Una luce nel labirinto

Una luce nel labirinto
Non arrendersi mai.

una luce nel labirinto

una luce nel labirinto
Non sottomettersi mai.

sabato 29 agosto 2020

L’«Ecclesiaste» o il libro del capitalista Paul Lafargue (1886) Fonte: Paul Lafargue, Il diritto all’ozio. La religione del Capitale, a cura di Lanfranco Binni, Firenze, Il Ponte Editore, 2015. Trascritto da Leonardo Maria Battisti su licenza concessa dal Fondo Walter Binni, febbraio 2019. Questo libro è passato tra le mani di molti capitalisti che l’hanno letto e annotato; ecco alcune delle loro annotazioni: «È certo che questi precetti della saggezza divina sarebbero male interpretati dalla rozza intelligenza dei salariati. Credo opportuno che siano tradotti in volapiuk1 o in qualsiasi altra lingua sacra». Firmato: Jules Simon2. «Bisognerebbe fare come i dottori giudaici che proibivano ai profani la lettura dell’Ecclesiaste dell’Antico Testamento e far conoscere il Libro del Capitalista solo agli iniziati in possesso di un milione». Firmato: Breichröder. «Un milione di franchi o di marchi mi sembra una vera miseria. Propongo un milione di dollari». Firmato: Jay Gould3 I. Natura del Dio Capitale 1. Medita le parole del Capitale, tuo Dio. 2. Io sono il Dio che divora gli uomini; mi siedo a tavola nelle fabbriche e consumo i salariati. Io transustanzio in capitale divino la vita miserabile del lavoratore. Io sono il mistero infinito: la mia sostanza eterna altro non è che carne deperibile; la mia onnipotenza, umana debolezza. La forza inerte del Capitale è la forza del salariato. 3. Principio dei principi: da me inizia ogni produzione, a me finisce ogni scambio. 4. Io sono il Dio vivente, presente in ogni luogo: le ferrovie, gli altiforni, i chicchi di grano, le navi, i vigneti, le monete d’oro e d’argento sono le membra sparse del Capitale universale. 5. Io sono l’anima incommensurabile del mondo civilizzato, multiforme e molteplice all’infinito. Io vivo in ciò che si compra e si vende; agisco in qualunque merce e non ne esiste alcuna al di fuori della mia vivente unità. 6. Io risplendo nell’oro e puzzo nel letame, rallegro nel vino e corrodo nel vetriolo. 7. La mia sostanza, che si accresce continuamente, scorre come un fiume invisibile attraverso la materia; divisa e suddivisa oltre ogni immaginazione, si imprigiona nelle forme speciali assunte da ogni merce e, senza stancarmi, mi travaso da una merce all’altra: oggi pane e carne, domani forza lavoro del produttore, dopodomani lingotto di ferro, tela di cotone, opera drammatica, quintale di lardo, sacco di concime. La trasmigrazione del Capitale non si ferma mai. La mia sostanza non muore, ma le sue forme sono deperibili, finiscono e passano. 8. L’uomo vede, tocca, sente e gusta il mio corpo, ma il mio spirito più sottile dell’etere è inafferrabile per i sensi. Il mio spirito è il Credito; per manifestarsi non ha bisogno di corpo. 9. Chimico più esperto di Berzelius e di Gerhardt4, il mio spirito trasmuta i vasti campi, le colossali macchine, i pesanti metalli e le mandrie muggenti in azioni di carta; e più leggeri di palline di sambuco animate dall’elettricità i canali e gli altiforni, le miniere e le fabbriche rimbalzano di mano in mano nella Borsa, il mio tempio sacro. 10. Senza di me niente inizia e niente si conclude nel paese governato dalla Banca. Io fecondo il lavoro; io assoggetto al servizio dell’uomo le forze irresistibili della natura e metto nelle sue mani la potente leva della scienza accumulata. 11. Io connetto le società nella rete d’oro del commercio e dell’industria. 12. L’uomo che non mi possiede, che non ha Capitale, cammina nudo nella vita circondato di nemici feroci e armati di ogni strumento di tortura e di morte. 13. All’uomo che non ha Capitale, se è forte come un toro, si carica sulle spalle un fardello più pesante; se è laborioso come una formica, gli si raddoppia il compito; se è sobrio come un asino, gli si riduce il cibo. 14. Che cosa sono la scienza, la virtù e il lavoro senza il Capitale? Vanità e frustrazione. 15. Senza la grazia del Capitale, la scienza fa perdere l’uomo nei sentieri della follia; il lavoro e la virtú lo precipitano nell’abisso della miseria. 16. Non la scienza, la virtú, il lavoro appagano lo spirito dell’uomo; sono io, il Capitale, a nutrire la muta affamata dei suoi desideri e delle sue passioni. 17. Io mi do e mi riprendo a mio esclusivo piacimento, senza renderne conto. Io sono l’Onnipotente che comanda sulle cose vive e sulle cose morte. II. L’eletto del Capitale 1. L’uomo, questo infetto ammasso di materia, viene al mondo nudo come un verme e poi alla fine, chiuso in una cassa come un fantoccio, marcisce sottoterra e il suo marciume ingrassa l’erba dei campi. 2. Tuttavia ho scelto proprio questo sacco di spazzatura puzzolente per rappresentare me, il Capitale, che sono la cosa più sublime che esista sotto il sole. 3. Le ostriche e le lumache hanno un valore per le loro semplici qualità naturali; il capitalista conta per il solo fatto che sono io a sceglierlo come mio eletto, vale solo per il Capitale che rappresenta. 4. Arricchisco lo scellerato nonostante la sua scelleratezza, impoverisco il giusto nonostante la sua onestà. Scelgo chi mi pare. 5. Scelgo il capitalista non per la sua intelligenza, onestà, bellezza e giovinezza. La sua imbecillità, i suoi vizi, la sua bruttezza e la sua vecchiaia sono altrettante prove del mio incalcolabile potere. 6. Dal momento che ne faccio un mio eletto, il capitalista incarna la virtù, la bellezza, il genio. Gli uomini trovano spiritosa la sua stupidità e affermano che il suo genio non ha niente a che vedere con la scienza dei pedanti, i poeti cercano inspirazione in lui, e gli artisti accolgono in ginocchio le sue critiche come leggi del gusto, le donne giurano che è il Don Giovanni ideale, i filosofi sentenziano che i suoi vizi sono virtù, gli economisti scoprono che la sua vita oziosa è la forza motrice del mondo sociale. 7. Un gregge di salariati lavora per il capitalista che beve, mangia, se la gode, e si riposa del lavoro del ventre e del basso ventre. 8. Il capitalista non lavora né con le mani né con il cervello. 9. Ha un bestiame maschile e femminile per arare la terra, forgiare i metalli e tessere le stoffe; ha direttori e capireparto a dirigere le fabbriche, e scienziati per pensare. Il capitalista si consacra al lavoro delle latrine: beve e mangia per produrre letame. 10. Ingrasso l’eletto con un benessere eterno; che cosa c’è di meglio e di più reale sulla terra che bere, mangiare e godersela felici? Il resto non è che vanità e tormento dell’anima. 11. Addolcisco le amarezze, elimino ogni pena affinché la vita sia dolce e piacevole all’eletto. 12. La vista ha il suo organo; anche l’odorato, il tatto, il gusto, l’udito e l’amore hanno i loro organi. Non rifiuto nulla di ciò che desiderano gli occhi, la bocca e gli altri organi dell’eletto. 13. La virtù ha un doppio aspetto: la virtù del capitalista è l’appagamento, la virtù del salariato è la privazione. 14. Il capitalista si prende sulla terra tutto ciò che gli piace, è il padrone. Se si è stancato delle donne, risveglierà i suoi sensi con vergini bambine. 15. Il capitalista è la legge. I legislatori redigono i Codici secondo i suoi interessi, e i filosofi adattano la morale ai suoi costumi. Le sue azioni sono giuste e buone. Ogni atto che leda i suoi interessi è un crimine e sarà punito. 16. Riservo agli eletti una felicità unica, sconosciuta ai salariati. Fare profitti è la gioia suprema. Se l’eletto che incassa utili perde la moglie, la madre, i figli, il cane e l’onore, si rassegna; ma se smette di realizzare profitti, è una sciagura irreparabile di cui il capitalista non potrà mai consolarsi. III. Doveri del capitalista § 1 1. Molti sono chiamati, pochi sono gli eletti; ogni giorno riduco il numero dei miei eletti. 