dei salariati e le sue orecchie ascoltano le loro grida di rabbia e di dolore.
27. Come una pressa idraulica scende lentamente, inesorabile, riducendo al più piccolo volume, alla più perfetta disseccazione la polpa sottoposta alla sua azione, così il capitalista, pressando e spremendo il salariato, estrae il lavoro dai suoi muscoli e dai suoi nervi: ogni goccia di sudore che ne spreme si trasforma in capitale. Quando il salariato, logorato e sfinito sotto il torchio, non rende piú il superlavoro che produce plusvalore, allora lo getta in strada come gli avanzi di cucina, spazzatura.
28. Il capitalista che risparmia il salariato tradisce me e tradisce se stesso.
29. Il capitalista mercifica l’uomo, la donna e il bambino, affinché chi non possiede né grasso, né lana o qualunque altra merce, abbia almeno qualcosa da vendere: la sua forza muscolare, la sua intelligenza, la sua coscienza. Per trasformarsi in capitale, l’uomo deve prima diventare merce.
30. Io sono il Capitale, il padrone dell’universo, e il capitalista è il mio rappresentante: davanti a lui gli uomini sono uguali, tutti ugualmente curvi sotto il suo sfruttamento. Il bracciante che affitta la sua forza, l’ingegnere che offre la sua intelligenza, il cassiere che vende la sua onestà, il deputato che fa mercato della sua coscienza, la ragazza di piacere che presta il suo sesso, sono per il capitalista salariati da sfruttare.
31. Il capitalista perfeziona il salariato: lo obbliga a riprodurre la sua forza-lavoro con un’alimentazione grossolana e scadente perché la venda al minor prezzo, e lo costringe ad acquisire l’ascetismo dell’anacoreta, la pazienza dell’asino e la costanza del bue.
32. Il salariato è proprietà del capitalista, è la sua bestia da lavoro, un suo bene, cosa sua. Nella fabbrica dove non ci si deve accorgere quando sorge il sole né quando cala la notte, punta sull’operaio cento occhi vigilanti perché non si distolga dal suo compito né con un gesto né con una parola.
33. Il tempo del salariato è denaro: ogni minuto che perde è un furto che commette.
34. L’oppressione del capitalista segue il salariato come un’ombra perfino nel suo tugurio, perché non si corrompa con letture e discorsi socialisti, né si affatichi il corpo con degli svaghi. Uscendo dalla fabbrica deve chiudersi in casa, mangiare e coricarsi, per riportare l’indomani al suo padrone un corpo riposato e disponibile, e uno spirito rassegnato.
35. Il capitalista non riconosce al salariato alcun diritto, neppure il diritto alla schiavitú, che è il diritto al lavoro.
36. E spoglia il salariato della sua intelligenza e della sua abilità manuale trasferendole alle macchine, che non si ribellano.
IV. Massime della saggezza divina
1. Il marinaio è assalito dalla tempesta, il minatore vive tra il grisù e le frane, l’operaio si muove tra le ruote e le cinghie degli ingranaggi della macchina di ferro, la mutilazione e la morte incombono sul salariato che lavora: il capitalista, che non lavora, è al riparo da ogni pericolo.
2. Il lavoro sfianca, uccide e non arricchisce: non è lavorando ma facendo lavorare gli altri che si accumulano fortune.
3. La proprietà è il frutto del lavoro e la ricompensa dell’ozio.
4. Non si estrae vino da un sasso, né profitti da un cadavere: solo i vivi si possono sfruttare. Il boia che ghigliottina un criminale deruba il capitalista di un animale da sfruttare*2.
5. Il denaro e tutto ciò che comporta non hanno odore.
6. Il denaro riscatta le sue qualità vergognose con la sua quantità.
7. Il denaro sostituisce la virtú in chi lo possiede.
8. Fare del bene non è un investimento redditizio.
9. Andando a letto è meglio dirsi «ho fatto un buon affare», piuttosto che «ho fatto una buona azione».
10. Il padrone che fa lavorare i salariati quattordici ore su ventiquattro non perde la sua giornata.
11. Non risparmiare né il buono né il cattivo operaio, perché sia il buono che il cattivo cavallo hanno bisogno dello sperone.
12. L’albero che non dà frutti deve essere sradicato e bruciato; l’operaio che non rende piú deve essere condannato alla fame.
13. L’operaio che si ribella, nutrilo con il piombo.
14. Ci mette piú tempo la foglia del gelso a trasformarsi in seta, del salariato a trasformarsi in capitale.
15. Rubare in grande e restituire briciole, è la filantropia.
16. Far cooperare gli operai alla costruzione della propria fortuna, è la cooperazione.
17. Prendersi la parte piú grossa dei frutti del lavoro, è la partecipazione.
18. Il capitalista, fanatico della libertà, non dà l’elemosina, perché toglie al senza-lavoro la libertà di morire di fame.
19. Gli uomini non sono altro che macchine per produrre e consumare: il capitalista compra gli uni e corre dietro le altre.
20. Il capitalista ha due lingue nella sua bocca: una per comprare e l’altra per vendere.
21. La bocca che mente dà la vita alla Borsa.
22. La delicatezza e l’onestà sono i veleni degli affari.
23. Rubando a tutti non si ruba a nessuno.
24. Dimostra che l’uomo è capace di devozione come un cagnolino: sii devoto a te stesso.
25. Diffida dell’uomo disonesto, ma non fidarti di quello onesto,
26. Promettere denota bonarietà e cortesia, mantenere la promessa rivela debolezza mentale.
27. Le monete sono coniate con l’effigie del sovrano o della Repubblica perché, come gli uccelli del cielo, appartengono soltanto a chi le cattura.
28. Le monete da cento soldi si rialzano sempre quando cadono, anche nel letame.
29. Ti preoccupi di molte cose, ti crei molti problemi, ti sforzi di essere onesto, ambisci al sapere, brighi per la carriera, ricerchi onori, e tutto questo non è che vanità, se lo porta il vento; una sola cosa è necessaria: il Capitale, sempre il Capitale.
30. La giovinezza sfiorisce, la bellezza appassisce, l’intelligenza si annebbia; solo l’oro non raggrinzisce, non invecchia.
31. Il denaro è l’anima del capitalismo e il movente delle sue azioni.
32. In verità vi dico, è più glorioso essere un portafoglio zeppo d’oro e di banconote che un uomo più carico di talento e di virtù di un asino che porta legumi al mercato.
33. Il genio, l’intelligenza, il pudore, l’onestà, la bellezza esistono solo perché hanno un valore venale.
34. La virtù e il lavoro sono utili solo in casa degli altri.
35. Non c’è niente di meglio per il capitalista che bere, mangiare e godersela: è tutto quello gli resterà di più certo quando sarà morto.
36. Finché rimane tra gli uomini che il sole illumina e riscalda, il capitalista deve darsi alla bella vita perché non si vive due volte la stessa ora e non si sfugge all’ignobile vecchiaia che afferra l’uomo per la testa e lo spinge nella tomba.
37. Nel sepolcro dove vai, le tue virtù non ti accompagneranno; troverai solo vermi.
38. Oltre un ventre pieno e di vigorosa digestione, e sensi robusti e soddisfatti, non c’è che vanità e frustrazione.
V. Ultima verba
1. Io sono il Capitale, il re del mondo.
2. Avanzo scortato dalla menzogna, dall’invidia, dall’avarizia, dal cavillo e dall’assassinio. Porto la divisione nella famiglia e la guerra nella città. Ovunque passo semino odio, disperazione, miseria e malattie.
3. Io sono il Dio implacabile. Mi compiaccio tra le discordie e le sofferenze. Torturo i salariati e non risparmio i capitalisti, miei eletti.
4. Il salariato non può sfuggirmi: se per evadere valica le montagne, mi trova al di là dei monti; se attraversa i mari, lo aspetto sulla riva dove sbarca. Il salariato è mio prigioniero e la terra è la sua prigione.
5. Ingozzo i capitalisti di un benessere greve, idiota e ricco di malattie. Castro corporalmente e intellettualmente i miei eletti: la loro razza si estingue nell’imbecillità e nell’impotenza.
6. Colmo i capitalisti di tutte le cose desiderabili, e castro in loro ogni desiderio. Carico le loro tavole di cibi appetitosi, e tolgo loro l’appetito. Riempio i loro letti di donne giovani ed esperte in carezze, e intorpidisco i loro sensi. L’intero universo è per loro scialbo, fastidioso, snervante, sbadigliano per tutta la vita, invocano il nulla, e l’idea della morte li gela di paura.
7. A mio piacimento e senza che la mente umana possa capire le mie ragioni, colpisco i miei eletti e li precipito nella miseria, la geenna dei salariati.
8. I capitalisti sono i miei strumenti. Mi servo di loro come di una frusta a mille code per flagellare lo stupido gregge dei salariati. Innalzo i miei eletti al primo rango della società e li disprezzo.
9. Il sono il Dio che guida gli uomini e confonde la loro mente.
10. Il poeta dei tempi antichi ha predetto l’era del Capitalismo quando ha scritto: «Ora il bene è mischiato al male, ma un giorno non ci saranno piú legami di famiglia, né giustizia, né virtú. Aidos e Nemesis risaliranno in cielo e al male non ci sarà piú rimedio*3». I tempi annunciati sono arrivati: come i mostri famelici dei mari e le bestie feroci dei boschi, gli uomini si divorano selvaggiamente tra loro.
11. Mi fa ridere la saggezza umana. «Lavora, e la carestia se ne andrà; lavora, e i tuoi granai si riempiranno di provviste», diceva la saggezza antica. Io ho detto: «Lavora, e la penuria e la miseria saranno le tue fedeli compagne; lavora, e svuoterai la tua casa al Monte di Pietà».
12. Io sono il Dio che sconvolge gli imperi: piego i superbi sotto il mio giogo egualitario; faccio a pezzi l’insolente ed egoista individualità umana; plasmo per l’eguaglianza l’imbecille umanità. Accoppio e aggiogo i salariati e i capitalisti nella preparazione dello stampo comunista della futura società.
13. Gli uomini hanno scacciato dai cieli Brahma, Giove, Geova, Gesú, Allah; io mi suicido.
14. Quando il Comunismo sarà la legge della società, finirà il regno del Capitale, il Dio che incarna le generazioni del passato e del presente. Il Capitale non dominerà piú il mondo, obbedirà all’odiato lavoratore. L’uomo la smetterà di inginocchiarsi davanti all’opera delle proprie mani e del proprio cervello, si alzerà in piedi e guarderà la natura da padrone.
15. Il Capitale sarà l’ultimo degli Dèi.
Note
*1.L’autore dell’Ecclesiaste capitalista certamente allude a quegli economisti, noiosi dicitori di futilità, secondo cui il capitale è anteriore all’uomo dal momento che la formica, accumulando provviste, si comporta da capitalista [N.d.A.].↩
*2. L’Ecclesiaste ci rivela la ragione capitalista della campagna per l’abolizione della pena di morte, condotta con tanto fracasso da victor Hugo e dagli altri ciarlatani dell’umanitarismo [N.d.A.].↩
*3. Questa predizione dei tempi capitalisti, piú veritiera di quella dei profeti che annunciavano la venuta di Gesú, si trova nelle Opere e i giorni di Esiodo [N.d.A.].↩
1. Lingua universale creata nel 1879 dal prete cattolico tedesco Johann Martin Schleyer (1831-1912), una sorta di esperanto basato sulle lingue europee.↩
2. Jules Simon (1814-1896), repubblicano conservatore, filosofo, presidente del consiglio nel 1876-1877.↩
3. Jay Gould (1836-1892), magnate americano delle ferrovie e del telegrafo.↩
4. Jöns Jacob Berzelius (1779-1848), svedese, fondatore della chimica moderna; Charles Frédéric Gerhardt (1816-1856), celebre chimico francese.↩
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Indice de La religione del capitale
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Ultima modifica 2019.02.15
mercoledì 2 ottobre 2024
Seneca, lettere a Lucillo.
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Lettere a Lucilio – libro XIII – Lettera V
Della forza d’animo che deve distinguere il saggio.
Non bisogna inquietarsi dell’avvenire
1
So che hai molto coraggio; infatti, anche prima che temprassi il tuo spirito con insegnamenti salutari e utili per vincere le avversità della vita, eri già piuttosto soddisfatto del tuo atteggiamento di fronte alla sorte, ed ancor più lo sei ora dopo averla affrontata con decisione e aver provato le tue forze, nelle quali non si può mai confidare con sicurezza finché non si sono mostrate numerose difficoltà da ogni parte, e non si sono molto appressate. Così si sperimenta il coraggio vero, che non è soggiogato dall’arbitrio altrui: è la prova del fuoco.
2
Un atleta non può combattere con accanimento, se non è già livido per le percosse: chi ha visto il proprio sangue, chi ha sentito i propri denti scricchiolare sotto i pugni, chi è stato messo a terra e schiacciato dall’avversario e, umiliato, non si è perso d’animo, chi si è rialzato più fiero dopo ogni caduta, va a combattere con grandi speranze di vittoria.
3
Quindi, per continuare con questo paragone, molte volte ormai hai subito l’assalto della sorte; tu, però, non ti sei arreso, ma sei balzato in piedi e hai resistito con maggiore risolutezza: il valore, quando è sfidato, si moltiplica. Tuttavia accetta, se credi, le armi di difesa che ti posso offrire.
4
Sono più le cose che ci spaventano, Lucilio mio, di quelle che ci minacciano effettivamente, e spesso soffriamo più per le nostre paure che per la realtà. Non ti parlo con il linguaggio degli Stoici, ma in tono più sommesso; noi, infatti, definiamo poco importanti e trascurabili tutte le avversità che ci strappano gemiti e lamenti. Tralasciamo queste parole gravi, ma, buon dio, vere: ti raccomando solo di non essere infelice prima del tempo, poiché le disgrazie che hai temuto imminenti, forse non arriveranno mai, ma di certo non sono ancora arrivate.
5
Certe cose ci tormentano più del dovuto, certe prima del dovuto, certe assolutamente senza motivo; quindi, o accresciamo la nostra sofferenza o la anticipiamo o addirittura ce la creiamo. Rimandiamo per il momento il primo punto, poiché il problema è controverso e c’è una discussione in corso. Quei mali che io ho definito trascurabili, tu li giudicherai gravissimi; taluni ridono sotto i colpi di frusta, altri, invece, gemono per un pugno. Vedremo in seguito se quei mali hanno forza per se stessi o per la nostra debolezza.
6
Se chi ti circonda vorrà persuaderti della tua infelicità, promettimi di badare non a quello che ascolti, ma a quello che provi e di decidere in base alla tua capacità di sopportare; chiedi a te stesso, che ti conosci meglio di chiunque altro: «Perché costoro mi compiangono? Perché stanno in ansia, perché hanno paura anche di toccarmi, quasi che le disgrazie fossero contagiose? È veramente un male o, più che di un male, si tratta di un qualcosa che può portare più che danno infamia?» Chiediti: «Forse mi cruccio e mi affliggo senza motivo e rendo un male qualcosa che non lo è?»
