Una luce nel labirinto

Una luce nel labirinto
Non arrendersi mai.

una luce nel labirinto

una luce nel labirinto
Non sottomettersi mai.

sabato 24 aprile 2021

L' umanità deve ritrovare l'umanità.

L’umanità deve ritrovare l’umanità. Mercoledì 21 aprile 2021 l’umanità in quel d’Europa ha mostrato ancora una volta la sua disumanità. “ Niente è più disumano del chiudere la porta quando qualcuno ti chiede aiuto e ti implora di poter entrare. Abbiamo perso la bellezza di aprire le braccia verso chi ci corre incontro.” Anonimo 130 esseri umani sono stati lasciati morire nel mar Mediterraneo, altri 40 su un’altra imbarcazione sono dispersi. Nonostante Mrcc Italia, Rcc Malta, la Guardia Costiera libica, l’Unhcr, allertati da Alarm Phone, fossero a conoscenza della situazione di pericolo delle persone in mare, nessuno è intervenuto. Ancora una volta il sistema mostra lo spregio per la vita umana, che con parole altisonanti i suoi rappresentanti dicono di mettere al primo posto in ogni situazione. “ Quello che succede ogni giorno non trovatelo naturale. Di nulla sia detto “è naturale” in questi tempi di sanguinoso smarrimento, ordinato disordine, pianificato arbitrio, disumana umanità, così che nulla valga come cosa immutabile.” B. Brecht, L’eccezione e la regola. Mentre la produzione mondiale potrebbe soddisfare il doppio della popolazione del pianeta, assistiamo a due miliardi di persone sottoalimentate, 50 milioni di bambini che ogni anno muoiono d’inedia, condizioni di lavoro disumane e di vera schiavitù per milioni di esseri umani, non esclusi i bambini. Sempre più cresce la ricchezza di pochi e la miseria di molti. L’attuale sistema è privo di ogni umanità con il profitto sul trono e l’essere umano, che vive solo con la vendita del proprio cervello o delle proprie braccia, sotto il tallone di ferro. Gli esseri umani, che dentro il cuore e la mente hanno ancora il sentimento di umanità e di amore per la propria specie, devono mettere uno specchio nell’anima e lottare per far sì che ogni persona di qualsiasi razza, di qualsiasi colore della pelle, di qualsiasi nazione possa essere felice, uscendo dall’inferno del sistema attuale per andare a rivedere le stelle. “La finalità del carattere mercantile è il completo adattamento, in modo da apparire desiderabile in tutte le situazioni del mercato delle personalità. E le personalità del carattere mercantile neppure “hanno” un io (come pure l’avevano gli individui del diciannovesimo secolo) al quale aggrapparsi, che appartenga loro, che sia immutabile, perché devono continuamente mutare il proprio io in obbedienza al principio: «Io sono come voi mi desiderate» […] Costoro hanno scarso interesse (almeno a livello conscio) per questioni filosofiche o religiose, quali a esempio perché si vive e perché si procede in una direzione anziché in un’altra; hanno il loro io, grande e in continuo mutamento, ma nessuno di loro ha un sé, un nucleo, un sentimento di identità. La «crisi di identità» della società moderna è in realtà prodotta dal fatto che i suoi membri sono divenuti strumenti privi di un sé, la cui identità riposa sulla loro partecipazione alle aziende (o ad altre enormi burocrazie). Dove non si abbia un sé autentico, non può esservi identità” Erich Fromm, Avere o essere? Senza un’identità, l’individuo si svaluta, decade e muore. Dentro. Si diventa come carne all’ammasso, senza sentimenti. Se si vuole vivere una vita vera, che non sia solo esistenza, una vita che metta in risalto i sentimenti pìù profondi, le emozioni, i sogni, bisogna mettere in campo ogni energia fisica e mentale per giungere alla frontiera di un mondo nuovo dove ogni essere umano non sia solo una merce, ma una persona degna di vivere una vita che soddisfi ogni suo bisogno materiale e spirituale. La luce per uscire dal labirinto di disumanità del sistema attuale è nella conoscenza. “ Esiste un solo bene, la conoscenza, ed un solo male, l’ignoranza” Socrate

martedì 20 aprile 2021

In piedi Signori...

In piedi, Signori, davanti ad una Donna (William Shakespeare) Per tutte le violenze consumate su di Lei, per tutte le umiliazioni che ha subito, per il suo corpo che avete sfruttato, per la sua intelligenza che avete calpestato, per l'ignoranza in cui l'avete lasciata, per la libertà che le avete negato, per la bocca che le avete tappato, per le ali che le avete tagliato, per tutto questo: in piedi, Signori, davanti ad una Donna. E non bastasse questo, inchinatevi ogni volta che vi guarda l'anima, perché Lei la sa vedere, perché Lei sa farla cantare. In piedi, Signori, ogni volta che vi accarezza una mano, ogni volta che vi asciuga le lacrime come foste i suoi figli, e quando vi aspetta, anche se Lei vorrebbe correre. In piedi, sempre in piedi, miei Signori, quando entra nella stanza e suona l'amore e quando vi nasconde il dolore e la solitudine e il bisogno terribile di essere amata. Non provate ad allungare la vostra mano per aiutarla quando Lei crolla sotto il peso del mondo Non ha bisogno della vostra compassione. Ha bisogno che voi vi sediate in terra vicino a Lei e che aspettiate che il cuore calmi il battito, che la paura scompaia, che tutto il mondo riprenda a girare tranquillo. E sarà sempre Lei ad alzarsi per prima e a darvi la mano per tirarvi su in modo da avvicinarvi al cielo, in quel cielo alto dove la sua anima vive e da dove, Signori, non la strapperete mai.

giovedì 15 aprile 2021

Il dolce sapore del cielo. Un mondo nuovo per una nuova umanità.