2. Mi do ai capitalisti e mi divido tra loro; ogni eletto riceve in deposito una piccola parte del Capitale unico, e ne conserva il godimento solo se la accresce e la fa prolificare. Il Capitale si ritira dalle mani di chi non adempie la sua legge. 3. Ho scelto il capitalista per estrarre plusvalore; accumulare profitti è la sua missione. 4. Per essere libero e a proprio agio nella caccia agli utili, il capitalista spezza i legami dell’amicizia e dell’amore; non conosce amici, fratelli, madre, moglie, figli quando si tratta di realizzare un guadagno. 5. Egli si eleva al di sopra delle vane demarcazioni che confinano i mortali in una patria o in un partito; prima di essere russo o polacco, francese o prussiano, inglese o irlandese, bianco o nero, l’eletto è sfruttatore; è monarchico o repubblicano, conservatore o radicale, cattolico o libero pensatore, solo per soprammercato. L’oro ha un colore, ma al suo cospetto le opinioni dei capitalisti non hanno alcun colore. 6. Il capitalista intasca con la stessa indifferenza il denaro bagnato di lacrime, il denaro macchiato di sangue, il denaro sporco di fango. 7. Non concede nulla ai pregiudizi del volgo. Non produce per vendere merci di buona qualità, ma che procurino grandi utili. Non fonda società finanziarie per distribuire dividendi, ma per impossessarsi dei capitali degli azionisti; perché i piccoli capitali appartengono ai grandi e, sopra di loro ci sono capitali ancora più grandi che li sorvegliano per divorarli al momento giusto. È questa la legge del Capitale. 8. Elevando l’uomo alla dignità di capitalista, gli trasmetto una parte della mia onnipotenza sugli uomini e sulle cose. 9. Il capitalista deve dire: «La società sono io, la morale sono i miei gusti e le mie passioni, la legge è il mio interesse». 10. Se un solo capitalista è leso nei suoi interessi, la società intera ne soffre; perché l’impossibilità di accrescere il Capitale è il male dei mali, contro il quale non esistono rimedi. 11. Il capitalista fa produrre ma non produce, fa lavorare e non lavora, gli è interdetta ogni occupazione manuale o intellettuale che lo distoglierebbe dalla sua missione sacra: l’accumulazione dei profitti. 12. Il capitalista non si trasforma in uno scoiattolo ideologico che fa girare una ruota a macinare vento. 13. Si cura molto poco che i cieli raccontino la gloria di Dio; non gli interessa sapere se la cicala canta con il didietro o con le ali e se la formica è una capitalista*1. 14. Non si preoccupa né dell’inizio né della fine delle cose, gli interessa soltanto che producano utili. 15. Lascia ai teologi dell’economia ufficiale le dispute sul monometallismo e il bimetallismo, mentre intasca senza alcuna distinzione le monete d’oro e d’argento che gli capitano a tiro. 16. Lascia agli scienziati, buoni solo a questo, lo studio dei fenomeni naturali e agli inventori l’applicazione industriale delle forze della natura, ma si affretta ad accaparrarsi le loro scoperte appena si possano sfruttare. 17. Non si affatica il cervello per sapere se il Bello e il Buono sono una sola cosa, la stessa cosa, ma si regala tartufi cosí buoni da mangiare ma piú brutti degli escrementi di maiale. 18. Applaude i discorsi sulle verità eterne, ma guadagna denaro con le falsificazioni di giornata. 19. Non specula sull’essenza della virtú, della coscienza e dell’amore, ma specula sulla loro compravendita. 20. Non si chiede se la Libertà sia buona in sé, ma si prende ogni libertà per non lasciarne che il nome ai salariati. 21. Non sta a discutere se il diritto prevalga sulla forza, perché sa di avere tutti i diritti dal momento che possiede il Capitale. 22. Non è né a favore né contro il suffragio universale, né a favore né contro il suffragio ristretto, e si serve di entrambi: compra gli elettori del suffragio ristretto e imbroglia quelli del suffragio universale. Se deve scegliere, si pronuncia a favore di quest’ultimo, piú economico: infatti mentre è costretto a comprare gli elettori e gli eletti del suffragio ristretto, con il suffragio universale gli basta comprare gli eletti. 23. Non partecipa ai chiacchiericci sul libero scambio e sul protezionismo; di volta in volta è liberoscambista e protezionista secondo le convenienze del suo commercio e della sua industria. 24. Non ha alcun principio: neppure il principio di non avere principi. § 2 25. Il capitalista è nella mia mano la verga di bronzo per comandare l’indocile gregge dei salariati. 26. Il capitalista soffoca nel suo cuore ogni sentimento umano, è senza pietà; tratta il suo simile più duramente di una bestia da soma. Gli uomini, le donne e i bambini per lui non sono altro che macchine da profitto. Il suo cuore di bronzo non palpita quando i suoi occhi contemplano le miserie dei salariati e le sue orecchie ascoltano le loro grida di rabbia e di dolore. 27. Come una pressa idraulica scende lentamente, inesorabile, riducendo al più piccolo volume, alla più perfetta disseccazione la polpa sottoposta alla sua azione, così il capitalista, pressando e spremendo il salariato, estrae il lavoro dai suoi muscoli e dai suoi nervi: ogni goccia di sudore che ne spreme si trasforma in capitale. Quando il salariato, logorato e sfinito sotto il torchio, non rende piú il superlavoro che produce plusvalore, allora lo getta in strada come gli avanzi di cucina, spazzatura. 28. Il capitalista che risparmia il salariato tradisce me e tradisce se stesso. 29. Il capitalista mercifica l’uomo, la donna e il bambino, affinché chi non possiede né grasso, né lana o qualunque altra merce, abbia almeno qualcosa da vendere: la sua forza muscolare, la sua intelligenza, la sua coscienza. Per trasformarsi in capitale, l’uomo deve prima diventare merce. 30. Io sono il Capitale, il padrone dell’universo, e il capitalista è il mio rappresentante: davanti a lui gli uomini sono uguali, tutti ugualmente curvi sotto il suo sfruttamento. Il bracciante che affitta la sua forza, l’ingegnere che offre la sua intelligenza, il cassiere che vende la sua onestà, il deputato che fa mercato della sua coscienza, la ragazza di piacere che presta il suo sesso, sono per il capitalista salariati da sfruttare. 31. Il capitalista perfeziona il salariato: lo obbliga a riprodurre la sua forza-lavoro con un’alimentazione grossolana e scadente perché la venda al minor prezzo, e lo costringe ad acquisire l’ascetismo dell’anacoreta, la pazienza dell’asino e la costanza del bue. 32. Il salariato è proprietà del capitalista, è la sua bestia da lavoro, un suo bene, cosa sua. Nella fabbrica dove non ci si deve accorgere quando sorge il sole né quando cala la notte, punta sull’operaio cento occhi vigilanti perché non si distolga dal suo compito né con un gesto né con una parola. 33. Il tempo del salariato è denaro: ogni minuto che perde è un furto che commette. 34. L’oppressione del capitalista segue il salariato come un’ombra perfino nel suo tugurio, perché non si corrompa con letture e discorsi socialisti, né si affatichi il corpo con degli svaghi. Uscendo dalla fabbrica deve chiudersi in casa, mangiare e coricarsi, per riportare l’indomani al suo padrone un corpo riposato e disponibile, e uno spirito rassegnato. 35. Il capitalista non riconosce al salariato alcun diritto, neppure il diritto alla schiavitú, che è il diritto al lavoro. 36. E spoglia il salariato della sua intelligenza e della sua abilità manuale trasferendole alle macchine, che non si ribellano. IV. Massime della saggezza divina 1. Il marinaio è assalito dalla tempesta, il minatore vive tra il grisù e le frane, l’operaio si muove tra le ruote e le cinghie degli ingranaggi della macchina di ferro, la mutilazione e la morte incombono sul salariato che lavora: il capitalista, che non lavora, è al riparo da ogni pericolo. 2. Il lavoro sfianca, uccide e non arricchisce: non è lavorando ma facendo lavorare gli altri che si accumulano fortune. 