7
«In che modo,» domandi, «posso comprendere se mi angustio a torto o a ragione?» Attieniti a questa regola per stabilirlo: o ci tormentiamo per il presente o per il futuro o per entrambi. Del presente è facile giudicare: se sei libero, sano e non subisci dolore per un’offesa, guarderemo al futuro: oggi non c’è motivo di preoccuparsi.
8
«Ma ci sarà». Innanzi tutto considera se ci sono sicuri indizi di un male imminente: per lo più, infatti, stiamo in ansia solo per sospetti e ci facciamo ingannare da quelle dicerie che riescono a determinare la sorte di una guerra e che, a maggior ragione, determinano la sorte degli individui. È così, Lucilio mio, crediamo facilmente alle supposizioni; non mettiamo alla prova l’attendibilità delle nostre paure e non ce le scrolliamo di dosso; ci agitiamo e voltiamo le spalle come soldati che abbandonano l’accampamento per il polverone sollevato da un gregge di pecore in fuga o come quelle persone che si lasciano spaventare dai racconti di cose senza fondamento e di cui non si conosce neppure l’autore.
9
Non so perché le paure infondate incutano più turbamento; quelle fondate hanno un loro limite: tutto ciò che è incerto è in balia delle congetture e dell’arbitrio di un animo intimorito. Perciò niente è così dannoso, così irrefrenabile come il panico; le altre forme di paura derivano dall’assenza di ragionamento, questa dall’assenza di senno.
10
Perciò, esaminiamo attentamente la questione. È verosimile che in futuro ci accada qualche guaio, ma non è proprio sicuro. Quanti eventi inattesi sono avvenuti! E quanti fatti attesi non si sono mai verificati! E se anche capiteranno, a che giova andare incontro al dolore? Ti dorrai a sufficienza quando il male arriverà: nel frattempo augurati il meglio.
11
Che cosa ci guadagnerai? Tempo. Possono intervenire molti fattori per cui un pericolo vicino, o addirittura imminente, si ferma o cessa o piomba addosso a qualcun altro; spesso in un incendio si apre una via di fuga; qualcuno è uscito illeso da un crollo; a volte la spada è stata ritirata dal collo su cui pendeva; qualcuno è sopravvissuto al suo carnefice. Anche la sfortuna è mutevole. Forse sarà, forse non sarà, nel frattempo non è; tu spera sempre nel meglio.
12
Talora, benché non vi siano indizi manifesti che preannuncino qualche sventura, l’animo si crea mali immaginari: o travisa in peggio una parola ambigua o ingigantisce un’offesa ricevuta, e pensa non a quanto l’altro sia in collera, ma a quanto sia lecito a chi è in collera. Ma non c’è nessun motivo di vivere, nessun limite alle nostre sciagure, se si teme tutto ciò che può accadere. Qui giova essere saggi: respingi con forza d’animo la paura anche se giustificata; oppure, scaccia una debolezza con un’altra: tempera il timore con la speranza. Gli eventi temuti non accadono e quelli sperati deludono: è una verità più certa di tutte le nostre paure.
13
Soppesa, quindi, speranza e paura, e quando tutto sarà incerto, favorisci te stesso: credi a ciò che preferisci. Anche se il timore avrà più argomenti, scegli la speranza e metti fine alla tua angoscia; considera che la maggior parte degli uomini si arrovella e si agita, sebbene non vi siano mali presenti né certezza di mali futuri. Nessuno, infatti, resiste a se stesso quando ha cominciato ad essere inquieto e non riconduce i suoi timori alla realtà; nessuno dice: «Mente chi sostiene questo, mente: o se l’è inventato o crede a dicerie.» Ci lasciamo trasportare dal vento; paventiamo l’incerto come se fosse certo; non abbiamo il senso della misura, subito un dubbio si trasforma in timore.
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Mi vergogno usare con te tale linguaggio e di confortarti con simili rimedi. Un altro dica pure: «Forse non capiterà,» tu di’: «E se anche capiterà? Vedremo chi dei due avrà la meglio; forse si risolverà a mio vantaggio e una morte come questa onorerà la mia vita.» La cicuta rese grande Socrate. Togli a Catone la spada che gli diede la libertà, gli toglierai una gran parte di gloria.
15
Ora ti sto facendo troppe esortazioni, mentre tu hai più bisogno di essere ammonito che esortato. Non ti spingo ad un comportamento diverso dalla tua natura: tu sei predisposto dalla nascita a ciò di cui parliamo; tanto più, dunque, accresci ed arricchisci il bene che c’è in te.
16
Posso ormai concludere questa lettera, se le imprimo il suo sigillo, se le affido, vale a dire, una bella massima da riferirti. «Tra gli altri mali, lo stolto ha anche questo: comincia sempre a vivere». Rifletti sul significato di questa frase, mio ottimo Lucilio, e comprenderai quanto sia vergognosa la leggerezza di quegli uomini che ogni giorno pongono nuove fondamenta alla loro vita, che nutrono speranze anche in punto di morte.
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Osservali uno per uno: vedrai vecchi che hanno mire ambiziose e che si danno ai viaggi, agli affari. Niente è più sconcio di un vecchio che voglia ricominciare a vivere. Non aggiungerei il nome dell’autore di questa frase, se non fosse troppo poco conosciuta: non è tra quelle più famose di Epicuro, che io mi sono permesso di lodare e di fare mie. Stammi bene.
Caro Meneceo...
Caro Meneceo,
sappi che la conoscenza della felicità non richiede un’età precisa, perché a qualsiasi età è piacevole prendersi cura del benessere della propria vita. Chi sostiene che non è ancora giunto il tempo di dedicarvisi, oppure che oramai è troppo tardi, crede che il momento giusto per farlo è alle nostre spalle oppure davanti a noi. Al contrario, conoscere la felicità riguarda sia il giovane sia l’anziano: il secondo per trarre benessere dal caro ricordo di ciò che ha realizzato, il primo per trarne forza e nutrimento e prepararsi a non temere il futuro.
Ti mostrerò, dunque, quello che bisogna fare per ottenere la felicità, perché la sua presenza soddisfa la nostra vita, mentre la sua assenza ci spinge a fare di tutto per ottenerla. Rifletti sulle cose che ti raccomando e, allo stesso tempo, mettile in pratica: sono fondamentali per una vita ben realizzata.
Prima di tutto, allora, considera che la vita divina è eterna e felice, come suggerisce la comune idea che abbiamo di dio: ogni divinità possiede una vita infinita e sempre felice. Va da sé che non ci sono dubbi sull’esistenza degli dei, ma le divinità non sono come le credono molte persone, che così facendo mettono in dubbio o tradiscono le loro stesse certezze più profonde. Ricordati che non è empio e irriverente chi rifiuta la religione popolare, ma chi attribuisce agli dei le convinzioni errate della gente comune. Questi giudizi sono false opinioni, perché di volta in volta attribuiscono agli dei la causa o delle più grandi sofferenze o dei beni più straordinari.
In realtà, Meneceo, gli dei sono assolutamente felici e mostrano di riconoscere la somiglianza con le persone piene di virtù, quanto di mantenere la distanza da chi ne è completamente privo.
In secondo luogo, abituati Meneceo a pensare che la morte non è nulla per noi, perché le sofferenze o i piaceri si acquisiscono con i sensi; la morte invece non è altro che l’incapacità di avere coscienza.
La consapevolezza che la morte non significa nulla per noi rende godibile la mortalità della vita, scacciando l’inganno del tempo infinito che è provocato, invece, dal desiderio d’immortalità. Non c’è nulla di terribile nel vivere per chi sa che non c’è nulla da temere nel non vivere più. Perciò, è stupido chi sostiene di aver paura della morte, perché egli non teme la sofferenza al suo arrivo, ma piuttosto lo affligge la continua attesa di morire. È strano: quello che non ci turba, una volta presente, è condannato a portarci alla pazzia se è atteso in modo irrazionale.
Invece, vedi Meneceo, la morte — considerata il più atroce di tutti i mali — non esiste per noi. Quando noi viviamo, la morte non c’è, quando c’è lei non ci siamo più noi. Dunque, la morte non è nulla né per noi, che siamo vivi, né per i morti, che non sono più. Invece, la gente comune fugge la morte come il peggior male, oppure la invoca come un luogo di pace rispetto ai mali che vive. Nota, Meneceo, che il vero saggio ha piacere di vivere, così come non teme di non vivere più. La vita per lui non è un male, né è un male il non vivere. Il saggio si comporta come nel mangiare: come sceglie i cibi migliori e non le porzioni più grandi, così si realizza non perché vive a lungo ma perché trascorre delle dolci giornate.
Alcuni invitano il giovane a vivere bene e il vecchio a morire bene, ma questo è di nuovo sciocco non solo per la dolcezza che la vita sempre riserva — anche da vecchi — ma anche perché una bella vita ed una bella morte fanno parte della stesso stile di comportamento. Altri, ancora peggio, dicono che è meglio non nascere per niente, oppure, una volta venuti al mondo, passare al più presto la porta dell’Ade. Se sono così convinti, perché allora non se ne vanno via da questo mondo? Se lo vogliono veramente, non glielo vieta nessuno. Se lo dicono così per dire, forse è meglio che cambino discorso.
Ricordiamoci poi, Meneceo, che il futuro sì ci appartiene, ma solo in parte. Solo così possiamo aspettarci che non si realizzi completamente tutto ciò che vogliamo, ma anche sapere che dobbiamo svolgere la nostra parte. Così pure teniamo presente che solo alcuni desideri sono naturali e profondi, mentre molti altri invece sono inutili; e fra i naturali solo alcuni sono bisogni necessari. Alcuni di questi sono fondamentali per la felicità, altri invece per il benessere fisico, altri ancora per la stessa sopravvivenza. Una conoscenza attenta dei desideri guida ogni nostra scelta, come ogni nostro rifiuto, al fine di raggiungere il benessere del corpo e la perfetta serenità della mente. Questo è il compito della vita felice e a questo noi indirizziamo ogni nostra azione per fuggire il dolore e l’angoscia. La serenità placa ogni bufera inferiore, perché il nostro organismo vitale non ha bisogno di nient’altro per il bene della persona. Dunque, il bisogno del piacere indica che soffriamo la sua mancanza, mentre non soffriamo più quando non ne abbiamo più bisogno.
In questo senso, credo che il piacere sia principio e fine della vita felice, perché lo considero il bene fondamentale e naturalmente congenito per l’essere vivente. Sulla sua base valutiamo quello che volere o rifiutare e lui è la guida per valutare ciò che è buono.
Proprio per questo, sarebbe errato credere che è giusto volere qualsiasi piacere. Talvolta conviene tralasciarne alcuni, da cui può venirci più male che bene, e invece considerare che alcune sofferenze sono preferibili ai piaceri stessi, se possiamo provare un piacere più grande dopo averle sopportate a lungo.
Ogni piacere dunque è bene per sua intima natura, ma non conviene averli tutti. Allo stesso tempo, il dolore è sempre male, ma non tutti i dolori sono sempre da evitare. Gli uni e gli altri vanno giudicati in base alla considerazione dei danni e dei benefici, così come certe volte sperimentiamo che il bene si rivela per noi un male, invece il male un bene.
Inoltre, Meneceo, considero una gran cosa l’indipendenza dai bisogni, non perché ci dobbiamo accontentare sempre di poco, ma perché possiamo essere soddisfatti anche di questo poco se ci capita di non avere molto. Sono convinto che l’abbondanza si gode con più dolcezza se ne siamo meno dipendenti.
In fondo, non è difficile trovare ciò che veramente serve, mentre le cose inutili si presentano sempre difficili da conquistare. E i sapori semplici danno lo stesso piacere dei più raffinati, come pasteggiare con l’acqua e un pezzo di pane dà un grande piacere a chi ne era privo.
Saper vivere di poco, dunque, non solo porta la salute e asciuga la bramosia verso i bisogni della vita, ma anche, quando di tanto in tanto capita di condurre una vita agiata, ci fa apprezzare meglio questa condizione, restando indifferenti verso gli scherzi della sorte. Quando dico che il piacere è il fine della vita felice, non intendo il semplice piacere dei goderecci, come credono coloro che non conoscono le nostre idee, le osteggiano in modo fazioso o le interpretano male. Il piacere che intendo aiuta a non soffrire con il corpo e ad essere sereni con la mente.
Le cene e le feste, il godimento con i fanciulli e le donne, i buoni pesci e tutto quanto può offrire una ricca tavola non portano la dolcezza della vita felice.
Questo lo porta il lucido esame delle cause di ogni scelta o rifiuto, al fine di respingere i falsi condizionamenti che provocano un rovellìo profondo. In realtà, Meneceo, il principio e bene supremo nella condotta è la saggezza, che appunto guida la stessa filosofia, madre di tutte le altre virtù. Essa ci insegna a comprendere che non c’è vita felice senza che sia saggia, bella e giusta, né vita saggia, bella e giusta che sia priva di felicità, perché le virtù sono connaturate alla felicità e da questa inseparabili.
Considera, Meneceo, che vi è rispetto e ammirazione per chi ha un’opinione corretta e rispettosa degli dei, per chi non ha paura della morte e ha chiara coscienza del senso della natura, per chi ritiene che beni utili si procurano facilmente; infine per chi ritiene che i mali che affliggono profondamente la persona, lo fanno per poco, altrimenti se l’affliggono a lungo vuol dire che si possono sopportare. Questo genere d’uomo sa anche che è stupido credere che il fato sia padrone di tutto, come pensano alcuni; le cose accadono o per necessità, o per volontà della fortuna o per volontà nostra. Se la necessità è irresponsabile e la fortuna instabile, invece la nostra volontà è libera: per questo può meritarsi lode o biasimo.
Al posto di essere resi schiavi del destino dei materialisti, era meglio allora credere ai racconti degli dei, che almeno offrono la speranza di placare le divinità con le preghiere, invece di quest’atroce, inflessibile Necessità. Al contrario, la fortuna per il saggio non è una divinità come per la gente comune — la divinità non fa nulla a caso — e neppure qualcosa priva di consistenza. Il saggio non crede che il caso arrechi agli uomini alcun bene o male determinante per la vita felice, ma sa che la fortuna può avviare grandi beni o grandi mali. Però è meglio essere senza fortuna ma saggi, piuttosto che fortunati e stolti; nella vita quotidiana, poi, preferisco che un bel progetto non vada in porto, piuttosto che abbia successo un progetto dissennato.
Mi raccomando, Meneceo: rifletti, quando ti capita, di giorno oppure di notte, su quello che ti ho detto e su altre cose simili. Fallo da solo o con chi ti è vicino e sarai sempre libero dall’angoscia.