“Oh, ma che trovo mai qua sotto… oro? Oro giallo, lucente, oro prezioso?… No, dèi, non formulo voti insinceri: radici ho chiesto solo, chiari cieli! Tant’oro come questo è sufficiente a fare nero il bianco, bello il brutto, giusto l’ingiusto, nobile il volgare, giovane il vecchio, vile il coraggioso. O dèi, perché? Che cos’è questo, o dèi? Questo allontanerà dai vostri altari i vostri preti e i vostri servitori, e strapperà l’origliere di sotto la testa dei malati ancora vigorosi. Questo giallo ribaldo cucirà insieme e romperà a vicenda ogni fede, renderà sacro l’empio, farà gradita l’aborrita lebbra, metterà i ladri nei posti migliori e darà loro titoli onorifici e inchini e generale approvazione dai senatori seduto a consesso. È lui che fa che l’avvizzita vedova si rimariti: lei, cui l’ospedale e l’ ulcerose piaghe in tutto il corpo fanno apparire cosa disgustosa, l’oro imbalsama, rende profumata e riconduce ai giorni dell’aprile. Vieni, vieni, metallo maledetto, tu, puttana di tutto l’uman genere, motivo di discordia tra le genti, saprò ben io quel che fare di te, in modo cònsono alla tua natura.” Shakespeare, Timone di Atene, atto IV, scena III. “L’oro è una cosa meravigliosa! Chi lo possiede e’ padrone di tutto quello che desidera. Con l’oro si può persino mandare le anime in paradiso!” Cristoforo Colombo, lettera dalla Giamaica. “…In verità per l’uomo nulla ha poteri così tristi e larghi come il denaro, che città devasta , uomini strappa alle loro case, istrutte le menti pure a concepir il male, le perverte e le muta, e del diritto indica il passo e l’esperienza schiude di ogni empietà.” Sofocle, Antigone. Il denaro, in quanto possiede la proprietà di comprar tutto, di appropriarsi di tutti gli oggetti, è dunque l' oggetto in senso eminente. L'universalità della sua proprietà costituisce l'onnipotenza del suo essere, esso è considerato, quindi come ente onnipotente...Il denaro è il mediatore fra il bisogno e l'oggetto, fra la vita e il mezzo di vita dell'uomo. Ma ciò che media a me la mia vita mi media anche l'esistenza degli altri uomini. Per me è questo l'altro uomo. (---) Tanto grande è la mia forza quanto grande è la forza del denaro. Le proprietà del denaro sono mie, di me suo possessore: le sue proprietà e forze essenziali. Ciò ch'io sono e posso non è dunque affatto determinato dalla mia individualità. Io sono brutto, ma posso comprarmi la più bella fra le donne. Dunque non sono brutto, in quanto l'effetto della bruttezza, il suo potere scoraggiante, è annullato dal denaro. Io sono, come individuo storpio, ma il denaro mi dà 24 gambe: non sono dunque storpio. Io sono un uomo malvagio, infame, senza coscienza, senza ingegno, ma il denaro è onorato, dunque lo è anche il suo possessore. Il denaro è il più grande dei beni, dunque il suo possessore è buono: il denaro mi dispensa dalla pena di esser disonesto, io sono, dunque, considerato onesto; io sono stupido, ma il denaro è la vera intelligenza di ogni cosa: come potrebbe essere stupido il suo possessore? Inoltre questo può comprarsi le persone intelligenti, e chi ha potere sulle persone intelligenti non è egli più intelligente dell'uomo intelligente? Io, che mediante il denaro posso tutto ciò che un cuore umano desidera, non possiedo io tutti i poteri umani? Il mio denaro non tramuta tutte le mie deficienze nel loro contrario? (---) Poichè il denaro, in quanto concetto esistente e attuale del valore, confonde e scambia tutte le cose, esso costituisce la generale confusione e inversione di ogni cosa, dunque il mondo sovvertito, la confusione e inversione di tutte le qualità naturali e umane. (---) Il denaro, questa astrazione vuota ed estraniata della proprietà, è stato fatto signore del mondo. L'uomo ha cessato di essere schiavo dell'uomo ed è diventato schiavo della cosa; il capovolgimento dei rapporti umani è compiuto; la servitù del moderno mondo di trafficanti, la venalità giunta a perfezione e divenuta universale è più disumana e più comprensiva della servitù della gleba dell'era feudale; la prostituzione è più immorale, più bestiale dello ius primae noctis . La dissoluzione dell'umanità in una massa di atomi isolati, che si respingono a vicenda, è già in sè l'annientamento di tutti gli interessi corporativi, nazionali e particolari ed è l'ultimo stadio necessario verso la libera autounificazione dell'umanità. K. Marx, Manoscritti economico filosofici . VENTICINQUE ANNI DOPO... 1° febbraio dell’anno 2028. «Nonna... nonna... nonna...! Vieni, Sharon si è svegliata e sta piangendo!». Giulia rientrò dal giardino in casa e corse verso la nipotina nella culla. La prese in braccio. «Sono qua Sharon... non piangere! Adesso ti preparo la pappa ». In quel momento un’auto entrò nel giardino e si fermò davanti al box. «È arrivato il nonno!» gridò Jonathan, mentre correva fuori verso Massimo. Il bambino saltò letteralmente in braccio all’uomo, che, felice, lo strinse a sé e lo baciò. «Ciao, Jonathan!». «Ciao, nonno!». Insieme, mano nella mano, entrarono in casa. «Ciao, Giulia!» disse l’uomo, rivolto alla donna, mentre la baciava sulla guancia. «Ciao, Massimo! Gli esami... tutto bene?». «Sì, tutto bene. Pare che sia in piena forma, tenendo conto dei miei ottant’anni». «Bene... Meglio così. Fernanda e John hanno telefonato, dicendo di essere all’aeroporto. Tra poco saranno qui. Tienimi un attimo Sharon, mentre le preparo la pappa. Poi iniziamo a prepararci per la festa. A mezzogiorno dobbiamo essere a Tor Vergata. Oggi sono venticinque anni del Mondo Nuovo e voglio proprio godermi questo grande giorno!». «Anch’io voglio godermi questo anniversario! Sharon, vieni dal nonno!». L’uomo prese in braccio la nipote e si accomodò sul divano, con accanto Jonathan. Pochi minuti dopo il cibo era pronto. «Dalla a me. Gliela faccio mangiare io» disse Massimo. La bambina mangiò con foga e dopo, sazia, sorrideva alle smorfie del nonno, che era felice di ridere e giocare con i suoi nipoti. Jonathan, di quattro anni, e Sharon, di un anno, erano i figli di Fernanda, la loro figlia, che era, ormai, nel ventiseiesimo anno di età, e di John Neale, della stessa età, newyorkese di nascita. Si erano conosciuti cinque anni prima a una conferenza sulla situazione climatica del pianeta a Parigi e si erano subito innamorati. Fernanda era Presidente del Consiglio dell’Europa, John era responsabile del Centro Europeo di Climatologia. La figlia di Giulia e Massimo era uno dei cinque Presidenti continentali. A livello superiore c’era il Consiglio Mondiale, di cui era Presidente Giulia e vicePresidente Massimo. Il Consiglio mondiale era composto da venti membri, quattro per continente, che rispondeva a un’assemblea di cento membri, venti per continente. La sede era a Roma. I Consigli continentali erano composti dallo stesso numero di persone, così come le assemblee e avevano la sede a Roma per l’Europa, a Pechino per l’Asia, a New York per l’America, a Sidney per l’Australia, a Il Cairo per l’Africa. C’erano poi i Consigli regionali, composti da dieci membri e con un’assemblea di cinquanta persone; i Consigli cittadini, composti con gli stessi criteri di quelli regionali, e nelle città, oltre i centomila abitanti, i Consigli di zona, composti da cinque persone con un’assemblea di venticinque persone. Tutti questi consessi elettivi avevano il compito di amministrare la nuova società con l’unico obiettivo di garantire benessere a tutti e godimento pieno della loro vita e dei beni prodotti. Coloro che venivano eletti a queste e altre responsabilità, all’interno della società, erano revocabili in qualsiasi momento. Avevano gli stessi diritti di ogni membro della società e gli stessi doveri. Dovevano perciò dare il loro contributo produttivo e dovevano partecipare alle ore di studio obbligatorio. La loro responsabilità era intesa come un servizio alla società e, chi accettava i vari incarichi, lo faceva per amore della dimensione sociale in cui viveva e per amore verso gli altri cittadini. Dedicava tanto tempo agli altri, ma era sempre uno di loro. La nuova società era basata sul concetto: “Da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo le sue necessità”. In venticinque anni era sorto un Mondo Nuovo, sempre sognato da ogni essere umano, che aveva seppellito le barbarie del passato. Ogni persona aveva un lavoro, a cui si doveva accedere compiuti i diciotto anni. Il tempo di lavoro era di due ore al giorno dal lunedì al venerdì. Si lavorava, quindi, dieci ore alla settimana. Due ore ancora della giornata erano dedite allo studio, sempre dal lunedì al venerdì. La nuova società voleva persone, che raggiungessero le più alte vette della conoscenza e dava molta importanza a essa, come fonte di sapere e di libertà. Dopo aver dedicato al lavoro e allo studio quattro ore totali della giornata, ognuno era libero di fare ciò che più gli piacesse. I lavori più alienanti e faticosi erano svolti dai robot, impostati per fare i compiti loro assegnati, che sembravano simili agli esseri umani, dialogavano come esseri umani, ma non lo erano. L’età lavorativa aveva termine a cinquant’anni per le donne e a cinquantacinque per gli uomini. Ogni cittadino era esonerato dal prestare lavoro e dal dedicarsi allo studio per sei settimane all’anno. In questo periodo di riposo poteva viaggiare, visitare ogni posto del mondo, soggiornare in ogni luogo, con la possibilità di usufruire di alloggi o dei Centri Alberghieri. La stessa cosa si poteva fare ogni giorno, svolti i compiti lavorativi e di studio, visto il livello di eccellenza dei trasporti, che permettevano, tramite i Celesti 120, aerei velocissimi, di raggiungere le località più lontane in pochissimo tempo. Il tipo di organizzazione economica e sociale permetteva poi di svolgere i propri compiti di lavoro e di studio in qualsiasi parte del mondo. Era possibile, quindi, per ogni cittadino, con un preavviso di una settimana, dare il proprio contributo sociale e di studio una settimana a Roma, una a Los Angeles, una a Mosca, una Sidney. In quarantasei settimane di lavoro ogni membro della società poteva visitare quarantasei posti diversi del mondo. La lingua non era più un problema. Le nuove generazioni parlavano tutte l’inglese, scelto, per la sua semplicità linguistica, come lingua ufficiale. Le vecchie lo avevano imparato molto velocemente, avendo la mente sgombra da ogni problema, in appositi corsi. Nella nuova società non c’era denaro. Non c’erano, quindi, stipendi, non c’erano banche, assicurazioni, non c’era niente di collegabile al “vil denaro”. Non c’erano più merci da vendere o da comprare, non vi erano, di conseguenza, prezzi, che determinavano il valore di una merce. La produzione era esclusivamente per il consumo, per soddisfare le necessità dei cittadini! L’essere umano e i suoi bisogni materiali e spirituali era stato messo al centro di ogni azione economica e sociale. Ogni persona doveva solo dare il suo contributo produttivo per ricevere tutto quello che a lei necessitava. D’altronde i beni prodotti erano di una tale quantità che ogni membro della società poteva usufruirne in abbondanza, anche oltre le necessità. I Centri produttivi avevano dei responsabili di centro e di settore. Costoro erano eletti dai lavoratori, che sceglievano chi ritenevano più capace di svolgere il compito. Lo Stato, che nei secoli, era stato sinonimo d’imposizione della volontà di pochi su molti si era andato, negli anni, sgretolando. Ormai era solo un ricordo! Un organo molto importante, a cui si accedeva per elezione revocabile, era l’Amministrazione sociale. Questa struttura era responsabile di gestire l’anagrafe della popolazione, la produzione e la distribuzione dei prodotti, i Centri ristoro, i Centri alberghieri, la sanità, la scuola e i trasporti. Era un organismo tecnico-organizzativo al servizio del bene comune e di ogni cittadino. L’Amministrazione sociale mondiale era strutturata con gradi di responsabilità cittadina, regionale, continentale, che rispondevano ai vari livelli dei Consigli. Tutto veniva gestito con strumenti altamente tecnologici e con l’ausilio di robot. Non ci si interessava di altro! I cittadini, dopo aver svolto il proprio lavoro produttivo e di studio, erano liberi! Non avevano imposizione su alcuna scelta individuale! Ognuno poteva scegliere di vivere la vita che più desiderava. Potevano unirsi con chi volevano e avere quanti figli sognassero. Nel periodo di maternità la donna era esonerata dal lavoro. Dopo la nascita del bambino il periodo di esonero era di un anno. Negli ultimi anni c’era stato un aumento delle unioni e delle nascite. Nel vecchio mondo un certo Edgar Lee Masters aveva detto: “In cielo non ci sono matrimoni, ma l’amore sì”. Nel cielo del Mondo Nuovo era proprio così, c’era tanto amore e si cercava sempre più l’amore grande, immenso. Le nascite aumentavano perché non c’era più il terrore del domani per sé e per i propri figli, ma solo serena fiducia in un futuro sempre più straordinario. Questo amore portava le persone ad avere un rapporto diverso dal passato, basato sull’affetto, sulla stima, sul rispetto. I Centri ristoro erano sempre pieni. Le persone volevano stare fuori casa, insieme agli altri, dialogare con loro, godere della compagnia. Le strade delle città non erano mai vuote e si respirava la gioia di vivere ogni minuto della propria vita in modo intenso. Si assisteva a canti, balli, voglia di essere felici! Avevano preso piede ultimamente in ogni area del globo le gare letterarie, che organizzavano gli stessi cittadini e che riempivano i palazzi dello sport. La gara consisteva in due sfidanti, che si facevano le domande l’un l’altro sull’intero scibile del sapere umano con un arbitro, che garantiva la giustezza o meno delle risposte. La sfida poteva durare molte ore ed era successo che alcune fossero durate giorni. Il vincitore si aggiudicava, soltanto, la soddisfazione del sapere. Poteva essere poi sfidato da chiunque lo volesse. Il Consiglio mondiale, vista la rapida diffusione di questo gioco letterario, stava pensando d’inserirlo nelle discipline sportive e di organizzare dei veri campionati a livello regionale, continentale, mondiale. Pensava anche d’inserirlo nelle discipline olimpioniche come prima gara a livello mentale in un insieme di discipline fisiche. Non che per la nuova società lo sport non fosse importante, visto che tutti, praticamente, erano divenuti sportivi praticanti, ma riteneva giusto dare spazio sia alla cura del corpo sia alla cura della mente. Per la nuova realtà sociale la salute del corpo era importante quanto quella della mente. Questa, per miliardi di persone, diveniva ogni giorno più importante nel momento in cui capivano che un corpo, seppure ben allenato, avrebbe potuto essere schiavo; una mente, invece, allenata al sapere non lo sarebbe stata mai. Il sistema sanitario era stato strutturato in modo da garantire a ogni cittadino livelli di difesa della salute eccellenti. “L’angelo custode” della salute dei cittadini era il “medico amico”, che aveva la responsabilità della salute di duecento persone. Ogni cinquemila persone c’era un centro diagnostico specialistico, chiamato Centro della salute, che garantiva visite specialistiche e diagnostiche, in stretto collegamento con il “medico amico”. Ogni venticinquemila cittadini c’era un ospedale con cinquecento posti letto, in stretto collegamento con il “medicoamico” e il Centro della salute. Gli ospedali e i centri, dall’esterno, non sembravano case di cura, ma dei residence con intorno tanto verde. Nella struttura ospedaliera c’erano stanze per accogliere i congiunti del malato, che, volendo, potevano usufruire anche dell’alimentazione. L’ospedale era un centro di cultura, di ricerca scientifica, di aggiornamento professionale continuo. Ogni cittadino era in questo modo attentamente seguito nella difesa della sua salute, avendo, oltretutto, l’obbligo di fare esami generali al suo fisico ogni sei mesi. Non c’erano liste di attesa e le visite specialistiche o eventuali ricoveri in ospedale avvenivano in giornata. Coloro che erano impossibilitati a muoversi ricevevano l’assistenza domiciliare giorno e notte. I più anziani non credevano ai loro occhi! Non avevano mai visto un’assistenza sanitaria di questo tipo! La scuola metteva al centro del suo obiettivo l’innalzamento della conoscenza umana. Dai due anni ai cinque anni i bambini frequentavano la scuola per l’infanzia, venendo dotati subito di un computer per apprenderne l’uso, dai cinque ai dieci la scuola primaria, dai dieci ai tredici la scuola secondaria, dai tredici ai diciotto la scuola terziaria. Queste fasi scolastiche erano obbligatorie, gli asili dalla nascita ai due anni erano facoltativi. La scuola, nelle sue varie fasi, aveva un orario complessivo di otto ore, dalle otto e trenta alle sedici e trenta dal lunedì al venerdì. Pranzo e merenda venivano consumati nel Centro ristoro scolastico. Era una palestra di apprendimento, ma anche di sport e di giochi. Era una palestra per far crescere la socialità di ogni individuo. Non esistevano compiti da fare a casa, tutto veniva svolto nelle otto ore. I programmi toccavano tutto lo scibile del sapere umano, senza nascondere nulla della storia dell’umanità, affinché ognuno con il suo sapere liberamente raggiungesse la verità. Non esistevano voti, né bocciature, né promozioni, eppure l’impegno degli studenti era massimo nel cercare di scoprire nella conoscenza le strade dell’amore e della libertà. Il compito degli insegnanti era quello di costruire persone libere nella conoscenza e nel sapere, persone con l’animo nobile, che arrivassero a conoscere bene anche se stessi e si dessero al prossimo con amore, con rispetto. Dopo i diciotto anni, iniziava il periodo lavorativo e ognuno sceglieva in quale ambito operare secondo i suoi desideri e secondo le sue attitudini. Questa scelta non era definitiva. Se qualcuno avesse espresso il desiderio di cambiare, avrebbe potuto. I trasporti erano al servizio della comunità e venivano organizzati in modo da servire le esigenze comuni in modo ottimale. Tutti i mezzi di trasporto pubblico o privato utilizzavano come carburante l’energia solare con batterie, che si ricaricavano in continuazione. La stessa energia solare era utilizzata per la produzione e per il riscaldamento delle abitazioni e degli uffici. Nel trasporto pubblico c’erano treni, aerei, elicotteri, bus. Erano tutti dotati di ogni conforto e garantivano un viaggio comodissimo. Le grandi città avevano reti estese di metropolitana, che in poco tempo collegavano le varie zone. Ogni persona poteva avere anche più di un’auto. L’Amministrazione non aveva posto limiti. Ma i più, stranamente, spesso preferivano il trasporto pubblico per la comodità, i tempi di percorrenza, la possibilità di stare insieme ad altre persone. La rete stradale e autostradale aveva avuto un forte incremento negli ultimi anni e aveva raggiunto livelli di collegamenti eccezionali. Ogni città aveva una tangenziale, in certi casi due, in altri tre, in altri ancora quattro. Il traffico era sempre scorrevole. Le strade cittadine erano state impostate in stile romano ed erano tutte costituite da grandi viali alberati. I semafori non esistevano più. Agli incroci vi erano solo rotonde con in mezzo coltivazioni di fiori, che le rendevano bellissime. Le città erano cambiate, così come pure i paesi. Non esistevano più case vecchie, brutte e fatiscenti. Non esistevano grattacieli. Erano rimasti solo i monumenti e abitazioni di valore storico, simboli di epoche trascorse. Le città erano composte tutte da villette singole con cinquecento metri di area verde intorno. In ogni zona erano state costruite delle grandi oasi verdi con dei laghetti artificiali al loro interno. Nelle stesse aree erano compresi campi da calcio, campi da tennis, piste ciclabili, isole ginniche, che ogni cittadino poteva utilizzare liberamente. In ogni area verde c’era un Centro ristoro. I più anziani erano strabiliati nel vedere le nuove città! Dai diciotto anni in poi ogni cittadino aveva diritto alla casa, oltre che al lavoro e all’auto. Poteva decidere di abitare da solo o con chi volesse. Per l’alimentazione, i vestiti, gli elettrodomestici e qualsiasi altro bene desiderato ogni cittadino poteva utilizzare i Centri di rifornimento, grandi strutture commerciali, poste intorno alle città. Gli anziani potevano ordinare i beni desiderati per telefono e ricevere la consegna a domicilio. Per lo più, però, le persone per l’alimentazione si recavano ai Centri ristoro, sparsi per le città, i paesi, lungo le autostrade e le strade più trafficate. Preferivano stare con gli altri, più che con se stessi! In questi centri i lavori di preparazione, di cottura, di servizio erano affidati ai robot, così come i lavori di pulizia. Ogni persona aveva in dotazione un robot, che si occupava di ogni tipo di lavoro domestico. Il Mondo Nuovo aveva liberato, finalmente, l’essere umano e, soprattutto le donne dal lavoro domestico, un’occupazione tra le più alienanti! Le persone, che decidevano di avere un rapporto e si mettevano insieme, non perdevano la loro casa. Se avevano dei figli, che, prendevano il cognome della madre e del padre, potevano tenerli in casa oppure, come dicevamo sopra, portarli all’asilo, prima che iniziasse il periodo scolastico obbligatorio. Fino ai quattordici anni, oltre gli orari quotidiani dell’asilo e delle scuole, c’era la possibilità di lasciare i figli, anche per alcuni giorni, nei Centri per l’infanzia. In caso di scelte di vita dei genitori non contemplanti un percorso comune della loro esistenza essi potevano scegliere di tenere i bambini o affidarli ai Centri per l’infanzia, i quali si prendevano cura con amore della loro vita. In qualsiasi momento comunque i genitori o un singolo genitore poteva riportare nella sua abitazione il proprio figlio. In caso di maternità indesiderata la donna era l’unica a poter decidere se accettarla o meno. Negli ultimi anni i casi di maternità indesiderata erano scomparsi. La nuova società difendeva la vita di ogni essere umano e dei bambini, in particolare, garantendo a tutti, in qualsiasi età, il presente e il futuro. La nascita di un bambino era sempre un momento di gioia, mai di dramma. La donna, al pari dell’uomo, assumeva sempre più nella società un ruolo attivo, responsabile e ambedue, seppur diversi fisiologicamente, si vedevano come esseri umani e parte attiva di una nuova realtà, che si stava costruendo per il bene di tutti. Nell’ultimo periodo la percentuale di anziani era diminuita, proprio grazie a un’ondata imponente di nascite. Costoro, dopo la pensione, dovevano continuare a frequentare le due ore giornaliere di studio. Il percorso della conoscenza non doveva mai essere abbandonato! A meno che non ci fosse qualche impedimento fisico o di salute. In ogni zona delle città, in ogni paese, c’erano tanti Centri del tempo libero, ove si organizzavano gite, serate gastronomiche, letterarie, teatrali, cinematografiche, di ballo. Questi luoghi erano sempre pieni di persone di qualsiasi età e anche di anziani. Gli anziani soli e malati erano seguiti da persone qualificate a rendere la loro vita meno dura nelle loro abitazioni. Gli ospizi erano stati aboliti, ritenendoli poco adatti a un percorso di vita sereno. Le arti e la cultura viaggiavano su livelli eccelsi. Era un fiorire di nuovi scrittori, nuovi poeti, nuovi pittori, nuovi scultori, nuovi autori di opere teatrali, cinematografiche, musicali! Tutte le opere degli artisti erano portati a conoscenza dei cittadini, che erano ansiosi e bramosi di scoprirle e godere delle emozioni, delle riflessioni, delle felicità di ogni prodotto artistico. D’altronde questo era l’obiettivo degli artisti: dare emozioni, riflessioni, felicità al fruitore dell’opera. I teatri, i cinema, le sale musicali, gli incontri letterari, le mostre artistiche vedevano sempre una massiccia partecipazione dei cittadini, che preferivano assistere a eventi dal vivo. La televisione aveva assunto un carattere informativo culturale. Non c’era più la pubblicità. Non c’era più nulla da vendere! C’erano programmi informativi, a carattere scientifico, musicali, teatrali, film, documentari, ma in casa si stava poco. Si preferiva stare insieme agli altri e partecipare agli eventi. L’informazione sia televisiva sia della carta stampata era basata sul racconto dei fatti, sulla conoscenza globale. L’obiettivo era di mettere ognuno in condizione di capire e di promuovere la crescita delle menti e dei cuori delle persone. L’informazione doveva formare i cittadini alla conoscenza non all’ignoranza. Nel Mondo Nuovo l’attività sportiva era ritenuta molto importante per la salute fisica e psichica delle persone di ogni età. Le città erano dotate di innumerevoli Centri dello sport, ove ognuno, fin da bambino, poteva avvicinarsi all’attività sportiva preferita. Tutte le persone facevano attività sportiva almeno tre volte alla settimana. Lo sport agonistico aveva campionati cittadini, regionali, continentali, mondiali. Veniva praticato in strutture coperte e climatizzate ed era molto seguito. Sia i protagonisti attivi dei vari sport sia gli spettatori vedevano la competizione più come espressione delle proprie qualità tecniche che come gara da vincere a ogni costo. Si partecipava per passione e voglia di provare piacere nell’essere protagonista o spettatore e un bel gesto tecnico, spesso, dava più emozione di una vittoria immeritata. Gli sportivi praticanti si dedicavano al loro sport preferito, dopo aver dato il loro contributo sociale e culturale alla comunità. Nella nuova società non si producevano armi e quelle che c’erano erano state distrutte. Non c’era un esercito e nemmeno un tipo di guardia qualsiasi. Ogni cittadino era responsabile della sua società. Molto importante era ritenuto il rapporto con la natura. Non si utilizzavano fonti di energia inquinanti, si curavano il territorio, i monti, i mari, i fiumi. La natura era amata e rispettata, come meritava. Ogni cittadino pensava che prendersi cura di essa era come prendersi cura di se stessi, perché l’essere umano non poteva fare a meno della natura. Il Mondo Nuovo aveva ricreato le basi di un rapporto uomo natura sereno, rispettoso, pieno di amore. L’essere umano nella nuova società progrediva ogni giorno di più in ogni campo. Il cancro era stato debellato, l’AIDS pure. Non esistevano più malattie mortali! Erano tutte curabili! La vita media era ormai di cento anni e le previsioni erano che sarebbe cresciuta al ritmo di due anni per anno. Nel 2053 sarebbe stata di centocinquant’anni! Non c’erano più morti sul lavoro, né per droga, né per alcool. Gli incidenti stradali erano molto rari e, quando accadevano, a causa di un materiale speciale, scoperto nel 2015, il Prolin, usato nella costruzione delle auto, non vi erano danni alle persone. Si moriva solo di morte naturale, praticamente! L’essere umano aveva trovato, finalmente, la sua vera dimensione, in cui esprimere il massimo di se stesso, libero di volare nello spazio dell’amore e della conoscenza! Il superamento di ogni bisogno, la conquista del cielo, sogno di ogni epoca umana era realtà. Coloro che avevano visto il passato ricordavano con terrore quell’epoca e la cancellavano subito dalla mente. Tanto forte era il crampo che prendeva lo stomaco! I nati nella nuova epoca, quando leggevano certi libri o vedevano certi film erano restii a credere che il mondo avesse visto realtà di quel tipo. Non osavano immaginare che esseri umani potessero utilizzare, come schiavi o finti liberi, altri esseri umani per avere dei miseri pezzi di carta o dei pezzi di materiale ferroso. Non osavano immaginare che tanta gente non avesse un lavoro, una casa; che tante persone non mangiassero abbastanza e altre morissero addirittura di fame; che i bambini morissero per mancanza di cibo. Non osavano immaginare che esseri umani uccidessero altri esseri umani per motivi futili e banali; che ci fossero le guerre; che si distruggessero con le bombe tesori millenari, testimoni della storia dell’umanità; che un liquido brutto e nero fosse così importante. Non osavano immaginare che donne e uomini vendessero il loro corpo e, a volte, anche la loro anima per apparire in televisione, sui giornali; che le persone non esprimessero quello che sentivano nei cuori, ma solo quello che conveniva ai loro interessi; che un organo, chiamato Stato, imponesse tasse e decidesse sulle scelte delle persone in tema di rapporti d’amore e di vita, decidesse il giusto e l’ingiusto; che si nascondesse la conoscenza e si diffondesse l’ignoranza; che un malato dovesse pagare per essere curato; che la scuola non insegnasse sapere, ma ideologie; che un laureato non trovasse occupazione; che non si lavorasse o si lavorasse a segmenti; che l’informazione fosse solo al servizio di chi godeva del Guadagno e nascondesse la verità; che chi produceva era povero e chi non produceva era ricco; che si andasse in pensione, ormai, vecchi, e, dopo una vita di lavoro, fosse dura tirare avanti; che non tutti avessero una casa e che le case fossero diverse da persona a persona; che chi praticasse sport non lo facesse per passione e piacere, ma per denaro; che la donna non fosse ritenuta pari all’uomo e vivesse una condizione, spesso, negativa; che si dovessero pagare i trasporti e che i mezzi fossero così carenti; che gli anziani fossero abbandonati al loro destino, perché, ormai, improduttivi. Non riuscivano a immaginare che ci fossero le armi; che ci fossero gli eserciti, la polizia, le guardie varie; che ci fossero le banche, le assicurazioni. Non riuscivano a immaginare una politica, fatta non per le esigenze comuni, ma per gli interessi di comitati d’affare e, anche, di bande criminali. Non riuscivano a immaginare che la stragrande maggioranza della popolazione, che viveva in condizioni precarie, non si ribellasse e, anzi, prendesse a modello proprio coloro, che avevano interesse a tenerli in quella situazione di sottomissione. I figli della nuova epoca non osavano credere, studiando la storia dell’umanità, che potessero essere esistiti periodi così bui e tristi per l’umanità! Quasi non volevano credere che l’umanità avesse dovuto aspettare fino al 1° febbraio dell’anno 2003 per aprire le porte della civiltà, dell’amore, della libertà, dell’uguaglianza, della fratellanza! *** Si sentì il rombo di un motore di un’auto provenire dal giardino della villa. Jonathan corse sulla veranda. «Mamma... papà... sono arrivati!». Scese le scale e corse loro incontro. Fernanda lo prese al volo in braccio. «Ciao, Jonathan!» disse la donna, mentre lo baciava. «Ciao, mamma!». «Ciao, Jonathan!» disse John, appena sceso dall’auto. Abbracciò e baciò, anche lui, il bambino e tutt’insieme, si avviarono verso l’ingresso dell’abitazione. «Sai mamma, il nonno mi ha parlato di Hitler e di Mussolini. Mamma... come erano cattivi? Hitler bruciava le persone!». «Oggi, per fortuna, non abbiamo più di questi problemi!» rispose Fernanda. Sulla veranda li attendevano Giulia e Massimo, che, appena furono vicini, abbracciarono e baciarono la donna e l’uomo, come se fossero due bambini. Per i genitori i figli non hanno età! Sharon dormiva nella culla nella stanza a fianco. «Tutto bene?» chiese poi Massimo ai due giovani. «Benissimo papà. Voi come state?» rispose Fernanda. «Anche noi benissimo!» disse il padre. «Se avete bisogno di qualcosa, fate pure, noi andiamo su a prepararci» esclamò Giulia. «Andate, io preparo un bel caffè per me e John... lo vuoi pure tu giusto...» disse la ragazza, rivolta al ragazzo». «Certo che lo voglio! Non si rifiuta un tuo caffè, visto che sei un’artista in questo campo» rispose John. Un pianto avvisò che la bambina era sveglia. Fernanda, John e Jonathan accorsero da lei. Sharon smise di piangere e sorrise, aveva riconosciuto la mamma e il papà! «Sharon, vieni... come sei bella...!» disse il papà prendendola in braccio. «Sharon... dammi un bacio» esclamò la mamma, prendendo la bambina dalle braccia dell’uomo. «Mamma... Papà... voglio andare sulla Luna!» disse il bambino. «Tra un po’ non ci saranno problemi. Potrai andare sulla Luna, su Marte e su Saturno. Forse anche su Plutone» rispose il padre. «Il nonno ha detto che il primo uomo che andò sulla luna è stato un certo Armstrong nel secolo scorso». «È così» disse John. «Ma perché il nonno non è mai andato sulla Luna?». «È una domanda che devi fare al nonno» rispose Fernanda. Il bambino non aspettò che Massimo tornasse, salì le scale, andò nella camera da letto dei nonni, dove Massimo stava vestendosi e, sorprendendo l’uomo chiese: «Nonno, perché non sei mai andato sulla Luna?». Massimo ancora sorpreso rispose: «Sulla Luna?». «Sì, tu non sei mai andato sulla Luna, come mai?». Il nonno sorrise. «Nel vecchio mondo le nuove scoperte non erano per tutti. Chi le scopriva ne diveniva proprietario. Se qualcuno avesse voluto visitare la Luna doveva pagare e io non avevo tanti soldi. Oltretutto avevo da fare sulla Terra». «Proprietario! Cosa significa questa parola?». «Il proprietario era colui che aveva il diritto di disporre di una proprietà, cioè di beni». «Come? Erano solo suoi?». «Sì, erano solo suoi». «Non era giusto». «Lo so. Ma era così». Mentre il nonno e il nipote parlavano, Giulia entrò nella stanza. Vide la scena, si commosse. Guardò il suo uomo e sentì il cuore stringersi per l’amore, che sentiva più forte di sempre verso Massimo. In un istante rivide il loro primo incontro casuale a Torino in una giornata di pioggia. Rivide quella notte di aprile indimenticabile! Ritornò con la mente agli anni bui, in cui erano stati lontani. Rivisse il dolore della lontananza e la gioia del ritrovarsi. Ricordò i suoi primi rapporti con l’associazione Mondo Nuovo, creata da Massimo per far alzare a ogni essere umano gli occhi oltre il cielo e dare all’umanità il sapore caldo della speranza. Ritornarono nella mente tanti momenti belli e meno piacevoli, quali il rapimento, il killer “Iena”, i giorni a Monte Serico, il rapimento di Fernanda, prima della conquista del cielo. Forse senza quell’uomo, ormai ottantenne, che parlava con tanto amore con il nipote, la sua vita non sarebbe stata la stessa! Pensò come fosse importante incontrare la persona giusta e saperlo capire. Come fosse importante saper scegliere per non pentirsi; saper sbagliare, ma saper tornare indietro. Come fosse importante amare, perché l’amore era la vera forza rigeneratrice di ogni essere umano e dell’intera umanità. Ricordò una bellissima poesia di Edward Estlin Cummings, le sue bellissime parole: Il tuo cuore lo porto con me, lo porto nel mio, non me divido mai. Dove vado io, vieni anche tu, mia amata. Qualsiasi cosa venga fatta da me, la fai anche tu, mia cara. Non temo il fato, perché il mio fato sei tu, mia dolce. Non voglio il mondo, perché il mio mondo, il più bello, il più vero sei tu. Questo è il nostro segreto profondo, radice di tutte le radici, germoglio di tutti i germogli, cielo dei cieli di un albero, chiamato vita, che cresce più alto di quanto l’anima spera. E la mente nasconde la meraviglia che le stelle separa, il tuo cuore esiste nel mio... Ecco il segreto più profondo, che nessuno conoscerà mai, radice delle radici, germoglio dei germogli, e cielo dei cieli di un albero chiamato vita, che cresce più alto di quanto l’anima possa sperare, più vivo di quanto la mente possa celare. Prendo il tuo cuore, lo porto con me... nel mio. Sentì il cuore quasi scoppiare nel guardare il suo grande uomo, il suo immenso amore. «Nonna, tu sei andata sulla Luna?». La domanda di Jonathan fece tornare Giulia al presente. «No, ma ci andremo tutti tra poco» rispose la donna. «Dai, Jonathan, andiamo giù. La nonna ci raggiunge subito» disse il nonno al nipote. Giulia rimase sola nella stanza. Si guardò allo specchio, guardò le sue rughe di donna di sessantasette anni e sorrise. “Con l’amore abbiamo conquistato il cielo! Con questo straordinario sentimento conquisteremo l’intero firmamento!” disse a se stessa la donna. Scese poi al piano di sotto, ove Massimo, Fernanda, John, Jonathan e Sharon erano in attesa per recarsi alla festa di Tor Vergata. Giulia, il suo uomo e il nipote salirono su un’auto. La figlia, John e Sharon su un’altra. Ambedue le auto si avviarono verso la periferia romana, ove milioni di persone attendevano la Fata e il Principe per dare il via ai festeggiamenti del venticinquesimo anniversario del Mondo Nuovo. La medesima cosa nella giornata sarebbe avvenuta in ogni parte del mondo. Miliardi di persone avrebbero festeggiato questo giorno bellissimo e straordinario come una sola mente e un solo cuore, consapevoli che l’umanità aveva, ormai, conquistato il cielo, sogno di ogni epoca, e che era dolce assaporare le cose belle che esso portava. Giuseppe Calocero, Il dolce sapore del cielo, cap.7

martedì 13 aprile 2021

ILO, Organizzazione mondiale del lavoro: " I sindacati in transizione".