3. La proprietà è il frutto del lavoro e la ricompensa dell’ozio. 4. Non si estrae vino da un sasso, né profitti da un cadavere: solo i vivi si possono sfruttare. Il boia che ghigliottina un criminale deruba il capitalista di un animale da sfruttare*2. 5. Il denaro e tutto ciò che comporta non hanno odore. 6. Il denaro riscatta le sue qualità vergognose con la sua quantità. 7. Il denaro sostituisce la virtú in chi lo possiede. 8. Fare del bene non è un investimento redditizio. 9. Andando a letto è meglio dirsi «ho fatto un buon affare», piuttosto che «ho fatto una buona azione». 10. Il padrone che fa lavorare i salariati quattordici ore su ventiquattro non perde la sua giornata. 11. Non risparmiare né il buono né il cattivo operaio, perché sia il buono che il cattivo cavallo hanno bisogno dello sperone. 12. L’albero che non dà frutti deve essere sradicato e bruciato; l’operaio che non rende piú deve essere condannato alla fame. 13. L’operaio che si ribella, nutrilo con il piombo. 14. Ci mette piú tempo la foglia del gelso a trasformarsi in seta, del salariato a trasformarsi in capitale. 15. Rubare in grande e restituire briciole, è la filantropia. 16. Far cooperare gli operai alla costruzione della propria fortuna, è la cooperazione. 17. Prendersi la parte piú grossa dei frutti del lavoro, è la partecipazione. 18. Il capitalista, fanatico della libertà, non dà l’elemosina, perché toglie al senza-lavoro la libertà di morire di fame. 19. Gli uomini non sono altro che macchine per produrre e consumare: il capitalista compra gli uni e corre dietro le altre. 20. Il capitalista ha due lingue nella sua bocca: una per comprare e l’altra per vendere. 21. La bocca che mente dà la vita alla Borsa. 22. La delicatezza e l’onestà sono i veleni degli affari. 23. Rubando a tutti non si ruba a nessuno. 24. Dimostra che l’uomo è capace di devozione come un cagnolino: sii devoto a te stesso. 25. Diffida dell’uomo disonesto, ma non fidarti di quello onesto, 26. Promettere denota bonarietà e cortesia, mantenere la promessa rivela debolezza mentale. 27. Le monete sono coniate con l’effigie del sovrano o della Repubblica perché, come gli uccelli del cielo, appartengono soltanto a chi le cattura. 28. Le monete da cento soldi si rialzano sempre quando cadono, anche nel letame. 29. Ti preoccupi di molte cose, ti crei molti problemi, ti sforzi di essere onesto, ambisci al sapere, brighi per la carriera, ricerchi onori, e tutto questo non è che vanità, se lo porta il vento; una sola cosa è necessaria: il Capitale, sempre il Capitale. 30. La giovinezza sfiorisce, la bellezza appassisce, l’intelligenza si annebbia; solo l’oro non raggrinzisce, non invecchia. 31. Il denaro è l’anima del capitalismo e il movente delle sue azioni. 32. In verità vi dico, è più glorioso essere un portafoglio zeppo d’oro e di banconote che un uomo più carico di talento e di virtù di un asino che porta legumi al mercato. 33. Il genio, l’intelligenza, il pudore, l’onestà, la bellezza esistono solo perché hanno un valore venale. 34. La virtù e il lavoro sono utili solo in casa degli altri. 35. Non c’è niente di meglio per il capitalista che bere, mangiare e godersela: è tutto quello gli resterà di più certo quando sarà morto. 36. Finché rimane tra gli uomini che il sole illumina e riscalda, il capitalista deve darsi alla bella vita perché non si vive due volte la stessa ora e non si sfugge all’ignobile vecchiaia che afferra l’uomo per la testa e lo spinge nella tomba. 37. Nel sepolcro dove vai, le tue virtù non ti accompagneranno; troverai solo vermi. 38. Oltre un ventre pieno e di vigorosa digestione, e sensi robusti e soddisfatti, non c’è che vanità e frustrazione. V. Ultima verba 1. Io sono il Capitale, il re del mondo. 2. Avanzo scortato dalla menzogna, dall’invidia, dall’avarizia, dal cavillo e dall’assassinio. Porto la divisione nella famiglia e la guerra nella città. Ovunque passo semino odio, disperazione, miseria e malattie. 3. Io sono il Dio implacabile. Mi compiaccio tra le discordie e le sofferenze. Torturo i salariati e non risparmio i capitalisti, miei eletti. 4. Il salariato non può sfuggirmi: se per evadere valica le montagne, mi trova al di là dei monti; se attraversa i mari, lo aspetto sulla riva dove sbarca. Il salariato è mio prigioniero e la terra è la sua prigione. 5. Ingozzo i capitalisti di un benessere greve, idiota e ricco di malattie. Castro corporalmente e intellettualmente i miei eletti: la loro razza si estingue nell’imbecillità e nell’impotenza. 6. Colmo i capitalisti di tutte le cose desiderabili, e castro in loro ogni desiderio. Carico le loro tavole di cibi appetitosi, e tolgo loro l’appetito. Riempio i loro letti di donne giovani ed esperte in carezze, e intorpidisco i loro sensi. L’intero universo è per loro scialbo, fastidioso, snervante, sbadigliano per tutta la vita, invocano il nulla, e l’idea della morte li gela di paura. 7. A mio piacimento e senza che la mente umana possa capire le mie ragioni, colpisco i miei eletti e li precipito nella miseria, la geenna dei salariati. 8. I capitalisti sono i miei strumenti. Mi servo di loro come di una frusta a mille code per flagellare lo stupido gregge dei salariati. Innalzo i miei eletti al primo rango della società e li disprezzo. 9. Il sono il Dio che guida gli uomini e confonde la loro mente. 10. Il poeta dei tempi antichi ha predetto l’era del Capitalismo quando ha scritto: «Ora il bene è mischiato al male, ma un giorno non ci saranno piú legami di famiglia, né giustizia, né virtú. Aidos e Nemesis risaliranno in cielo e al male non ci sarà piú rimedio*3». I tempi annunciati sono arrivati: come i mostri famelici dei mari e le bestie feroci dei boschi, gli uomini si divorano selvaggiamente tra loro. 11. Mi fa ridere la saggezza umana. «Lavora, e la carestia se ne andrà; lavora, e i tuoi granai si riempiranno di provviste», diceva la saggezza antica. Io ho detto: «Lavora, e la penuria e la miseria saranno le tue fedeli compagne; lavora, e svuoterai la tua casa al Monte di Pietà». 12. Io sono il Dio che sconvolge gli imperi: piego i superbi sotto il mio giogo egualitario; faccio a pezzi l’insolente ed egoista individualità umana; plasmo per l’eguaglianza l’imbecille umanità. Accoppio e aggiogo i salariati e i capitalisti nella preparazione dello stampo comunista della futura società. 13. Gli uomini hanno scacciato dai cieli Brahma, Giove, Geova, Gesú, Allah; io mi suicido. 14. Quando il Comunismo sarà la legge della società, finirà il regno del Capitale, il Dio che incarna le generazioni del passato e del presente. Il Capitale non dominerà piú il mondo, obbedirà all’odiato lavoratore. L’uomo la smetterà di inginocchiarsi davanti all’opera delle proprie mani e del proprio cervello, si alzerà in piedi e guarderà la natura da padrone. 15. Il Capitale sarà l’ultimo degli Dèi. Note *1.L’autore dell’Ecclesiaste capitalista certamente allude a quegli economisti, noiosi dicitori di futilità, secondo cui il capitale è anteriore all’uomo dal momento che la formica, accumulando provviste, si comporta da capitalista [N.d.A.].↩ *2. L’Ecclesiaste ci rivela la ragione capitalista della campagna per l’abolizione della pena di morte, condotta con tanto fracasso da victor Hugo e dagli altri ciarlatani dell’umanitarismo [N.d.A.].↩ *3. Questa predizione dei tempi capitalisti, piú veritiera di quella dei profeti che annunciavano la venuta di Gesú, si trova nelle Opere e i giorni di Esiodo [N.d.A.].↩ 1. Lingua universale creata nel 1879 dal prete cattolico tedesco Johann Martin Schleyer (1831-1912), una sorta di esperanto basato sulle lingue europee.↩ 2. Jules Simon (1814-1896), repubblicano conservatore, filosofo, presidente del consiglio nel 1876-1877.↩ 3. Jay Gould (1836-1892), magnate americano delle ferrovie e del telegrafo.↩ 4. Jöns Jacob Berzelius (1779-1848), svedese, fondatore della chimica moderna; Charles Frédéric Gerhardt (1816-1856), celebre chimico francese.↩ Inizio pagina Indice de La religione del capitale Archivio Lafargue Ultima modifica 2019.02.15