Vivrai come un dio fra gli uomini, perché l’uomo che vive fra i beni immortali non sembra più neanche mortale.
lunedì 30 settembre 2024
L' essere umano ha bisogno di vita, non di esistenza.
L’ essere umano ha bisogno di vita, non di esistenza.
“ Vivere è la cosa più rara al mondo. La maggior parte delle persone esiste. Questo è tutto.”
Oscar Wilde
“E’ importante aggiungere più vita agli anni, non più anni alla vita. La vita è questa . Nulla è facile. Nulla è impossibile.”
Anonimo
La vita è amore, passione, sogni, tenacia, costanza, determinazione, lotta per giungere alla meta.
Vivere la vita è non accontentarsi di mangiare, bere, parlare di calcio e di donne o fare i pappagalli dei pugilatori a pagamento con lingua da schiavi del sistema. Questo è esistere.
La vita è amare con il cuore spettinato, trasformare la sabbia in polvere di stelle, accendere un sogno nel buio;
sognare un mondo di liberi, eguali, fratelli e sorelle e dare il proprio contributo per la sua realizzazione;
vivere i momenti belli e brutti sempre con la sicurezza di un domani migliore;
non arrendersi alle avversità;
non abbattersi nelle sconfitte;
non esaltarsi nelle vittorie;
aprirsi alla conoscenza come strumento di libertà, così da poter vivere le varie epoche dell’umanità, da poter essere in ogni luogo del mondo, da poter dialogare con Omero, Virgilio, Epicuro, Socrate, Seneca, Galilei, Alighieri, Manzoni, Foscolo, Leopardi, Carducci, Pascoli, Marx, Engels, Lenin, Gramsci, Petrarca, Boccaccio, Eco ed ogni personaggio storico, perché:
“ E’ sapiente solo chi sa di non sapere, non chi s’illude di sapere e ignora così perfino la sua stessa ignoranza”
Socrate
non cadere nelle superstizioni, nei tabù, nei conformismi della società;
non lasciarsi ingannare dalle false ideologie e dalle false verità;
dai finti difensori dei deboli e degli sfruttati;
dai falsi miti;
dall’uso strumentale e sibillino dei dati ;
non scambiare l’amicizia con la conoscenza;
dar senso alle parole con i fatti;
far si che la miglior forma di educazione sia l’esempio,
essere coerente, tenace, costante, determinato;
non perdere mai l’entusiasmo in ogni azione o progetto portato avanti;
dare importanza alla parola data, come forma di rispetto verso se stesso e gli altri;
essere consapevole che siamo tutti umani e non esistono differenze di razza, di lingua, di colore della pelle, ma soltanto tra chi detiene il potere e chi da questo tallone di ferro è schiacciato.
Chi vive con questa etica vivrà cento vite in una vita, una diversa dall’altra. Si sentirà sempre pronto ad una nuova vita , impugnando l’arma della conoscenza, con l’esperienza delle passate e con l’entusiasmo di chi nel cammino vede prossima la frontiera .
“La vita è per il 10% cosa ti accade e per il 90% come reagisci”
C.R. Swindoll
“ La vita è come una commedia: non importa quanto è lunga, ma come è recitata.”
Lucio Anneo Seneca
La vita è bella! Tutti meritano di gustare il suo splendore!
Bisogna essere ciechi e sordi...
Bisogna essere ciechi e sordi
per non vedere una donna piangere per essere stata stuprata,
per non sentire le sue grida di dolore per essere stata violata nella sua intimità,
per non accorgersi della sua solitudine in un mondo arcaico nel pensiero,
per passare oltre e sentirla una realtà normale, che rende colpevoli gl’innocenti e
innocenti i colpevoli.
“ Il cambiamento di un’epoca storica si può definire sempre dal progresso femminile verso la libertà, perché qui, nel rapporto della donna con l’uomo, del debole col forte, appare nel modo più evidente la vittoria della natura umana sulla brutalità. Il grado dell’emancipazione femminile è la misura naturale dell’emancipazione universale.”
Charles Fourier
Bisogna essere ciechi e sordi
per non vedere che la libertà nel sistema capitalistico è solo la libertà del profitto,
per non vedere pochi appropriarsi delle ricchezze prodotte e molti arrabattarsi per vivere,
per non sentire le grida della povertà di miliardi di esseri umani,
per non udire i pianti di 50 milioni di bambini che ogni anno muoiono di fame.
Bisogna essere ciechi e sordi
per credere a un mondo di pace quando vi sono guerre in tutto il pianeta,
per non vedere eventi bellici basati sulla conquista di aree con materie prime,
per far finta di nulla sull’uso di armi chimiche contro esseri umani indifesi,
per non sapere che l’industria delle armi è quella sempre più in crescita.
Bisogna essere ciechi e sordi
per pensare che i nuovi modelli di acquisizione della forza lavoro siano migliorative,
per non sentire le grida di chi vive presente e futuro in modo precario,
per non vedere l’essere umano trattato come una merce qualsiasi,
per accettare la perdita di ogni dignità umana.
Bisogna essere ciechi e sordi
per credere a coloro che non mettono in discussione i rapporti di produzione,
per pensare che coloro che sono per il profitto possano essere per il salario,
per avere speranza che nuovi governi, rappresentanti delle classi dominanti, possano cambiare la condizione dei lavoratori,
per lasciarsi abbindolare dalle parole e non guardare ai fatti.
Bisogna essere ciechi e sordi
per scagliarsi contro i propri simili solo per differenza di colore della pelle, di nazionalità, di lingua,
per non vedere che la lotta tra poveri avvantaggia i ricchi,
per non sentire le risa dell’oscurantismo del potere.
Bisogna essere ciechi e sordi
per non utilizzare la scienza, come forma di conoscenza, per sottrarsi alla sottomissione,
per non cercare di capire, di conoscere e vedere la conoscenza come forma di libertà,
per iniziare un cammino che porti gli esseri umani ad avere interessi comuni e nella comunanza di essi determinare una realtà socio-economica dove ogni essere umano
“possa dare secondo le sue capacità ed avere secondo le sue necessità.”
Seguire la corrente è facile, andare controcorrente è difficile!
Diventa semplice e normale se si è armati di conoscenza.
Galilei docet.
venerdì 16 agosto 2024
B: Brecht, A quelli venuti dopo di noi.
Veramente, vivo in tempi bui!
La parola disinvolta è folle. Una fronte liscia
indica sensibilità. Colui che ride
probabilmente non ha ancora ricevuto
la terribile notizia.
Che tempi sono questi in cui
un discorso sugli alberi è quasi reato
perché comprende il tacere su così tanti crimini!
Quello lì che sta tranquillamente attraversando la strada
forse non è più raggiungibile per i suoi amici
che soffrono?
È vero: mi guadagno ancora da vivere
ma credetemi: è un puro caso. Niente
di ciò che faccio mi da il diritto di saziarmi.
Per caso sono stato risparmiato.
(Quando cessa la mia fortuna sono perso.)
Mi dicono: “Mangia e bevi! Accontentati perché hai!”
Ma come posso mangiare e bere se
ciò che mangio lo strappo a chi ha fame, e
il mio bicchiere di acqua manca a chi muore di sete?
Eppure mangio e bevo.
Mi piacerebbe anche essere saggio.
Nei vecchi libri scrivono cosa vuol dire saggio:
tenersi fuori dai guai del mondo e passare
il breve periodo senza paura.
Anche fare a meno della violenza
ripagare il male con il bene
non esaudire i propri desideri, ma dimenticare
questo è ritenuto saggio.
Tutto questo non mi riesce:
veramente, vivo in tempi bui!
Voi, che emergerete dalla marea
nella quale noi siamo annegati
ricordate
quando parlate delle nostre debolezze
anche i tempi bui
ai quali voi siete scampati.
Camminavamo, cambiando più spesso i paesi delle scarpe,
attraverso le guerre delle classi, disperati
quando c’era solo ingiustizia e nessuna rivolta.
Eppure sappiamo:
anche l’odio verso la bassezza
distorce i tratti del viso.
Anche l’ira per le ingiustizie
rende la voce rauca. Ah, noi
A quelli venuti dopo di noi
B. Brecht
lunedì 24 giugno 2024
L' essere umano e la sua essenza universale.
L’essere umano e la sua essenza universale.
In un mondo in cui l’interesse è soggettivo ed egoistico si ha, di conseguenza, la concentrazione degl’individui su se stessi, la trasformazione dell’umanità in un aggregato di atomi che si respingono a vicenda. Sul trono viene posto il denaro, elemento privo di spirito, vero signore del pianeta. L’ essere umano, che non ha cessato di essere schiavo di altri esseri umani, è divenuto schiavo della “cosa”. La venalità, giunta a perfezione, è ormai universale ed è disumana. Molti individui si prostrano dinanzi a false realtà, a vuoti nomi e negano la realtà. Ci si rifiuta di riconoscere il reale e si adopera un linguaggio convenzionale di categorie fittizie. Ci si aggrappa a vuote astrazioni, ciascuna delle quali è una diffamazione della realtà. Tutta la realtà di questa dimensione economico-sociale è una grande menzogna , che è occultata da una quantità di altre menzogne allorchè si rivela nella sua natura con chiarezza. Persino quando ci si convince che tutti questi artifizi non sono che vane falsità e finzioni ci si ostina a non volersene distaccare. Anzi ci si aggrappa ad esse più saldamente che mai, affinchè quelle parole vuote non si dissolvano. La lotta della prassi contro la teoria , della realtà contro l’astrazione , dell’essere umano contro l’inumanità dovrà avere sempre più forza per giungere alla meta ed elevare l’interesse di tutti gli esseri umani a vincolo unificante di tutta l’umanità. Il risolto enigma della storia è nel superare il contrasto dell’uomo con la natura e con l’uomo, il conflitto fra esistenza ed essenza, fra necessità e libertà, fra oggettivazione ed affermazione soggettiva, fra individuo e genere. L’essere umano in tal modo si appropria della sua essenza universale in maniera universale, in quanto uomo totale. Ognuno dei suoi rapporti umani con il mondo, il vedere, l’udire, l’odorare , il gustare, il toccare, il pensare, l’intuire, il sentire, il volere, l’agire, l’amare, organi della sua individualità, si appropriano della realtà umana nell’essere organi sociali. Nell’attuale società tutti i sensi fisici e spirituali sono stati sostituiti dall’alienazione di essi dal senso dell’avere. L’emancipazione dei sensi umani passa dal superamento dei rapporti di produzione, unico modo per umanizzarli sia soggettivamente sia oggettivamente. A seconda dei momenti storici nuovi ciarlatani, simoniaci e barattieri vengono posti dal sistema a guardia dei propri interessi. Tutti promettono mari e monti, ma la realtà, per chi vive sull’utilizzo del proprio cervello o delle proprie braccia, diventa sempre più dura e sofferente. Negli ultimi vent’anni abbiamo visto alcuni di costoro all’opera, forse stiamo meglio di vent’anni fa? Tutti cercano di orizzontilizzare il contrasto sociale e mettono i deboli contro i deboli, invece di verticalizzarlo, come sarebbe corretto. La verità è che chiunque sproloquia di migliori condizioni sociali senza superare i rapporti di produzione è un ingannatore o in malafede o per ignoranza. In questa società l’essere umano, reso individualista ed egoista, in realtà è un essere asociale. I suoi sensi sono profondamente diversi dall’essere umano sociale. Soltanto con la dispiegata ricchezza oggettiva dell’essenza umana si può avere la soggettiva dell’umana sensibilità. Giacchè non solo i cinque sensi, ma anche i sensi spirituali, la sensibilità pratica, la volontà, l’amore, in una parola l’umanità dei sensi, si formano soltanto nella natura umanizzata. Il senso costretto dal rozzo bisogno pratico ha una sensibilità limitata. Per l’individuo affamato non esiste il carattere umano del cibo, ma soltanto la sua astratta esistenza di cibo. Questo potrebbe presentarsi a lui nella forma più rozza e non si distinguerebbe in questa attività nutritiva da quella bestiale. Il mercante di minerali vede solo il loro valore mercantile, non la bellezza e la peculiare natura del minerale. Se l’essere umano si forma ogni cognizione, ogni sensazione dal mondo sensibile e dall’esperienza del mondo sensibile, bisogna rendere umano il mondo empirico, in modo che faccia esperienza di ciò che è veramente umano e si abitui a riconoscersi come essere umano. Se l’essere umano è formato dalle circostanze, si devono rendere umane le circostanze. Se egli è sociale per natura, sviluppa la sua vera natura solo nella società e la potenza della sua natura deve trovare la sua misura non nella potenza dell’individuo singolo, ma nella potenza della società, ove al centro vi è l’interesse dell’intera umanità ed ogni essere umano si appropria della sua essenza universale.
venerdì 14 giugno 2024
Il visionario costruisce ciò che i sognatori sognano.
Il visionario costruisce ciò che i sognatori immaginano
“La realtà è ciò che vedono le persone che mancano di visione.”
Anonimo
Nella storia, man mano che le forze produttive si sviluppavano, la classe che stava per prendere il sopravvento andava avanti secondo una nuova visione di società. Le vecchie tradizioni e i costumi precedenti venivano archiviati ideologicamente e realmente per lasciare il posto ai nuovi. In molti casi il passaggio avveniva con scontri cruenti tra vecchio e nuovo. Si pensi alla rivoluzione francese e all’avvento della borghesia. La realtà odierna mostra la classe dominante senza alcuna visione, impegnata strenuamente a difendere i suoi interessi nei confronti della classe lavoratrice e a lottare al suo interno per difendere l’ordine mondiale, istituito dopo la seconda guerra mondiale, dal sorgere di nuove potenze sulla scena. Questo scontro porta a guerre medie e piccole in tutto il globo, coinvolgendo la classe lavoratrice come “palle da cannone”. Il mondo, ormai, si divide tra chi sta con “ l’ occidente” e gli altri, che vogliono contare di più negli organismi internazionali. Questo scenario può prefigurare nel medio termine uno scontro bellico di proporzioni immani. In Europa il dibattito è su come cercare di rafforzare l’Unione per essere capace di avere un ruolo nella partita non secondario. Nei vari Paesi, tra cui l’Italia, il dibattito è tra chi vuole un ‘Europa più federale e compatta e chi cerca di boicottarla. Gli ultimi sono aiutati dagli USA che, sembra strano, ma così è, vedono in un’ Europa unita e forte un concorrente molto agguerrito. I vari partiti, i mass-media, i vari pugilatori a pagamento con lingua da schiavi discutono solo di questi temi senza alcuna visione di nuova società, senza proporre nulla di nuovo se non la realtà attuale, fatta di divisione in classi, di sfruttamento dell’essere umano sull’essere umano, di ricchi, pochi, e poveri, molti, di guerre, di precariato del lavoro, di disoccupazione. Si spacciano per riformatori, ma sono i peggiori reazionari, difatti le loro riforme non hanno significato altro per chi lavora che peggiori condizioni di lavoro e di vita. I cittadini, la classe lavoratrice si lasciano abbindolare dal giogo delle false ideologie, della falsa rappresentanza della realtà e, che partecipi alla farsa del voto o che non partecipi, lascia campo libero alla classe dominante e alle sue idee. Milioni di persone si rifugiano nella delusione, nella frustrazione, nella speranza di un futuro migliore, ma “ Chi di speranza vive, di speranza muore”, nelle religioni, pensando che nulla si possa fare per cambiare. Non vedono costoro che, come nella storia, proprio l’attrito degli interessi contrapposti è la base di una nuova realtà socio-economica. “La conoscenza porta alla visione e la visione fa vedere cose che sembrano impossibili!” Fa vedere che la classe lavoratrice, padrona della conoscenza-coscienza, dell’organizzazione, della strategia, della tattica; consapevole della forza del numero degli appartenenti alla classe e libera dagli orpelli ideologici della borghesia o, peggio ancora, della piccola borghesia può liberare se stessa e l’intera umanità, “prendendo dai quattro lati la tovaglia del tavolo e buttando tutto per aria.”