CHAPITRE ACTRAV Ufficio per le attività dei lavoratori I sindacati in transizione Documento OIL ACTRAV Jelle Visser Organizzazione Internazionale del Lavoro Copyright © Organizzazione Internazionale del Lavoro 2020 Prima pubblicazione 2020 Le pubblicazioni dell’Ufficio Internazionale del Lavoro godono della protezione del diritto di autore in virtù del protocollo n. 2 della Convenzione universale per la protezione del diritto di autore. Si potranno tuttavia riprodurre brevi passaggi senza autorizzazione, alla condizione che venga menzionata la fonte. Ogni richiesta di autorizzazione di riproduzione o di traduzione va indirizzata a Publications du BIT (Droits et licenses), Bureau international du Travail, CH-1211 Genève 22, Svizzera, o tramite email a: rights@ilo.org. Tali richieste sono sempre gradite. Le biblioteche, istituzioni o altri utilizzatori registrati presso un organismo di gestione dei diritti di riproduzione possono eseguire copie conformemente alle condizioni e diritti concessi loro. Visitare il sito http://www.ifrro.org per individuare l’organismo responsabile della gestione dei diritti di riproduzione in ogni paese. I sindacati in transizione. Documento OIL/ACTRAV. Roma, Organizzazione Internazionale del Lavoro, settembre 2020. ISBN: 978-92-2-033712-7(pdf web) Edizione italiana a cura dell’Ufficio OIL per l’Italia e San Marino. Disponibile in inglese: Trade unions in the balance. ILO ACTRAV Working Paper, ISBN 978-92-2-134040-9 (pdf web), Ginevra 2019; in russo: Профсоюзы на распутье. Рабочий документ МОТ/ACTRAV, ISBN 978-92-2-032602-2 (pdf web), Mosca 2020. Le denominazioni usate nelle pubblicazioni dell’Ufficio Internazionale del Lavoro, che sono conformi alla prassi delle Nazioni Unite, e la presentazione dei dati che vi figurano non implicano l’espressione di opinione alcuna da parte dell’Ufficio Internazionale del Lavoro in merito allo stato giuridico di alcun paese, area o territorio, o delle sue autorità, o rispetto al tracciato delle relative frontiere. Gli articoli, studi e altri testi firmati sono pubblicati sotto la responsabilità dei loro autori senza che l’Ufficio Internazionale del Lavoro faccia proprie le opinioni che vi sono espresse. Qualsiasi riferimento a nomi di ditte, o prodotti, o procedimenti commerciali non implica alcun apprezzamento da parte dell’Ufficio Internazionale del Lavoro; di converso, la mancata menzione di una ditta, o prodotto, o procedimento commerciale non significa disapprovazione alcuna. Informazioni sulle pubblicazioni e sui prodotti elettronici dell’ILO sono disponibili sul sito http://www.ilo.org/publns Indice Indice 3 Prefazione 5 Sintesi 7 Introduzione: quale futuro per i sindacati? 9 I. Lo stato attuale dei sindacati e il futuro del lavoro 13 1 / Occupazione e lavoratori: quanti iscritti ai sindacati? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 ⏹ 1.1 Sviluppo economico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 ⏹ 1.2 I tassi di sindacalizzazione nel mondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 2 / Cambiamenti nella struttura dell’occupazione e nei posti di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . 17 ⏹ 2.1 La deindustrializzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 ⏹ 2.2 Lavoro o sindacati in declino? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 ⏹ 2.3 La digitalizzazione e il progresso tecnologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 ⏹ 2.4 Il disinteresse dei giovani? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 ⏹ 2.5 I sindacati nei servizi sociali e commerciali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 ⏹ 2.6 L’aumento dell’adesione sindacale femminile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 3 / I cambiamenti nei rapporti di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 ⏹ 3.1 La globalizzazione e le migrazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 ⏹ 3.2 Le migrazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 ⏹ 3.3 I lavoratori temporanei e a tempo parziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 ⏹ 3.4 I lavoratori in proprio e i lavoratori autonomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 ⏹ 3.5 Il lavoro e i sindacati nell’economia informale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 ⏹ 3.6 Il lavoro e i sindacati dell’economia delle piattaforme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 4 / In sintesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 II. Perché esistono diversi livelli di sindacalizzazione? 43 1 / Lo sviluppo economico e l’economia informale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 2 / La diversità etnica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 3 / La violazione dei diritti dei lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 4 / Garanzie istituzionali all’attività sindacale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 5 / Mancanza di garanzie istituzionali, frammentarietà e concorrenza sindacale . . . . . . . . . 49 III. Quattro possibili scenari 51 1 / Marginalizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 2 / Dualizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 3 / Sostituzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 4 / Rivitalizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 Conclusioni 63 Riferimenti bibliografici 65 Note 71 Prefazione Quest’anno ricorre il centesimo anniversario dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). Nel 2015, nell’ambito dei preparativi per il centenario, il Direttore Generale Guy Ryder1 ha lanciato l’iniziativa dedicata al “Futuro del lavoro”, che nasce dalla consapevolezza che il mondo del lavoro sta cambiando a un ritmo più rapido che mai, creando nuovi sfide per il lavoratori e le loro organizzazioni di tutto il mondo2. Nel giugno 2019, i costituenti tripartiti dell’Organizzazione, riunitisi nella centottesima sessione della Conferenza internazionale del lavoro, hanno adottato la “Dichiarazione del Centenario dell’OIL per il Futuro del Lavoro”, che guiderà il lavoro dell’Organizzazione e dei suoi costituenti negli anni a venire3. La Dichiarazione del Centenario sottolinea che il mondo del lavoro sta vivendo importanti cambiamenti guidati dalle innovazioni tecnologiche, dalla globalizzazione e dai cambiamenti demografici, ambientali e climatici, ma riconosce allo stesso tempo i progressi storici del mondo del lavoro degli ultimi cento anni. Essa ricorda inoltre le enormi sfide che siamo chiamati ad affrontare, come il persistere della povertà, le disuguaglianze, le ingiustizie, i conflitti, i disastri naturali e altre emergenze umanitarie che influenzano il mondo del lavoro di oggi e costituiscono una minaccia per quello di domani. La Dichiarazione ribadisce l’urgenza di agire per un futuro del lavoro più equo, inclusivo e sicuro, che possa garantire una piena occupazione produttiva e liberamente scelta e un lavoro dignitoso per tutti. La Dichiarazione del Centenario invita l’OIL a rafforzare il suo impegno a favore della giustizia sociale e a promuovere il suo approccio sul futuro del lavoro incentrato sulla persona, che pone i diritti e i bisogni dei lavoratori e le aspirazioni e i diritti di tutte le persone al centro delle politiche economiche, sociali e ambientali. La Dichiarazione pone l’accento inoltre sull’importanza del multilateralismo e della coerenza delle politiche all’interno del sistema multilaterale. Il rispetto di tutti i principi e i diritti fondamentali del lavoro, inclusi la libertà di associazione e il diritto alla contrattazione collettiva, è un pilastro dell’OIL ed è fondamentale per un efficace processo decisionale e politico. In un mondo del lavoro in continua evoluzione, un dialogo sociale forte, efficace e inclusivo è e sarà fondamentale per costruire il mondo del lavoro che vogliamo. Le norme internazionali del lavoro sono un altro pilastro dell’Organizzazione internazionale del lavoro. La Dichiarazione del Centenario riafferma l’importanza della definizione, promozione, ratifica e supervisione delle norme internazionali del lavoro. È in occasione della centottesima sessione della Conferenza internazionale del lavoro che i costituenti tripartiti dell’OIL hanno adottato una nuova Convenzione, integrata da una Raccomandazione, sulla violenza e le molestie nel mondo del lavoro. In quanto organizzazione tripartita, gli Stati membri e le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro contribuiscono al successo del lavoro dell’Organizzazione. La Dichiarazione invita l’OIL a rafforzare la capacità dei suoi costituenti tripartiti, in primo luogo promuovendo la creazione di organizzazioni delle parti sociali solide e rappresentative. I sindacati sono chiamati ad affrontare enormi sfide. È difficile impegnarsi nell’attività sindacale oggi. Le violazioni dei diritti sindacali sono all’ordine del giorno. Il progresso tecnologico e i cambiamenti economici influenzano la natura e la tipologia dei posti di lavoro, e di conseguenza anche la capacità di organizzare e rappresentare i lavoratori tanto nel Nord quanto nel Sud del mondo. È in quest’ottica che i sindacati devono rivedere le loro strategie organizzative e di rappresentanza. Ma come rafforzare i rapporti di lavoro garantendo al contempo ai lavoratori un’adeguata protezione, salari dignitosi e il rispetto delle misure di salute e sicurezza sul posto di lavoro? È necessario che i sindacati garantiscano protezione e rappresentanza anche a nuove categorie di lavoratori, come i lavoratori atipici e informali. Si pensi ad esempio agli addetti alle consegne di Deliveroo e di Uber. Altro aspetto importante è attirare i giovani all’interno dei sindacati, integrandoli nella loro struttura di governance. Infine, sebbene siano stati compiuti molti progressi in termini di uguaglianza di genere, c’è ancora molto da fare per garantire parità di opportunità, partecipazione, trattamento e remunerazione. 6 PREFAZIONE Cosa si può imparare dall’attuale esperienza per assicurare a tutti i lavoratori l’accesso alla formazione permanente, per facilitare le loro transizioni lavorative e per garantire a tutti un’adeguata protezione sociale? Come estendere l’ambito d’azione dei sindacati alle questioni socioeconomiche e ambientali che riguardano il mondo del lavoro, ad esempio con riferimento a politiche commerciali, industriali o macroeconomiche o nell’ambito degli Obiettivi di sviluppo sostenibile? E come replicare e potenziare strategie sindacali innovative e di successo per influenzare il processo decisionale e il comportamento sostenibile delle imprese in un’economia globalizzata? La discussione sul “Futuro del lavoro” dell’OIL rappresenta un’importante opportunità per tutti noi per costruire il futuro che vogliamo, mettendo la dignità dei lavoratori al centro del dibattito. Per raggiungere quest’obiettivo è fondamentale che i sindacati siano solidi e rappresentativi e partecipino in maniera attiva al processo decisionale dando voce alle esigenze dei lavoratori. È in occasione del Centenario dell’OIL che l’Ufficio per le attività dei lavoratori (ACTRAV) dell’Organizzazione ha commissionato al Prof. Jelle Visser dell’Università di Amsterdam la ricerca intitolata “I sindacati a un bivio” per esaminare lo stato attuale dei sindacati nel mondo. Il Prof. Visser esplora il modo in cui è cambiata l’adesione sindacale in tutto il mondo negli ultimi decenni, sullo sfondo di importanti cambiamenti nell’economia e nel mercato del lavoro. Il documento suggerisce anche quattro scenari, audaci ma ugualmente realistici, sul futuro dei sindacati: emarginazione, dualizzazione, sostituzione e rivitalizzazione. Il futuro potrà dire quale dei quattro scenari si concretizzerà. Sono infinitamente grata al Prof. Jelle Visser per questo eccellente lavoro e per la sua collaborazione. Invito i sindacati, i responsabili delle politiche e altri attori coinvolti a leggere questo interessante lavoro sullo stato del movimento sindacale e sugli scenari del sindacalismo nel futuro mondo del lavoro. Maria Helena André Direttrice dell’Ufficio dell’OIL per le attività dei lavoratori (ACTRAV) Sintesi Il mondo del lavoro sta cambiando rapidamente. Il declino dell’occupazione nel settore manifatturiero, lo sviluppo di forme di lavoro flessibili e atipiche e dell’economia informale, i cambiamenti delle normative e dei comportamenti in materia di lavoro e le limitazioni e violazioni dei diritti sindacali hanno causato un netto calo dei tassi di sindacalizzazione nella maggior parte dei paesi del mondo. I rapporti di lavoro del ventunesimo secolo sono caratterizzati da una “nuova instabilità del lavoro”, che ha significative ripercussioni sulle attività sindacali di tutti i paesi. In questo contesto, i sindacati sono chiamati ad affrontare due sfide: l’economia digitale e il modo in cui trasforma il lavoro e i rapporti lavorativi, così come il divario sociale tra i lavoratori con occupazioni stabili e retribuite da una parte e le persone senza occupazione, i lavoratori instabili, mal pagati e precari dall’altra. La prima parte di questa ricerca descrive l’attuale “stato dei sindacati” e l’andamento dei livelli di sindacalizzazione dei lavoratori in 18 regioni di Africa, America, Asia ed Europa dal 2000. Questa analisi si basa su recenti dati trasversali e longitudinali, considerati in relazione ai cambiamenti del settore economico e del mercato del lavoro, quali sviluppo economico, progresso tecnologico, deindustrializzazione, globalizzazione, migrazioni, cambiamenti politici e delle norme del lavoro. L’analisi si concentra tanto sui livelli di adesione sindacale quanto sui cambiamenti nella composizione dei sindacati stessi. Nella seconda parte si cercherà di valutare in che modo determinati fattori — alcuni esterni altri interni al mondo sindacale — influiscono sui livelli di sindacalizzazione: i livelli salariali e la quota dell’agricoltura o dell’industria, la dimensione dell’economia informale, la diversità etnica e i conflitti, le violazioni dei diritti del lavoro, le istituzioni della contrattazione collettiva e dei rapporti di lavoro e la frammentarietà del movimento sindacale. Il documento si conclude con l’analisi di quattro possibili scenari sul futuro dei sindacati: la marginalizzazione, dovuta al proseguimento delle attuali tendenze di calo dei tassi di sindacalizzazione e di invecchiamento dei sindacati; la dualizzazione dei sindacati, i quali, di fronte a una situazione di maggiore instabilità del lavoro e di riduzione della protezione istituzionale, concentrano le loro risorse, tuttavia anch’esse in calo, nella difesa dei loro membri tradizionali, a scapito dei lavoratori atipici e di chi è solitamente escluso dalla rappresentanza sindacale; la sostituzione dei sindacati con altre forme di azione e protezione sociale garantite dai datori di lavoro, dalle autorità, dalle agenzie di intermediazione, dalle ONG o dai movimenti sociali emergenti; e infine la rivitalizzazione, basata sull’adozione di nuove politiche e sulla creazione di alleanze in grado di rafforzare il ruolo dei sindacati per dare spazio alla “nuova forza lavoro instabile” dell’economia digitale. Introduzione: quale futuro per i sindacati? Cosa possiamo aspettarci dai sindacati e cosa possono aspettarsi i sindacati stessi per i prossimi dieci o venti anni4? Continueranno a essere grandi organizzazioni associative in grado di rappresentare la diversità del mondo del lavoro di oggi o si limiteranno a rappresentare una piccola minoranza di lavoratori? Il declino degli ultimi decenni è destinato a continuare oppure i sindacati riusciranno a reinventarsi nell’era digitale riaffermando la loro influenza sulle relazioni sindacali che ha caratterizzato l’era industriale? Il futuro dei sindacati è altamente incerto. Sulla base di questa consapevolezza, in particolare “la preoccupazione che i cambiamenti del mondo del lavoro si stanno discostando dall’obiettivo della giustizia sociale5”, è stata lanciata dall’OIL l’iniziativa del Centenario sul Futuro del lavoro. Il calo dell’occupazione nel settore manifatturiero e la nascita di nuove forme di lavoro flessibili e atipiche (non standard) attraverso il subappalto e l’esternalizzazione in gran parte del mondo sviluppato, nonché l’espansione dell’economia informale nei paesi in via di sviluppo, hanno provocato una contrazione dei tassi di sindacalizzazione in quasi tutti i paesi del mondo. La copertura della contrattazione collettiva in molte parti del mondo è pericolosamente bassa e in continuo calo (Visser, Hayter e Gammarino, 2015). Una “nuova instabilità del lavoro” caratterizza i rapporti di lavoro del XXI secolo, “compromettendo i regimi normativi che hanno organizzato e governato i mercati e i rapporti di lavoro per gran parte del XX secolo” (Stone e Arthurs, 2013). Ciò è dovuto principalmente ai cambiamenti nel commercio internazionale, nei flussi migratori, nella struttura industriale, nel comportamento e nelle politiche delle imprese. In questo contesto, i sindacati devono affrontare due principali sfide: l’avanzata dell’economia digitale e il divario sociale tra i lavoratori stabili e retribuiti da una parte e i disoccupati e i lavoratori instabili, mal pagati e precari dall’altra. L’intelligenza artificiale e la robotica possono creare e allo stesso tempo distruggere posti di lavoro, ma dal punto di vista dei sindacati, sono i posti di lavoro sbagliati quelli a essere distrutti. Le attuali statistiche sull’occupazione, che riflettono la prima fase della “rivoluzione digitale”, indicano un calo dei posti di lavoro nelle posizioni intermedie dei settori manifatturieri, nonché dei posti di lavoro qualificati e semi-qualificati nel settore industriale — proprio i posti di lavoro che storicamente i sindacati hanno contribuito a rafforzare e che sono stati la principale roccaforte del loro potere e della loro influenza nella politica e nei rapporti di lavoro. Siamo ancora lontani dal sostuire insegnanti e personale addetto all’assistenza con computer e robot, ma questa tendenza potrebbe presto cambiare, mettendo in pericolo l’esistenza di un’altra categoria di lavoratori altamente sindacalizzati. La crisi delle fasce intermedie del mercato del lavoro rende ancora più urgente un rafforzamento del ruolo dei sindacati nelle fasce superiori e inferiori. Inoltre, l’economia delle piattaforme, ancora agli esordi ma in rapida espansione, compromette la principale attività dei sindacati, ossia la definizione delle condizioni di lavoro attraverso la contrattazione collettiva e la gestione dei conflitti. Le nuove tecnologie digitali contribuiscono alla riduzione dei costi di transazione, cosa impensabile fino a pochi anni fa, venendo meno i presupposti dell’esistenza delle imprese, dei datori di lavoro e dei rapporti di lavoro stessi (Coase, 1937). Le piattaforme digitali possono così spingere i processi di decentramento, networking, outsourcing, subappalto e suddivisione del lavoro in singole prestazioni o “gig” (lavoretto) verso una nuova frontiera, dove tutto ciò che rimane dell’impresa è semplicemente una tecnica di profitto. Questa tecnica, basata sull’uso di piattaforme o applicazioni, consente ai clienti di richiedere online prodotti o servizi e ai lavoratori di rispondere a tali richieste accettando, svolgendo, consegnando e ricevendo il relativo pagamento per il lavoro svolto, tutto ciò al di fuori delle tradizionali strutture e delle disposizioni definite dalla normativa in materia di lavoro e sicurezza sociale e dai contratti collettivi. Questo modello di business può essere applicato a qualsiasi tipo di attività, locale o mondiale, generale o specializzata, in una varietà di settori, quali: trasporti, servizi di consegna e lavanderia, formazione personale, riparazioni, montaggio di mobili e cucine, editing, progettazione grafica, fotografia, 10 INTRODUZIONE: QUALE FUTURO PER I SINDACATI? lezioni, visite guidate, traduzioni e cucina (Todolí-Signes, 2017). Per certi versi, ricorda il vecchio sistema di contrattazione di lavoro a domicilio del primo capitalismo, ma ora aggiornato con l’uso di strumenti digitali di supervisione del lavoro (Finkin, 2017). Poiché questo modello non prevede lavoratori dipendenti in senso tradizionale, la domanda è: esisteranno ancora i sindacati? E se si, in che modo riusciranno a essere influenti e garantire protezione sociale? Riferendosi al mercato del lavoro degli Stati Uniti intorno al 1980, Freeman e Medoff (1984) hanno scritto che i sindacati, negoziando salari, orari di lavoro, garanzia del lavoro e benefici accessori, oltre a influire sulla produttività e la partecipazione dei lavoratori, “trasformano quasi ogni… aspetto misurabile dei luoghi di lavoro e delle imprese”. L’arma principale dei sindacati è la minaccia di uno sciopero o il ricorso ad altre forme di protesta, come lo sciopero bianco. Ma se il lavoro non si svolge più nelle imprese e nelle industrie, intese come le entità legali, sociali e fisiche in cui i lavoratori interagiscono, condividono esperienze comuni, rivendicano i propri diritti e agiscono in maniera collettiva, i sindacati avranno lo stesso ruolo? Nelle economie avanzate, si tratta di un problema del tutto nuovo, mentre nei paesi in via di sviluppo, dove la maggior parte del lavoro è precario e si svolge al di fuori delle imprese formalmente registrate, questo problema esiste già da tempo (Breman, 2010). Sono questioni che mettono in gioco l’esistenza stessa dei sindacati. Il rischio è che nel mercato globale, le reti digitali indeboliranno le leggi esistenti in materia di lavoro e sicurezza sociale, aggiungendo una nuova dimensione alle offerte al ribasso delle catene di fornitura globali. Tuttavia, la visione secondo cui l’esistenza dei sindacati è a rischio sembra quasi essessivamente pessimista se guardiamo al secolo di storia di successo del sindacalismo e di sviluppo del diritto del lavoro. I sindacati sono ancora oggi tra le più grandi organizzazioni del mondo. Le statistiche attuali, relative a 150 paesi, contano fino a 519 milioni di iscritti ai sindacati, 214 milioni se si esclude la Cina e pochi altri paesi dove non è riconosciuta ai lavoratori la libertà di aderire a un sindacato di loro scelta. La Confederazione sindacale internazionale (CSI) conta 207,5 milioni di iscritti di 331 organizzazioni affiliate sparse in 163 paesi e territori6. Secondo questi dati, non si può dire che si tratti di un movimento di piccole dimensioni o inesorabilmente in decadenza. Eppure, da qualche tempo, i tassi di sindacalizzazione stanno puntando nella direzione sbagliata e “non è certo se in futuro si assisterà a una ripresa dalla crisi del sindacalismo o al mantenimento dello status quo dei sindacati” (Avdagic e Baccaro, 2016). Si prospettano quattro possibili scenari: 1) Emarginazione: proseguendo con i trend attuali, caratterizzati da un calo della partecipazione sindacale e dal declino del potere e dell’influenza dei sindacati nei mercati del lavoro emergenti, si andrà incontro a una graduale emarginazione dei sindacati stessi. Questo può essere interpretato come il risultato di un processo di liberalizzazione dei movimenti e di svincolo del capitale dalla sua dipendenza dal lavoro, dagli stati nazionali e dagli obblighi internazionali. 