Manuale di Epitteto

 

MANUALE di Epitteto

1. La realtà si divide in cose soggette al nostro potere e cose non soggette al nostro potere. In nostro potere sono il giudizio, l'impulso, il desiderio, l'avversione e, in una parola, ogni attività che sia propriamente nostra; non sono in nostro potere il corpo, il patrimonio, la reputazione, le cariche pubbliche e, in una parola, ogni attività che non sia nostra. [2] E ciò che rientra in nostro potere è per natura libero, immune da inibizioni, ostacoli, mentre quanto non vi rientra è debole, schiavo, coercibile, estraneo. [3] Ricorda, allora, che se considererai libere le cose che per natura sono schiave, e tuo personale ciò che è estraneo, sarai impedito, soffrirai, sarai turbato, ti lamenterai degli dèi e degli uomini; se invece riterrai tuo solo ciò che è tuo, ed estraneo, come in effetti è, ciò che è estraneo, nessuno ti potrà mai coartare, nessuno ti impedirà, non ti lamenterai di nessuno, non accuserai nessuno, non ci sarà cosa che dovrai compiere contro voglia, nessuno ti danneggerà, non avrai nemici, perché non potrai patire alcun danno. [4] Ora, se aspiri a così alta condizione, ricorda che non basta uno sforzo modesto per raggiungerla, ma ci sono cose che devi definitivamente abbandonare, altre che per il momento devi differire. Mentre se desideri averle, e in più desideri cariche pubbliche e ricchezze, probabilmente, per il fatto stesso di ambire alle prime, non otterrai neppure le seconde: in ogni caso, fallirai gli unici presupposti che consentano libertà e felicità. [5] Quindi esercitati fin d'ora a dire a ogni rappresentazione che ti colpisca per la sua asprezza: «sei soltanto una rappresentazione, non sei affatto ciò che sembri in apparenza». Poi analizzala e sottoponila alla valutazione degli strumenti in tuo possesso, accertando - il primo e il più importante esame - se essa sia relativa a cose che ricadono in nostro potere ovvero a quelle che non vi rientrano; e in questo secondo caso abbi già pronta la conclusione: «per me non è nulla».

 

2. Ricorda che il desiderio promette di farti ottenere ciò che desideri, l'avversione di non farti incorrere in ciò che avversi, e che chi non raggiunge l'oggetto del desiderio non ha la sorte dalla sua, mentre chi ricade in qualcosa da cui sta rifuggendo patisce la cattiva sorte. Ora, se avverserai soltanto ciò che è contrario alla natura tra le cose che sono in tuo potere, non incorrerai in nulla di ciò che avversi; ma se avverserai la malattia, la morte o la povertà, patirai la cattiva sorte. [2] Pertanto rimuovi ogni avversione da tutto ciò che non dipende da noi e trasferiscila alle cose che, tra quante dipendono da noi, sono contrarie alla natura. Per il momento sopprimi completamente ogni desiderio: perché se miri a qualcosa che non è in nostro potere inevitabilmente fallirai, e d'altra parte ancora non puoi disporre di alcune tra le cose che sono in nostro potere, alle quali sarebbe bene rivolgere il desiderio. Usa soltanto l'impulso e la ripulsa: ma in misura leggera, con riserva, e senza trascendere.

 

3. Di fronte a ogni singola cosa che ti attragga, ti si presenti utile o abbia il tuo affetto, ricorda di pronunciarti sulla sua vera natura, a cominciare dalle più piccole. Se ti piace una pentola, dirai: «mi piace una pentola»; quando andrà in frantumi non ne sarai turbato. Se baci tuo figlio o tua moglie, ripeti a te stesso che stai baciando un essere umano: la sua morte non ti turberà.

 

4. Ogni volta che ti accingi a un'azione, ricorda a te stesso quale sia la sua vera natura. Se esci per recarti al bagno pubblico, predisponiti mentalmente a quello che succede in questi ambienti: la gente che ti spruzza, ti urta, ti insulta, ti deruba. E così, se inizierai col dire: «voglio fare un bagno e mantenere la mia scelta morale conforme a natura», ti disporrai ad agire con più sicurezza. E fai altrettanto per ogni altra azione. Perché in questo modo, se qualcosa dovesse impedirti il bagno, potrai dire prontamente: «non volevo soltanto lavarmi, ma anche mantenere la mia scelta morale conforme a natura: e non ci riuscirò, se mi infastidisco per quel che succede».

 

5. Non sono i fatti in sé che turbano gli uomini, ma i giudizi che gli uomini formulano sui fatti. Per esempio, la morte non è nulla di terribile (perché altrimenti sarebbe sembrata tale anche a Socrate): ma il giudizio che la vuole terribile, ecco, questo è terribile. Di conseguenza, quando subiamo un impedimento, siamo turbati o afflitti, non dobbiamo mai accusare nessun altro tranne noi stessi, ossia i nostri giudizi. Incolpare gli altri dei propri mali è tipico di chi non ha educazione filosofica; chi l'ha intrapresa incolpa sé stesso; chi l'ha completata non incolpa né gli altri né se stesso.

 

6. Non inorgoglirti per un merito che non ti appartiene. Se fosse il cavallo a vantarsi: «sono bello», si potrebbe anche accettarlo; ma quando tu orgogliosamente dici: «ho un bel cavallo», sappi che ti stai vantando di un pregio del cavallo. Cos'è davvero tuo, dunque? Il tuo comportamento di fronte alle rappresentazioni. Perciò, quando ti regoli secondo natura nell'uso delle rappresentazioni, allora potrai essere fiero: perché in quel momento lo sarai per un bene che è tuo.

 

7. Come in un viaggio per mare, se la nave ha ormeggiato e sei sbarcato per attingere acqua, cammin facendo potrà anche capitarti di raccogliere una conchiglietta, una piccola radice, ma la tua attenzione dev'esser sempre fissa alla nave, devi voltarti continuamente indietro, caso mai il timoniere ti chiamasse, e se ti chiama devi lasciar perdere tutto, se non vuoi esser caricato a bordo legato come una pecora: allo stesso modo anche nella vita, se ti sono dati non una conchiglia o una radice, ma moglie e figlio, nulla ti vieterà di avere la tua famigliola: ma se il timoniere ti chiama, lascia perdere tutto e corri alla nave senza neanche voltarti. E se sei vecchio non ti allontanare mai troppo dalla nave, in modo da non mancare, quando sarai chiamato.

 

8. Non devi adoperarti perché gli avvenimenti seguano il tuo desiderio, ma desiderarli così come avvengono, e la tua vita scorrerà serena.

 

9. La malattia è impedimento del corpo, non della scelta morale, a meno che non sia proprio quest'ultima a volerlo. Essere zoppo è un impedimento della gamba, non del proposito morale. Ripetilo a te stesso, a ogni accidente che ti sopraggiunge: verificherai che è un impedimento per qualcos'altro, non per te.

 

10. A ogni singola cosa che incontri, ricorda di rivolgerti a te stesso per cercare di quale facoltà tu disponga in relazione a essa. Se vedi un bel giovane o una bella donna, troverai che in questo caso la facoltà da applicare è il dominio di sé; posto di fronte a una fatica, troverai la resistenza; a un'ingiuria, la pazienza. Se ti abitui così, le rappresentazioni non ti travolgeranno.

 

11. Non dir mai di nessuna cosa: «l'ho perduta», ma: «l'ho restituita». È morto tuo figlio? È stato restituito. È morta tua moglie? È stata restituita. «Mi è stato tolto il podere»: ebbene, anche questo è stato restituito. «Ma chi me l'ha portato via è un malfattore». E a te cosa importa attraverso chi ne abbia chiesto la restituzione colui che te lo aveva dato? Finché ti concede di tenerlo, abbine cura come di un bene che non è tuo, come i viaggiatori della locanda.

 

12. Se vuoi progredire, lascia da parte i ragionamenti di questo genere: «se trascurerò i miei beni non avrò di che vivere», «se non punisco il mio schiavo, diventerà un furfante». Meglio morire di fame, ma libero da afflizioni e paure, piuttosto che vivere nell'abbondanza, ma nell'inquietudine. Meglio che lo schiavo sia disonesto, piuttosto che tu infelice. [2] Perciò comincia dalle piccole cose. Ti spandono qualche goccia del tuo povero olio, ti rubano un po' del tuo vinello? Di' a te stesso: «questo è il prezzo per la tranquillità dell'animo, il costo dell'imperturbabilità». Gratis non si ottiene nulla. E quando chiami lo schiavo pensa che può non ascoltarti, e può anche ascoltarti, ma non far nulla di quello che vuoi: ma non ha certo il privilegio di avere la tua tranquillità interiore in suo potere.