“Gli inferiori si ribellano per poter essere uguali…”
Aristotele
“Affinchè qualcosa arrivi è necessario che qualcosa finisca. Non bisogna aver paura della fine, in ispecie se questa non fa assaporare il vero gusto della vita. Ogni fine è un nuovo inizio.”
Anonimo
Se la classe lavoratrice non sarà in grado nel breve e medio termine di organizzarsi strategicamente e tatticamente, l’umanità intera sarà costretta a subire le angherie di ogni tipo dal “Tallone di ferro”.
sabato 8 giugno 2024
Nessuna ricchezza...
“Nessuna ricchezza può recare vantaggio ai capitalisti se non trovano degli operai disposti ad applicare il loro lavoro agli strumenti e ai materiali che essi posseggono e a produrre nuove ricchezze. Quando gli operai sono isolati gli uni dagli altri di fronte ai padroni, rimangono degli autentici schiavi e lavorano eternamente per un tozzo di pane per conto di un uomo a loro estraneo, rimangono eternamente dei salariati docili e muti. Ma quando gli operai proclamano insieme le loro rivendicazioni e rifiutano di sottomettersi a colui che ha il portafoglio gonfio, allora essi cessano di essere degli schiavi, diventano degli uomini, cominciano ad esigere che il loro lavoro non serva soltanto ad arricchire un pugno di parassiti, ma dia la possibilità a coloro che lavorano di vivere da uomini”
Lenin
domenica 19 maggio 2024
giovedì 2 maggio 2024
G.Belli, Li soprani der monno vecchio
C’era una vorta un Re cche ddar palazzo
Mannò ffora a li popoli st’editto:
«Iö sò io, e vvoi nun zete un cazzo,
Sori vassalli bbuggiaroni, e zzitto.
Io fo ddritto lo storto e storto er dritto:
Pòzzo vénneve a ttutti a un tant’er mazzo:
Io, si vve fo impiccà, nun ve strapazzo,
Ché la vita e la robba Io ve l’affitto.
Chi abbita a sto monno senza er titolo O dde
Papa, o dde Re, o dd’Imperatore,
Quello nun pò avé mmai vosce in capitolo».
Co st’editto annò er boja pe ccuriero,
Interroganno tutti in zur tenore;
E arisposeno tutti: È vvero, è vvero.
Giuseppe Gioacchino Belli, Li soprani der monno vecchio
mercoledì 1 maggio 2024
Storia della collaborazionista X MAS con i nazisti.
Storia della collaborazionista X Mas con i nazisti occupanti, dopo l’8 settembre 1943. Per conoscere e non ripetere errori.
Premessa.
Io spesso mi chiedo quale storia del periodo resistenziale sia stata talvolta scritta e magari approvata in questa nostra Italia, e spesso mi domando se non sia la visione fascista e repubblichina degli avvenimenti, senza accorgersene, mancando di approfondimenti adeguati. Per esempio ritengo che non si abbia ben presente cosa fu davvero la Xa Mas e chi fu il principe Junio Valerio Borghese, scampato, nel dopoguerra, alla pena capitale per collaborazionismo con i nazisti e per i crimini commessi dalla ‘Decima’, e che fece temere agli Italiani democratici, nella notte dell’Immacolata del 1970, di cadere in un nuovo regime autoritario. E se ritorno su un argomento che ho già toccato nel mio: “No alla X Mas nelle sedi istituzionali della Repubblica italiana. Motivi storici”, in: www.nonsolocarnia.info, a cui rimando, lo faccio per approfondire il perché labari della X Mas e chi ricorda la stessa, debbano restare fuori dalle sedi istituzionali della Repubblica ed anche dal suo territorio, e cercare di portare questi argomenti all’attenzione di voi lettori e di chi sia interessato.
E io credo che per comprendere cosa sia stata la Xa Mas e cosa abbia fatto in particolare dopo l’8 settembre 1943, si debba leggere come minimo l’esaustivo testo di Ricciotti Lazzero, intitolato ‘La Decima Mas. Compagnia di Ventura del Principe Nero’, Rizzoli, Milano, 1984, oltre che le sintesi dei processi, in particolare quello di Vicenza in corte d’appello, pubblicato in: digilander.libero.it/ladecimamas/intro.htm, o quello a Junio Valerio Borghese. Mi rendo conto che nel merito esiste una vastissima bibliografia, ma ritengo che la linea di lettura dei fatti, basata su una ricca documentazione italiana ed estera a supporto, presente nel volume di Ricciotti Lazzero (cfr. Ricciotti Lazzero, op. cit., pp. 249 – 264), sia sufficientemente esaustiva, e permetta di aprire un serio dibattito sull’argomento.
Inoltre, in questa nostra Repubblica, pare che sia stato e sia ancora difficile cercare di analizzare in modo serio gli eventi di un periodo storico preciso, soggetto a visioni ed interpretazioni politiche e politicizzanti. Lo sottolinea pure Ricciotti Lazzero che premette al suo lavoro una nota sui problemi da lui incontrati «a causa delle bocche che restano chiuse, dell’abitudine alla non collaborazione, della mancanza di senso critico storico, in un’Italia che non ammette, per paura, apatia, scarsa cultura e deficienza di humour, il ‘processo a se stessa’ che altre nazioni si sono fatte e resta ferma su posizioni retoriche incomprensibili […]» (Ivi, p. 9), e che continua così: «Come sempre in un paese come il mio dove i mostri continuano a rimanere sacri, dove la ricerca storica sui fatti recenti è malvista ed osteggiata, dove la massa si rivolge con voluttà all’effimero, il tentativo di andare a fondo su un argomento particolare come questo è stato molto duro». (Ivi, p. 10). Ma vediamo insieme cosa ci narrano Ricciotti Lazzero ed altri sulla Decima Mas e le sue azioni.
LA X Mas.
La X Mas, (anche nota come Xª o 10ª Flottiglia Mas, Decima Mas, X Mas, la ‘Decima’), esisteva prima dell’8 settembre 1943, ed era, allora, un’unità speciale della Regia Marina italiana, nata nel 1939 come 1ª Flottiglia M.A.S.. Essa non sempre aveva agito con esiti positivi, tanto che, inizialmente, le sue azioni non furono coronate da successo e comportarono molte perdite tra gli equipaggi, come nel caso del fallito attacco a Malta del 1941. Ma poi, grazie anche al perfezionamento dei mezzi tecnici e di supporto, essa ottenne la buona riuscita di alcune sue imprese, come quella della Baia di Suda (25-26 marzo 1941) o quella di Alessandria d’Egitto. (https://it.wikipedia.org/wiki/Xª_Flottiglia_MAS_(Repubblica_Sociale_Italiana). 28 dicembre 2017).
Guidata fin dal suo sorgere dal Principe Junio Valerio Borghese, appartenente alla nobile famiglia romana dei Borghese ed ufficiale di Marina esperto in sommergibili, doveva venir impegnata, nel 1943, in una operazione simile a quella denominata ‘Unternehmen Pastorius’ tentata senza successo, nel giugno 1942, dai nazisti, e terminata con 6 ex cittadini Usa, al soldo della Germania, finiti sulla sedia elettrica. (Riciotti Lazzero, op. cit., pp. 14-15). Forse per raccogliere informazioni utili a organizzare la stessa, nel 1942 il Principe Borghese viaggiò attraverso l’Europa incontrando, a Parigi, anche Karl Dönitz, comandante della flotta sottomarina nazista. (https://it.wikipedia.org/wiki/Junio_Valerio_Borghese). L’impresa prevista da Borghese aveva come obiettivo un grattacielo di New York, da far saltare con mine, grazie a militari che sarebbero giunti con un sommergibile al porto della città, ma non ebbe seguito. (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 14). Ma vi è anche chi dice, invece, che egli volesse solo minare il porto della nota città statunitense, e avesse dovuto rinunciare all’impresa, una prima volta, per la perdita del sommergibile che doveva utilizzare. (https://it.wikipedia.org/wiki/Junio_Valerio_Borghese).
Poi giunse l’8 settembre 1943, quando Borghese comandava gruppi della Decima sparsi dal nord al sud Italia, ed uno locato pure ad in Spagna, ad Algerisas, di fronte a Gibilterra. Colto dagli eventi, il Principe decideva «di restare con le armi al piede e di non accettare la resa agli Alleati» (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 15), mentre il Comandante in Capo delle Forze Navali da Battaglia, Carlo Bergamini accettava di obbedire, per fedeltà al Re e per il bene della Patria, alle clausole poste dall’Armistizio, e moriva in mare con la sua nave ammiraglia, colpita a morte, dopo accanita difesa, dagli aerei nazisti. (http://www.marina.difesa.it/storiacultura/storia/medaglie/Pagine/CarloBergamini.aspx).
Non così il Principe Junio Valerio che accettava di offrirsi, con la Flottiglia che comandava, ai tedeschi, prima ancora che nascesse l’R.S.I.. Infatti il 14 settembre 1943, si presentava a lui l’ufficiale nazista Max Berninghaus, capitano di fregata e «nazista duro e deciso», (Ricciotti Lazzero, op. cit., p.17) ed il Principe accettava di sottoscrivere un patto di Alleanza tra la X Mas ed il Terzo Reich, che stabiliva che la X Mas, con «capo riconosciuto» il comandante Borghese, era «alleata delle FF.AA. germaniche, con parità di diritti e doveri», pur mantenendo autonomia logistica, organizzativa, disciplinare ed amministrativa, nonché l’uso della bandiera italiana. (Ivi, p. 18). L’ accordo diventava esecutivo subito, mettendo la ‘Decima’ a disposizione dell’SS – Obergruppenführer und General der Waffen SS Karl Wolff, insediatosi il 9 settembre nel veronese con la carica di Höchster SS- und polizeiführer in Italien, che di fatto ne poteva stabilire l’utilizzo. (Ibid.).
Borghese – racconta il generale Wolff – «con le sue unità fu messo ai miei ordini per la lotta antipartigiana, così come per il mantenimento della pace, dell’ordine e della sicurezza alle spalle delle zone occupate dall’esercito tedesco in Italia […]». (Ivi, p. 19).
«La posizione della Decima Mas è chiara. – scrive a questo punto Ricciotti Lazzero – È la prima unità che abbia trattato con i tedeschi stringendo con essi un “patto di alleanza” ben preciso», prima ancora che qualcuno tra i gerarchi si sia mosso. (Ivi, p. 19). E vi è solo un altro caso simile, riportato da documentazione tedesca, di unità militare italiana alle dipendenze dirette di Karl Wolff ma con una certa autonomia: quello del btg. ‘Goffredo Mameli’, del Reggimento ‘Luciano Mannara’, costituitosi a Verona con volontari, e guidato dall’ufficiale della milizia Vittorio Facchini. (Ibid).
Ma cosa significava ‘operare in autonomia’ per l’Obergruppenführer Wolff? Significava, per esempio che la Xa Mas, per quanto riguardava l’impiego bellico e le operazioni di sicurezza, era alle sue personali dipendenze; da lui riceveva gli ordini di impiego, ed a lui doveva rendicontare del risultato delle azioni militari intraprese. Borghese aveva la facoltà di dare ordini all’interno dell’ambito deciso di servizio, ma per le azioni principali e più importanti doveva avere l’approvazione di Wolff. (Ivi, p. 20).
I tedeschi vedono nella ‘Decima’, corpo autonomo italiano schierato con loro, un modo per indebolire la possibilità, per l’R.S.I., di richiedere la costruzione di un esercito ed una marina autonomi, (Ivi, p. 21) mentre il primo incontro fra Benito Mussolini, circondato ormai dalle SS, e il principe Borghese, il 5 ottobre 1943, non sortisce alcun risultato di rilievo. (Ivi, pp. 22-23).
«Borghese, che ha patteggiato con i tedeschi da solo, senza badare ai fascisti, anzi in barba a loro, è deciso a proseguire per la sua strada indipendente, il duce guarda a quell’unità che nasce con il beneplacito tedesco come a un ostacolo […]». (Ivi, p. 23). Ed anche successivamente «Rapporti formali tra Decima Mas – RSI, qualche entusiasmo da parte di qualcuno, ma niente di più. (…). La Decima è […] un corpo a sé, molto tenuto d’occhio e sorvegliato, che fa concorrenza al nuovo esercito in gestazione». (Ibid).
Pertanto chi sostiene che la X Mas combattè per la Patria, sta commettendo un grosso errore, perché fu al servizio dell’occupante nazista. E anche se fosse stata inglobata, ad un certo punto, almeno formalmente, nell’Esercito dell’R.S.I., come si potrebbe intuire dall’intestazione del manifesto qui riprodotto, relativo al periodo in cui la ‘Decima’ si trovava in Veneto, sarebbe stata la stessa cosa. Anche i repubblichini avevano una certa autonomia ma dipendevano di fatto dai tedeschi. Coloro che combatterono per cacciare i nazisti furono i partigiani, gli Angloamericani ed i russi bolscevichi, che fermarono Hitler e dettero un nuovo corso alla storia, lasciando però milioni di morti sul terreno. E colgo l’occasione per precisare ai friulani che proprio perchè del btg. ‘N.P.’ (Nuotatori Paracadutisti) della X Mas, e poiché avevano partecipato a rastrellamenti nella zona di Valdobbiadene vennero giustiziati, la notte fra il 5 ed il 6 novemebre 1944, da un gruppo di gappisti, il conte Giorgio di Strassoldo, ufficiale sottocapo del btg., ed il sergente Luigi Spazzapan. (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 22 e p. 136).