2) Dualizzazione: invece di deteriorarsi lentamente, i sindacati difenderanno le loro posizioni e resisteranno negli ambiti in cui sono attualmente maggiormente radicati (nelle grandi imprese, tra i lavoratori qualificati e gli operai del settore industriale e della logistica, tra i professionisti del settore pubblico e dei servizi sociali). Considerata la crescente instabilità del lavoro, ciò porterà a un divario sempre più netto tra le imprese sindacalizzate e quelle non sindacalizzate, dove le seconde prevarranno sulle prime. 3) Sostituzione: i sindacati lasceranno gradualmente il posto ad altre forme di azione e di rappresentanza sociale previste dalla legge (garanzie sui salari minimi, commissioni salariali, comitati aziendali, comitati di produttività, organi arbitrali e di revisione), promosse dai datori di lavoro (coinvolgimento dei lavoratori, codici etici, modelli di partecipazione e di condivisione) da parte di intermediari (studi legali, agenzie di intermediazione del lavoro, uffici di consulenza) e nate da forme più o meno volontarie e sistematiche di azione sociale. 4) Rivitalizzazione: i sindacati troveranno un modo per rinnovare le pratiche sindacali, invertire l’attuale tendenza, reinventarsi, estendere il loro ambito d’azione e garantire protezione e rappresentanza alla “nuova forza lavoro instabile” dell’economia digitale. Il primo e il terzo scenario sono in una certa misura affini a quanto previsto dal quadro unitario di riferimento dei rapporti di lavoro e della gestione delle risorse umane, ossia il progressivo declino dei sindacati “esterni”, come conseguenza del rafforzamento delle funzioni dei dirigenti di armonizzazione aziendale e di consolidamento della fiducia. Allo stesso tempo, sono in linea con le teorie ortodosse di matrice liberista che presuppongono lavoratori istruiti e pienamente informati che non necessitano di contrattazione e rappresentanza collettiva. Questa visione tuttavia non trova conferma nella vita e nel lavoro di molti lavoratori nell’attuale contesto capitalista. Il secondo e il quarto scenario presuppongono entrambi non solo la necessità, ma anche l’esistenza di un contropotere sotto forma di azione collettiva da parte dei lavoratori, seppure su basi completamente diverse. Il secondo scenario prevede che i sindacati continueranno a concentrarsi sui gruppi che godono già di tutele sindacali, a discapito di quelli più deboli che, pur essendo difficili da integrare nelle strutture sindacali, beneficerebbero maggiormente della protezione e della 11 rappresentanza collettiva (Crouch, 1982). Infine il quarto scenario prevede la rinascita dei sindacati e un’inversione dell’attuale tendenza di declino, attraverso un processo di rinnovamento del movimento sindacale e, in particolare, attraverso politiche, istituzioni e alleanze che favoriscano l’inclusione dei gruppi più deboli e precari del mondo del lavoro. Questo lavoro si articola in tre parti. La prima parte descrive l’attuale “stato dei sindacati”, analizzando, sulla base di recenti dati trasversali e longitudinali, l’andamento dell’appartenenza sindacale e dei tassi di sindacalizzazione in relazione ai cambiamenti del settore economico e del mercato del lavoro. L’analisi si concentra tanto sui livelli di adesione sindacale quanto sulla composizione dei sindacati stessi. La seconda parte cerca di valutare l’influenza di vari fattori — alcuni esterni, altri di interni al mondo sindacale stesso — sui tassi di sindacalizzazione: i livelli di reddito e la quota dell’agricoltura o dell’industria; la dimensione dell’economia informale; la diversità etnica e i conflitti; le violazioni dei diritti dei lavoratori; le istituzioni della contrattazione collettiva e delle relazioni sindacali e la frammentarietà dei sindacati. La terza parte si conclude con l’analisi di quattro scenari per il futuro dei sindacati — emarginazione, dualizzazione, sostituzione e rivitalizzazione — per ciascuno dei quali sono approfonditi gli argomenti a favore e contro. I sindacati sono analizzati secondo due parametri, ossia l’adesione e la rappresentanza. I sindacati e il sindacalismo sono qualcosa di più della semplice appartenenza e sarebbe sbagliato ridurre il potere sindacale di un determinato paese, settore o impresa alla quota dei lavoratori che aderiscono a un sindacato. I sindacati si differenziano tra di loro per diversi aspetti: i mezzi attraverso cui mobilitano la forza lavoro, le garanzie che offrono ai lavoratori e quello che chiedono in cambio, il modo in cui cooperano tra loro e con altri attori sociali, economici o politici, il loro potere contrattuale nei confronti dei datori di lavoro, le modalità di rappresentanza dei lavoratori sul posto di lavoro e nell’economia in generale, la capacità di partecipare e influenzare le politiche e, non da ultimo, lo status giuridico. I criteri di rappresentanza e riconoscimento, utilizzati per determinare la giurisdizione del diritto alla contrattazione collettiva, nonché l’attribuzione di seggi nei comitati aziendali, nei comitati di sicurezza sociale o nei consigli tripartiti, variano significativamente da paese a paese, così come nel corso del tempo. Oltre all’adesione sindacale, sarebbe utile considerare anche i dati elettorali e l’opinione pubblica, nonché la capacità dei sindacati di mobilitare i propri membri e indire degli scioperi. Tuttavia, l’adesione rimane la caratteristica fondamentale di un’organizzazione basata su un’appartenenza volontaria come il sindacato ed è il modo migliore per garantire l’indipendenza da altre forze e attori a livello sociale, per vincere elezioni e dare voce ai lavoratori in scioperi e proteste. Se non avessero dei membri, infatti, i sindacati dovrebbero ottenere finanziamenti da altre fonti (partiti, governi, contribuenti, datori di lavoro, sostenitori, ONG), e ciò comprometterebbe la loro indipendenza. (Rosanvallon, 1988). Non importa quanto accurata sia stata la raccolta di dati e quanto questi siano affidabili e comparabili. Il confronto tra i tassi di sindacalizzazione rimane soggetto all’interpretazione. Confrontando i tassi di adesione sindacale nel corso del tempo all’interno della stessa unità di misura (paese, settore, azienda), salti rapidi e significativi indicano dei cambiamenti nella struttura sottostante. Allo stesso tempo, il confronto tra i tassi di sindacalizzazione di vari paesi va effettuato con cautela, poiché ciascun paese ha norme e procedure diverse: alcuni paesi, ad esempio, negano il diritto di associazione ai funzionari pubblici, ai militari, alle forze dell’ordine, ai lavoratori delle piccole imprese, ai lavoratori autonomi, ai migranti e ai lavoratori stranieri. Una delle questioni affrontate in questo lavoro è, infatti, la rappresentanza sindacale di lavoratori autonomi, stranieri e migranti. Infine, analizzando se e come i sindacati rappresentano i lavoratori della “nuova economia instabile” dell’era digitale, non si deve perdere di vista qual è il loro obiettivo principale. Tale concetto è stato espresso in maniera estremamente chiara in un documento della Federazione olandese dei sindacati (FNV) sul rinnovamento delle organizzazioni sindacali: I sindacati agiscono per conto di un gruppo privilegiato di lavoratori già iscritti o cercano di coinvolgere nuovi gruppi di lavoratori? Danno priorità alla crescita dell’occupazione rispetto alle questioni ambientali o sostengono una crescita sostenibile? Hanno procedure decisionali trasparenti e democratiche o le decisioni sono prese dietro le quinte? Lottano davvero per la parità dei diritti o questo è un obiettivo puramente simbolico? Coinvolgono attivamente i loro membri o li considerano dei consumatori passivi? (Kloosterboer, 2007) È nello spirito di queste domande che è stata condotta questa indagine. I. Lo stato attuale dei sindacati e il futuro del lavoro Il lavoro e l’occupazione sono fondamentali tanto per gli individui quanto per le società7. La partecipazione al mercato del lavoro apre la strada a nuove opportunità per uomini e donne e facilita l’adesione sindacale. Il lavoro retribuito contribuisce alla realizzazione di importanti bisogni dell’uomo in termini di miglioramento lavorativo, libertà di azione, sviluppo delle competenze e autodeterminazione, ricompensa, riconoscimento e autostima, nonché di partecipazione a reti sociali più ampie, quali i sindacati, che possono fornire sostegno e senso di appartenenza. L’esclusione dal lavoro retribuito e la precarietà lavorativa sono una minaccia per la salute e il benessere dell’uomo. Sono tre le principali domande che si pongono i sindacati. Ci sarà abbastanza lavoro per tutti? Quali lavori sostituiranno quelli in declino — e questi nuovi lavori saranno adeguati in termini di retribuzione, sviluppo delle competenze, riconoscimento e diritti? In che modo il progresso tecnologico e i cambiamenti nell’organizzazione del lavoro incideranno sui diritti dei lavoratori e i rapporti di lavoro? Le risposte a queste domande non sono ovvie, in quanto dipendono in una certa misura dalle scelte politiche e dalle strategie sindacali. Osservando la prima fase della digitalizzazione, al momento non si può parlare di una “fine del lavoro”, ma le cose potrebbero cambiare in futuro. La distribuzione del lavoro nelle sue molteplici forme (quotidiana, annuale, permanente, combinata con altre attività, quali l’apprendimento) rimarrà una certezza, ma richiederà allo stesso tempo nuove riflessioni e nuovi approcci relativamente al reddito e alla sicurezza sociale. D’altra parte, quello che possiamo affermare con certezza è che lavorare per un lungo periodo nello stesso luogo di lavoro o nella stessa azienda sarò sempre più raro, come pure lo sarà il lavoro basato sull’apprendimento di una modalità di lavoro applicabile nel lungo termine. Inoltre, a causa della digitalizzazione, alcuni lavori qualificati o semi-qualificati potrebbero scomparire, soprattutto quelli a medio reddito. Questo avrà importanti ripercussioni sui livelli di adesione sindacale. Infine, molti cambiamenti nei rapporti di lavoro dipendono dallo sviluppo dei mercati delle piattaforme digitali, in cui manca una chiara definizione dei salari, dell’orario di lavoro, dei diritti e degli obblighi, tanto rispetto allo status di “dipendente” quanto a quello di “datore di lavoro”. Tutto ciò costituisce un problema per il mondo politico, per il diritto del lavoro e per i sindacati, aggiungendosi ai problemi causati dallo sviluppo del lavoro flessibile e, in molte parti del mondo, del lavoro informale. In breve, la digitalizzazione rappresenta una sfida per i sindacati — non tanto in termini di quantità, quanto piuttosto di qualità dei posti di lavoro — che incide sui diritti e i salari dei lavoratori. Questa sezione sullo “stato dei sindacati” è organizzata in tre parti, con varie sottosezioni. La prima parte fornisce un quadro della situazione sui numeri dell’appartenenza sindacale a partire dal 2000. Questo quadro è descritto alla luce delle diverse fasi di sviluppo economico dei diversi continenti e delle diverse regioni del mondo. La seconda parte si concentra sui cambiamenti nell’occupazione e sul progresso tecnologico, e soprattutto sul modo in cui questi due fattori influenzano l’adesione sindacale. L’analisi parte dalla nota storia del declino industriale e cerca di comprende in che misura il declino sindacale degli ultimi tempi possa essere attribuito alla scomparsa dei posti di lavoro nel settore manifatturiero. Inoltre, l’analisi si sofferma sul forte calo di sindacalizzazione di chi entra nel mondo del lavoro e sull’adesione sindacale dei giovani. L’occupazione nell’economia dei servizi può essere suddivisa in due parti, con implicazioni molto diverse in termini di organizzazione sindacale: da una parte i servizi commerciali (commercio, turismo, trasporti e comunicazioni, finanza e servizi alle imprese) e dall’altra i servizi personali e collettivi (pubblica amministrazione, sicurezza, istruzione, sanità, arte e cultura e servizi privati, compresi i lavori domestici). Si vedrà anche come la crescita della partecipazione femminile nel mercato del lavoro e nei sindacati sia strettamente collegata all’espansione del settore dei servizi. La terza sezione è dedicata al cambiamento dei rapporti di lavoro. Saranno analizzati nel dettaglio il lavoro temporaneo e part-time, il lavoro autonomo e a contratto, il lavoro informale e il lavoro nell’economia delle piattaforme. La globalizzazione e le migrazioni sono due dei temi che fanno da sfondo a questa sezione finale. 14 LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO 1 / Occupazione e lavoratori: quanti iscritti ai sindacati? Il mondo del lavoro è in continua evoluzione sulla scia dei cambiamenti demografici, del progresso tecnologico, dell’integrazione economica globale, delle migrazioni e dei cambiamenti politici. L’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) stima che la popolazione mondiale occupata con età pari o superiore a 15 anni è di tre miliardi. Di questi, quasi due miliardi, ossia il 61,2 per cento, lavorano nell’economia informale, per lo più in imprese informali o come lavoratori autonomi, oppure sono lavoratori iregolari o precari nel settore formale (OIL, 2018a)8. L’OIL stima che192 milioni di persone nel mondo sono disoccupate, ancora come conseguenza della crisi finanziaria del 2008 (OIL, 2018b). Il tasso di disoccupazione è in realtà molto più alto, poiché le statistiche ufficiali sulla disoccupazione sottostimano il livello di diffusione della disoccupazione nelle regioni e nei paesi privi di un’adeguata assicurazione contro la disoccupazione. Nella maggior parte delle regioni, il tasso di partecipazione nel mercato del lavoro è infatti stagnante o in calo e non è tornato ai livelli registrati prima del 2008 (OIL, 2018b). Stando alle attuali tendenze demografiche, 40 milioni di persone entrano nel mercato del lavoro ogni anno. I tassi di crescita della popolazione variano notevolmente da regione a regione, ma si prevede che entro il 2030 i paesi dell’Africa Subsahariana e dell’Asia meridionale ospiteranno il 38 per cento della forza lavoro mondiale, rispetto al 26 per cento del 1990 (OIL, 2018b). Poiché in queste due regioni si concentra la maggior parte dei lavoratori poveri e vulnerabili del mondo, la quota media mondiale di lavoratori in condizioni non dignitose aumenterà, a meno che non si compiano in tutto il mondo — e soprattutto in queste regioni — importanti progressi nel miglioramento della qualità del lavoro. Rispetto ai tre miliardi di persone occupate, 516 milioni (ossia il 17 per cento) aderiscono a un sindacato9. Escludendo i sindacati della Cina (e quelli della Bielorussia e di Cuba10), il numero totale delle persone iscritte a un sindacato nel mondo è di 214 milioni e il tasso di adesione sindacale, calcolalo su oltre 2,2 miliardi di persone occupate, si attesta circa al 10 per cento. Escludendo i lavoratori autonomi, i lavoratori nei contesti familiari e i datori di lavoro, e quindi considerando un totale di 1,8 miliardi di dipendenti (1,1 miliardi escludendo Cina, Bielorussia e Cuba), il tasso di sindacalizzazione mondiale è del 27 per cento (17 per cento senza Cina, Bielorussia e Cuba.). Questo significa che circa una persona occupata su dieci e un lavoratore formale su sei si iscrive a un sindacato. ⏹ 1.1 Sviluppo economico La grafico 1 in basso mostra la distribuzione e l’andamento dell’adesione sindacale a partire dall’anno 2000 in paesi con diversi livelli di sviluppo. Da quest’analisi è possibile trarre una duplice conclusione. I tassi di sindacalizzazione, misurati convenzionalmente come il rapporto tra il numero di lavoratori dipendenti iscritti al sindacato e il totale degli occupati, non variano in maniera significativa tra i quattro gruppi di paesi con diversi livelli di sviluppo. Infatti, i tassi di sindacalizzazione e i livelli di reddito, misurati come prodotto interno lordo (PIL) pro capite, sono scarsamente correlati, sia tra i paesi che nel tempo. I tassi di sindacalizzazione non aumentano all’aumentare della ricchezza del paese. Per quanto sorprendenti possano essere questi risultati, esistono due principali spiegazioni. In primo luogo, negli ultimi trent’anni il declino dei sindacati ha riguardato principalmente i paesi industrializzati del Nord del mondo, ossia Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda, Germania, Francia ed Europa centrale e orientale. Vent’anni fa, il tasso medio di sindacalizzazione in questi paesi era molto più alto (grafico 1, colonna a destra). In secondo luogo, nei paesi in via di sviluppo, solo un piccola parte dei lavoratori gode di uno status formale di dipendente. Ciò aumenta in maniera irrealistica i tassi di sindacalizzazione dei paesi più poveri. Calcolando il tasso di sindacalizzazione sul totale della forza lavoro11 piuttosto che sui lavoratori classificati come dipendenti, ne risulterà una relazione positiva tra sindacalizzazione e sviluppo economico, con un tasso di sindacalizzazione più alto nei paesi più ricchi (r=0,56). Ciò dimostra il grande problema dei sindacati della rappresentanza dei lavoratori autonomi e in proprio, tanto a livello mondiale, quanto soprattutto nelle economie emergenti e in via di sviluppo. In tempi recenti, i sindacati stanno cercando di risolvere il problema, seppure persista un ampio divario di rappresentanza. Nei paesi più poveri, solo il 4 per cento dei lavoratori gode di rappresentanza sindacale e nei paesi a reddito medio-basso meno del 6 per cento (grafico 1, colonna a sinistra). La colonna di destra della grafico 1 mostra che i tassi di sindacalizzazione tra i dipendenti sono in calo dal 2000, con il maggior calo registrato nei paesi sviluppati e nei paesi a reddito medio-basso. In quest’ultimo caso, il calo è dovuto da una parte a un rapido incremento dei posti di lavoro (India, Indonesia, Cambogia, Vietnam), che ha superato l’aumento delle adesioni ai sindacati, mentre dall’altra all’enorme perdita di iscritti negli ex stati comunisti dell’Asia OCCUPAZIONE E LAVORATORI: QUANTI ISCRITTI AI SINDACATI? 15 e dell’Europa orientale. I sindacati dei paesi sviluppati hanno perso 14 milioni di iscritti tra il 2000 e il 2008 e altri 10 milioni tra il 2008 e il 2017. I sindacati degli altri gruppi, pur essendo ancora in calo fino al 2008, hanno guadagnato circa 11 milioni di iscritti dal 2008. Di conseguenza, la quota di adesione sindacale nei paesi sviluppati è scesa al 50 per cento del totale mondiale nel 2017, rispetto al 57 per cento del 2000. Grafico 1: Livelli di sindacalizzazione per gruppi di paesi (livello di reddito), 2000–2016/17. Tassi di densità sindacale 2016/17 00 05 10 15 20 25 30 tutti i paesi paesi industrializzati reddito medio-alto reddito medio-basso paesi in via di sviluppo lavoratori dipendenti Tassi di densità sindacale 2000 - 2016/17 00 05 10 15 20 25 30 2000 2008 2016/17 tutti i paesi paesi industrializzati reddito medio-alto reddito medio-basso paesi in via di sviluppo insieme dei lavoratori Nota: paesi sviluppati (in media oltre 52 paesi), paesi a reddito medio-alto (37 paesi, esclusa Cina, Cuba e Bielorussia), paesi a reddito medio-basso (38 paesi) e in via di sviluppo (19 paesi). I dati sulla sindacalizzazione sono medie ponderate per ciascun gruppo di paesi. Fonte: i dati di tutte le figure e tabelle presenti in questo documento sono stati calcolati dall’autore sulla base dei dati IRData (https://www.ilo.org/ ilostat/irdata) e del database ICTWSS (http://uva-aias.net/en/ictwss). ⏹ 1.2 I tassi di sindacalizzazione nel mondo La Tabella 1 mostra l’andamento dei tassi di sindacalizzazione tra il 2000 e il 2016 in 18 regioni del mondo. Attualmente, il 12 per cento dell’adesione sindacale mondiale si trova in Africa, il 24 per cento in America, il 30 per cento in Asia e Oceania (esclusa la Cina) e il 34 per cento in Europa. Dalla crisi mondiale del 2008, l’appartenenza sindacale è cresciuta in termini assoluti in ciascuna delle cinque regioni africane, principalmente nel Nord Africa (Tunisia, Egitto, Marocco e Algeria) a partire dalla primavera araba del 2001, mentre nell’Africa subsahariana si è assistito alla nascita di nuove organizzazioni sindacali nel settore informale, invertendo la tendenza negativa registrata prima del 2008. Le organizzazioni sindacali hanno registrato un significativo incremento di adesioni anche nell’America del Sud (Brasile, Uruguay, Cile e Perù), nell’Asia meridionale (Nepal e Bangladesh) e nel Sud-Est asiatico (Cambogia, Vietnam e Singapore). Al contrario, i sindacati hanno perso un elevato numero di iscritti in Europa orientale e centrale, così come nell’Europa sudorientale e nei Balcani, continuando il trend negativo di sindacalizzazione che ha caratterizzato tutti i paesi post-comunisti dal 1989, compresa la Federazione Russa e l’Ucraina (Traub-Merz e Pringle, 2018). Nell’Europa occidentale, il declino della sindacalizzazione è proseguito dopo il 2008, continuando una tendenza iniziata nel 1980. Nell’Europa meridionale, invece, il declino si è intensificato dopo la crisi del 2008, soprattutto in Grecia, Spagna e Portogallo, invertendo la tendenza leggermente positiva iniziata prima del 2008. In America, la maggior parte delle perdite di adesioni dopo il 2008 si è registrata negli Stati Uniti, mentre i sindacati canadesi hanno guadagnato adesioni prima e dopo il 2008, anche se non abbastanza da tenere il passo con la crescita dell’occupazione. In considerazione delle difficoltà nella misurazione dei tassi di sindacalizzazione di cui abbiamo accennato, la Tabella 1 mostra anche i tassi di appartenenza alla Federazione dei sindacati di tutta la Cina (ACFTU, All-China Federation of Trade Unions), se non altro per notare le sue enormi dimensioni. Con circa 302 milioni di iscritti, tra cui 140 milioni di lavoratori migranti (persone provenienti dalle aree rurali e che lavorano nei centri urbani) e 2,81 milioni di sindacati 16 LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO Tabella 1: Tassi di sindacalizzazione in 18 regioni del mondo. Regione Paesi Appartenenza sindacale (in miliaia) Densità sindacale (in %) 1 2 3 4 5 6 Tutti (§) Lavoratori indipendenti Lavoratori dipendenti Occupati Solo dipendenti 2016 2016 2016 2000–08 2008–16 2016 2016 Africa medirionale 10 6.044 429 5.615 –570 684 11,4 24,9 Africa occidentale 15 6.533 542 5.562 –570 170 5,3 11,6 Africa orientale 10 4.609 2.278 2.331 260 395 4,0 14,1 Africa del Nord 4 11.083 .. 