 

13. Se vuoi progredire, sopporta pure che le circostanze esterne ti procurino la reputazione di stolto e insensato, non cercare affatto di apparire sapiente: anzi, se ci sarà chi ti considera qualcuno, diffida di te stesso. Perché devi sapere che non è facile conservare la tua scelta morale conforme a natura e insieme conservare le cose esterne: chi si occupa dell'una necessariamente deve trascurare le altre, e viceversa.

 

14. Se vuoi che i tuoi figli, tua moglie, i tuoi amici vivano per sempre, sei stolto: vuoi che sia in tuo potere ciò che non lo è, e che quanto non ti appartiene sia tuo. Così pure, se vuoi che il tuo schiavo non sbagli, sei sciocco: pretendi che il difetto non sia difetto, ma qualcos'altro. Mentre se non vuoi fallire quando desideri qualcosa, questo puoi ottenerlo. Perciò esercitati in quello che puoi. [2] Chi ha il potere di procurare o di togliere a un uomo ciò che questi desidera o non desidera è il suo padrone. Quindi chi vuole essere libero non desideri e non rifugga nulla di ciò che dipende da altri: se no, inevitabilmente, sarà schiavo.

 

15. Ricorda che nella vita devi comportarti come a un banchetto. Una portata girando tra i convitati è arrivata davanti a te: allunga la mano e prendi la tua parte, con educazione; il piatto passa oltre: non fermarlo; non è ancora arrivato da te: non protenderti inseguendo l'appetito, aspetta che ti sia di fronte. Così fai con i figli, così con la moglie, con le cariche pubbliche, con la ricchezza: e un giorno sarai degno di stare a banchetto con gli dèi. Se poi, invece di prendere la porzione che ti sarà servita, la ignorerai, allora sarai degno non solo della mensa degli dèi, ma anche di governare con loro. È per questo comportamento che Diogene ed Eraclito, e gli uomini come loro furono meritamente considerati divini, e tali furono in effetti.

 

16. Quando vedi qualcuno in lacrime per un lutto, per la partenza di un figlio o per la perdita dei beni, bada di non farti trascinare dalla rappresentazione, pensando che egli soffra a causa di fatti esterni, ma abbi sottomano la considerazione: «lo affligge non ciò che è accaduto (infatti altri non ne sono afflitti), bensì il suo giudizio sull'accaduto». Non esitare, senza andare al di là delle parole, a partecipare al suo dolore; eventualmente condividi i suoi gemiti: ma attento a non gemere anche dentro di te.

 

17. Ricorda che sei soltanto attore di un dramma, ed è chi lo allestisce a stabilire di quale dramma: se lo vuole breve, reciti un dramma breve; se decide che sia lungo, uno lungo; se ti riserva la parte di un mendicante, cerca di interpretarla con bravura, e così quella di uno zoppo, di un magistrato, del privato cittadino. Perché il tuo compito è questo: impersonare bene il ruolo assegnato; sceglierlo tocca ad altri.

 

18. Quando un corvo gracchia di malaugurio, non lasciarti trascinare dalla rappresentazione, ma distingui subito dentro di te, dicendo: «nessuno di questi auspici è diretto a me, ma a questo mio misero corpo, alla mia piccola proprietà, alla mia povera reputazione, oppure ai miei figli, a mia moglie. Per me ogni augurio è favorevole, se io lo voglio: perché, qualunque sia il suo esito, dipende da me trarne beneficio».

 

19. Puoi essere invincibile, se non entri mai in nessuna lotta dalla quale non dipenda da te uscire vincitore. [2] Quando vedi qualcuno che gode di maggiori onori, oppure è molto potente o reputato per qualche altra ragione, stai attento a non farti mai trascinare dalla rappresentazione a considerarlo un uomo felice. Perché se l'essenza del bene è nelle cose che dipendono da noi, non c'è motivo d'invidia o di gelosia: e del resto tu non vorrai essere stratego, pritano o console, ma un uomo libero. E c'è una sola via che porta a questa meta: il disprezzo di ciò che non dipende da noi.

 

20. A offendere, ricordalo, non è chi insulta o percuote, ma il giudizio che queste azioni siano offensive. Perciò, quando uno ti irrita, sappi che è la tua opinione che ti ha irritato. Come prima cosa, quindi, cerca di non lasciarti trascinare subito dalla rappresentazione: una volta che avrai guadagnato un po' di tempo per riflettere, potrai dominarti più facilmente.

 

21. La morte, l'esilio e tutto ciò che appare terribile ti siano quotidianamente dinanzi agli occhi, più di ogni altra cosa la morte: e non avrai mai alcun pensiero meschino né desidererai mai nulla oltre misura.

 

22. Se aspiri alla filosofia, preparati fin d'ora a essere deriso e schernito dalla gente: «ce lo ritroviamo di colpo filosofo», diranno, e ancora: «da dove ha preso tutto questo cipiglio?». Ma sul tuo volto non vi sia cipiglio; attieniti invece a ciò che ti pare il meglio, come un uomo assegnato dal dio a questo posto. E ricorda che se resterai coerente agli stessi principi, quelli che prima ti beffavano poi ti ammireranno, mentre se ti rivelerai inferiore a essi riscuoterai un doppio dileggio.

 

23. Se mai ti accadesse, per voler compiacere qualcuno, di volgerti alle cose esterne, avresti perduto, siine certo, il tuo programma morale. Dunque, in ogni circostanza, accontentati di essere filosofo, e se vuoi anche apparire filosofo, mostrati tale a te stesso, e ne sarai in grado.

 

24. Non affliggerti con questi pensieri: «vivrò senza onore e non sarò nessuno in nessun luogo». Perché, se la privazione dell'onore è un male, non puoi patire un male a causa d'altri, come neppure una vergogna. Ora, ottenere una carica pubblica o essere invitato a un banchetto sono forse cose che dipendono da te? No, affatto. Dunque non averle come può costituire una privazione di onore? E come potrai non essere nessuno in nessun luogo, visto che devi esser qualcuno soltanto nelle cose che dipendono da te, e in queste hai la possibilità di giungere al più alto valore? [2] Ma, tu obietti, i tuoi amici resteranno senza aiuto. In che senso dici "senza aiuto"? Non riceveranno un soldo da te, e neppure potrai farli cittadini romani: ma chi ti ha detto che queste cose rientrano tra quelle in nostro potere, che non ci sono estranee? E chi può dare a un altro ciò che non ha neppure per sé? [3] «Allora tu acquisisci», dice qualcuno, «in modo che noi possiamo avere». Se sono in grado di acquisire conservando pudore, lealtà e nobiltà d'animo, indicami la strada e acquisirò. Ma se ritenete che io debba perdere i miei beni perché voi abbiate quelli che beni non sono, giudicate voi stessi quanto siete ingiusti e sconsiderati. Cosa preferite, insomma? Del denaro o un amico leale e rispettoso? Allora aiutatemi a esserlo, invece di chiedermi di compiere azioni che mi faranno perdere queste qualità. [4] «Ma la patria», dirà qualcuno, «per quanto sta in me resterà senza aiuto». Di nuovo: ma di quale aiuto stai parlando? Da te non potrà avere portici o bagni pubblici: e con ciò? Nemmeno riceve calzature dal fabbro, né il calzolaio le fornisce armi: basta che ciascuno esegua il proprio compito. E se tu le procurassi un altro cittadino leale e rispettoso, non le gioveresti in nulla? «Sì». Allora neanche tu puoi risultarle inutile. [5] «Ma», chiede, «quale posto occuperò nello Stato?». Quello che puoi occupare continuando a conservare rispetto e lealtà. Perché, se volendo giovare alla patria li perderai, che beneficio potrai fornirle divenuto impudente e sleale?