Manifesto che avvisa di un prelevamento di ostaggi precauzionale, che pagheranno con la vita se verrà toccata l’incolumità di un solo milite nei paesi di Carrè – Chiuppano, Caltrano, in Veneto. In esso si legge, pure, che «Ad essi non sarà fatto alcun male se nessun atto di sabotaggio, attentato alla vita, o delitti in genere saranno compiuti nella zona a carico di uomini e cose appartenenti alla Divisione X». Da: http://www.centrorsi.it/notizie/Archivio-storico/I-manifesti-murari-nella-Rsi-esempi.html.
Ma per ritornare al post 8 settembre ’43, sfasciatosi il Regio Esercito Italiano, anche la X Mas iniziò in modo autonomo l’arruolamento. I volontari non furono solo marinai – spiega Ricciotti Lazzero – ma anche soldati ed ufficiali di fanteria, bersaglieri, alpini, genieri, autisti, radiotelegrafisti, che concorsero a formare nuovi battaglioni e reparti. (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 24). Andarono nella Decima sia uomini sanguinari che fascisti convinti ed in fuga dagli Alleati al Sud e giovani ‘dal viso pulito’, spesso studenti che poco o nulla sapevano del fascismo, che anelavano a prestare servizio in un corpo organizzato, e che poi, senza magari saperlo, si trovarono impiegati in prima linea nella pulizia dell’entroterra, alle spalle della Wehrmacht, e nella lotta al ‘fratello italiano’. A nessuno venne chiesto il giuramento all’ R.S.I. ma solo «Il rispetto ad un’idea ed alla bandiera che sventola sul pennone». (Ivi, p. 10 e p. 24).
Richiamavano gli slogans, la pubblicità, la divisa grigioverde con maglioncino grigio, giacca senza colletto e basco da paracadutista, ma la realtà poi fu altra cosa. Si formarono nuovi gruppi, si rimpolparono vecchi battaglioni, mentre il grosso delle truppe, subito dopo l’8 settembre 1943, era locato a La Spezia. (Per l’elenco dettagliato dei gruppi, battaglioni con numero delle compagnie, ecc. cfr. Ivi, pp. 25- 31). E dopo l’8 settembre 1943, aderì alla X Mas anche Umberto Bertozzi, ingegnere, amico di Junio Valerio Borghese, e figlio di un imprenditore dell’industria conserviera, che guidò l’Ufficio I, famoso per le torture, e la famigerata la Compagnia O, formatasi nel maggio – giugno 1944, autocarrata, composta da 120 uomini, e strutturata su tre plotoni fucilieri ed un plotone comando, e destinata, in un primo tempo, ad operare esclusivamente nell’entroterra spezzino. (Ivi, pp. 29-30, e https://it.wikipedia.org/wiki/Umberto_Bertozzi).
Umberto Bertozzi, giudicato colpevole «di oltre cento ‘omicidi volontari’, fra cui il concorso nella strage di Forno di Massa e di numerose sevizie particolarmente efferate perpetrate tra il 1944-1945», (Cfr. Pena capitale per il braccio Dx di Borghese, la sentenza della Corte di Assise di Vicenza, in: http://digilander.libero.it/ladecimamas/) verrà condannato a Vicenza, il 4 giugno 1947, con Franco Banchieri, alla pena di morte, ma la condanna venne poi commutata in ergastolo, che negli anni, grazie anche alla concessione di condoni, divennero prima 30 anni e poi 19, fino ad estinzione della pena nel 1963. (https://it.wikipedia.org/wiki/Umberto_Bertozzi).
Comunque tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944, cominciarono a delinearsi i primi battaglioni da utilizzare nella lotta antipartigiana: il ‘Barbarigo’, il ‘Lupo’, il ‘Mai morti’ poi ‘Sagittario’, il ‘ Folgore’, (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 34) che vennero addestrati anche dai tedeschi a muoversi sul terreno. (Ivi, p. 35). Nessuno sospettava allora che gli angloamericani sarebbero sbarcati ad Anzio il 22 gennaio 1944.
Simbolo 10a Mas. (https://wikivisually.com/lang-it/wiki/X%C2%AA_Flottiglia_MAS_(Repubblica_Sociale_Italiana) 28 dicembre 2017.
Distintivo del gruppo Fumai ‘Mai Morti’. (http://www.filatelicafiorentina.com/prodotti.php?catsel=1383&t=brigate%20nere%201943-45&i=1383&p=1369 – 28 dicembre 2017).
Il Btg. ‘Mai Morti’ poi diventato ‘ Sagittario’.
Oltre ad Umberto Bertozzi ed al sergente Schininà (nome non reperito) suo aiuto, (Ivi, p. 99), vi furono altri personaggi della ‘Decima’ che si resero tristemente famosi: uno di questi fu Beniamino Fumai, barese, che il 16 giugno 1921, assieme al fratello, aveva aderito al fascio di Bari, militando poi nella stessa squadra d’azione di Achille Starace. (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 39). Quindi si era spostato a Nord, a Trieste, formando, dopo l’8 settembre 1943, un gruppo di 43 individui, a cui aveva dato il nome‘ Mai morti’, ed avente come distintivo uno scudo nero con al centro un teschio, ai lati la scritta “Per l’onore dell’Italia” ed in apice la data 8 settembre 1943. Il gruppetto si definiva, pomposamente e non si sa a che titolo, F.A.F. (Forze Armate Fasciste), e pare che tutti i suoi componenti fossero soggetti «propensi alla più pura delinquenza», (Ivi, p. 39) e fu apprezzato pure da Christian Wirth, distintosi per i forni crematori di Lublino, e poi passato alla Risiera di San Sabba. (Ivi, pp. 39-40).
A Trieste il ‘Mai Morti’ semina terrore: «i suoi uomini sono liberi di agire, possono razziare ciò che vogliono, saranno sempre impunti», finchè le loro rapine, estorsioni assassinii giungono a disgustare persino i fascisti. A questo punto interviene Alessandro Pavolini in persona, che scioglie il ‘Mai Morti’. (Ivi, p.40). Così Fumai ed i suoi lasciano la città giuliana e vagano per l’Italia settentrionale. Il 6 gennaio si trovano al Lago Maggiore, quindi, il 20 dello stesso mese, in zona Intra-Pallanza, quindi passano a Verona, poi a Brescia ed a Milano, ove Fumai contatta la Decima Mas, per poi caricare i suoi su autocarri e presentarsi a La Spezia. (Ivi, p. 40).
Il ‘Mai Morti’, diventato battaglione della ‘Decima’ al comando di Fumai, riesce a seminare «in ogni angolo del Piemonte dolori e sangue, ed un odio indicibile per i marò», tanto che il 6 marzo 1944 Dante Tuninetti, allora prefetto della Provincia di Novara, mandava un telegramma urgente al Ministro degli Interni dell’R.S.I. per chiedere che si prodighi affinchè il gruppo ‘Mai Morti’ non giunga sul suo territorio, e venga, invece, utilizzato al fronte. (Ivi, p. 40).
Il risultato è che il ‘Mai Morti’ comincia ad operare nello spezzino, lasciando chiare tracce del suo passaggio. Infine il battaglione, nel maggio 1944, si scioglie e sulle sue ceneri nasce il battaglione ‘Sagittario’, comandato sempre da Beniamino Fumai. (Ivi, p. 41).
Ben presto il ‘Sagittario’ si caratterizzò per la ferocia nelle azioni e nella caccia ad antifascisti, partigiani, ed in particolare anarchici della Lunigiana e della provincia di Massa e Carrara, e si trovava pure nel Canavese, nell’estate 1944, a due passi da Cuorgnè, al fianco della Compagnia O guidata dal Bertozzi. (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 85 e p. 99). «La sua azione è spietata: uccisioni, incendi, furti e saccheggi», e in quella zone rimane famoso per aver «seminato dappertutto il terrore: soprusi, violenze anche contro donne, rapine, uccisioni, incendi di case, razzie» (Ivi, p. 124), tanto da innervosire lo stesso Junio Valerio Borghese. Sicuramente vi fu un colloquio fra questi ed il Fumai, ma quest’ultimo ebbe la meglio, e con i suoi 700 uomini, armati fino ai denti, si spostò prima a Torino poi ad Ivrea. E dopo essersi arbitrariamente spacciato per ex maggiore della Milizia, ora Beniamino Fumai si spaccia per capitano di corvetta. (Ivi, p. 40 e 85).
Ma a quel punto anche i repubblichini iniziano a protestare. Infine Beniamino Fumai tenta di aggredire lo stesso Borghese a Ciriè. Così, nell’autunno 1944, viene convocato dal Principe, che, poco interessato alle sue minacce, gli revoca il mandato di comandante del ‘Sagittario’, nominando al suo posto il tenente di vascello Ugo Franchi, comandante in seconda del ‘N.P’.. (Ivi, pp. 124- 125). A questo punto il Fumai raccatta i suoi fedelissimi e, dopo aver rubato armi alla Caserma dell’Artiglieria a Torino, ove la Decima aveva un suo deposito, forma una propria banda, a cui aderiscono molti della ‘Sagittario’, che erano fuggiti da un treno durante lo spostamento in Veneto. (Ibid.).
Ad un certo punto il Fumai ed i suoi si piazzano a Milano in via Manzoni, presso la sede del Partito Fascista Repubblicano, e creano la II Brigata Nera ‘Arditi’, con il parere negativo dell’R.S.I., che non la vuole, sostenendo che Fumai risulta ancora in forze alla ‘Decima’, e quindi si sa che questi, il 5 marzo 1945, alloggiava al prestigioso hotel Danieli di Venezia, e non certamente in prima linea. Infine dopo la Liberazione, il Fumai viene processato, condannato, e quindi amnistiato, come tanti dei suoi, salvandosi la pelle. (Federico Maistrello, in: La Decima Mas in provincia di Treviso. Fatti e documenti, ed. Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea della marca trevigiana, 1997, p. 14).
Immagine da: “Il Messaggero Veneto”, 19 gennaio 2017. Essa correda l’articolo: La X Mas si raduna a Gorizia, partigiani e sinistra: “No, grazie”.
Manifesto dell’R.S.I. – Da: https://wikivisually.com/lang-it/wiki/X%C2%AA_Flottiglia_MAS_(Repubblica_Sociale_Italiana) – 28 dicembre 2017).
Alla X Mas viveri e più che il necessario non mancano mai … ed anche i Repubblicani si allarmano.
Pare proprio che alla X Mas non mancassero cibo ed armi. Ma come li aveva recuperati? Leggiamo nel merito sempre Ricciotti Lazzero, ricordando, pure che, dopo l’8 settembre varie caserme risultavano abbandonate od in mano agli occupanti.
Quello che notano molti è il parco macchine di Borghese, (Ricciotti Lazzero, op. cit. p. 49) e quei giovani ufficiali sempre pieni di soldi. (Ivi, p. 56). La Mas One del Principe è una Lancia Astura mimetizzata, carrozzeria ‘ Touring’, requisita al ‘ Garage Europa’ di Firenze, ma non è l’unica auto a sua disposizione. Infatti il Comandante Borghese ne ha cinque, ed ha un autista anche se quasi sempre guida lui. In compenso l’autista si preoccupa del fatto che non manchi mai la benzina, o prelevandola dai chioschi autorizzati, in cambio di un buono del Comandante, o alla borsa nera, o al Comando di tappa di Milano, o al garage di via Morosini, sempre nella città lombarda. Chi procura carburante presso i pozzi di petrolio di Raglio di Rivergaro, in provincia di Piacenza, è Daniele Rigoni. Ma non manca neppure la ‘Avio’, benzina fornita dai tedeschi, di colore violetto. (Ivi, pp. 125-126).
E «anche per i viveri e le uniformi e tutto quanto occorre all’inquadramento di migliaia di uomini, la Decima provvede in modo autonomo, come previsto dal patto di accordo con i tedeschi, con intendenze che per lungo periodo lavorano a livello di battaglione. Esse si servono dei corredi della GIL, prendono scarpe e scarponi Vibran al Calzaturificio Brixia di Brescia riempiendone autocarri, prendono armi agli stabilimenti Berretta di Val Trompia, prendono a Bergamo coperte, nel Bresciano pentolame e calze lunghe di cotone. «È un modo di agire che sfiora la rapina, ma comprensibile, in concorrenza con i tedeschi che spogliano caserme, magazzini, depositi, stabilimenti». (Ricciotti Lazzero, pp. 49 – 51. Citazione pp. 51-52). Ma se un partigiano prendeva una mela da un albero per mangiare, probabilmente ora si direbbe che era un ladro.
I generi alimentari provengono da contrabbandieri comaschi che trafficano con la Svizzera, e vengono distribuiti grazie ad una fitta rete di collegamenti. Il ‘commercio’ con la Svizzera pare non trovi ostacoli e implica il lavoro di molte persone: si parla di 150 addetti. E «gli Svizzeri non arricciano il naso su certe cose, e commerciano con chiunque procuri loro buoni affari». (Ivi, pp. 52-53). Ma quando la Decima vorrà passare i confini elvetici per inseguire dei partigiani, essi gireranno le armi contro di lei. (Ivi, p. 120).
Quello che colpiva particolarmente, però, era l’afflusso di denaro nelle casse della X Mas. Certamente le iniziative per raccogliere fondi non le mancavano, e sapeva far ricorso all’inventiva ed all’astuzia, sorretta da un ufficio propaganda di spessore. (Ivi, p. 57). Ma l’Hauptmann Kurt Hubert Franz riteneva che l’alta paga data ad ufficiali e soldati potesse favorire la diserzione dalle truppe repubblicane, (Ivi, p. 59) e gli appartenenti alla Decima, come si legge in un appunto al Duce di Mario Bassi, prefetto di Varese, continuavano comunque «azioni illegali […]. Furti, rapine, provocazioni gravi, fermi, perquisizioni, contegni scorretti in pubblico rappresentano quasi la caratteristica speciale di questi militari. (…). La cittadinanza, oltre ad essere allarmata per queste continue vessazioni, si domanda come costoro, che dovrebbero essere sottoposti ad una rigida disciplina militare, possano agire impunemente, e senza alcuna possibilità di punizione, in quanto, come è noto, nessun accertamento diretto è possibile presso il comando, il quale, col comodo pretesto che si tratta di delinquenti comuni travestiti da appartenenti alla Xa Mas, rifiuta di fornire qualsiasi notizia atta all’identificazione dei responsabili. Il pubblico non sa spiegarsi perché costoro, che sono giovani ed aitanti, non siano inviati in zona di operazione […]». (Ivi, p. 58).
Inoltre la Decima giocava sul fatto di dipendere direttamente dalle SS Obergruppenführer Wolff, di appartenere alle unità speciali dette Sondeverbände e di risultare in ruolo ai tedeschi (Ivi, pp. 57-58), anche se vi è chi, invece, afferma che amministrativamente dipendeva dall’R.S.I. (https://it.wikipedia.org/wiki/X%C2%AA_Flottiglia_MAS_(Repubblica_Sociale_Italiana).