11.083 497 4.016 22,7 33,9 Paesi arabi 10 1.137 102 1.035 471 –414 3,3 5,0 America del Nord 2 19.343 87 19.256 211 –1.020 11,4 12,2 America centrale e Caraibi 15* 6.720 243 6.477 634 316 8,9 13,0 America del Sud 10 28.020 5.705 22.316 2.658 4.121 15,0 20,1 Cina 1 302.000 .. 302.000 108.556 89.829 38,9 42,6 Asia orientale 16 354 .. 16.354 –751 308 15,4 18,2 Asia sud-orientale 2 19.229 79 19.181 –3.092 2.545 6,7 12,4 Asia meridionale 6 18.780 2.914 15.867 2.892 2.969 2,9 11,6 Asia occidentale 7** 6.430 67 6.362 –424 –184 9,0 14,3 Europa orientale e centrale 10*** 26.823 569 26.254 –18.479 –9.944 22,4 24,5 Europa sud-orientale e Balkani 10 3.204 27 3.177 –532 –1.421 16,5 21,5 Europa meridionale 6 10.494 920 9.573 1.223 –835 21,0 24,4 Europa occidentale 9 21.067 510 20.557 –1.847 –1.253 17,0 19,1 Europa settentrionale 5 7.902 488 7.413 –121 17 60,7 63,2 Nota: nessun dato disponibile; (§) esclusi i pensionati e i membri disoccupati; * esclusi Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Yemen; ** esclusi Cuba, Haiti e Jamaica; *** esclusi di Iran, Afghanistan, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, **** esclusi della Bielorussia locali, l’ACFTU è più grande di tutte le confederazioni sindacali del mondo messe insieme. Se corrette, queste cifre si traducono in una quota di sindacalizzazione compresa tra il 38 e il 44 per cento, superiore a quella della maggior parte delle nazioni sviluppate, ad eccezione del Nord Europa. La realtà però è ben più complicata. Il modello cinese infatti è prevalentemente gerarchico e dipende fortemente dai finanziamenti delle imprese, imposti dalla legge (Traub-Merz and Pringle, 2018)12. Tornando alla Tabella 1, si nota che, oltre ai lavoratori dipendenti, anche molti lavoratori autonomi, circa 14,5 milioni in totale, sono iscritti a un sindacato. Molti di loro lavorano nel settore informale o in maniera irregolare in imprese formali. Essi comunque sono inclusi nel calcolo dei tassi di sindacalizzazione di tutti gli occupati (colonna 5), mentre sono esclusi dai lavoratori dipendenti (colonna 6). In entrambe le colonne si osserva un forte divario dei livelli di sindacalizzazione tra le varie regioni del mondo. Troviamo ai due opposti da una parte l’Europa settentrionale, con livelli estremamente alti di sindacalizzazione e dall’altra gli Stati arabi del Medio Oriente, con livelli estremamente bassi. Questo scenario cambia se si includono i lavoratori autonomi, i lavoratori in proprio e il settore informale. In questo caso, i tassi di sindacalizzazione sono inferiori al 10 per cento in sette regioni: gli Stati arabi del Medio Oriente con il loro elevato numero di lavoratori migranti, l’Africa orientale e occidentale, l’America centrale e l’Asia meridionale, sudorientale e occidentale. Va notato che questo vale in particolare per il settore informale, soprattutto in Africa, nonostante la recente crescita in termini di adesione. Concentrandoci solo sul settore formale e i lavoratori dipendenti, inclusi i lavoratori temporanei e a tempo parziale, nel grafico 2 è possibile osservare l’andamento dall’adesione sindacale dal 2000 in diverse regioni del mondo. L’analisi tiene conto anche dell’anno 2008 per determinare se la crisi e la successiva recessione hanno segnato una svolta positiva o negativa nei livelli di sindacalizzazione. In Africa e in America, il declino dei sindacati si è fermato dopo il CAMBIAMENTI NELLA STRUTTURA DELL’OCCUPAZIONE E NEI POSTI DI LAVORO 17 2008 come conseguenza della significativa crescita sindacale nel Nord Africa dopo la primavera araba del 2011, della stabilizzazione dei sindacati in diversi paesi dell’Africa meridionale e della crescita dei sindacati nel Sud America. In Africa orientale e occidentale l’appartenenza sindacale rimane molto debole e con una tendenza negativa. Lo stesso vale per l’America settentrionale e centrale. Nel complesso, il livello medio di sindacalizzazione in Asia è inferiore rispetto a quello dell’America e dll’Africa, attestandosi al 13 per cento in Asia, al 15 per cento in America e al 21 per cento in Africa, mentre le variazioni tra le diverse regioni sono diminuite in modo significativo. Infine, in Europa, che costituisce un’eccezione in quanto ha i tassi di sindacalizzazione più alti del mondo, il declino dell’adesione sindacale ha interessato tutte le regioni europee, sebbene in misura diversa nel Nord Europa. La media europea infatti è scesa dal 39 per cento nel 2000 e al 23 per cento nel 2017. Tale declino, tuttavia, è leggermente rallentato negli ultimi anni. Grafico 2: Tassi di sindacalizzazione per regione del mondo, 2000–2016/17. 00 10 20 30 40 50 60 70 80 2000 2008 2016 AFRICA AFRICA Africa meridionale Africa occidentale Africa orientale Africa del Nord AMERICA America del Nord America centrale e Caraibi America del Sud 0 10 20 30 40 50 60 70 80 2000 2008 2016 ASIA ASIA Asia orientale Asia sud-orientale Asia meridionale Asia occidentale Paesi arabi EUROPA Europa orientale e centrale Europa sud-orientale e Balcani Europa meridionale Europa occidentale Europa del Nord 0 10 20 30 40 50 60 70 80 2000 2008 2016 AMERICA 0 10 20 30 40 50 60 70 80 2000 2008 2016 EUROPA Nota: Gruppi di paesi e dati come nella Tabella 1. 2 / Cambiamenti nella struttura dell’occupazione e nei posti di lavoro Secondo le attuali tendenze, si prevede, a tutti i livelli di sviluppo, un aumento del numero di lavoratori occupati nel settore dei servizi e una diminuzione nel lungo termine della quota di occupazione nell’agricoltura. Attualmente, l’agricoltura rappresenta quasi il 70 per cento di tutti i posti di lavoro nei paesi in via di sviluppo, il 40 per cento nei paesi a reddito medio-basso, il 16 per cento nei paesi a reddito medio-alto e solo il 3per cento nei paesi sviluppati (OIL, 2018b). Si prevede inoltre che la quota dell’occupazione nel settore manifatturiero continuerà a diminuire nei paesi a reddito medio-alto e nei paesi sviluppati, mentre crescerà solo marginalmente nei paesi a reddito medio-basso. Ciò conferma il fenomeno della “deindustrializzazione precoce”, secondo cui i paesi a basso reddito, soprattutto in Africa e America Latina, stanno assistendo a una diminuzione dei tassi di occupazione nel settore industriale nelle prime fasi del loro processo di sviluppo, rispetto a quanto accaduto invece ai paesi sviluppati (Rodrik, 2016). Nei paesi sviluppati, la deindustrializzazione è stata a lungo una preoccupazione, spesso associata alla perdita di posti di lavoro di qua18 LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO lità, al declino dei sindacati e all’aumento delle disuguaglianze. Nei paesi in via di sviluppo, la deindustrializzazione rappresenta un problema poiché indebolisce un meccanismo che in passato ha aiutato le persone ad apprendere e a diffondere nuovi metodi di lavoro e ad aumentare la produttività e il reddito. Con il calo dell’occupazione nell’industria, sempre più persone passeranno a occupazioni scarsamente retribuite e a bassa produttività nel settore dei servizi. ⏹ 2.1 La deindustrializzazione Attualmente, il settore manifatturiero rappresenta il 16 per cento dell’occupazione totale nei paesi a reddito medioalto, il 12 per cento nei paesi a reddito medio-basso, il 13 per cento nei paesi sviluppati e solo il 6 per cento nei paesi in via di sviluppo. Con poche eccezioni, il settore minerario, estrattivo e delle utilities rappresenta solo una piccola percentuale dell’occupazione totale in quanto richiede grandi disponibilità di capitali. Nel 2017, il settore dei servizi occupava la quota maggiore della forza lavoro mondiale, ad eccezione dei paesi in via di sviluppo a basso reddito, dove la quota dell’occupazione nel settore dei servizi (21 per cento) è molto inferiore a quella dell’agricoltura (70 per cento). Nel 2017, tre lavoratori su quattro erano impiegati nel settore dei servizi all’interno dei paesi sviluppati (OIL, 2018b). I lavoratori del settore agricolo sono generalmente scarsamente sindacalizzati, ad eccezione dei lavoratori delle grandi piantagioni, ad esempio in Kenya o in Uganda, dove i lavoratori agricoli rappresentano rispettivamente il 35 e il 21 per cento di tutti gli iscritti ai sindacati. Nelle economie emergenti, invece, (ad esempio in Brasile, India, Russia, Sudafrica o Turchia) i lavoratori agricoli rappresentano meno del 5 per cento di tutti gli iscritti ai sindacati, mentre, nei paesi sviluppati solo l’1 per cento circa di tutti gli iscritti ai sindacati lavora nel settore agricolo (inclusi l’orticoltura e la pesca)13. In tutti i paesi del mondo, la quota di occupazione nel settore agricolo è inversamente correlata al livello di sindacalizzazione (ragr=-0,44). Adeguata ai livelli di reddito, la correlazione negativa diventa più debole, ma rimane comunque significativa. Il processo di deindustrializzazione va avanti da tempo ed è responsabile di un importanti cambiamenti all’interno del movimento sindacale. Oggi, in qualsiasi paese del mondo, la maggior parte dei lavoratori sindacalizzati appartiene al settore dei servizi. Nei 18 paesi industrializzati avanzati dell’Europa occidentale e dell’America settentrionale, la quota di iscritti ai sindacati appartenenti all’industria (manifatturiera, edilizia, mineraria e delle utilities) si è ridotta in media di mezzo punto percentuale ogni anno, passando dal 43 per cento nel 1980 al 32 per cento nel 2000 e al 22,5 per cento nel 2015. All’interno degli stessi paesi, l’industria manifatturiera rappresenta in media il 17 per cento di tutti i membri dei sindacati (grafico 3), mentre l’industria mineraria meno dell’1 per cento, le utilities (gas, acqua ed elettricità) l’1–2 per cento e l’edilizia il 4–5 per cento. Purtroppo non disponiamo di dati sufficienti per calcolare i valori medi di altri gruppi di paesi. Il grafico 3 mostra i dati disponibili sulle quote di adesione sindacale del settore manifatturiero (compreso quello minerario) in 52 paesi. Il 1980 è stato scelto come punto di partenza poiché in quell’anno l’occupazione e l’adesione sindacale nel settore manifatturiero erano all’apice. Il 1980 ha segnato anche l’inizio della globalizzazione, l’apertura dell’economia cinese, il ritiro dalle politiche di industrializzazione del processo di sostituzione delle importazioni dei paesi in via di sviluppo, nonché una svolta verso le politiche neoliberali. La prima cosa da notare è la disparità dei livelli di sindacalizzazione tra i paesi di ciascun continente. Inoltre, solo in alcuni paesi almeno un terzo di tutti i membri dei sindacati appartiene al settore industriale, e nello specifico: Sudafrica, Zambia, Giappone, Turchia, Romania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Italia, Germania e Polonia. I sindacati tedeschi si distinguono per la loro forte presenza nell’industria manifatturiera (soprattutto nel settore metallurgico e chimico). In alcuni paesi africani esiste una industria grande mineraria fortemente sindacalizzata (con tassi di sindacalizzazione fino all’80 per cento). La sindacalizzazione dell’industria mineraria raggiunge livelli importanti anche in Cile, Bulgaria, Romania e Polonia, mentre è trascurabile nel resto del mondo. L’industria delle costruzioni (nel grafico 3 accorpato ai servizi pubblici, come fornitura di gas, approvvigionamento idrico e produzione di elettricità) ha una quota di adesione sindacale pari o superiore al 10 per cento negli Stati Uniti, in Australia e in Svizzera. Al contrario, l’industria manifatturiera ha una quota di sindacalizzazione molto ridotta, che scende al di sotto del 10 per cento in Canada, Stati Uniti, Israele, Australia, Lettonia e Regno Unito. In Svezia, Danimarca, Norvegia, Finlandia, Irlanda, Paesi Bassi, Grecia e Portogallo ci sono attualmente meno iscritti ai sindacati nel settore manifatturiero che nella sanità o nell’istruzione. Dal grafico 3 si evince che il declino sindacale nel “settore della produzione di beni” si è trasformato, a partire dal 1980, in un fenomeno generale che ha coinvolto tutti i paesi, anche se da livelli di partenza diversi. Alcuni paesi (Stati Uniti, Regno Unito, Danimarca, Paesi Bassi) sono stati colpiti prima di altri (Germania, Belgio, Italia). Sebbene il fenomeno si sia rivelato più intenso nei paesi industrializzati, ha coinvolto anche i sindacati dei paesi in via di sviluppo, di solito partendo da livelli più bassi nel settore manifatturiero. CAMBIAMENTI NELLA STRUTTURA DELL’OCCUPAZIONE E NEI POSTI DI LAVORO 19 Grafico 3: Quote di adesione sindacale nel settore industriale, 1980–2016. 0 10 20 30 40 50 60 Tasso di sindacalizzazione dei lavoratori dipendenti (%) 2016 2000 1980 Industria manifatturiera, 2016 Attività estrattive, 2016 Costruzioni e servizi pubblici, 2016 Uganda Tanzania Burundi Malawi Kenya Ghana Zimbabwe Swaziland Sudafrica Zambia Mozambico Colombia Canada Stati Uniti Brasile Cile Messico Israele Nuova Zelanda Australia Bangladesh Filippine Corea Cambogia Giappone Turchia Lettonia Regno Unito Grecia Portogalllo Irlanda Lituania Svezia Francia Norvegia Estonia Paesi Bassi Spagna Finlandia Danimarca Ungheria Austria Svizzera Belgio Bulgaria Slovenia Romania Rep Ceca Italia Slovacchia Germania Polonia Nota: Il settore industriale (o di “produzione di beni”) comprende l’industria mineraria, l’industria manifatturiera, le utilities e l’industria delle costruzioni. Laddove il settore minerario non è rappresentato separatamente nel grafico, la sua quota di sindacalizzazione è talmente ridotta da essere conteggiata insieme al settore manifatturiero. Anche nella grafico 4, che mostra i tassi di sindacalizzazione nella produzione manifatturiera (compresa l’industria mineraria), i dati differiscono enormemente tra i paesi all’interno dei quattro continenti — dall’Uganda al Sudafrica, dalla Colombia all’Argentina, dal Bangladesh al Giappone e dall’Estonia alla Svezia. In alcuni importanti paesi con un’ampia base di esportazione nel settore manifatturiero (Bangladesh, India, Messico, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca e Polonia), i sindacati sono molto deboli. Osservando l’andamento dal 1980, possiamo concludere che i livelli di sindacalizzazione sono in calo in tutti i paesi sui quali disponiamo di serie storiche. I primi e più significativi cali si sono registrati negli Stati Uniti, in Canada, in Australia, nella Nuova Zelanda e nel Regno Unito, ossia nei cinque paesi industrializzati avanzati in cui le politiche neoliberali di deregolamentazione finanziaria, dei prodotti e del mercato del lavoro sono state più pronunciate, limitando il diritto dei sindacati di scioperare. In questi cinque paesi, il tasso medio di sindacalizzazione nel settore manifatturiero è sceso dal 47 per cento intorno al 1980 al 17 per cento nel 2017, il che significa che l’attuale livello di adesione sindacale corrisponde a circa un terzo di quella registrata prima della vittoriosa ascesa della globalizzazione e del neoliberismo. Il declino dei sindacati ha interessato, seppur in maniera più lieve, anche i paesi con una politica neoliberale meno influente. Dal 1980 al 2017, la quota media di sindacalizzazione nel settore manifatturiero nei quattro paesi dell’Europa del Nord (Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia) è scesa dal 90 al 68 per cento, mentre nell’Europa occidentale continentale (Austria, Belgio, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Spagna e Svizzera) dal 43 al 24 per cento. La chiusura e il ridimensionamento delle imprese altamente sindacalizzate (miniere di carbone, cantieri navali, industrie siderurgiche), insieme all’aumento del lavoro temporaneo e della disoccupazione, sono tra i fattori alla base del declino dei sindacati nel settore industriale. Nel grafico 4 sono indicati anche i livelli di sindacalizzazione nel settore dei servizi commerciali, che nella maggior parte dei paesi è diventato il più grande in termini di occupazione, comprendendo il commercio, la ristorazione, il turismo, i trasporti, le comunicazioni, il settore finanziario e assicurativo, i servizi immobiliari, amministrativi e commerciali. In generale, i sindacati più consolidati nel settore manifatturiero che nei servizi commerciali. In media, i lavoratori del settore manifatturiero hanno il doppio delle probabilità di aderire a un sindacato, passando da 1,3 volte in Finlandia, Svezia, Danimarca e Regno Unito a circa 3 volte in Germania, Polonia o Messico14. Considerati i vincoli finanziari che frenano l’espansione dei servizi pubblici e sociali, coloro che entrano per la prima volta nel mercato del lavoro e coloro che hanno perso il lavoro nel settore manifatturiero hannno più probabilità di trovare occupazione nel settore in espansione dei servizi commerciali, piuttosto che nel settore manifatturiero in declino. Il divario tra i tassi di adesione sindacale nel settore manifatturiero e nei servizi commerciali determina un problema strutturale che i sindacati sono chiamati ad affrontare. Se i sindacati non riusciranno ad arrestare il calo dell’occupazione nel settore 20 LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO manifatturiero, rafforzare la loro posizione nei servizi commerciali o espandere l’occupazione nei servizi pubblici e sociali (dove i tassi di sindacalizzazione tendono a essere molto più alti rispetto al settore manifatturiero), sarà difficile invertire la tendenza di declino. Questo vale soprattutto per paesi come la Germania, dove i sindacati sono deboli nei servizi commerciali e il divario con i sindacati del settore manifatturiero è molto ampio. Grafico 4: Tassi di sindacalizzazione nel settore manifatturiero e minerario, 1980–2016. 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 Filippine Tasso di densità sindacale, appartenenza sindacale in % dei lavoratori dipendenti 2016 2000 1980 Servizi commerciali 2016 Uganda Malawi Ghana Swaziland Tanzania *Burundi *Zimbabwe Kenya Zambia Sudafrica Colombia Stati Uniti Messico *Cile Canada Brasile Argentina Bangladesh India *Israele Australia Turchia Corea Nuova Zelanda Cambogia Giappone Estonia Lettonia Ungheria Slovacchia Francia *Rep Ceca Polonia Grecia Portogallo Regno Unito Svizzera Spagna Paesi Bassi *Slovenia Irlanda Germania Austria Italia Norvegia *Belgio Finlandia Danimarca Svezia Nota: I tassi di sindacalizzazione del settore manifatturiero di tutti i paesi includono anche i dati del settore minerario. I servizi commerciali comprendono il commercio al dettaglio e all’ingrosso, il settore alberghiero e la ristorazione, i trasporti e le comunicazioni, i servizi finanziari e assicurativi, i servizi immobiliari, commerciali e amministrativi. ⏹ 2.2 Lavoro o sindacati in declino? In che misura il declino sindacale è causato dalla scomparsa di posti di lavoro altamente sindacalizzati nell’industria (mineraria, manifatturiera, delle costruzioni e delle utilities) e quanto invece dal calo degli iscritti ai sindacati? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo costruire uno scenario controfattuale e stimare quanti iscritti ai sindacati si sarebbero registrati nel settore manifatturiero e minerario nel 2016 se i tassi di sindacalizzazione fossero rimasti invariati dal 1980. Questi risultati possono osservati nella Tabella 2 per 18 dei paesi industrializzati membri dell’OCSE per i quali si dispone dei necessari dati longitudinali sull’adesione sindacale e sull’occupazione. In circa quarant’anni, i sindacati di questi paesi hanno perso in totale 20 milioni di iscritti nell’industria (colonna 2, ultima riga), di cui un terzo (6,7 milioni, ossia il 33 per cento) a causa della scomparsa di posti di lavoro (colonna 3) e due terzi (13,3 milioni, ossia il 67 per cento) a causa del calo degli iscritti (nei posti di lavoro rimasti) (colonna 4), ad esempio perché un minor numero di giovani lavoratori del settore industriale ha aderito a un sindacato. Come si evince dalla tabella, i rapporti variano da un paese all’altro. Ad esempio, in Belgio, Danimarca, Italia e Svezia, i sindacati hanno perso la maggior parte degli iscritti a causa del calo dell’occupazione nell’industria. Nella maggior parte degli altri paesi è accaduto il contrario. In Australia e Canada, il numero di iscritti ai sindacati è diminuito nell’industria nonostante il settore abbia registrato una crescita dell’occupazione. Negli Stati Uniti, il declino del movimento sindacale non è il risultato di un riduzione dei posti di lavoro nell’industria, quanto piuttosto di una crisi del sindacalismo nell’intero settore. Il calo dell’occupazione nell’industria è legato principalmente alla ristrutturazione dell’industria manifatturiera (ad esempio, il passaggio dall’industria pesante a quella leggera) e alla delocalizzazione delle fabbriche negli Stati del Sud, dove vigeva una legislazione basata sul “diritto al lavoro”, che vietava ai datori di lavoro di riscuotere le quote sindacali dei lavoratori secondo le disposizioni dei contratti collettivi. Infine, è importante osservare le colonne 1 e 5 della Tabella 2, che mostrano i cambiamenti dell’appartenenza sindacale in tutti i settori e nei servizi (in migliaia). Tra il 1980 e il 2016, i sindacati hanno perso complessivamente un quarto dei loro iscritti. Questo calo è stato più accentuato in tre paesi, in ciascuno dei quali il numero degli scritti è diminuito di 5–6 milioni di unità, ossia Germania, Regno Unito e Stati Uniti. Cinque paesi, tuttavia, hanno registrato un aumento CAMBIAMENTI NELLA STRUTTURA DELL’OCCUPAZIONE E NEI POSTI DI LAVORO 21 dell’adesione sindacale: Belgio, Canada, Danimarca, Norvegia e Spagna. La Spagna, che nel 1980 aveva un livello di sindacalizzazione molto basso, è in realtà l’unico paese in cui i sindacati hanno guadagnato più iscritti nell’industria fino al 2008, quando si è registrato un forte calo. Forse cosa ancora più importante è che meno della metà di questi paesi — Belgio, Canada, Danimarca, Italia, Norvegia, Spagna, Svezia — è stata interessata da un significativo aumentato del numero di iscritti del settore dei servizi. Al contrario, questo non è accaduto in Australia, Francia, Germania, Portogallo, Regno Unito e Stati Uniti, nonostante il fatto che nei 18 paesi della Tabella 2 l’occupazione nel settore dei servizi sia aumentata in media del 77 Tabella 2: Andamento dell’adesione sindacale (in migliaia) dal 1980. Tutti i settori Industrie estrattive e manifatturiere Servizi 1 2 3 4 5 migliaia % migliaia per diminuzione dei posti di lavoro (%) per diminuzione dei lavoratori nei tipi di lavoro (%) migliaia Australia* –1.021 –39,8% –573 +15% –115% –448 Austria –449 –31,1% –462 –18% –82% +13 Belgio 412 +25,0% –350 –71% –29% +726 Canada 1.042 +30,7% –504 +5% –105% +1.546 Danimarca 128 +8,0% –378 –54% –46% +506 Finlandia** –207 –13,5% –228 –45% –55% +22 Francia –1.307 –34,7% –846 –42% –58% –524 Germania*** –5.719 –47,8% –4.380 –34% –66% –1.309 Irlanda –54 –10,9% –80 –9% –91% +36 Italia –1.118 –15,6% –1.238 –57% –43% +120 Paesi Bassi –315 –20,8% –348 –34% –66% +32 Norvegia 312 +33,3% –117 –18% –82% +429 Portogallo –864 –59,2% –373 –23% –77% –491 Spagna 1.088 +98,0% +84 +30% +70% +1.024 Svezia –161 –5,2% –619 –57% –43% +530 Svizzera –165 –19,4% –208 –37% –63% +43 Regno Unito –5.675 –47,7% –4.521 –41% –59% –1.154 Stati Uniti –5.278 –26,3% –4.760 –10% –90% –519 Totale –19.414 –25,3% –20.002 –33% –67% +588 Fonte: Nota: * dal 1982; ** dal 1989; *** dal 1991. ⏹ 2.3 La digitalizzazione e il progresso tecnologico I dati sulla crescita e sul calo dell’occupazione non riflettono il quadro completo. I posti di lavoro si evolvono in termini di contenuto, requisiti formativi, responsabilità, autonomia e lavoro di squadra. I progressi tecnologici tendono a rendere superflui determinati lavori, che generalmente corrispondono a quelli altamente sindacalizzati. La digitalizzazione, la robotica e l’intelligenza artificiale riducono la domanda di posti di lavoro che si collocano al centro della distribuzione delle occupazioni, quali operai, lavoratori specializzati, addetti alle macchine e al montaggio, personale d’ufficio e amministrativo. I dati sull’occupazione tra il 1998 e il 2014 mostrano una diminuzione a livello mondiale di tali posti di lavoro, tanto nei paesi sviluppati quanto in quelli in via di sviluppo (IPSP, 2018). Al contrario, è aumentata la domanda di personale dirigente, professionisti intellettuali e tecnici, soprattutto nei paesi sviluppati e a reddito medioalto, di personale addetto ai servizi e alle vendite nei paesi a qualsiasi livello di sviluppo e di occupazioni elementari, soprattutto nei paesi in via di sviluppo e nei paesi a reddito medio-basso. Si prevede un proseguimento di questa tendenza, alla luce della nota ipotesi di routinizzazione di Autor, Levy e Murnane (2003), secondo cui i computer e gli apparecchi robotici possono sostituire i lavoratori in quelle mansioni facilmente codificabili in procedure e routine che possono essere abilmente svolte dalle macchine. Le competenze manuali del settore manifatturiero, infatti, si basano su attività precise ma ripetitive, che possono essere automatizzate. In maniera del tutto simile, il requisito per un essere un impiegato bancario era un tempo la capacità di effettuare conti aritmetici in modo veloce e preciso, ma 22 LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO oggi i computer possono effettuare calcoli in maniera ancora più precisa e senza alcun margine di errore. Tuttavia, è difficile progettare un computer che sappia gestire, istruire e motivare le persone. Lo stesso vale per le attività di pulizia e di assistenza. La prossima frontiera della digitalizzazione sarà probabilmente la preparazione, la consegna e il trasporto di pasti, fino ad arrivare, un giorno, alla sostituzione degli uomini nell’insegnamento e nell’assistenza infermieristica. Il processo di digitalizzazione ha un forte impatto sui lavori altamente sindacalizzati, contribuendo in maniera significativa al declino dei sindacati. Ciò è confermato dalle rilevazioni sulle forze di lavoro, disponibili tuttavia solo per alcuni paesi. Queste ricerche mostrano che, all’inizio degli anni 2000, in Australia e negli Stati Uniti il tasso di sindacalizzazione dei lavoratori qualificati e di quelli semi-specializzati, quali gli addetti alle macchine e al montaggio, era superiore a quello di altri lavoratori, preceduto solo dal tasso di sindacalizzazione del personale tecnico e dei professionisti intellettuali in Canada, Irlanda e Regno Unito. I livelli di sindacalizzazione dei lavoratori specializzati e semi-specializzati erano il doppio di quelli degli addetti alle vendite ed erano significativamente più elevati rispetto a quelli dei lavoratori del settore dei servizi, delle occupazioni elementari e del personale dirigente. Ciò significa che i cambiamenti nella struttura dell’occupazione sono destinati ad avere un impatto negativo sull’adesione sindacale. In Svezia e nei Paesi Bassi, i risultati delle rilevazioni sulle forze di lavoro mostrano che la differenza tra i tassi di sindacalizzazione di lavoratori qualificati e non qualificati è meno marcata e il progresso tecnologico ha avuto un minore impatto sul declino sindacale. I tassi di sindacalizzazione dei lavoratori qualificati e degli addetti alle macchine e al montaggio è diminuita negli ultimi tempi: in Irlanda, si è passati dal 45 per cento registrato nel 2000 al 33 per cento registrato nel 200815, in Canada si è passati dal 39 al 35 per cento nello stesso periodo, in Australia dal 35 al 28 per cento nel 2012, nel Regno Unito dal 34 al 24 per cento nel 2016 e negli Stati Uniti dal 20 al 13 per cento nel 2017. Nei Paesi Bassi, il tasso di sindacalizzazione dei lavoratori non qualificati e degli addetti alle macchine e al montaggio è sceso dal 23 per cento nel 2000 al 18 per cento nel 2012, mentre per i lavoratori qualificati il tasso è sceso dal 25 al 22 per cento. In Svezia, il tasso di sindacalizzazione dei lavoratori manuali (qualificati e non qualificati) è diminuito in misura maggiore, passando dall’83 per cento nel 2000 al 62 per cento nel 2016, rispetto ai lavoratori non manuali (gli impiegati), che sono scesi dal 79 al 74 per cento (Kjellberg, 2018). In Svezia, il calo dell’adesione sindacale tra i lavoratori manuali (non solo nell’industria) è fortemente legata ai cambiamenti delle politiche del governo sull’assicurazione contro la disoccupazione gestita dai sindacati (Kjellberg e Ibsen, 2016). ⏹ 2.4 Il disinteresse dei giovani? Negli ultimi trenta o quarant’anni, il declino sindacale è avvenuto in un contesto sociale in cui i lavoratori più anziani e maggiormente sindacalizzati sono stati sostituiti da lavoratori più giovani, più istruiti e meno sindacalizzati. Questo fenomeno è confermato da due statistiche: il forte calo dei tassi di sindacalizzazione dei giovani e l’aumento della quota di iscritti ai sindacati con istruzione secondaria e terziaria (e la conseguente diminuzione della quota di lavoratori non qualificati e con istruzione inferiore). Questo processo, insieme al calo dell’occupazione nel settore manifatturiero in molti paesi, sta trasformando radicalmente la composizione dei sindacati. Non è del tutto chiaro perché i giovani di oggi siano meno propensi ad aderire ai sindacati rispetto a quelli di una o due generazioni fa. Si tratta, tuttavia, di un cambiamento che interessa quasi tutti i paesi industrializzati avanzati per i quali disponiamo dei relativi dati (grafico 5). I tassi di sindacalizzazione dei giovani lavoratori variano dall’1 per cento in Estonia (e praticamente lo 0 per cento in Lettonia e Lituania) al 44 per cento in Belgio. Questi tassi sono calcolati in base alla percentuale di lavoratori dipendenti iscritti al sindacato. Pertanto, queste percentuali non tengono conto dei numerosi studenti e disoccupati nella fascia d’età tra i 16 e i 25 anni. Nei due terzi dei paesi indicati nella grafico 5, meno dell’8 per cento dei giovani lavoratori si iscrive a un sindacato. Un calo considerevole dell’adesione sindacale dei giovani è stato registrato in Svezia, Finlandia e Danimarca (in ogni caso legato ai cambiamenti nei sistemi di assicurazione contro la disoccupazione gestiti dai sindacati), in Australia, Slovenia, Grecia e Portogallo, in questi ultimi due paesi a causa dell’impennata della disoccupazione giovanile. Al contrario, il tasso di sindacalizzazione dei giovani in Canada è rimasto pressoché invariato, come pure in Germania e Belgio, dove l’andamento, almeno dal 2000, non ha subito forti variazioni. Nei paesi in cui l’accesso al mondo del lavoro avviene attraverso un percorso di formazione professionale che combina lavoro e scuola, come in Germania, i sindacati attraggono maggiormente i giovani. L’esempio del Belgio fa notare che spesso molti giovani con lavori occasionali o precari, temporanei o a tempo parziale, hanno difficoltà a iscriversi a un sindacato a causa dei costi di adesione spesso proibitivi. In Belgio, infatti, i lavoratori di età inferiore ai 25 anni, CAMBIAMENTI NELLA STRUTTURA DELL’OCCUPAZIONE E NEI POSTI DI LAVORO 23 compresi gli studenti e le persone in cerca di lavoro, godono di una riduzione o dell’esenzione del pagamento delle quote associative, partecipando quindi all’attività sindacale e godendo dei relativi benefici. (Pulignano e Doerflinger, 2014). Secondo questi autori, il problema dei sindacati belgi non è la mancanza di adesione tra i giovani, quanto la mancanza di partecipazione attiva. Grafico 5: Tassi di sindacalizzazione nella popolazione compresa tra 16 e 25 anni. 00 10 20 30 40 50 60 70 Tasso di densità sindacale (% lavoratori dipendenti) 2014 2000 1990 Estonia Ungheria Polonia Portogallo Francia Spagna Stati Uniti Messico Slovenia Grecia Paesi Bassi Slovacchia Regno Unito Australia Italia Canada Germania Austria Irlanda Danimarca Finlandia Svezia Belgio I sindacati spagnoli presentano un quadro contrastante: il tasso di sindacalizzazione dei giovani è molto basso e in continuo calo. Di conseguenza, il divario con i tassi di adesione dei lavoratori anziani è molto ampio (grafico 5 e 6). Secondo Pulignano, Gervasi e Franceschi (2016), questo scenario dipende dal fatto che la maggior parte dei giovani è intrappolata in lavori temporanei, fuori quandi dalla copertura dei sindacati, che sono maggiormente radicati tra i lavoratori permanenti. Questo “dualismo” si è intensificato a seguito della crisi del 2008 e delle conseguenti politiche di austerità, che hanno provocato un aumento esponenziale della disoccupazione e del lavoro precario tra i giovani. Questo potrebbe essere uno dei motivi per cui “Juventud Sin Futuro” (Gioventù senza futuro), un movimento che ha denunciato la precarietà lavorativa dei giovani, nato nel 2011 parallelamente al movimento Indignados (Antentas, 2011), ha esplicitamente rifiutato qualsiasi legame con i sindacati (e con i partiti politici consolidati), sotto lo slogan “Non ci rappresentano” (Flesher Fominaya, 2015; Hyman e Gumbrell-McCormick, 2017). Sebbene le due principali confederazioni sindacali spagnole abbiano cercato di contrastare il calo degli iscritti reclutando le donne, i giovani lavoratori e i lavoratori a tempo determinato (Heery e Adler, 2004), non sono stati ottenuti i risultati sperati a causa delle limitate risorse a disposizione per questo scopo. (Keune, 2013). Il divario nei tassi di sindacalizzazione dei giovani lavoratori che entrano nel mercato del lavoro e dei lavoratori anziani prossimi alla pensione hanno raggiunto livelli molto elevati, non solo in Spagna. Il grafico 6 mostra le differenze nei tassi di sindacalizzazione dei lavoratori nelle due fasce di età (16–24 e 55–64 anni) in cui il lavoratore medio entra o esce dal mercato del lavoro16. Nel 2014 nei paesi industrializzati avanzati, i lavoratori anziani, quelli entrati nel mercato del lavoro negli anni ‘70, erano in media 4,3 volte più sindacalizzati rispetto ai lavoratori entrati nel mercato del lavoro nell’ultimo decennio (grafico 6)17. Quindici anni fa, questa differenza era circa la metà. Da ciò deriva un invecchiamento dei sindacati e una crescita della quota di iscritti prossimi a uscire dal mercato del lavoro. L’età media degli iscritti ai sindacati nei paesi europei è salita a 45 anni (calcolata nell’ambito dell’European Social Survey) e in media il 20 per cento di tutti gli iscritti ha più di 55 anni, senza considerare i pensionati. In quasi tutti i paesi, i tassi di sindacalizzazione tendono ad aumentare tra le fasce più alte d’età. Il problema di fondo è che ci sono molte differenze tra i giovani e gli anziani. I tassi di sindacalizzazione dei lavoratori anziani sono elevati perché lo erano altrettanto quelli delle generazioni passate. In altre parole, questi alti livelli di sindacalizzazione sono il risultato delle decisioni prese circa trenta o quarant’anni fa. I lavoratori tendono ad aderire a un sindacato quando sono giovani, il più delle volte quando hanno trovato il loro primo lavoro stabile o hanno iniziato a costruire una famiglia (Visser, 2002). Anche le probabilità di abbandonare il sindacato sono più alte nei primi anni di adesione, per 24 LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO poi diminuire drasticamente (Van Rij e Saris, 1993). I lavoratori che non si iscrivono a un sindacato prima dei 30 o 35 anni di età molto probabilmente non lo faranno mai. Ciò significa che, se da una parte negli ultimi trenta o quarant’anni è diminuita l’appartenenza sindacale dei giovani, dall’altra è aumentata la quota di lavoratori che non si iscrivono mai a un sindacato, come hanno dimostrato Booth, Budd e Munday (2010) con i dati degli Stati Uniti e Bryson e Gomez (2005) del Regno Unito. Grafico 6: Tassi di sindacalizzazione tra i lavoratori in entrata e in uscita dal mercato del lavoro, 2014. 00 10 20 30 40 50 60 70 80 Tasso di densità sindacale (% lavoratori dipendenti) età 16–24 anni età 55–64 anni Lituania Estonia Lettonia Ungheria Rep Ceca Polonia Portogallo Israele Francia Spagna Stati Uniti Messico Slovenia Grecia Paesi Bassi Nuova Zelanda Slovacchia Regno Unito Australia Italia Svizzera Canada Germania Austria Irlanda Norvegia Danimarca Finlandia Svezia Belgio ⏹ 2.5 I sindacati nei servizi sociali e commerciali La maggior parte dei nuovi posti di lavoro nell’economia delle piattaforme riguarderà i servizi commerciali — vendita al dettaglio, settore alberghiero, ristorazione, catering e turismo, trasporto privato su strada, servizi alle imprese, agenzie di noleggio e di lavoro, comunicazioni, sicurezza e servizi domestici. In queste attività, i tassi di sindacalizzazione sono bassi anche tra i lavoratori con contratti di lavoro standard. Nell’ambito dei servizi commerciali, che comprendono anche i trasporti pubblici, i servizi postali, bancari e assicurativi, sono sindacalizzate generalmente solo le grandi imprese (grandi magazzini, società ferroviarie e compagnie aeree nazionali, trasporti stradali comunali, servizi postali, banche e società assicurative di grandi dimensioni), soprattutto quelle a partecipazione pubblica. In questi settori, il lavoro temporaneo e a tempo parziale è molto diffuso, soprattutto nel commercio al dettaglio, nel settore alberghiero, nella ristorazione, nei servizi di sicurezza e in quelli domestici. Inoltre, la maggior parte delle persone lavora in piccole o micro imprese con meno di 100 o addirittura 10 dipendenti, oppure in maniera “autonoma”. Nel complesso, il tasso di sindacalizzazione nei servizi commerciali — oggi il settore più grande e maggiormente in crescita in termini di occupazione nella maggior parte dei paesi — è molto al di sotto della media nazionale di tutti i paesi (grafico 7). Questi tassi sono estremamente bassi negli Stati Uniti, in Colombia, Costa Rica, Honduras, Messico, Francia, Turchia, Repubblica di Corea, quasi tutti i paesi dell’Europa centrale e orientale e diversi paesi africani. Paesi come Cile, Canada, Brasile, Australia, Nuova Zelanda, Israele, Slovenia e una serie di paesi dell’Europa occidentale si attestano al 10 per cento o appena al di sopra. In Sudafrica, Giappone, Irlanda, Austria e Italia i tassi di sindacalizzazione si attestano in prossimità del venti per cento — un dipendente su cinque — mentre sono più alti in Belgio e nell’Europa settentrionale. Confrontando i dati in maniera retrospettiva, possibile tuttavia solo per alcuni parsi, si osserva che la crescita dell’occupazione ha superato la crescita degli iscritti quasi ovunque e che i tassi di sindacalizzazione nei servizi commerciali sono diminuiti. I tassi di sindacalizzazione nei servizi commerciali variano tuttavia anche all’interno del settore stesso. I livelli più bassi si registrano di norma nel commercio al dettaglio, nel settore alberghiero, nella ristorazione, nel turismo, nel trasporto privato su strada, nei servizi alle imprese (comprese le agenzie di noleggio e di lavoro) e nei servizi personali (pulizia). A titolo di esempio, il tasso di sindacalizzazione del settore alberghiero e nella ristorazione è inferiore al 3 per CAMBIAMENTI NELLA STRUTTURA DELL’OCCUPAZIONE E NEI POSTI DI LAVORO 25 cento negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Ungheria, al 4 per cento in Francia, al 5 per cento in Australia e Giappone, al 6 per cento in Canada e al 7 per cento nei Paesi Bassi. In questi paesi, inoltre, i tassi di sindacalizzazione di questi settori sono diminuiti nell’ultimo decennio. Nel commercio al dettaglio, i sindacati hanno la loro roccaforte nei grandi magazzini, ma negli ultimi anni il mercato si è spostato sempre più verso lo shopping online e i servizi di consegna come Amazon. Gli attuali tassi di sindacalizzazione variano dall’1 per cento in Tanzania, al 2 per cento in Polonia, al 4 per cento in Ungheria, nella Repubblica di Corea e negli Stati Uniti, tra il 5 e il 6 per cento in Francia e tra l’11 e il 13 per cento nel Regno Unito, nei Paesi Bassi, in Canada, in Australia e in Giappone. I tassi di sindacalizzazione nei servizi alle imprese, compresi i servizi finanziari e assicurativi, tendono a essere inferiori al 10 per cento e, come nell’industria, i posti di lavoro amministrativi di medio livello stanno scomparendo, mentre la quota di lavoratori “autonomi” è in aumento. Nel settore dei trasporti e delle comunicazioni, i sindacati sono particolarmente radicati nei servizi pubblici o a partecipazione statale (ferrovie e linee aeree, servizi portuali e traghetti, trasporti municipali, servizi postali), ma la privatizzazione, l’off-shoring (nei trasporti marittimi) e la concorrenza internazionale nei trasporti stradali e marittimi e nelle comunicazioni hanno sottratto terreno ai sindacati. La grafico 7 mostra anche i tassi di sindacalizzazione nei servizi sociali e alla comunità. Questo settore comprende la pubblica amministrazione, la sicurezza sociale, le forze politiche e di sicurezza, l’istruzione, la sanità, l’arte e lo spettacolo e altri servizi sociali e alla persona. Non sorprende che i tassi di sindacalizzazione in questi servizi siano molto più elevati rispetto a quelli dei servizi commerciali. Fa eccezione il Cile, dove non è riconosciuto ai dipendenti pubblici il diritto di associazione. In media, per i 49 paesi indicati nella grafico 7, il livello di sindacalizzazione è 3 o 4 volte superiore nei servizi sociali rispetto ai servizi commerciali. Di norma, in tutti paesi, i più elevati tassi di sindacalizzazione si registrano tra i funzionari pubblici, gli amministratori, i dipendenti pubblici a livello locale e centrale, gli insegnanti e, dove consentito, tra i militari e le forze dell’ordine. Questa tendenza può essere spiegata da diverse ragioni, tra cui il supporto delle autorità ai sindacati, il livello di competenze e lo spirito di squadra, il riconoscimento di particolari garanzie in caso di adesione a un sindacato e un più alto grado di stabilità occupazionale rispetto al settore privato, sebbene i contratti a breve termine e il lavoro in somministrazione si siano ampiamente diffusi anche in questo settore, soprattutto nell’istruzione, nella sanità e nei servizi pubblici sussidiari. L’analisi delle serie storiche, disponibili per un gruppo più piccolo di paesi, rileva che il divario nei livelli di sindacalizzazione dei lavoratori dei servizi commerciali e di quelli sociali (e di coloro che lavorano nel settore privato o pubblico in generale) si è rapidamente accentuato negli anni ‘80 e ‘90 in seguito al forte calo di adesione sindacale nel settore privato (che ha interessato il settore dei servizi tanto quanto quello dell’industria). Tuttavia, a partire dal 2000, i tassi di sindacalizzazione sono diminuiti anche nel settore dei servizi pubblici, a causa della privatizzazione, dell’aumento dei contratti a tempo determinato nella pubblica amministrazione e nell’istruzione, nonché del passaggio dal lavoro dipendente al lavoro autonomo nell’assistenza sanitaria. Nei paesi africani, gli insegnanti, che spesso costituiscono il gruppo sindacale più numeroso, sono stati determinanti nella nascita dei sindacati. Essi rappresentanti il 53 per cento del totale degli iscritti che versano le quote associative in Sierra Leone, il 47 per cento in Tanzania, il 31 per cento in Ghana, il 30 per cento in Uganda, il 29 per cento in Zimbabwe e il 24 per cento in Malawi. La rappresentanza sindacale degli insegnanti supera quella di qualsiasi altro gruppo professionale. Le stesse quote sono state registrate in alcuni paesi definiti a “bassa sindacalizzazione” del mondo sviluppato, ad esempio negli Stati Uniti, dove l’adesione sindacale degli insegnanti rappresentava il 28 per cento del totale degli iscritti nel 2017, il 22 per cento in Francia nel 2013 e il 20 per cento in Messico nel 2015. Anche gli infermieri e i medici sono di solito ben rappresentati all’interno dei sindacati, anche se spesso attraverso associazioni professionali al di fuori del movimento sindacale tradizionale. In generale, lo spostamento dell’occupazione dall’industria ai servizi, e più in particolare ai servizi sociali e alla comunità, è accompagnato da un aumento del livello di istruzione. I tassi di sindacalizzazione tendono ad aumentare con il livello di istruzione. I dati di cui disponiamo, relativi solo ai paesi dell’OCSE, mostrano che, in media, più di due membri sindacali su cinque hanno un livello di istruzione avanzata, due su cinque hanno un livello di istruzione secondaria superiore e meno di un quinto non possiede un livello di istruzione secondaria. La Turchia, il Messico, la Repubblica di Corea, la Spagna e il Portogallo sono i paesi con il maggior numero di lavoratori non qualificati e in cui la quota di iscritti a un sindacato con un’istruzione inferiore supera il 30 per cento del totale degli iscritti. Come il passaggio ai servizi, anche l’aumento della partecipazione femminile ai sindacati ha comportato un aumento del livello di istruzione. Maggiore è la quota di donne nei sindacati, minore è la quota di iscritti che non hanno conseguito un livello di istruzione secondaria (r=-0,57). 26 LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO Grafico 7: Tassi di sindacalizzazione nel settore dei servizi, 2015–2016. 