 

25. A qualcuno è stato riservato più onore che a te durante un banchetto, in un'espressione di saluto oppure nella richiesta di un consiglio? Se questi sono beni, devi rallegrarti che li abbia ottenuti; se invece si tratta di mali, non crucciarti di non averli conseguiti. E ricorda che, se non fai come gli altri per raggiungere cose che non rientrano in nostro potere, non puoi certo pretendere eguali risultati. [2] Chi non bussa alla porta di questo o di quello come può ricevere lo stesso di chi vi si presenta? Se non ti accodi a qualcuno, se non lo lodi, come puoi avere altrettanto di chi sta nel corteggio e adula? Sarai ingiusto e incontentabile se invece di pagare il prezzo al quale si vende questa merce pretenderai di averla gratis. [3] Quanto costa un cespo di lattuga? Un obolo, poniamo. Ora, se uno paga un obolo e compra la lattuga, mentre tu l'obolo non lo sborsi e la lattuga non la compri, non puoi pensare di aver meno di lui: lui ha la lattuga, ma tu hai l'obolo che non hai speso. [4] Altrettanto vale anche nel nostro caso. Qualcuno non ti ha invitato a banchetto? Evidentemente non avevi versato all'ospite il corrispettivo della cena. Quello vende la cena in cambio di elogi, di servigi: se lo trovi conveniente, pagagli il prezzo che chiede. Ma se pretendi di non versarglielo e di prendere lo stesso la merce, sei incontentabile e sciocco. [5] Al posto della cena, allora, non ti resta nulla? Sì: ti resta il fatto di non aver elogiato qualcuno che non volevi elogiare, di non esserti piegato a quello che succede all'ingresso in casa sua.

 

26. È possibile comprendere la volontà della natura nelle situazioni in cui non siamo mossi da interessi personali. Per esempio, quando lo schiavo di un altro rompe una coppa, viene fatto di dire: «sono cose che succedono». Allora, però, quando è la tua coppa che si spezza, devi comportarti esattamente come quando va in frantumi quella dell'altro. E la stessa condotta trasferiscila anche alle circostanze più gravi. È morto il figlio o la moglie di un altro? Tutti, senza eccezione, sanno dire: «è il destino degli esseri umani»; ma quando muore nostro figlio, subito ci disperiamo: «ahimè, oh me sventurato!». Dovremmo ricordarci, invece, la nostra reazione quando sentiamo che questo è toccato ad altri.

 

27. Come un bersaglio non è posto per esser mancato, così pure nell'universo non esiste la natura del male.

 

28. Se qualcuno affidasse la tua persona al primo che incontra, ti adireresti; e tu che affidi la mente a chi capita, e, se questi ti insulta, la lasci cadere nel turbamento e nella confusione, non te ne vergogni?

 

29. Di ciascuna azione considera le premesse e le conseguenze, e solo dopo accingiti a compierla. Altrimenti, all'inizio ti avvierai entusiasta, senza aver minimamente calcolato il seguito, ma poi, al manifestarsi di qualche difficoltà, ti tirerai vergognosamente indietro. [2] Vuoi vincere le Olimpiadi? Anch'io, per gli dèi: è un'impresa prestigiosa. Ma prima esamina le premesse e le conseguenze, e poi passa all'azione. Devi disciplinare la tua vita, sottoporti a dieta, astenerti dai dolci, importi gli allenamenti, alle ore prestabilite, al caldo, al freddo; non devi bere acqua fredda, non devi bere vino senza una regola, in una parola devi esserti consegnato all'allenatore come a un medico; e poi, in gara, dovrai affondare nella sabbia, qualche volta ti slogherai un polso, ti storcerai una caviglia, ingoierai tanta polvere, qualche volta sarai fustigato e poi, con tutto ciò, sarai anche sconfitto. [3] Riflettici, e poi dedicati all'atletica, se ne hai ancora l'intenzione. Altrimenti ti comporterai come i ragazzini, che ora giocano ai lottatori, ora ai gladiatori, ora suonano la tromba, poi fanno gli attori tragici; così anche tu adesso fai l'atleta, poi il gladiatore, poi il retore, poi il filosofo, ma con tutta l'anima non sei nulla: come una scimmia imiti tutto quello che vedi e sei attratto da cose sempre diverse. Perché alle cose arrivi senza rifletterci e senza considerarle bene da ogni punto di vista, ma a caso, assecondando un vano desiderio. [4] Così ci sono persone che dopo aver visto un filosofo e aver ascoltato qualcuno che parla come Eufrate (ma chi è davvero in grado di parlare come lui?), vogliono dedicarsi anch'esse alla filosofia. [5] Uomo, osserva prima la natura della cosa; e poi anche la tua natura, per capire se puoi reggere. Vuoi darti al pentathlon o alla lotta? Guardati le braccia, le cosce, esaminati i fianchi: per natura qualcuno è adatto a una cosa, qualcuno a un'altra. [6] Se ti dedichi alla filosofia credi forse di poter continuare a mangiare e a bere allo stesso modo, di lasciar corso al desiderio e all'insoddisfazione come fai adesso? Devi vegliare, faticare, allontanarti dai tuoi cari, subire il disprezzo di uno schiavo, la derisione di chi ti incontra, essere sminuito in tutto, nell'onore, nelle cariche pubbliche, in tribunale, in ogni minima faccenda. [7] Riflettici, se sei disposto a pagare questo prezzo per avere in cambio l'immunità dalle passioni, la libertà, l'imperturbabilità; altrimenti non ti accostare alla filosofia, non fare come i bambini: ora filosofo, poi esattore di imposte, poi retore, poi procuratore di Cesare. Sono cose che non si accordano. Devi essere un solo uomo: buono o cattivo; devi lavorare sul tuo principio interiore o sulle cose esterne; devi impegnarti in ciò che hai dentro o in ciò che sta fuori: in una parola, devi occupare il posto del filosofo o quello dell'uomo comune.

 

30. I doveri si misurano generalmente in base alle relazioni tra gli individui. Prendiamo tuo padre. Sei chiamato a prenderti cura di lui, a cedergli in tutto, ad accettare i suoi rimproveri, le sue percosse. «Ma è un cattivo padre». Già, ma per natura dovevi forse essere assegnato a un padre buono? No: semplicemente a tuo padre. «Mio fratello è ingiusto con me». Ebbene, tu conserva la relazione che hai nei suoi confronti e non guardare cosa fa lui, ma cosa dovrai fare tu perché la tua scelta morale sia conforme a natura. Perché nessuno potrà nuocerti, se tu non lo vuoi: mentre avrai patito un danno nel preciso momento in cui riterrai di subirlo. Così, se ti abituerai a osservare le relazioni fra gli individui, scoprirai quali siano i doveri del vicino di casa, del cittadino, dello stratego.

 

31. Sappi che il punto fondamentale su cui si fonda la devozione verso gli dèi è avere opinioni corrette su di essi - ossia credere nella loro esistenza, e nel loro governo buono e giusto dell'universo -, ed esserti disposto a obbedire loro e a sottometterti a tutti gli eventi assecondandoli spontaneamente, persuaso che sono il prodotto della più alta intelligenza. Così infatti non ti lamenterai mai degli dèi, né li accuserai di trascurarti. [2] Ma a questo risultato puoi giungere soltanto a condizione di rimuovere il concetto di bene e di male dalle cose che non sono in nostro potere e trasferirlo alle cose che dipendono da noi, e unicamente a quelle. Perché se ritieni che qualcuna tra le prime sia bene o male, è inevitabile, non riuscendo in quello che vuoi e incorrendo in quello che non vuoi, che tu debba lamentarti dei responsabili e odiarli. [3] Ogni essere vivente, infatti, per natura inclina a fuggire ed evitare quello che gli pare dannoso e le sue cause, e a inseguire, invece, e ammirare ciò che è utile e le sue cause. Quindi è escluso che chi si crede danneggiato gradisca quello che gli pare danneggiarlo, come pure è impossibile che gradisca il danno stesso. [4] Di conseguenza, anche il padre è insultato dal figlio quando non lo fa partecipe di quelli che al figlio sembrano beni; e fu questo a rendere nemici tra loro Eteocle e Polinice, il fatto che essi considerassero un bene il trono di tiranno. Perciò il contadino impreca contro gli dèi, e così il marinaio, il mercante, perciò imprecano contro gli dèi coloro che perdono la moglie o i figli. Dove c'è l'utile, lì c'è anche la devozione. Cosicché chi si preoccupa di avere giusti desideri e avversioni nello stesso momento provvede anche a essere pio. [5] Ma libagioni, sacrifici e offerte di primizie secondo il costume dei padri si devono compiere ogni volta con purezza, non sciattamente, né trascuratamente, e senza risparmiare o spendere oltre i propri mezzi.