E la ‘Decima’ era abile a promuovere collette presso commercianti, industriali ed affini, e quando qualcuno gli mandava solo spiccioli, avvertiva l’interessato che probabilmente nella spedizione delle banconote vi era stato un errore, e quindi di provvedere a sanare il disguido. E si giunse al punto che Graziani invitò il Sottosegretario di Stato alla Marina ad intervenire sulla ‘Decima’ i cui ufficiali e sottoufficiali giravano pieni di soldi «in ambienti milanesi e fiorentini», utilizzandoli per scopi privati e muovendosi su «vistose autovetture di lusso», mentre il modo di amministrare dei militari della X Mas appariva, secondo il prefetto della Provincia di Milano, «non confacente all’ordine, allo scrupolo, al senso di responsabilità». (Ivi, pp. 57-58). Ma nessuno pare potesse far nulla.
Gagliardetti del btg. Lupo della X Mas, (da: http://www.decima-mas.net/apps/index.php?pid=72).
Su cosa fece realmente la Xa Mas, impiegata in attività antipartigiane a terra.
L’elenco di quanto fece la Decima Mas in Liguria, in Piemonte, in Veneto, in Toscana, è lungo, ed i metodi che utilizzò quasi illeggibili: essi sono intrisi di violenza e morte. E per meglio sottolinearne gli intenti, persino il Reggimento San Marco tolse al leone di San Marco, il vangelo aperto con la scritta: “Pax tibi Marce, evangelista meus” sostituendolo con un Vangelo chiuso, con una croce, e sotto una scritta: “Iterum rudit leo”: “Il leone ruggisce di nuovo”. (Ivi, p. 35).
Esempio di leone di San Marco che veniva montato sulle mostrine dei reparti della X Mas. Da: http://kriegsmarine-dasboot.blogspot.it/2010/06/coppia-leoni-san-marco.html
Già nel dicembre 1943 ‘decimini’, (come vennero chiamati quelli della X Mas), iniziano ad esser impiegati in azioni antipartigiane, ed il 16 gennaio 1944 effettuano, assieme ai tedeschi ed a guardie repubblicane, il primo rastrellamento in provincia di La Spezia, nella zona di Sarzana, Santo Stefano Magra, Fosdinovo e Pallerone. (Ivi, p. 80).
Il 13 marzo militari della Decima e tedeschi rastrellano trenta uomini a Pontremoli, ed uccidono due giovani potatori di viti a Vignola di Pontremoli solo perché si erano avvicinati a loro, mentre in zona vengono raggiunti, nell’atto di consumare un frugale pasto ed a causa di una soffiata, 13 partigiani. Due di loro vengono uccisi subito, uno viene ferito ad una gamba e fatto camminare per poi freddarlo, gli altri sono catturati e fucilati a Valmozzola, tranne uno. «La Xa non lascia invendicati i suoi caduti» – si legge su di un manifesto affisso in loco a fine marzo. (Ivi, pp. 81-82).
Nell’aprile 1944, un gruppo partigiano disarma il posto di blocco di Cerreto, impedisce la consegna del bestiame all’ammasso ed effettua alcuni attacchi improvvisi, ove restano uccisi due militi. La risposta di Kesserling si fa subito sentire: «Ogni villaggio in cui sia provata la presenza di partigiani o nel quale siano avvenuti attacchi contro soldati tedeschi o italiani, o nel quale siano avvenuti tentativi di sabotaggio a depositi di guerra, sia raso al suolo. Inoltre siano fucilati tutti gli abitanti maschi del villaggio, di età superiore ai 18 anni. Le donne ed i bambini siano internati nei campi di lavoro». Inizia così il rastrellamento dell’Alta Lunigiana. (Ivi, p. 83).
In questo caso l’azione di rappresaglia contro la popolazione civile è condotta dalla Xa Mas, da soldati della Guardia Nazionale Repubblicana, da camicie nere e tedeschi. I partigiani riescono a sgusciar via, ma per 4 giorni i militi, divisi in tre colonne, rastrellano la zona che va dalla valle del Rosaro, a quella alta dell’Aulella, da Sassalbo a Giuncugnano, dal Cerreto a passo dei Carpinelli. Risultato? Un centinaio di case bruciate, di cui 70 su 72 a Mommio, ventidue fra contadini e pastori uccisi, migliaia di capi di bestiame massacrati o razziati. (Ivi, p. 83).
Il 15 aprile 1944, un reparto del btg. Lupo, del Reggimento San Marco, percorre le strade di La Spezia facendo il saluto romano, e picchiando i cittadini che non rispondono loro allo stesso modo. (Ivi, p. 79).
Quindi, il 13 giugno 1944, la strage di Forno, un piccolo paese a nord di Massa, verso le Apuane, nella giornata in cui si celebra la festa di Sant’Antonio. La Decima raduna 100 uomini giovani e qualche anziano del paese presso la caserma dei Carabinieri, presidiata dai Marò. Quindi ne vengono scelti 65, fra cui vi è il maresciallo dei Carabinieri Ciro Siciliani, che vengono condotti fino in località Sant’Anna ed ivi fucilati da un plotone di SS comandato da Umberto Bertozzi della Xa Mas, assieme ad altri ostaggi catturati durante il tragitto. Assistono all’esecuzione soldati nazisti e militi della ‘Decima’. I giustiziati sono 81, fra cui Ciro Siciliani, reo di aver cercato di intercedere per la popolazione e di non essersi efficacemente opposto ai partigiani. Due giovani sopravvivono per caso e riescono a mettersi in salvo. Prima di abbandonare il paese, i tedeschi danno fuoco alla caserma dei Carabinieri, ove sono rimasti alcuni partigiani feriti, che muoiono tra le fiamme. Secondo Massimo Michelucci, invece, i fucilati furono 60, 4 i sopravvissuti alla fucilazione, uno fu arso vivo, 52 persone vennero inviate nei campi di concentramento tedeschi, una donna ed un bimbo ed altri partigiani furono trucidati nel rastrellamento, e furono incendiate la caserma dei Carabinieri ed alcune case. (Ivi, p. 84, Episodio di Forno – Massa 13. 6. 1944 http://www.straginazifasciste.it/, A proposito di Decima Mas, in: http://digilander.libero.it/ladecimamas/pagina3.htm).
Per quanto riguarda Umberto Bertozzi, dopo l’eccidio di Forno «proseguì con la Decima la sua attività antipartigiana in Lunigiana, nello Spezzino e poi in alta Italia, soprattutto in Piemonte ed a Conegliano, a Maniago, a Cuorgné nel Canavese, dove dimostrò tutte le sue private qualità di carnefice, seviziando prigionieri, mettendo in essere una vera e propria squadra di torturatori, che bastonando, togliendo unghie, incidendo la X della Decima sui petti e sulle schiene di donne e uomini, ben poco ha da invidiare a più rinomate e famose bande e camere di tortura». (‘A proposito di Decima Mas, in: http://digilander.libero.it/ladecimamas/pagina3.htm).
E la strage di Forno è una di quelle ricordate al processo contro Umberto Bertozzi, Franco Banchieri e Benedetti Ranunzio, accusati «di collaborazionismo col tedesco invasore a sensi art. 5 D.L.L. 27/7/1944 n. 159 e 51 cod. pen. mil. guerra, per avere dopo l’8/9/1943, e fino alla liberazione, il primo quale comandante dell’ufficio J (I ndr) della X Mas ed ufficiale della medesima, gli altri quali sottufficiali e marinai della medesima, in varie provincie di Italia, collaborato col tedesco invasore sul piano militare, disponendo o partecipando a rastrellamenti, arresti, interrogatori, perquisizioni, deportazioni, incendi, saccheggi, uccisioni, rapine, usando sistematicamente e facendo usare sistemi vessatori e sevizie particolarmente efferate, in danno di numerosi partigiani allo scopo di stroncare il movimento di liberazione nazionale». (http://digilander.libero.it/ladecimamas/stragi.htm e http://digilander.libero.it/ladecimamas/sentenza.htm).
Ciro Siciliano, Maresciallo dei Carabinieri, reo di aver cercato di difendere la popolazione, vittima della Xa Mas a Forno. Da: http://memoria.comune.massa.ms.it/index.php?q=img_assist/popup/134.
Ma non sono i soli a finire sotto processo anche per collaborazionismo con il tedesco. Vengono accusati di nefandezze pure Nino Buttazzoni, comandante del battaglione ‘N.P.’, denunciato dalla Commissione Alleata per fatti accaduti ad Asiago, e per rapina ed incendio, Ignoti militari tedeschi e Marinai della X Mas, che vengono pure accusati di «Violenza con omicidio», «distruzione […] Aiuto al nemico» (http://digilander.libero.it/ladecimamas/inc_insab.htm); Ignoti elementi della polizia fascista e della X Mas, Remigio Rebez di Muggia, (Ivi), al cui processo Flavio Rovere ha dedicato una pubblicazione, Beniamino Fumai e Junio Valerio Borghese. (Ivi). Ma poi … I due ergastoli a Borghese finirono per diventare tre anni di carcere, Fumai fu assolto, e nell’Italia repubblicana testimoni non si presentarono, mentre Togliatti proponeva “l’amnistia e indulto per reati comuni, politici e militari” avvenuti durante il periodo dell’occupazione nazifascista trasformato poi in Decreto Presidenziale 22 giugno 1946.
Le stragi di Forno, di Guadine, di Borgo Ticino, di Castelletto Ticino, di Crocetta del Montello, ecc., furono una realtà e sulla X Mas così scrive Massimo Michelucci: «La Decima […] non fu Nesi e la sua epica […]. Nella storia la Decima Mas, purtroppo per i suoi reduci, fu Bertozzi e la collaborazione nella repressione antipartigiana. Fu il nesso, il collegamento, l’ambiguità e la collusione in tal senso del suo capo e demiurgo Borghese con i vertici militari tedeschi che sovrintendevano alla Repubblica di Salò». (Le stragi documentate, Per l’onore … Ma dove è l’onore? in: http://digilander.libero.it/ladecimamas/stragi.htm).
E fu il Principe Borghese che, l’8 settembre ’44, ricevette da Wolff, plenipotenziario delle FF.AA. germaniche in Italia, a nome del Fuhrer, la Croce di Ferro di I classe come «riconoscimento e attestazione dell’opera svolta dalla Decima Flottiglia Mas per la rinascita delle FF.AA. italiane a fianco dell’alleato germanico», e per «premiare la fede, la lealtà e l’ardimento guerresco di tutti gli uomini della Decima che combattono per l’Onore d’Italia». (La decorazione ricevuta dal Generale delle SS Wolff per ordine di Hitler, in http://digilander.libero.it/ladecimamas/, Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 19).
Ma per continuare, quando il battaglione Complementi ‘Castagnacci’ giunge nel Canavese, il 26 maggio 1944, i suoi militi cercano alloggio presso la popolazione utilizzando anche «sistemi energici», (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 88) non essendo stata organizzata la caserma che li doveva accogliere. Molti marò giungono in quella zona cruciale per la lotta antipartigiana, ma pare che fra loro vi fossero «pochi entusiasti, e molti sfiduciati», tanto che anche la ‘Decima’ contò diserzioni. (Ivi, p. 85 e pp. 89-90). Inoltre «la maggior parte dei volontari non è preparata alla controguerriglia», e la «famosa sezione dei mezzi di assalto della Marina ha generato, alla fine, una grande unità terrestre» (Ivi, pp. 90-91), con compiti precisi «coprire le spalle ai reparti germanici, […] ‘fare sicurezza’ e […] assicurare i collegamenti nelle zone di vitale importanza». (Ivi, p. 90).
Il Canavese è zona di importanza strategica, perché vi passa la linea ferroviaria Milano Torino e, proprio in quella tratta, si stanno intensificando i sabotaggi alla stessa. (Ivi, p. 98). Ed anche per questo motivo i tedeschi vogliono che sia ripulita dai ‘ribelli’ e vi inviano la Decima.
Dopo l’uccisione ad Ozegna l’8 luglio 1944, del comandante del ‘Barbarigo’, Umberto Bardelli e di altri della X Mas per mano dei partigiani, incomincia un rastrellamento feroce del paese. «Ozegna viene perquisita casa per casa, molti gli ostaggi prelevati. Le perquisizioni ed i fermi si estendono a Valperga, Canischio e Alpette. A Feletto molte case vengono date alle fiamme. Numerosi partigiani prigionieri impiccati». (Ivi, p. 95). «È una estate, quella del Canavese e in altre province piemontesi-lombarde, veramente tremenda», e le cosiddette “azioni di polizia” che in gergo significano azioni di rappresaglia, si moltiplicano. (Ivi, p. 96).
E così scriveva, sulla X Mas, il canonico don Domenico Cibrario, parroco di Cuorgnè, «[…] arrivano la mattina del 31 luglio quasi tremila uomini, la Decima Flottiglia Mas, che lascerà tristissima memoria in tutto il Canavese». (Ivi, p. 98). Ed «Incominciano tosto le rappresaglie nelle famiglie dei partigiani. Tre mesi si fermano i soldati della Decima, e la caserma locale rigurgita di prigionieri civili. I familiari dei giovani datisi alla macchia sono quasi tutti imprigionati: sono ricercati gli indiziati politici. Fra i primi perseguitati sono i parroci, accusati di collaborazionismo coi partigiani». (Ivi, p. 98). Alcuni sacerdoti restano in galera anche per quasi un mese, villanie sono indirizzate al Papa ed all’Episcopato, e se i sacerdoti non vengono toccati, i luoghi di reclusione sono “bolgia d’inferno”. (Ivi, pp. 98-99). «Vi sono camere di tortura, e parecchi escono malconci dalla caserma, per essere ricoverati all’ospedale», (Ivi, p. 99), e non si sa neppure quanti abbiano subito angherie e soprusi di ogni tipo, e vere e proprie persecuzioni, ma furono almeno 300 le persone che passarono nelle loro mani: sacerdoti, i medici di Cuorgnè, diverse donne ed anche bambini. «Quasi tutti vengono bastonati e torturati». (Ivi, pp. 99-100).
Pont Canavese si salva per un pelo dal rogo, ma continuano gli arbitrari fermi dei genitori di partigiani, che vengono portati a Cuorgnè ove ha sede l’Ufficio I e maltrattati. Ed ai nomi di Umberto Bertozzi e dello Schininà, tristemente famosi per i metodi utilizzati, si uniscono quelli dei loro collaboratori Ratta forse di nome Piero e Durante (nome non reperito), e quello di Luigi Carallo, comandante del Btg. Fulmine prima, comandante in seconda della Decima Mas poi. (Ivi, p. 99 e p.101).