0 10 20 30 40 50 60 70 80 Tassi di densità sindacale (% lavoratori dipendenti) servizi servizi commerciali servizi sociali e collettivi Swaziland Tanzania Zimbabwe Zambia Malawi Mozambico Ghana Uganda Sudafrica Kenya Colombia Stati Uniti Cile Messico Costa Rica Honduras Brasile Canada Turchia Rep di Corea Australia Giappone Nuova Zelanda Israele Estonia Lituania Polonia Ungheria Slovacchia Bulgaria Rep Ceca Lettonia Slovenia Francia Svizzera Spagna Germania Paesi Bassi Portogallo Grecia Irlanda Regno Unito Austria Italia Belgio Norvegia Danimarca Finlandia Svezia ⏹ 2.6 L’aumento dell’adesione sindacale femminile Oltre al calo dell’adesione sindacale nel settore industriale, il principale cambiamento del mondo sindacale degli ultimi decenni è l’aumento della partecipazione femminile. Questo processo ha interessato quasi tutto il mondo e ha avuto inizio intorno al 1970 in alcuni paesi dell’Europa settentrionale e del mondo anglosassone. Oggi, la quota della partecipazione femminile supera quella maschile nell’Europa centrale e orientale, nell’Europa settentrionale, nonché in Canada, Australia, Nuova Zelanda, Irlanda, Regno Unito, Israele, Cambogia, Nicaragua e Tunisia. In quasi tutti i paesi, l’adesione sindacale delle donne è in costante aumento. Tra il 2016 e il 2017, i tassi di sindacalizzazione femminile erano più elevati di quelli maschili in 27 dei 56 paesi riportati nel grafico 8. Per circa trenta o quarant’anni, in molti paesi si sono registrati tassi di sindacalizzazione maschile e femminile più o meno equi, inizialmente come conseguenza della crescente partecipazione femminile e in seguito perché un elevato numero di uomini ha perso il lavoro, abbandonando di conseguenza anche i sindacati. Alla base di questi sviluppi ci sono i cambiamenti strutturali di cui abbiamo già discusso: la deindustrializzazione, che ha colpito maggiormente gli uomini rispetto alle donne e lo sviluppo dei servizi sociali e commerciali, che hanno creato maggiori opportunità di occupazione e di sindacalizzazione per le donne. Negli ultimi anni, si è registrato in termini assoluti un calo dell’adesione sindacale maschile e un aumento di quella femminile nella maggior parte dei paesi sviluppati. In molti paesi, tuttavia, questa crescita è stata arrestata dall’introduzione delle politiche di austerità e dal ridimensionamento dei servizi pubblici in seguito alla crisi finanziaria del 2007–2008 e la successiva recessione. In molti paesi in via di sviluppo, soprattutto in Africa e in Asia, in seguito all’espansione dei sindacati nel settore informale, che di norma offre lavoro principalmente alle donne, è aumentata la partecipazione sindacale delle donne. I più bassi tassi di sindacalizzazione femminile e il maggiore divario tra il tasso di sindacalizzazione maschile e femminile si registrano in Argentina, Pakistan, Turchia, Repubblica di Corea, Giappone, Austria, Germania, Grecia e Cipro. Non sono chiari tuttavia i motivi di questa scarsa partecipazione delle donne. In questi paesi, ad eccezione della Grecia, di Cipro e del Pakistan, esiste ancora oggi una forte tradizione industriale e quindi una predominanza del sindacalismo industriale. Questo probabilmente ha ritardato la sindacalizzazione delle donne, maggiormente occupate nei servizi pubblici e privati. Inoltre, hanno sicuramente influito fattori religiosi e culturali (come ad esempio il confucianesimo in Giappone, l’Islam in Pakistan, la cultura sindacale maschilista nella Repubblica di Corea e in Giappone, il machismo in America Latina, il paternalismo in Africa e il modello maschilista del capofamiglia in alcuni paesi dell’Europa continentale) (si veda Cook et al., 1984). Tuttavia, queste spiegazioni religiose e culturali vanno considerate con le dovute cautele, alla luce delle differenze nei livelli di sindacalizzazione registrati all’interno delle stesse regioni, culture e persino religioni, e in alcuni casi, dei rapidi cambiamenti avvenuti nel corso tempo (ad esempio in Irlanda o nei Paesi Bassi). Non molto tempo fa, l’ideologia cristiana imponeva alle donne di tornare a casa dopo il matrimonio e il parto. I CAMBIAMENTI NEI RAPPORTI DI LAVORO 27 Grafico 8: Tassi di sindacalizzazione per genere, 2016/2017. 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 tutti donne uomini Burundi Ruanda Marocco Ghana Sudafrica Guatemala Stati Uniti Messico Cile Brasile Canada Nicaragua Argentina Pakistan Turchia Filippine Malaysia Rep di Corea Bangladesh Australia Giappone Nuova Zelanda Cambogia Israele Estonia Lituania Ungheria Slovacchia Rep Ceca Polonia Lettonia Bulgaria Slovenia Romania Croazia Fed Russa Francia Portogallo Spagna Germania Paesi Bassi Svizzera Grecia Irlanda Regno Unito Austria Lussemburgo Italia Cipro Malta Norvegia Belgio Finlandia Svezia Danimarca Islanda 3 / I cambiamenti nei rapporti di lavoro A partire dagli anni ‘80, abbiamo assistito a un indebolimento del rapporto di lavoro standard, tipicamente utilizzato nelle grandi imprese, tra gli operai delle industrie sindacalizzate e gli impiegati con mansioni dirigenziali e d’ufficio. Il declino del lavoro standard, come norma e modello anche per le imprese non sindacalizzate, è associato alla contrazione del settore formale in Africa, Asia e America Latina. Il lavoro standard è stato il fondamento normativo delle leggi e delle norme volte a tutelare i lavoratori da eccessivi orari lavorativi e condizioni di lavoro non dignitose, garantendo loro il diritto di associazione e alla contrattazione collettiva, nonché a prestazioni sociali come assicurazioni sociali e pensioni (Stone and Arthurs, 2013). Nei paesi ad alto reddito, i rapporti di lavoro sono molto diversificati, passando da un’occupazione formale permanente o stabile a diverse forme di lavoro atipiche (o non standard), in particolare il lavoro temporaneo, a tempo parziale, in somministrazione, a chiamata e diverse forme di lavoro autonomo. Una maggiore flessibilità e diversità caratterizza anche l’orario di lavoro, fino ad arrivare al lavoro mobile e al lavoro da casa. In virtù di queste nuove modalità di lavoro, i lavoratori possono essere classificati come autonomi, indipendenti o in proprio, oppure possono essere collocati da un’agenzia di lavoro temporaneo, distaccati temporaneamente in altri paesi o trasferiti dalla forza lavoro principale di grandi aziende dominanti alle imprese più piccole e meno stabili dei loro fornitori. Il lavoro occasionale è ampiamente diffuso nei paesi a basso e medio reddito e si sta facendo strada anche nei paesi industrializzati. In Bangladesh, quasi due terzi del lavoro retribuito è occasionale; in Mali e Zimbabwe, un dipendente su tre ha un lavoro occasionale, mentre in Australia, uno su quattro (IPSP, 2018). L’OCSE stima che il lavoro atipico, che comprende i lavoratori autonomi, temporanei, a tempo parziale e a tempo determinato, rappresenta quasi un quarto dell’occupazione totale. Il lavoro atipico, tuttavia, si è affermato ben prima della crisi del 2008. In media, quasi il 2,6 per cento dei posti di lavoro a tempo pieno e permanenti nei paesi dell’OCSE sono andati distrutti a seguito della recessione, con un conseguente aumento del lavoro atipico. L’OIL stima che l’incidenza del lavoro temporaneo nel settore formale è dell’11 per cento, calcolata come media su 150 paesi, passando da meno del 5 per cento in Lettonia, Norvegia e Sierra Leone a oltre il 25 per cento in Perù, Polonia e Spagna (OIL, 2018b). 28 LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO ⏹ 3.1 La globalizzazione e le migrazioni Grazie all’eliminazione delle barriere commerciali, alla riduzione dei costi di trasporto e alla deregolamentazione dei mercati dei prodotti e del lavoro, è diventato più facile per le imprese de-localizzare la produzione attraverso lo sviluppo di catene di fornitura globali. Il principale vantaggio dei paesi in via di sviluppo era e rimane l’accesso a una manodopera a basso costo. La strategia di sviluppo industriale orientata all’esportazione, spesso di stampo autocratico, adottata dal Giappone negli anni ‘50, dalla Corea del Sud negli anni ‘60 e dalla Cina negli anni ‘80 e ‘90, richiede un miglioramento delle competenze man mano che l’economia cresce e i livelli di reddito aumentano. Alcuni settori, come quello dell’abbigliamento, migrano continuamente a causa dell’aumento dei costi del lavoro e con l’affermarsi di nuovi siti produttivi in paesi come il Bangladesh, la Cambogia, l’Indonesia e il Vietnam. L’esternalizzazione della produzione in catene di produzione globali ha creato milioni di posti di lavoro nel Sud del mondo, spesso nelle zone industriali di esportazione (EPZ). Questo tuttavia non si è tradotto in un aumento dei livelli di sindacalizzazione dei lavoratori industriali. La maggior parte dei posti di lavoro delocalizzati nel Sud del mondo sono lavori a basso contenuto tecnologico nel settore manifatturiero o nei servizi essenziali, legati principalmente allo sviluppo del turismo e dei trasporti e alle crescenti necessità di sicurezza. Il maggiore calo dell’occupazione si è registrato nei settori industriali che si sono duramente confrontati con la concorrenza cinese (Autor, Dorn e Hanson, 2016), che in molti paesi industrializzati ha creato fenomeni di declino economico, spopolamento e decadimento urbano, come la Rust Belt americana. Ciò ha avuto un significativo impatto su molti sindacati e sulla forza lavoro sindacalizzata. Anche il consolidamento delle zone industriali di esportazione nei paesi in via di sviluppo ostacola la diffusione e la crescita dei sindacati. Esse sono generalmente promosse come strumento per attrarre investimenti stranieri, introdurre nuove tecnologie e creare posti di lavoro, spesso attraverso incentivi fiscali e l’indebolimento dei diritti dei lavoratori, a volte addirittura vietando l’associazione sindacale18 Senza una rappresentanza sindacale, le norme del lavoro esistenti spesso non sono rispettate (Murray, 2018). Ad esempio, in Bangladesh, le politiche del governo per vietare l’attività sindacale nelle zone industriali di esportazione si sono attenuate solo dopo il crollo di un edificio che ha provocato la morte di oltre 1.100 lavoratori nel 2013. ⏹ 3.2 Le migrazioni Oltre ai posti di lavoro, anche le persone si spostano. I flussi migratori verso le regioni del Nord del mondo si sono particolarmente intensificati nei dieci anni precedenti la crisi finanziaria mondiale. Dopo la crisi, i flussi migratori sono rallentati, per poi intensificarsi nuovamente, con un numero crescente di rifugiati in fuga dalla guerra e dalla miseria (Afonso e Devitt, 2016). L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) stima che nel 2015 il numero di migranti si attestava a quasi un miliardo in tutto il mondo, ovvero una persona su sette a livello mondiale (OIM, 2016). La grande maggioranza (740 milioni) è costituita da migranti nazionali, che si spostano principalmente dalle zone rurali alle zone urbane, di cui 150 milioni solo in Cina. I migranti internazionali nel 2015 erano 244 milioni, con un incremento del 41 per cento rispetto al 2000. I flussi migratori internazionali tra le regioni del Sud del mondo coinvolgono 90 milioni di persone, ossia il 35 per cento di tutti i migranti internazionali, appena al di sopra della quota dei migranti che si spostano dal Sud al Nord del mondo (che si attestano al 33 per cento), mentre solo il 23 per cento si sposta tra i paesi del Nord e appena il 5 per cento dal Nord al Sud del mondo. I dati dell’OIL per il 2013 suggeriscono che la maggior parte dei migranti internazionali, 130 milioni, si sposta per motivi di lavoro, di cui il 75 per cento nei paesi ad alto reddito (OIL, 2015b). Rispetto al totale dei lavoratori, la quota dei lavoratori migranti internazionali varia da meno del 3 per cento in gran parte dell’Africa, dell’America Latina e dell’Asia meridionale e orientale al 9–10 per cento nell’Europa orientale e nell’Asia centro-occidentale, al 16 per cento nell’Europa settentrionale, occidentale e meridionale, al 20 per cento nell’America settentrionale e al 35 per cento nei paesi arabi. Tra il 2003 e il 2013, i migranti internazionali hanno contribuito aell’aumento della forza lavoro, in una misura del 70 per cento in Europa e del 47 per cento negli Stati Uniti. I sindacati dei paesi del Nord Europa non sempre hanno accolto i lavoratori provenienti dall’Europa meridionale, dalla Turchia e dal Nord Africa nell’ambito dei programmi di accoglienza dei lavoratori migranti. Questo ha spesso generato delle tensioni all’interno del nascente movimento sindacale dell’Unione europea (Penninx e Roosblad, 2000). In seguito alla chiusura di questi programmi a causa degli shock economici degli anni Settanta, molti paesi hanno adottato politiche di immigrazione zero, consentendo comunque ai migranti già presenti sul territorio di rimanere e di riunirsi con le loro famiglie. Le politiche neoliberiste di globalizzazione degli anni ‘80 e ‘90 hanno portato a una nuova fase delle migrazioni come risultato della riattivazione delle fabbriche, dello sviluppo dell’occupazione I CAMBIAMENTI NEI RAPPORTI DI LAVORO 29 informale e dello sfruttamento del lavoro nelle regioni del Nord del mondo (Reyneri, 2003). I lavoratori migranti sono stati tradizionalmente esclusi dai sindacati e meno sindacalizzati rispetto ai lavoratori nazionali con occupazioni simili. Non è chiaro se ciò dipenda da una minore propensione dei lavoratori migranti ad aderire ai sindacati o se piuttosto siano i sindacati a non avere interesse nei confronti dei lavoratori migranti. Dal 2000,tuttavia, i sindacati dell’America settentrionale, dell’Europa occidentale e nel Sud-Est asiatico hanno adottato un approcio più “inclusivo” nei confronti dei migranti internazionali (Caspersz, 2013). Essi hanno cominciato a sostenere i canali legali dell’immigrazione per motivi di lavoro e a garantire forme di associazione ai migranti, a volte creando uffici e strutture speciali all’interno dei sindacati o tramite collaborazioni con organizzazioni della società civile (Connolly et al., 2014; Milkman, 2013; Tapia e Turner, 2013). Nei paragrafi successivi, troveremo esempi di paesi come la Giordania, il Sudafrica e Hong Kong. Nell’Europa occidentale e nell’America settentrionale, i sindacati hanno raggiunto la consapevolezza che l’applicazione delle norme del lavoro è uno strumento più efficace per proteggere il mercato del lavoro rispetto ai controlli sulle migrazioni. Alcuni sindacati hanno adottato un approccio più restrittivo di altri, ad esempio sostenendo e ottenendo nel 2004 una sospensione temporanea delle migrazioni di manodopera dagli otto nuovi Stati membri dell’UE dell’Europa centrale e orientale (Dølvik e Visser, 2009). Tuttavia, attualmente i sindacati si concentrano maggiormente sulla situazione e sul trattamento dei migranti presenti nel paese piuttosto che sulla gestione dei flussi migratori (Krings, 2010). Nel 2000, la Federazione americana del lavoro — Congresso delle organizzazioni industriali (AFL-CIO) degli Stati Uniti ha adottato delle politiche a favore dei migranti, abbandonando il precedente approccio più restrittivo. La federazione è infatti impegnata nella difesa dei diritti degli immigrati e nella regolarizzazione della posizione dei lavoratori irregolari presenti nell’America centrale e meridionale (Milkman, 2013). In diversi paesi europei, tra cui Francia, Spagna, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Regno Unito, i sindacati sono diventati sostenitori dei diritti degli immigrati (Connolly, Marino, Martinez Lucio, 2014; Jacobson e Geron, 2011). Il grafico 9 mette a confronto i tassi di sindacalizzazione dei lavoratori nazionali e stranieri di diversi paesi europei relativi all’anno 2012. Purtroppo non disponiamo dei medesimi dati per i paesi extra europei. I dati riportati si basano su rilevazioni sulle forze di lavoro (Irlanda, Paesi Bassi, Svezia, Regno Unito, Estonia) e sui dati derivati dall’ European Social Survey, calibrati rispetto ai tassi di sindacalizzazione noti19. Ad esclusione di poche eccezioni (principalmente Portogallo e Slovenia), i lavoratori migranti sono meno sindacalizzati dei lavoratori nazionali. Gorodzeisky e Richards (2013) e Kranendonk e de Beer (2016), utilizzando i dati di diverse edizioni dell’ European Social Survey, concludono che il fatto che in Europa i lavoratori migranti siano meno sindacalizzati dei lavoratori nazionali non dipende esclusivamente da fattori come la loro maggiore concentrazione in determinati settori o tipi di attività meno sindacalizzati, quanto piuttosto dalle differenze nelle politiche sindacali. Nei paesi europei indicati nel grafico 9, i lavoratori nazionali hanno in media 1,3 volte più probabilità di aderire a un sindacato rispetto ai lavoratori stranieri. Il divario maggiore si osserva in Spagna (2,3:1), Grecia (1,9:1), Ungheria (1,6:1), Austria (1,6:1), Svizzera, Germania e Irlanda (1,5:1). In Francia e nel Regno Unito il rapporto è in media di 1,3:1. Il divario inferiore invece si registra invece in Belgio, Italia, Finlandia, Svezia, Danimarca (con un rapporto di circa 1,1:1), nonché nei Paesi Bassi, in Norvegia e in Polonia (1,2:1). Purtroppo non disponiamo di serie storiche per la Spagna o la Grecia che consentano di osservare gli effetti della recessione del 2008 e del conseguente forte aumento della disoccupazione. I lavoratori migranti sono stati maggiormente colpiti dalla crisi? Hanno lasciato il paese o sono rimasti? Hanno abbandonato i sindacati o sono stati i sindacati ad abbandonarli? I dati disponibili per la Svezia, la Danimarca, l’Irlanda e i Paesi Bassi, consentono di effettuare un confronto con la situazione degli anni Novanta. Da questa analisi risulta che il tasso di sindacalizzazione dei lavoratori migranti o di origine straniera in Svezia, Danimarca e Irlanda è diminuito in misura maggiore rispetto al tasso di sindacalizzazione dei lavoratori nazionali. Nei Paesi Bassi, invece, il tassi di sindacalizzazione di entrambi i gruppi sono diminuiti in misura pressocchè uguale, nonostante l’impegno dei sindacati olandesi a favore dei lavoratori temporanei e dei migranti (Connolly, Marino e Martinez Lucio, 2016). Il forte calo dell’adesione sindacale dei lavoratori migranti in Danimarca e Svezia può essere attribuito ai cambiamenti politici che hanno indebolito il sistema dei regimi di assicurazione contro la disoccupazione gestiti dai sindacati, con un impatto fortemente negativo sul reclutamento e sull’adesione sindacale dei giovani lavoratori, dei lavoratori temporanei e dei migranti (Kjellberg e Ibsen, 2016). In Irlanda, la quota dei lavoratori stranieri è aumentata rapidamente negli anni 2000, passando da una prevalenza di cittadini di origine anglosassone a una prevalenza di cittadini provenienti dall’Europa dell’Est. Molti migranti hanno esperienze diverse sui sindacati dei loro paesi d’origine, alcune positive altre negative, che probabilmente influiscono sulla decisione di iscriversi a un sindacato nel paese di accoglienza. 30 LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO Grafico 9: Tassi di sindacalizzazione dei lavoratori stranieri e nazionali, 2012. 00 10 20 30 40 50 60 70 Tasso di densità sindacale (% degli occupati) lavoratori autoctoni lavoratori nati all’estero Estonia Ungheria Francia Spagna Polonia Bulgaria Rep Ceca Grecia Germania Svizzera Slovacchia Paesi Bassi Austria Regno Unito Irlanda Portogallo Slovenia Italia Norwegia Belgio Finlandia Svezia Fonte: Banca dati ICTWSS, calcolati nell’ambito dell’European Social Survey, calibrati rispetto ai tassi di sindacalizzazione noti. ⏹ 3.3 I lavoratori temporanei e a tempo parziale In un gran numero di paesi, sia ad alto reddito sia in via di sviluppo, la maggior parte dei giovani ha un lavoro temporaneo. Mentre i lavori con contratti a tempo determinato garantiscono alle persone che entrano nel mercato del lavoro un lavoro retribuito, dando allo stesso tempo ai datori di lavoro la possibilità di reclutare il personale, la segmentazione dei mercati del lavoro e la dura protezione dei lavoratori “regolari” dal licenziamento spesso si traducono in catene infinite di lavori temporanei, riducendo la possibilità dei lavoratori di ottenere un’occupazione stabile. Nei paesi per i quali disponiamo di dati, i posti di lavoro in somministrazione rappresentano dall’1 al 6 per cento del lavoro retribuito. In Europa, è diventato più facile per le imprese, direttamente o attraverso agenzie di lavoro, “distaccare”i lavoratori in un altro paese per un tempo determinato. I paesi asiatici, in particolare, hanno assistito, nel corso degli ultimi decenni, alla crescita di varie forme di distaccamento del lavoro, in somministrazione, in subappalto o in “outsourcing” (esternalizzato). Nel settore manifatturiero indiano, la quota del lavoro a contratto ha interessato il 34,7 per cento dei lavoratori tra il 2011 e il 2012, rispetto ai livelli trascurabili dei primi anni Settanta. Sridhar e Panda (2014) citano fonti che mostrano che in molte aziende manifatturiere, il lavoro a contratto è salito al 60–70 per cento dell’occupazione totale. I sindacati hanno adottato un approccio più attivo e partecipativo nella difesa e rappresentanza dei lavoratori autonomi, a tempo parziale e temporanei. Nei paesi membri dell’OCSE, la quota media di lavoratori iscritti ai sindacati con un lavoro a tempo parziale o temporaneo è del 13 per cento, mentre quella dei lavoratori autonomi è del 2–3 per cento, escludendo i lavoratori del settore agricolo (grafico 10). Non disponiamo di una stima per i lavoratori in somministrazione, ma possiamo ipotizzare che anche la loro quota di adesione sindacale sia molto bassa, nonostante l’apertura dei sindacati a questa categoria di lavoratori (Benassi e Vlandas, 2016). La quota dei lavoratori a tempo parziale nei sindacati aumenta parallelamente alla quota dei lavoratori temporanei (r=0,53), il che suggerisce una sovrapposizione dei dati che, quindi, non possono essere sommati. Analizzando i tre gruppi separatamente, notiamo che la quota dei lavoratori temporanei è maggiore in Turchia e Israele, seguiti da Irlanda, Stati Uniti, Italia e Australia. I sindacati di Paesi Bassi, Australia, Regno Unito, Irlanda e Belgio hanno una maggiore quota di lavoratori a tempo parziale. Il lavoro a tempo parziale è meno sviluppato nell’Europa centrale e orientale e la maggior parte dei sindacati non garantisce la rappresentanza a questa categoria di lavoratori. Lo stesso vale per i lavoratori in somministrazione, che solo di recente hanno attirato l’attenzione delle organizzazioni sindacali. (Bernaciak e Kahancová, 2017). Di norma, i sindacati offrono tutela e rappresentanza a nuovi gruppi di lavoratori atipici quando raggiungono dimensioni considerevoli e in continua crescita e quando I CAMBIAMENTI NEI RAPPORTI DI LAVORO 31 il loro intervento è essenziale per la loro sopravvivenza o per determinare la loro posizione contrattuale20. I dati sull’adesione sindacale dei lavoratori autonomi (compresi i liberi professionisti, gli artisti, gli studenti, i lavoratori in proprio e i gig-workers) sono disponibili solo per la metà di questi paesi. La loro quota rispetto al totale degli iscritti è ancora bassa, seppur in crescita in paesi come Israele, Slovacchia, Finlandia, Svezia, Italia e Paesi Bassi. Grafico 10: Quota dei lavoratori autonomi, temporanei e a tempo parziale iscritti a un sindacato. 