 

32. Quando ti rivolgi alla divinazione, ricorda che non conosci quel che avverrà - tant'è vero che sei venuto dall'indovino per apprenderlo da lui -, ma quale sia la vera natura di un avvenimento, questo lo sapevi già al momento di varcare la soglia, se davvero sei un filosofo. Se infatti è cosa di quelle che non rientrano sotto il nostro controllo, è garantito che non si tratta né di bene né di male. [2] Perciò non portare dall'indovino un desiderio o un'avversione, e non avvicinarti a lui tremando, ma sicuro che ogni futura evenienza sarà indifferente e non sarà nulla per te, e quale che sia la sua natura potrai farne buon uso: nessuno te lo impedirà. Quindi rivolgiti con fiducia agli dèi, come ai tuoi consiglieri: e poi, ricevuto il parere, non dimenticare a quali consiglieri sei ricorso e a chi disobbedirai se non presterai ascolto. [3] E accostati alla divinazione come Socrate riteneva opportuno, nei casi in cui l'esame della questione si riferisce interamente all'esito e i mezzi per risolvere il problema non sono offerti né dalla ragione né da altra arte. Pertanto, quando si deve condividere il pericolo di un amico o della patria, non chiedere all'indovino se è necessario affrontare questo rischio. Perché anche se ti avvisa che gli auspici sono sfavorevoli - evidente preannunzio di morte, di una mutilazione o dell'esilio -, ciononostante la ragione impone di porsi egualmente a fianco dell'amico e di affrontare il pericolo per la patria. Perciò dai ascolto a un più alto indovino, ad Apollo Pizio, che cacciò dal tempio colui che non aveva soccorso l'amico mentre veniva assassinato.

 

33. A questo punto prefiggiti un determinato carattere e modello, da osservare fedelmente sia dinanzi a te stesso sia nei rapporti con gli altri. [2] Per lo più mantieni il silenzio, usa la parola per lo stretto necessario, e concisamente. Parla solo di rado, quando le circostanze lo richiedono, ma mai di argomenti banali: i giochi dei gladiatori, le corse dei cavalli, gli atleti, cibi, bevande, le solite cose di cui si parla ogni volta; e, soprattutto, non parlare della gente, per biasimare, elogiare, confrontare. [3] Se sei in grado, usa le tue parole per spostare anche quelle degli interlocutori a ciò che è opportuno. E se ti trovi stretto tra persone di tutt'altro genere, taci. [4] Non ridere molto, di molti argomenti e sguaiatamente. [5] Rifiuta il giuramento: se possibile, in tutto e per tutto, altrimenti per quel che ti consentiranno le circostanze. [6] Evita di banchettare con persone comuni ed estranee alla filosofia; e se qualche volta l'occasione ti porterà a farlo, concentrati con impegno per non scivolare nel comportamento della gente comune. Sappi, infatti, che se il compagno è sporco, anche chi gli sta a stretto contatto, inevitabilmente, si insudicia, per pulito che possa essere. [7] A ciò che serve al tuo corpo ricorri nei limiti della pura necessità: parlo del cibo, per esempio, delle bevande, del vestiario, della casa, della servitù; cancella tutto quel che è destinato all'apparenza o al lusso. [8] Quanto al sesso, prima del matrimonio si deve osservare, nei limiti del possibile, la castità; in ogni caso, praticandolo, bisogna mantenersi entro il lecito. Tuttavia non mostrarti arcigno con chi ne fa uso, non censurarlo; e non menzionare a ogni piè sospinto il fatto che tu te ne astieni. [9] Se uno ti riferisce che il tale parla male di te, invece di difenderti dalle critiche che ti vengono riportate, rispondi: «sicuramente ignorava gli altri miei difetti, perché altrimenti non avrebbe parlato solo di questi». [10] Non è indispensabile frequentare abitualmente gli spettacoli. Ma se una volta capita l'occasione, dimostra che non ti occupi di nient'altro se non di te stesso; il che è quanto dire: desidera che avvenga ciò che sta avvenendo e che vinca chi sta vincendo; in questo modo non ti verranno impedimenti. Astieniti assolutamente dal gridare, dall'irridere questo o quello, dall'agitarti troppo per l'eccitazione. E, uscito dallo spettacolo, non perderti a parlare di quanto hai visto, se non per quanto può contribuire al tuo miglioramento morale, perché un simile comportamento ti fa apparire entusiasta di ciò cui hai assistito. [11] Non frequentare senza ragione, con tanta facilità, le pubbliche letture; e, quando vi assisti, mantieni la tua dignità, la tua fermezza, ma nel contempo senza risultare sgradevole. [12] Quando devi incontrare qualcuno, soprattutto i personaggi più illustri, poniti prima di fronte che cosa avrebbero fatto Socrate o Zenone in un'occasione come questa, e non avrai difficoltà a comportarti convenientemente nella circostanza che ti si è presentata. [13] Quando frequenti un potente, preparati immaginando che non lo troverai in casa, che ti lascerà sulla strada, che ti farà sbattere la porta in faccia, che non si occuperà di te. Se poi, con tutto ciò, devi andarci, vai e sopporta quello che succede, e non dire mai a te stesso: «non ne valeva la pena»; perché questa è la reazione dell'uomo comune, in contrasto con le cose esterne. [14] Nella conversazione evita di esagerare ricordando continuamente quello che hai fatto, i pericoli che hai corso: perché se a te fa piacere parlare di quello che hai rischiato, non altrettanto piacere fa agli altri ascoltare le tue avventure. [15] Ed evita anche di far ridere: un comportamento che ti fa scivolare nei modi dell'uomo comune, e insieme può alienarti il rispetto che gli altri nutrono per te. [16] È rischioso anche spingersi a un linguaggio osceno. Quando succede, se l'occasione è adatta, rimprovera pure chi si è lasciato andare al turpiloquio; altrimenti manifesta la tua disapprovazione tacendo, arrossendo e assumendo un'espressione infastidita.

 

34. Quando ricevi la rappresentazione di una qualche forma di piacere, bada, come del resto devi fare con ogni rappresentazione, di non lasciarti trascinare da essa: fatti attendere dalla cosa, e concediti un rinvio. Poi, vai con la mente a entrambi i momenti: quello in cui godrai del piacere e quello in cui, più tardi, te ne pentirai e ti rimprovererai; e a questi contrapponi la gioia che proverai se ti astieni da quel piacere, e l'elogio che potrai rivolgere a te stesso. E se poi ti pare che sia un'occasione favorevole per intraprendere la cosa, stai attento a non lasciarti sopraffare dal suo aspetto gradevole, dolce, seducente, ma considera, in contrapposizione, quanto sia preferibile la coscienza di aver colto la vittoria contro queste lusinghe.

 

35. Quando, dopo aver deciso che una cosa dev'esser fatta, la fai, non nasconderti mai mentre la compi, anche se la gente dovesse darne un giudizio negativo. Se non agisci rettamente, evita l'azione stessa; ma se agisci rettamente, perché temi chi ti rimprovererà non rettamente?

 

36. Come le frasi «è giorno» e «è notte» hanno pieno valore se prese distintamente, mentre coordinate perdono significato, così, a tavola, scegliere la porzione maggiore avrà significato per il tuo corpo, ma non ha alcun valore per il rispetto dello spirito comunitario del banchetto. Quindi, quando pranzi con qualcuno ricorda di non considerare soltanto il valore delle vivande per il tuo corpo, ma anche di osservare rispetto per l'ospite.

 

37. Se hai assunto un ruolo che va oltre le tue possibilità, oltre a rimediare, in quello, una brutta figura, hai trascurato il ruolo che era alla tua altezza.

 

38. Come, camminando, stai attento a non calpestare un chiodo o a non storcerti la caviglia, così fai attenzione a non danneggiare il tuo principio interiore. Se lo tuteleremo in ciascuna azione, potremo agire con più sicurezza.

 

39. Ciascuno ha la giusta misura dei suoi possessi nel corpo, come nel piede ha la misura della calzatura. Quindi, se seguirai questo criterio, manterrai la giusta misura, mentre se andrai oltre fatalmente finirai trascinato come in un precipizio. Così pure nel caso della calzatura: se vai oltre le necessità del piede, ecco le calzature dorate, poi di porpora, ricamate. Non c'è limite alcuno, una volta al di là della misura.

 

40. Appena compiuti i quattordici anni le donne sono chiamate «signore» dagli uomini. Così, vedendo che a loro non tocca altro tranne il giacere con gli uomini, cominciano a imbellettarsi e a riporre in questo ogni speranza. È bene, quindi, adoperarsi perché capiscano che non sono onorate per nessun'altra ragione se non per una condotta rispettosa e pudica.