Pont «aveva assunto un aspetto militare. In ogni postazione di blocco si erano costruite trincee ed istallati cannoncini e mitragliatrici, che venivano fatti funzionare ad ogni minimo allarme e quasi ininterrottamente tutte le notti». (Ivi, p. 101). La farina per il pane della popolazione non giungeva più dall’R.S.I., mentre le provviste annonarie erano ridotte al lumicino, ed era stato fatto divieto di suonare le campane. (Ivi, p. 102).
Ad un certo punto, il ‘Sagittario’, comandato sempre dal Fumai, si sposta in Val di Ribordone. Qui un partigiano e un marò si sparano contemporaneamente e muoiono, ma, a causa della morte del marò, i suoi compagni incendiano per rappresaglia tutte le case della frazione di Posio ed il Municipio e le scuole di Ribordone. (Ivi, p. 103). E si susseguono le torture ai prigionieri, fra cui si trova pure una giovane diciottenne partigiana, Luigina Trione, che viene violentata e torturata selvaggiamente anche a Torino, nella caserma di via Asti, (Ibid.) come capitato a molte altre, in altri luoghi, pure per mano di tedeschi, bande nere, repubblichini ecc. ecc., con esiti terrificanti a livello psichico e fisico nelle sopravvissute, ed anche in Luigina. (Cfr. per esempio, Imelde Rosa Pellegrini, “Omaggio alla memoria partigiana”, ed. Fondazione di Comunità Santo Stefano, Portogruaro, ‘Dallo squadrismo fascista alle stragi della Risiera, Trieste-Istria Friuli -1919-1945, 3aedizione, Aned, Trieste 1978, ed altri ancora).
Quindi tocca a Borgo Ticino. La scusa per una strage è l’uccisione di tre militari tedeschi. Fra gli allegati del processo alla Decima Mas, tenutosi a Roma contro Junio Valerio Borghese ed altri, vi è anche il “Rapporto del Nucleo dei Carabinieri di Borgo Ticino al Pretore di Borgo Manero in data 12 febbraio 1947”, che descrive detta strage. In esso si può leggere che il 13 agosto 1944, «erano giunti in Borgo Ticino reparti delle SS, tedesche e della X Mas, tutti provenienti da Sesto Calende, fu bloccato il paese. Armati di mortai, mitragliatrici, armi automatiche portatili di ogni genere e di autoblinde, portarono, con la minaccia delle armi e mediante sparatorie intimidatrici, tutti gli abitanti sulla piazza denominata ” Dei Martiri “. Ammalati, invalidi, bambini, donne, vecchi, tutti furono costretti a raggiungere la piazza». Quindi, terminato il rastrellamento, alla popolazione, tenuta a bada con le armi dai tedeschi e dalla X Mas, fu detto che si sarebbe bruciato il paese, per impedire che fosse dato ricovero ed assistenza ai partigiani, come ordinato dal Capitano Krumhar, che comandava il gruppo tedesco (mentre quello della Xa era guidato dal ten. Ongarillo ma anche Ungarillo Ungarelli). E pur essendo stata pagata una taglia di 300.000 lire, 13 giovani furono messi al muro, di cui 12 caddero sotto i colpi delle armi naziste ed uno miracolosamente si salvò. Dopo l’eccidio la popolazione «venne buttata fuori dell’abitato, percossa e braccata; i nazisti e quelli della X Mas […] si dettero a rapinare, incendiare e distruggere ogni cosa. (…). Prima di iniziare le devastazioni e gli incendi la soldataglia della X Mas in combutta coi tedeschi, commise rapine di maiali, animali da cortile, biancheria, biciclette, radio, riserve alimentari di ogni genere, liquori, oggetti preziosi, valori correnti, il tutto per una quantità ingentissima». (Rapporto del Nucleo dei Carabinieri di Borgo Ticino, op. cit., in ‘Borgo Ricino, in: digilander.libero.it/ladecimamas/stragi3.htm).
Poi è la volta di Feletto, centro del ribellismo del Basso Canavese. «Il 15 agosto 1944 un gruppo di partigiani tende un’imboscata ad automezzi tedeschi in transito a Feletto. L’operazione riesce e nella sparatoria che segue muore un soldato (tedesco ndr). Immediatamente scatta un’operazione di rastrellamento condotta dalla Decima Mas. Muore un civile, tre partigiani sorpresi in un cortile sono uccisi a colpi di bombe a mano, un altro uomo viene trucidato a colpi di raffica di mitra». Quindi il 16 il paese viene bruciato dopo una terribile caccia all’uomo. Le case distrutte sono 262, 31 persone vengono prese in ostaggio e finiscono in Germania, parte del bestiame ed il grano vengono razziati, «Alle 15 i tedeschi si allontanano. Restano gli uomini della Decima Mas che continuano a depredare il paese». (L’episodio di Feletto. 15.8.1944, in: http://www.straginazifasciste.it/, Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 105).
E la Decima non si ferma. Infatti rastrella 12 uomini anche a Corio Canavese, un piccolissimo paese di montagna. (Ibid.).
Ma le stragi della Decima non avvengono solo qui. Il 24 agosto 1944, a Guadine, in provincia di Massa Carrara, ai piedi delle Apuane, uomini della Decima rastrellano civili, e liquidano a raffiche di mitra 13 persone del paese, uomini e donne, sparando a caso verso il bosco, sulla strada e verso gli usci, e ferendone altre. Quindi danno fuoco all’abitato, distruggendolo per il 70%. Poi ritornano e incendiano Gronda, Redicesi e Resceto. (‘Strage di Guadine MS, http://digilander.libero.it/ladecimamas/stragi2.htm, e Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 106). Inoltre, nell’agosto ’44, Bertozzi minaccia di dare alle fiamme Villanuova, di bombardare Frassinetto e Alpette. Ma se questi paesi vengono poi risparmiati, sottostando ad imposizioni e vessazioni precise, in compenso la Xa Mas bombarda per giorni in direzione di Ronco e Campiglia, in Val Soana, uccidendo un civile, ferendone altri, creando terrore tra la popolazione. (Ricciotti Lazzero, op. cit., pp. 108-109). Quindi viene dato fuoco anche a parecchie case di Cuorgnè, (Ivi, p. 112) mentre il btg. Lupo partecipa, assieme a truppe tedesche e repubblicane, ad azioni per ristabilire ‘la sicurezza’ nelle valli dell’Alto Piemonte a confine con la Francia. (Ivi, p. 113). Infine, nell’ottobre, si presentano a Pont Canavese «truppe russe al soldo del tedesco», mentre Ronco viene incendiata dopo un rastrellamento con il solito bottino, e molti partigiani vengono catturati e mandati in Germania. (Ivi, p. 115). Una colonna di Alpenjäger e marò della Decima salgono in zona Ausone ed Agaro, ove danno alle fiamme case. (Ivi, p. 117).
I Tedeschi sono particolarmente contenti dell’attività antipartigiana della Xa Mas, ed il contrammiraglio Wilhelm Meedsen-Bohlken, comandante della flotta tedesca in Italia, annota, nella seconda metà del luglio 1944, che «altri reparti delle unità della Marina italiana sono stati avviati dal capitano di fregata principe Borghese alla lotta contro i banditi» e nell’ agosto scrive che «L’impiego della Divisione Decima […] nella lotta antipartigiana è continuato con successo sotto la direzione dell’alto comandante delle SS e della polizia». (Ivi, p. 107).
Fino a questo momento a nessuno dei marò è stato chiesto di giurare per l’R.S.I., (Ivi, p. 24 e p. 90), ma non si sa invero come la Xa Mas potesse agire senza un accordo o una certa qual dipendenza dall’ R.S.I., visto che pare che Borghese fosse stato nominato, il 14 febbraio 1944, sottocapo della Marina Nazionale Repubblicana. (https://it.wikipedia.org/wiki/Marina_Nazionale_Repubblicana).
Mappa del Canavese, da: http://digilander.libero.it/garibaldi17/il%20canavese.htm
Ma c’è chi senza leggere forse nulla, intervista marò, mostrando i limiti delle fonti orali.
Letto e quindi scritto quanto, che ha documentazione a supporto e conferme, resto strabiliata quando ascolto, su you tube, alcune frasi dette dal marò Sergio Denti, che non conosco e che non intendo offendere, ad un intervistatore ignoto, che pare nulla sappia della Xa Mas. L’ intervistatore gli chiede conferma del fatto che la Xa Mas avesse una regola per cui non doveva mai combattere contro gli italiani, e questi conferma sicuro. (Intervista a Sergio Denti della Decima Flottiglia Mas. Prima parte. In: https://www.youtube.com/watch?v=NweB6qMZz0w 28 dicembre 2017). Ma come si fa a credere ed a pubblicare cose di questo genere? – mi chiedo. Inoltre Sergio Denti sostiene che egli non era a conoscenza della guerra partigiana, di cui seppe solo nel dopoguerra, il che pare come minimo incredibile, in quanto poi egli dichiara di esser stato egli a Milano ed a Sesto Calende come uomo della Decima, ed in ogni caso.
Invece nella stessa intervista appare interessante quanto il Denti dice sul suo arruolamento. Egli afferma di esser stato, in un certo qual modo, una vittima di Mussolini, perché, giovanissimo, quando era un Balilla, si sentiva orgoglioso con quelle “divisina”, e che per lui «Mussolini era il Dio». Quindi a 16 anni si era arruolato volontario in Marina, facendo la firma falsa di suo padre, e divenendo, poi, esperto in esplosivi. Successivamente fu imbarcato sulla torpediniera silurante Orsa, comandata dall’ Ammiraglio Bucci. Quindi fu ferito e l’8 settembre 1943, ancora claudicante, si mise a ricercare la sua nave, e finì a La Spazia, dove incontrò Valerio Borghese. Poi con la Decima si trovò a Milano, a Sesto Calende e nel Varesotto. Infine, alla fine della guerra, egli temeva di essere ucciso se si fosse recato a Firenze, non si sa da chi e non si sa il perché, ma a suo dire fu salvato dai Carabinieri. E proprio perchè era con i Carabinieri, la gente non gli fece nulla perché era intoccabile, il che pare davvero strano. (Intervista a Sergio Denti della Decima Flottiglia Mas. Seconda parte. (1945), in: https://www.youtube.com/watch?v=FegXHJvr1Bs).
Inoltre, sempre nella seconda parte dell’intervista, egli narra che Mussolini voleva arrestare Borghese, perché per Pavolini, a sua detta, il Principe doveva diventare un fascista, confermando quindi la non aderenza di Borghese e della Decima all’R.S.I. (Ivi). Poi però, negando persino il Patto d’Acciaio, sostiene che Mussolini non fu mai alleato di Hitler, e non si sa perché l’intervistatore non dica nulla, prendendo per oro colato tutto quello che sostiene il Denti. (Ivi).
Non si capisce poi come mai Tele RDR 193 pensi che la Decima Mas sia un argomento tabù, senza neppure conoscere il volume di Ricciotti Lazzero, documentatissimo, e altre pubblicazioni, e scambi per verità vera quello che narra uno della Decima nell’intervista in: https://www.youtube.com/watch?v=KCsqtfHmmmk, che è pura esaltazione secondo me, del Principe Borghese. Ma quello che spaventa maggiormente è che detta intervista abbia avuto più di 8000 ascoltatori. E ci sono altre interviste su you tube sull’argomento, ma non posso sentirle tutte, anche perché, credetemi, se sono come le tre ascoltate, per una storica sono una sofferenza.
Ma dopo questo inciso, ritorniamo, insieme, alla storia della X Mas.
La Decima migra in Veneto e quindi a Tarnova.
Nel settembre 1944, dopo lo sfondamento della Linea Gotica ed il superamento del Passo della Futa da parte degli Alleati, vi è già chi ha capito, fra i repubblichini, i nazisti, e i collaborazionisti con i tedeschi, che la sconfitta è vicina. Odilo Globočnik e Karl Wolff pensano di far spostare Mussolini a Cividale, ma poi non se ne fa nulla (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 130), e la Carnia viene data in mano ai Cosacchi, anche per farne una zona cuscinetto e l’ultimo baluardo a difesa. (Cfr. nel merito: Enzo Collotti, Il Litorale Adriatico nel Nuovo Ordine Europeo 1943-1945, Vangelista ed., 1974, pp. 11- 12, e Intervista inedita a Ciro Nigris, 2000, di prossima pubblicazione su www.nonsolocarnia.info).
E verso il mese di ottobre o novembre, i primi reparti della Xa Mas entrano in Veneto. Ma solo i primi giorni del mese dicembre varcheranno i confini dell’Ozak, dove «le autorità dell’R.s.i. non contano nulla». (Ivi, p. 131 e p. 153). Il Veneto, che fa parte ancora della ‘Duce Italien’ che finisce al Livenza ed ai monti del Cansiglio, è diventato importantissimo nel caso il fronte finale sia quello dell’Est. (Ivi, p. 132). La Decima verrà sempre adoperata per attività antipartigiana, ma in questo caso «si sente pure, se in lontananza, odor di slavi, che il fascismo considera da sempre suoi nemici viscerali» (Ibid.).
Parte anche la Sagittario, ma metà dei suoi soldati, circa 300 – 350 marò, scendono a Monza dal treno per ritornare a casa od unirsi a Beniamino Fumai. (Ivi, p. 125).
La Decima pone il suo comando, il tribunale militare di guerra e l’ufficio arruolamento nel Castello di Conegliano, il comando operativo, con l’ufficio I, che rinnoverà ivi «le barbarie del Piemonte», (Ivi, p. 132) invece, si sistemano a Maniago, dove si trova anche un campo di aviazione, mentre si sente già parlare dello spostamento di un reparto a Tolmino. (Ibid.). Solo il btg. Lupo non segue il resto della Decima, e si trasferisce, da Alba a Milano, e quindi sull’Appennino bolognese. (Ivi, p. 133).
Appena giunta in Veneto, la Decima inizia una caccia spietata ai partigiani. Il 6 novembre la compagnia guidata dal Bertozzi piomba su Orgnese, una frazione di Cavasso Nuovo, raduna gli abitanti, sceglie tre uomini a caso, li fa denudare e quindi il famigerato capo dell’Ufficio I in persona li percuote prima con un bastone poi con una striscia di cuoio, per terminare l’opera utilizzando cani per mordere le gambe dei disgraziati. (Ivi, p. 137). Quindi, qualche giorno dopo, ritorna sul posto ed opera un grande rastrellamento prendendo globalmente, in più giorni, circa una cinquantina di ostaggi. Parecchi sono inviati in Germania, altri interrogati e torturati. 14 di loro finiranno fucilati lungo il muro di cinta del cimitero di Udine l’11 febbraio 1945. (Ibid.).
A Crocetta di Montello, in provincia di Treviso, 13 partigiani vengono orrendamente seviziati e poi uccisi. (L’eccidio di Crocetta del Montello, in: digilander.libero.it/ladecimamas/stragi5.htm#).