 

41. È segno di scarse qualità naturali dedicare troppo tempo alle cose del corpo: per esempio un eccessivo indulgere agli esercizi ginnici, a mangiare, a bere, a defecare, ad accoppiarsi. Attività che devono restare marginali: tutta l'attenzione va rivolta alla mente.

 

42. Quando uno ti fa del male o dice male di te, ricorda che agisce e parla nella convinzione che gli convenga. Quindi è impossibile che egli segua ciò che sembra a te: si attiene invece a ciò che sembra a lui; di conseguenza, se prende un abbaglio, il danno è suo, perché è stato lui a ingannarsi. Infatti, se uno ritiene falso un sillogismo vero, non ne è danneggiato il sillogismo, ma chi si è ingannato. Partendo da questa constatazione, dunque, sarai indulgente con chi ti insulta. Ogni volta dirai: «la pensa così».

 

43. Ogni cosa ha due manici: con uno si può reggere, con l'altro no. Se tuo fratello è ingiusto con te, non prenderla dal lato «è ingiusto», perché questo è il manico con cui non puoi reggere la cosa, ma piuttosto dal lato «è mio fratello», «è cresciuto con me»: così afferri la cosa per il manico con cui la puoi reggere.

 

44. Le affermazioni «sono più ricco di te, quindi ti sono superiore», «sono più colto di te, quindi ti sono superiore», sono incongruenti. Più conforme alla logica sarà dire: «sono più ricco di te, quindi il mio patrimonio è superiore al tuo», «sono più colto di te, quindi il mio eloquio è superiore al tuo». Tu, davvero, non sei né patrimonio né eloquio.

 

45. Il tale si lava in fretta: non dire «male», ma «in fretta». Un altro beve molto vino: non dire «male», ma «molto». Prima di aver distinto il giudizio che presiede al suo agire, come sai se è «male»? Così non ti accadrà di ricevere le rappresentazioni catalettiche di una cosa e di dare il tuo assenso ad altre.

 

46. Non definirti in nessuna occasione filosofo e in generale non parlare tra gente comune di principi filosofici, ma fai quello che discende da questi principi: per esempio, a banchetto non dire come si deve mangiare, ma mangia come si deve. Ricorda, infatti, che Socrate aveva a tal punto eliminato l'ostentazione da ogni suo atteggiamento che c'era chi addirittura lo avvicinava per domandargli di essere introdotto presso altri filosofi, e Socrate lo accompagnava da loro. Tanto accettava il fatto di non essere considerato! [2] E se, quando ti trovi tra gente comune, il discorso cade su un principio filosofico, per lo più osserva il silenzio: è troppo alto il rischio che tu rigetti immediatamente quello che non hai ancora digerito. E quando qualcuno ti dice che non sai nulla, se non ti senti punto sul vivo, allora sappi che la tua opera di filosofo è iniziata. Le pecore non portano il foraggio ai pastori per mostrare quanto hanno mangiato, ma lana e latte sono il prodotto esterno della pastura che hanno assimilato internamente: e tu alla gente comune non sciorinare i principi filosofici, ma esponi i risultati che derivano dalla loro digestione.

 

47. Quando avrai abituato il tuo corpo alle regole della vita semplice, non te ne fare un vanto, e se bevi acqua non ricordarlo a ogni occasione. E se un giorno vuoi esercitarti alla fatica, fallo per te e non per il mondo esterno: non abbracciare le statue, ma quando, poniamo, la sete ti tormenta, prendi un sorso di acqua fresca, poi sputala e non dirlo a nessuno.

 

48. Condizione e carattere dell'uomo comune: non attende mai un beneficio o un danno da sé stesso, ma dall'esterno. Condizione e carattere del filosofo: attende ogni beneficio e ogni danno da sé stesso. [2] Segni di chi progredisce nella filosofia: non biasima nessuno, non loda nessuno, non si lamenta di nessuno, non accusa nessuno, non parla mai di sé come di chi sia qualcuno o sappia qualcosa; di fronte a un ostacolo o a un impedimento, accusa sé stesso; se si sente lodare, dentro di sé deride chi lo elogia; e, se qualcuno lo biasima, non si difende. Come i convalescenti, procede con cautela, per non muovere le parti in via di guarigione, prima che si siano definitivamente rinsaldate. [3] Ha eliminato da sé ogni desiderio; e ha trasferito l'avversione solo alle cose che, tra quanto è in nostro potere, sono contrarie alla natura. Verso ogni cosa usa un impulso moderato. Non si cura che lo considerino sciocco o ignorante. E, in una parola, si guarda da sé stesso come da un nemico insidioso.

 

49. Quando uno si vanta di poter comprendere e interpretare i libri di Crisippo, di' a te stesso: «Se Crisippo non avesse scritto in modo oscuro, costui non avrebbe nulla di cui vantarsi». Che cosa voglio, io? Conoscere la natura e seguirla. Per questo cerco un interprete che me la spieghi: sentendo fare il nome di Crisippo, ricorro a lui. Ma non capisco i suoi scritti: allora cerco chi me li spieghi. Fin qui non c'è ancora nulla di cui vantarsi. Poi, però, trovato l'interprete, tocca a me applicare l'insegnamento che ne ho tratto: ed è proprio questa, solo questa, la cosa di cui vantarsi. Se invece ammiro il semplice atto dell'interpretare, che altro ho concluso, se non di fare il grammatico in luogo del filosofo? Con la sola differenza che mi dedico all'esegesi di Crisippo invece che di Omero. Piuttosto, ogni volta che uno mi dice: «leggimi Crisippo», dovrei arrossire, quando non riesco a mostrare azioni simili e conformi alle parole.

 

50. A tutti i tuoi proponimenti attieniti come fossero leggi, persuaso che trasgredirli è empietà. Invece, qualunque cosa si dica su di te, non prestarvi attenzione: questa non è più cosa che ti appartenga.

 

51. Quanto aspetterai ancora per giudicarti degno delle cose migliori e non trascurare in nulla le distinzioni operate dalla ragione? Hai ricevuto i principi che dovevi approvare, e li hai approvati. Quale maestro attendi ancora, per affidargli l'attuazione del tuo emendamento morale? Non sei più un ragazzo, ormai sei un uomo adulto. Se ora ti abbandoni alla trascuratezza, all'indolenza, e passi perennemente di proposito in proposito, e fissi sempre un'altra data per intraprendere la cura di te stesso, non ti renderai conto di non compiere alcun progresso, anzi non smetterai mai di essere un uomo comune, nemmeno al momento di morire. [2] A questo punto, perciò, giudicati degno di vivere come un uomo adulto sulla via del progresso morale: e sia per te una legge inviolabile tutto ciò che pare il meglio. E se ti si presenta una fatica, o un piacere, un onore o un disonore, ricorda che la prova è già in corso, che le Olimpiadi sono queste, e non è più possibile rimandare, e che il progresso morale si perde o si salva in un solo giorno e in una sola azione. [3] Così Socrate giunse alla sua sublime realizzazione, senza badare ad altro di ciò che gli si presentava, ma solo alla ragione. E tu, anche se non sei ancora Socrate, devi però vivere come chi desideri essere Socrate.

 

52. In filosofia il settore primo e il più necessario è l'applicazione dei principi; per esempio: non mentire. Il secondo sono le dimostrazioni; per esempio: perché non si deve mentire? Il terzo costituisce la conferma e la distinzione dei primi due: da dove deriva che questa sia una dimostrazione?, che cos'è una dimostrazione?, cos'è una conseguenza logica, una contraddizione?, e la verità, e il falso? [2] Il terzo settore, quindi, è necessario per il secondo, e il secondo per il primo; ma il più necessario, quello su cui dobbiamo soffermarci, rimane il primo. Invece noi facciamo il contrario: indugiamo sul terzo e tutto il nostro impegno ruota intorno a quello; mentre del primo ci disinteressiamo totalmente. Per questo da un lato pratichiamo la menzogna, dall'altro teniamo sottomano la dimostrazione che non si deve mentire.

 

53. Per ogni evenienza, tenere a disposizione i seguenti concetti:

«conducimi, Zeus, e anche tu, Destino,

alla meta che mi avete assegnata:

poiché vi seguirò senza indugio; o se anche, per viltà,

non volessi, non di meno vi seguirò».

[2] «Chi si è nobilmente conciliato con la necessità

per noi è saggio e conosce le cose divine».

[3] «Ebbene, Critone, se così piace agli dèi, così sia». [4] «Anito e Meleto possono uccidermi, certo, ma non possono farmi del male».