Il 30 novembre 1944 tutta la Val Meduna viene occupata e setacciata, Tramonti di Mezzo viene occupata; muoiono a Palcoda Paola e Battisti; ed altri partigiani, sia osovani che garibaldini, vengono presi e giustiziati sia a Tramonti di Mezzo il 13 dicembre 1944, che a Pordenone l’11 gennaio 1945. (Ivi, p. 139). Anche a Tramonti di Sotto i marò catturano diversi partigiani, che fucilano a rate. (Ibid.). E la Decima continua nella sua spietata lotta antipartigiana, ma i tedeschi hanno già previsto che essa intervenga, assieme a elementi della loro polizia ed ad ustascia, domobranci, cetnici, contro l’Esercito di Liberazione della Jugoslavia, per frenare l’avanzata dei combattenti contro il nazifascismo da est, per chiudere le vie attraverso cui passano i viveri, e liberare vie importanti per una possibile resistenza in caso di sbarco od avanzata degli Angloamericani.
Tarnova.
Mappa della Selva di Tarnova, da https://it.wikipedia.org/wiki/Selva_di_Tarnova
La Selva di Tarnova (Trnovo) ha quindi rilevanza bellica, ed i tedeschi vogliono liberarla dal Novj ad ogni costo. Ma essa è anche fitta, montuosa, piena di rocce e doline, che possono dare rifugio ai partigiani in particolare sloveni. E l’Italia dell’Est appare, in quel momento, nel dicembre 1944 – gennaio 1945, uno degli ultimi baluardi di difesa del Reich.
I tedeschi non si possono più servire della 188a divisione di montagna, organizzatissima ed addestrata al combattimento perché è stata spostata, e così decidono di inviare la ‘Decima’ prima a due passi da Gorizia, a poi da lì nella selva di Tarnova, ma essa ha «molto entusiasmo ma scarsa preparazione in campo strategico […] e scarsa dimestichezza con la guerra di movimento». Inoltre è «anche armata […] in modo leggero, […] e difetta nei servizi di collegamento e comunicazione». (Ivi, pp. 155- 156).
La zona era stata già oggetto di una ‘operazione di pulizia’ da parte dei tedeschi nell’ottobre 1944, (AA.VV., La Slovenia durante la seconda guerra mondiale”, Ifsml, 2013, p. 353) Lo scopo primario di queste azioni era quello di occupare la zona in mano ai partigiani, tagliare le vie di rifornimento dalla Valle di Vipacco e dal Carso alle unità partigiane del Novj, cercando così di eliminare il IX Corpo, ed al tempo stesso di creare presidi a difesa dell’occupazione. (Ibid).
L’azione incomincia il 19 dicembre, e vede impegnati il ‘Sagittario’, che sloggia i partigiani da Tarnova, ed il ‘Barbarigo’, che raggiunge Chiapovano (Čepovan) senza incontrare resistenza. L’azione pare quindi a favore della Decima, ma poi accade un fatto importante. Il vice- comandante della Xa Mas, Luigi Carallo, che si muove senza scorta, viene bloccato da soldati dell’esercito di Liberazione jugoslavo, che lo uccidono, e trovano, sul suo corpo, le carte del piano di attacco. (Ivi, p. 157).
Ma in zona l’Esercito di Liberazione Jugoslavo non ha molti partigiani da schierare a difesa, ed inizialmente cede, ma poi, con l’arrivo di rinforzi, la situazione si rovescia a suo favore. Arretrano i tedeschi, sterminati presso Chiapovano il 23 dicembre, mentre il ‘Barbariga’, che aveva conquistato detto paese, deve abbandonarlo. (Ibid.). Combatte il giorno di Natale il btg. ‘Sagittario’ a Casale Nenzi (Nemci), mentre gli uomini dell’‘N.P’ si trovano in posizione decisamente difficile, ma riescono a rientrare al paese di Tarnova, già occupato. E con questo termina questa offensiva che non è riuscita a distruggere il IX Corpo, ma ad indebolirlo, e che ha permesso la creazione di una serie di avamposti pericolosi per i partigiani del ‘Novj. Infatti Tarnova, Gargaro (Grgar), Montenero d’Idria (Črni vrh), con il villaggio di Col, sono caduti in mano ai collaborazionisti ed alle SS. (Ivi, p. 160, AA.VV., La Slovenia, op. cit., p. 353). La possibilità per i tedeschi di puntare al centro della Selva di Tarnova, diventa una realtà.
Gli uomini dell’Esercito di Liberazione Jugoslavo si trovano in grande difficoltà, e devono combattere con il freddo e la neve, senza viveri, munizioni, equipaggiamento, mentre solo 18 aerei alleati sorvolano, il 4 gennaio, il cielo per portare aiuto. Ma poi la situazione migliora, ed il IX Corpo decide di contrattaccare per recuperare Tarnova, in mano al Btg. Fulmine della Decima Mas, formato da 214 uomini, (non reali bersaglieri, come precisa Ricciotti Lazzero nel suo: “La verità sulla battaglia della Decima Mas nella selva di Tarnova”, in: “La Resistenza Bresciana”, n. 19, aprile 1988, p. 72), che ha tre mortai da 81, quattro mitragliatrici e diciassette mitragliatori. Inoltre Tarnova è circondata da reticolati di filo spinato e da una cintura di 24 fortini in legno. (Ricciotti Lazzero, La Decima Mas, p. 160 e p. 163, e Ricciotti Lazzero, La verità sulla battaglia, op. cit., p. 75).
I combattimenti causati dalla controffensiva partigiana sono durissimi, ed i tedeschi non intendono mollare pure una possibile via di ritirata verso l’Austria. «Nevica, anzi c’è una tempesta di neve quando la 19a Kosovelova brigada inizia l’attacco, il giorno 19 gennaio alle 3 e mezzo del mattino. A fianco della Kosovelova vi sono, in posizione di difesa contro eventuali attacchi, la 157a Brigata ‘Guido Picelli ‘ che deve proteggere Dolenja Tribuša, la Bazoviška brigada, che fa altrettanto per Otlica, Col e Črni vrh [Montenero d’Idria], mentre la Gregorčičeva e la Gradnikova brigada, rafforzate con la compagnia d’assalto e con il 2° battaglione della Prešernova brigada, occupano le posizioni in direzione di Gorizia». (Ricciotti Lazzero, La Decima Mas, p. 163).
La Kosovelova brigada attacca con forza, ed i combattimenti diventano selvaggi. Da Gorizia i tedeschi inviano una colonna motorizzata, che però non giunge mai a destinazione perché viene bloccata dalla Gradnikova brigada attestata sul San Gabriele (Škabrijel); una compagnia del Valanga arriva in aiuto fino a Prevallo dove finisce in un campo minato e trovano la morte 14 marò saltati con l’autocarro che li trasportava. (Ivi, pp. 163 -164). Infine il 20 gennaio 1945 i tedeschi, motorizzati, tornano all’attacco con 700 uomini, occupando monte San Gabriele dopo aver bombardato i partigiani sloveni. E quindi la battaglia vede impegnati il 3° battaglione del 10. SS Polizei – Regiment, i battaglioni della Decima ‘Sagittario’ e ‘Barbarigo’, ed il 3° battaglione del 15. SS. Polizei – Regiment con l’appoggio di 6 carri armati e autoblindo. (Ivi, p. 164).
L’attacco dei nazisti e dei collaborazionisti ha successo e un gruppo di loro penetra di notte, a causa di errori della Gregorčičeva brigada a Trnovo, attraverso Vitovlje e Krnica. Ma «a Trnovo trova vivi soltanto 35 italiani e ritorna precipitosamente a Gorizia senza sostare nel villaggio». (Ibid. L’ azione è descritta anche in: AA.VV., La Slovenia, op. cit., p. 354).
Cosa era accaduto? Un gruppo di attaccanti nazisti o collaborazionisti aveva puntato su Santa Caterina per occuparla, il ‘Barbarigo’ aveva combattuto per occupare Monte San Gabriele, un gruppo di tedeschi con una compagnia del ‘Sagittario’ con tre carri armati avevano conquistato, dopo aspri combattimenti, Monte San Daniele, 200 camicie nere della Milizia aveva tentato un aggiramento, mentre gli uomini del ‘Fulmine’ assediati a Tarnova morivano a decine. Gli aiuti richiesti non erano mai giunti. (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 164 e p. 167). Poi, il 22 gennaio, ricompariranno gli aerei degli alleati sulla selva di Tarnova, ma non saranno solo 18 apparecchi, saranno 80. (Ivi, p. 160).
Sul secondo testo pubblicato da Ricciotti Lazzero, La verità sulla battaglia della Decima Mas, op. cit., egli scrive, invece, che i tedeschi ed il ‘Valanga’ arrivarono a Tarnova all’alba del 21 gennaio e trovarono vivi 90 uomini del Fulmine su 242, con un solo ufficiale. Nella notte però, altri 24 uomini erano riusciti a passare in mezzo ai partigiani jugoslavi che li asserragliavano, ed avevano trovato riparo, feriti leggermente, a Sarcano. Furono abbandonati 6 feriti gravi, che nessuno poteva curare essendo morti il medico e gli infermieri del gruppo, e furono ritrovati colpiti da arma da fuoco ma nessuno seppe chi fu a sparare. (Ricciotti Lazzero, La verità sulla battaglia della Decima Mas, op. cit., p. 73). Inoltre ad un certo punto da Tarnova, il comandante del ‘Fulmine’, chiese aiuto immediato a Gorizia, ma gli fu risposto testualmente: «Tenere duro. Siete i migliori della Decima. Borghese», anche se nessuno sa se fu davvero il Principe a mandare quel messaggio. (Ivi, p. 73). I cadaveri recuperati furono 36 e vennero trasportati e tumulati a Conegliano Veneto. (Ivi, p. 74).
E se Il Notiziario addestrativo n. 17 dello Stato Maggiore Esercito della R.S.I. riportò che i superstiti rientrarono cantando inni, ciò non fu assolutamente vero. Ma leggendo l’intero articolo di Ricciotti Lazzero, La verità sulla battaglia della Decima Mas op. cit., pp. 75- 76, ci si accorge che i falsi furono più d’uno, e forse ora vengono presi per veri, compreso il rapporto a Mussolini, scritto da più mani dopo quello a Borghese. (Ibid.).
Alla seconda fase di ‘pulizia totale’ della zona in mano ai partigiani, all’interno della quale trova collocazione l’episodio di Tarnova ove morirono molti marò del ‘Fulmine’, nel marzo 1945 seguì la terza, ove unità del IX Corpo dell’esercito di Liberazione Jugoslavo restarono decimate dai combattimenti e dal cibo scarso, avendo il nemico occupato al Valle di Vipacco e subirono pure diserzioni. (AA.VV., La Slovenia, op. cit., p. 355).
Alla fine della guerra.
La guerra volge alla fine, ed anche la Decima Mas, nel gennaio 1945, pare entri a far parte dell’R.S.I., ‘per volontà del Duce’. (Ricciotti Lazzero, La Decima Mas, op. cit., p. 169). Essa deve spostarsi dall’Adriatisches Küstenland nuovamente in Veneto, per lasciar spazio alle truppe naziste e collaborazioniste che si ritirano da est. (Ivi, p. 170), mentre gli uomini del btg. ‘N.P’., composto da uomini addestrati a Valdobbiadene, che nell’offensiva di dicembre contro il Novj sono stati utilizzati nella zona tra monte San Daniele, Locavizza e Chiapovano, attendono di essere inviati contro gli angloamericani. Ma invece il Comandante Nino Buttazzoni li avvisa che saranno spediti a compiere un’altra azione antipartigiana. Dalle file del battaglione si levano urla di protesta, ed alcuni marò si strappano il distintivo della Xa Mas. Quindi un sergente originario di Roma inizia a parlare a nome degli insoddisfatti, ma viene zittito dal comandante con un colpo di pistola, che gli entra in bocca e gli esce dall’occhio, ed i suoi compagni si precipitano a soccorrerlo. Quindi il tribunale di guerra si riunisce a Conegliano il 12 gennaio e commina pene per ammutinamento che vanno da 8 a 10 mesi di reclusione. (Ivi, p. 162-163).
Quelli del ‘Fulmine’ reduci da Tarnova, invece, se ne vanno dalla ‘Decima’ prima del tempo, con il loro comandante in testa. (Ricciotti Lazzero, La verità sulla battaglia della Decima Mas, op. cit., p. 76), mentre nel febbraio i tedeschi decidono di mandare i marò a combattere in Romagna e nelle Valli di Comacchio. Verso la fine della guerra, quelli della Decima vengono concentrati ivi e nel Ferrarese, mentre il comandante Borghese distribuisce croci di ferro a Marostica, ed ordina di difendere il Cansiglio, quando il generale conte von Schwerin si è già arreso agli inglesi. (Ricciotti Lazzero, La Decima Mas, op. cit., pp. 219-221). Junio Valerio Borghese, che ha sempre mantenuto contatti con il Sud, aspetto di cui era a conoscenza anche Wollf, che dal febbraio 1945 ha trattato la resa per sé e per il Principe, sa che sarà salvato, ed attende a Milano che giunga una Jeep, guidata dall’inviato della C.I.A. Jiom Angleton, a prenderlo, ed a portarlo a Roma, vestito da soldato Alleato. Per gli altri della Decima la storia del fine guerra è diversa, e varia da gruppo a gruppo, mentre il nucleo principale si arrese ai partigiani a Thiene. (Ricciotti Lazzero, La verità sulla battaglia della Decima Mas, op. cit., p. 76).
Poi i processi, e l’amnistia Togliatti, ma questa è altra storia.
No alla Xa Mas nelle sedi istituzionali della Repubblica Italiana.
Non possiamo ammettere che i simboli di chi lottò a fianco degli occupanti nazisti contro chi voleva riportare l’Italia agli italiani ed alla democrazia, entrino nelle sedi della Repubblica, nata sul sangue versato da tanti cittadini della penisola, dando valore, credibilità e spessore ad un gruppo militare come la X Mas. E francamente non so, ammesso sia vero, come lo stesso Giorgio Napolitano, nel 2013, abbia reso onore alla nota formazione. (http://uncrsimilano.blogspot.it/2013/03/il-presidente-napolitano-rende-onore.html). E rimando pure al mio precedente: ‘No alla X Mas nelle sedi istituzionali della Repubblica italiana. Motivi storici’, in: www.nonsolocarnia.info, che ho modificato nella parte relativa a Tarnova, che era inesatta.
E chiudo dicendo che un paese come l’Italia merita di conoscere la sua storia e non la mistificazione della stessa, e deve rendere omaggio ha chi ha partecipato a costruire una Nazione repubblicana e democratica, non a chi ha collaborato con i nazisti.
Laura Matelda Puppini
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