00 05 10 15 20 25 30 35 40 45 50 Quota di partecipazione (%) autonomi lavoratori temporanei lavoratori part-time Turchia Israele Irlanda Stati Uniti Italia Australia Lettonia Spagna Slovacchia OCSE Paesi Bassi Belgio Canada Finlandia Regno Unito Portogallo Svezia Grecia Svizzera Danimarca Norvegia Germania Polonia Nuova Zelanda Francia Messico Rep Ceca Lituania Austria Giappone Rep di Corea Ungheria Slovenia Estonia Nota: La quota dei lavoratori autonomi appartenenti a un sindacato è calcolata come una percentuale rispetto al totale dei dipendenti (lavoratori dipendenti e autonomi); la quota dei lavoratori a tempo parziale e temporanei appartenenti a un sindacato è calcolata come una percentuale rispetto al totale dei lavoratori dipendenti. L’elevato ricambio del personale ha una correlazione negativa con l’appartenenza sindacale. Se pensiamo all’appartenenza sindacale come al rispetto di una consuetudine sociale, di una reputazione o di una norma, sotto l’influenza dei colleghi e dei pari (Booth, 1985; Checchi & Visser, 2005; Ibsen, Toubøl, e Jensen, 2017; Visser, 2002), perdere o cambiare spesso lavoro fa venire meno questa influenza, ed è una delle ragioni più indicate dagli intervistati sul motivo per cui hanno abbandonato il sindacato. La ricerca conferma anche che, nel caso della Germania, i comitati aziendali dominati dai sindacati svolgono un ruolo importante non solo nel reclutamento di nuovi membri ma anche nel rinnovamento dell’adesione di quelli già iscritti (Behrens, 2009; Goerke e Pannenberg, 2007; Leschke e Vandaele, 2018). La scarsa sindacalizzazione dei lavoratori temporanei non dipende solo dal ridotto numero di adesioni e dai numerosi abbandoni a causa dei frequenti cambi di lavoro, ma è anche il risultato di una mancanza di interesse da parte dei sindacati stessi. Sebbene i sindacati europei abbiano adottato approcci differenti in risposta alla sfida del lavoro atipico, secondo Gumbrell- McCormick (2011) tali approcci hanno un punto di partenza comune. Il loro iniziale obiettivo, infatti, non era rappresentare questi nuovi lavoratori, quanto opporsi alla diffusione delle forme di lavoro atipiche, chiedendone il divieto. Dopo aver fallito in questo intento, le organizzazioni sindacali hanno iniziato a comprendere che il lavoro temporaneo si sarebbe rafforzato con il tempo e hanno adottato dunque un approccio più aperto, offrendo a questi lavoratori tutela e rappresentanza. Il sindacato tedesco IG Metall, per esempio, si è rifiutato inizialmente di rappresentare i lavoratori che facevano capo alle agenzie di lavoro, con la motivazione che ciò avrebbe dato legittimità a queste agenzie. Consapevole del fatto che il lavoro in somministrazione era diventato una caratteristica del settore metalmeccanico e aveva compromesso il potere contrattuale dei suoi membri, il sindacato ha lanciato la campagna “Equal Work — Equal Pay”, durante la quale molti lavoratori in somministrazione si sono iscritti al sindacato (Benassi e Dorigatti, 2015). Intorno al 2014, i sindacati dell’industria automobilistica ceca e slovacca, dove il lavoro in somministrazione è molto diffuso, hanno aggiornato le loro politiche con l’obiettivo di integrare la politica di tutela dei tradizionali membri (contribuenti), ossia i lavoratori permanenti, con i tentativi di rappresentare e migliorare la posizione dei lavoratori in somministrazione (Bernaciak e Kahancová, 2017). Più concretamente, ispirandosi al “modello organizzativo” importato dagli Stati Uniti, molti sindacati europei hanno organizzato campagne, in alcuni casi con un 32 LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO notevole successo, tra i lavoratori temporanei e precari, quali le guardie di sicurezza ad Amburgo, i lavoratori dei call center austriaci, gli addetti alle pulizie e al confezionamento della carne nei Paesi Bassi, i lavoratori dei fast food e dei centri commerciali francesi, i lavoratori del commercio al dettaglio in Polonia, gli addetti alle vendite svedesi, i lavoratori del settore alberghiero in Irlanda e gli addetti al confezionamento della carne nel Regno Unito (Berntsen, 2015; Connolly, Marino e Martinez Lucio, 2016; Czarzasty, Gajewska e Mrozowicki, 2014; Holtgrewe e Doellgast, 2012; Murphy e Turner, 2016; Tapia e Turner, 2013). Alcune di queste campagne si sono ispirate al modello della campagna statunitense “Justice for Janitors”, che ha avuto un notevole successo (Erickson et al., 2002). Il cambio di approccio dei sindacati è motivato anche dalla consapevolezza che il lavoro in somministrazione e il lavoro temporaneo sono una realtà per molte persone, soprattutto per i giovani. Con l’invecchiamento dei membri, soprattutto — ma non solo — nell’industria, i sindacati hanno l’urgente bisogno di reclutare più giovani. Per farlo, molti di essi hanno iniziato a interessarsi ai problemi nella transizione dalla scuola al lavoro e alla diffusione delle forme di lavoro atipiche. Alla luce di ciò, i sindacati giapponesi si sono concentrati sulla situazione dei lavoratori a tempo parziale, la maggior parte dei quali sono giovani, donne e persone con scarse garanzie di tutela del lavoro. Se da una parte le loro campagne di reclutamento dei lavoratori a tempo parziale hanno riscosso un notevole successo, dall’altra hanno incontrato diversi ostacoli legati alla struttura organizzativa dei sindacati stessi, un problema che riguarda anche la Repubblica di Corea. I sindacati aziendali, infatti, spesso limitano l’adesione ai soli lavoratori permanenti e non partecipano alle campagne per una politica di adesione più inclusiva organizzate dalle federazioni sindacali settoriali a cui appartengono (Jeong, 2001; Lee, 2010). Il tasso medio di sindacalizzazione nei paesi del grafico 11 è del 30 per cento per i lavoratori permanenti e del 14 per cento per i lavoratori temporanei. In questi paesi, i lavoratori permanenti hanno una probabilità 4,2 volte maggiore di aderire a un sindacato. Le maggiori differenze nell’adesione sindacale dei lavoratori temporanei si osservano in Danimarca, Grecia, Ungheria, India, Lituania, Messico, Polonia, Slovenia e Spagna. Non si osservano grandi differenze tra paesi estremamente diversi come Canada, Irlanda, Italia, Nuova Zelanda e Turchia. Ciò può essere attribuito a diversi fattori, come le differenze nella tutela legale del lavoro, le politiche di reclutamento sindacale o la concentrazione dei lavoratori temporanei in particolari settori o tra i giovani, che hanno un inferiore tasso di sindacalizzazione. Ma perché la Danimarca, con il suo famoso concetto di equilibrio tra flessibilità e sicurezza (la “flexicurity”), con i suoi contratti di lavoro a tempo indeterminato relativamente flessibili e con la sua politica di contrattazione collettiva inclusiva, appartiene al primo gruppo di paesi? Probabilmente questo dipende dai cambiamenti del sistema nazionale di assicurazione contro la disoccupazione. I tassi di sindacalizzazione eccezionalmente elevati registrati in Danimarca, Islanda, Finlandia e Svezia (ma non in Norvegia) sono attribuiti a un particolare regime volontario di assicurazione contro la disoccupazione noto come sistema di Ghent. Tale sistema, fortemente sovvenzionato dallo Stato e amministrato da fondi sindacali, incoraggia i lavoratori ad aderire ad un sindacato. Il Belgio ha un sistema parziale di Gent: sebbene l’assicurazione contro la disoccupazione sia obbligatoria, i sindacati hanno mantenuto un ruolo importante nell’erogazione di tali sussidi (Van Rie, Marx e Horemans, 2011; Vandaele, 201). Contrariamente alla maggior parte dei paesi in cui esiste una correlazione negativa tra disoccupazione e appartenenza sindacale, i tassi di sindacalizzazione di questi paesi in cui si applica in sistema di Ghent tendono ad aumentare in condizioni di crescente disoccupazione (Checchi e Visser, 2005). Western (1997) ha dimostrato che il sistema di Ghent è particolarmente vantaggioso per i sindacati che rappresentano i lavoratori manuali. L’introduzione delle recenti riforme ha indeblito il legame tra l’assicurazione contro la disoccupazione fornita dai sindacati e l’adesione agli stessi. I governi hanno infatti istituito dei fondi contro la disoccupazione “aperti”, non associati all’adesione sindacale in Finlandia (1992), Danimarca (2002) e Svezia (2005). Questi fondi tendono ad essere più economici e attrattivi per i lavoratori più giovani, soprattutto in Finlandia (Böckerman e Uusitalo, 2006), mentre in Danimarca sono stati creati i presupposti per la nascita di nuovi tipi di “sindacati più economici” al di fuori del movimento sindacale tradizionale che non partecipano alla contrattazione collettiva. In Svezia, il governo ha aumentato i contributi per i sussidi contro la disoccupazione e ha introdotto criteri di valutazione dell’esperienza lavorativa, che, in particolare, incidono sui membri dei sindacati degli operai. I rimborsi fiscali sulle quote dei fondi sono stati aboliti o limitati, con ripercussioni ancora una volta sui sindacati dei lavoratori manuali e meno retruibuiti (Kjellberg e Ibsen, 2016). Molti fondi, inoltre, impongono le stesse commissioni a tutti lavoratori, a tempo parziale o a tempo pieno, temporanei o permanenti. È quindi plausibile che i lavoratori a tempo parziale e soprattutto quelli temporanei, solitamente con salari più bassi, siano tagliati fuori dall’erogazione dei fondi e dall’iscrizione a un sindacato. Anche in Belgio il governo aveva in programma una riforma dell’assicurazione contro la disoccupazione, che tuttavia non è stata approvata (Vandaele, 2017). I CAMBIAMENTI NEI RAPPORTI DI LAVORO 33 Grafico 11: Tassi di sindacalizzazione dei lavoratori temporani e permanenti; Tassi di sindacalizzazione dei lavoratori tempo parziale e a tempo pieno, 2015–16. 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 tempo determinato tempo indeterminato 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 Tasso di densità sindacale (% degli occupati) part-time tempo pieno Estonia Costa Rica Rep di Corea Ungheria Lituania Slovenia Polonia Francia Messico India Rep Ceca Stati Uniti Giappone Spagna Turchia Grecia Portogallo Australia Israele Svizzera Germania Danimarca Austria Slovacchia Paesi Bassi Regno Unito Nuova Zelanda Cina Canada Irlanda Italia Svezia Norvegia Belgio Finlandia Estonia Costa Rica Rep di Corea Ungheria Lituania Slovenia Polonia Francia Messico India Rep Ceca Stati Uniti Giappone Spagna Turchia Grecia Portogallo Australia Israele Svizzera Germania Danimarca Austria Slovacchia Paesi Bassi Regno Unito Nuova Zelanda Cina Canada Irlanda Italia Svezia Norvegia Belgio Finlandia Tasso di densità sindacale (% degli occupati) Kjellberg (2018) cita l’esempio del sindacato svedese dei lavoratori del settore alberghiero e della ristorazione. Dopo le riforme e l’abolizione dei rimborsi fiscali, la quota mensile del fondo è passata da 58 corone svedesi (SEK) nel 2006 a 430 corone nel 2009. Nel settore alberghiero e della ristorazione, molti lavoratori hanno un lavoro a tempo parziale o determinato, molti sono giovani e stranieri, e il turnover della manodopera è molto elevato. Non c’è da stupirsi se molti lavoratori decidono di risparmiare sull’iscrizione al sindacato. La sindacalizzazione tra i dipendenti del settore alberghiero e della ristorazione è scesa dal 52 per cento nel 2006 al 40 per cento nel 2008 e al 27 per cento nel 2017. Un calo simile è stato osservato anche tra i lavoratori temporanei e a tempo parziale in Danimarca e Finlandia. Nel complesso, il divario nei tassi di sindacalizzazione dei lavoratori a tempo parziale e a tempo pieno si è ridotto nella maggior parte dei paesi. Attualmente, i lavoratori a tempo pieno hanno il doppio delle probabilità di aderire a un sindacato rispetto ai lavoratori a tempo parziale, ma questa differenza si riduce se si escludono le persone che lavorano poche ore alla settimana, ossia meno di 12 ore. Non è chiaro tuttavia perché una persona che lavora 20 o 24 ore alla settimana sia meno propenso ad aderire a un sindacato rispetto a una persona che lavora 36 o 40 ore, supponendo che il pagamento delle quote e i benefici siano ripartiti in base al numero di ore lavorate. Tuttavia, non tutti i sindacati hanno adottato un approccio di questo tipo. Un’altra ipotesi è che i lavoratori a tempo parziale preferiscano dare priorità ad altri interessi che non includono i sindacati. Infine, alcuni sindacati hanno iniziato troppo tardi ad affrontare la questione del lavoro a tempo parziale. In Estonia o in Polonia, ad esempio, il lavoro a tempo parziale è un fenomeno ancora piuttosto recente, spesso involontario e marginale, e i sindacati non hanno una tradizione di reclutamento di questi lavoratori. Confrontando le attività dei sindacati greci e italiani nel settore delle telecomunicazioni, in cui sono occupati molti lavoratori temporanei e a tempo parziale (“a chiamata”), Kornelakis e Voskeritsian (2016) hanno riscontrato approcci molto diversi: mentre i sindacati italiani si sono impegnati nel reclutamento dei lavoratori a tempo parziale, i sindacati greci cercano di mantenere l’adesione dei lavoratori permanenti e a tempo pieno. ⏹ 3.4 I lavoratori in proprio e i lavoratori autonomi I lavoratori in proprio e i lavoratori autonomi sono le principali categorie dell’economia informale. Il problema principale di questi lavoratori è che spesso non sono riconosciuti e tutelati dalla normativa in materia di lavoro e protezione sociale, che tende invece a concentrarsi sui lavoratori con uno “status di dipendente”. Nel 2002, la Conferenza internazionale del lavoro dell’OIL ha adottato una risoluzione sul lavoro dignitoso e l’economia informale, che rileva la 34 LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO necessità di estendere l’ambito di applicazione della legislazione sul lavoro e la protezione sociale e di riconoscere il diritto dei lavoratori autonomi di aderire o formare sindacati e di partecipare alla contrattazione collettiva (OIL, 2002). Questo impegno è stato riaffermato nel 2015 con l’adozione della Raccomandazione dell’OIL sulla transizione dall’economia informale all’economia formale (R204). I lavoratori autonomi con contratti d’appalto sono esclusi dalla contrattazione collettiva in paesi dove non è consentito stipulare accordi sui prezzi in base alla legislazione vigenti sulla concorrenza, ad esempio nell’Unione Europea e negli Stati Uniti. Nonostante questi ostacoli, l’estensione della contrattazione collettiva ai lavoratori autonomi con contratti d’appalto e la negoziazione di accordi specifici per questa categoria di lavoratori sono fondamentali per un’efficace applicazione di questo approccio nell’economia delle piattaforme. Per questo motivo la questione è al centro delle attività sindacali. Nei paesi dell’OCSE, i datori di lavoro e i lavoratori in proprio rappresentavano nel 2016 il 13 per cento di tutti i posti di lavoro formalmente registrati, contro l’85 per cento dei lavoratori dipendenti e il 2 per cento dei lavoratori non retribuiti in contesti familiari. Dal 2000, il lavoro autonomo è aumentato marginalmente, ad eccezione di alcuni paesi in cui, al contrato, è cresciuo in maniera significativa — 25 per cento in Estonia e Repubblica Ceca, 33 per cento in Francia, 40 per cento in Cile, 46 per cento nel Regno Unito, 55 per cento in Israele e 69 per cento nei Paesi Bassi (OCSE, 2018). Questi progressi riguardano il settore dell’edilizia, del trasporto di merci su strada e dei servizi commerciali, in particolare i servizi finanziari e la consulenza. Generalmente alcuni di questi lavori sono associati a forme di lavoro e di contrattazione basate sul web. Tuttavia, il lavoro autonomo è aumentato prevalentemente poco prima del 2008 ed è praticamente scomparso durante la grande recessione. I lavoratori autonomi, oltre ad avere una minore certezza del lavoro e del reddito rispetto ai lavoratori dipendenti, godono generalmente di meno benefici legati al lavoro, in particolare i sussidi di disoccupazione, le assicurazioni contro gli infortuni e le indennità di malattia e di maternità (OCSE, 2018). Meno del 5 per cento dei lavoratori autonomi intervistati nell’ambito dell’Indagine europea sulle condizioni di lavoro si definiscono lavoratori autonomi “dipendenti” (Williams e Horodnic, 2018), anche se probabilmente queste risposte non sempre corrispondono alla realtà dei fatti. Un gruppo di esperti del lavoro dell’UE ha concluso che tra le forme più comuni di lavoro precario, il lavoro autonomo “dipendente” è al secondo posto dopo il lavoro irregolare. Kalleberg (2018) definisce il “lavoro precario” come “lavoro incerto, instabile e insicuro”, in cui “i dipendenti si assumono i rischi del lavoro ... e ricevono limitate prestazioni sociali e non godono del riconoscimento dei diritti”. Sono molti gli aspetti che contribuiscono alla precarietà dei lavoratori autonomi: la mancanza di controllo, individuale o collettivo, sulle condizioni, sull’orario e sul ritmo del lavoro, nonché sul salario; l’assenza di protezione legale e contrattuale in materia di salute e sicurezza sul lavoro e la discriminazione o la negazione dei diritti applicabili ai lavoratori dipendenti. Questo riguarda ciò che è stato descritto come lavoro informale, sebbene esistano forme di precarietà anche nel settore formale e tra i dipendenti (Mosoetsa, Stillerman e Tilly, 2016). Ne è un esempio il caso degli infermieri riclassificati come collaboratori esterni in Polonia per aggirare la direttiva europea sull’orario di lavoro (Kaminska e Kahancová, 2017), e i piloti polacchi della Ryanair che, come i piloti della compagnia aerea nazionale LOT, sono considerati lavoratori autonomi, lavorando ad orari variabili senza il riconoscimento dei diritti previsti dalla legge21. In Polonia, i lavoratori autonomi non possono costituire o aderire a un sindacato. Tuttavia, a seguito di una sentenza del 2015 del Tribunale costituzionale polacco, la legge sarà modificata in modo da riconoscere tale diritto ai lavoratori autonomi o con contratti di collaborazione. (Kaminska, 2018). I liberi professionisti, che lavorano autonomamente o che si avvalgono dell’aiuto di qualche collaboratore, sono rappresentati anche attraverso associazioni di categoria, camere di commercio e associazioni professionali di ogni tipo. Alcune categorie (giornalisti e artisti freelance, medici, avvocati e architetti semi-autonomi) sono generalmente ben organizzati, altri (appaltatori del settore edile, specialisti informatici, consulenti aziendali, autisti, lavoratori delle piattaforme) molto meno (Ackers 2015). I paesi del Nord Europa sono sempre stati caratterizzati da un forte sindacalismo tra i professionisti. Naturalmente, i sindacati tendono a concentrarsi sui lavoratori autonomi “dipendenti” o “nascosti”, quelli che non hanno personale al loro servizio e che dipendono da una o pochissime fonti contrattuali. I sindacati hanno risposto all’aumento dei “lavoratori atipici” e dei nuovi “lavoratori autonomi dipendenti” nel settore edile, dei trasporti e del commercio, creando sindacati o sezioni speciali all’interno di quelli esistenti, ad esempio in Italia, Olanda, Austria e Cipro (Pernicka e Blaschke, 2006; Benassi e Vlandas, 2016; Pulignano, Gervasi e Franceschi, 2016). Alcune di queste iniziative risalgono alla metà degli anni Novanta. In generale, queste iniziative hanno riscosso un modesto successo in termini di adesione (Pedersini, 2010), ma hanno una grande valenza simbolica perché indicano che i sindacati sono aperti al cambiamento. Alcuni dei nuovi lavoratori autonomi si trovano in posizioni vulnerabili, con poche garanzie e un reddito instabile, come ha mostrado la recessione del 2008, quando molti contratti sono stati improvvisamente risolti senza essere successivamente rinnovati. Ma ci sono anche quelli che se la sono cavata abbastanza bene e potrebbero essere descritti come persone “orgoI CAMBIAMENTI NEI RAPPORTI DI LAVORO 35 gliose delle loro capacità (...) impegnati nello sviluppo personale” e che aderiranno solo se “il sindacato si impegnerà a sostenerli nelle loro aspirazioni” (leader sindacale olandese, citato in Schulze Bischoff e Schmidt, 2007). La questione principale per molti sindacati è abbandonare gli approcci restrittivi e capire come aiutare queste categorie di lavoratori. ⏹ 3.5 Il lavoro e i sindacati nell’economia informale Il concetto di economia informale è emerso negli anni ‘70 per descrivere il lavoro non regolamentato e non protetto nel mondo in via di sviluppo. In seguito alle recenti tendenze alla precarietà del lavoro e alla nascita di rapporti di lavoro atipici, l’economia informale si è affermata anche fuori dai paesi in via di sviluppo. Molti paesi sviluppati hanno la loro “economia sommersa” caratterizzata da lavoro informale e non protetto (IPSP, 2018). L’OIL definisce l‘“economia informale” come l’“insieme delle attività economiche dei lavoratori e delle unità economiche che sono — di fatto o di diritto — non coperte o non sufficientemente coperte da accordi formali22”. Il lavoro formale e quello informale non sono due mondi separati, al contrario, sono spesso interconnessi, come i sentieri di un rapido pendio che portano in cima alla vetta, ma da cui si può anche cadere (Breman, 2010). Questo concetto è importante per vogliamo comprendere le modalità di organizzazione collettiva e sindacalizzazione oltre il divario formale-informale (Lindell, 2008). Uno studio di Chen, Madhav e Sankaran (2014) si concentra su tre gruppi, ossia i lavoratori a domicilio, gli addetti alla raccolta dei rifiuti e i venditori ambulanti, attingendo ai risultati di uno studio che ha coinvolto dieci città in quattro paesi (India, Ghana, Perù, Thailandia). I lavoratori a domicilio in questi paesi sono il gruppo più numeroso, composto prevalentemente da donne con lavori a contratto o autonomi, coinvolte nella produzione e nel confezionamento di tabacco, capi d’abbigliamento, prodotti artigianali ed elettronici, componenti automobilistiche e prodotti farmaceutici, nonché nel lavoro d’ufficio, nei servizi di lavanderia, di parrucchieria ed estetica. Per questi lavoratori, la casa coincide con il luogo di lavoro, quindi l’alloggio e le utenze domestiche (approvvigionamento idrico ed elettricità) sono essenziali per lo svolgimento della prestazione lavorativa, come pure è altrettanto importante garantire il corretto funzionamento della catena del valore e la protezione contro le pratiche di sfruttamento che possono derivarne. I venditori ambulanti sono il secondo gruppo più numeroso, costantemente alla ricerca di luoghi sicuri per la vendita e lo stoccaggio della merce, nonché proteggersi da molestie, estorsioni e crimini. Il terzo gruppo è quello degli addetti alla raccolta dei rifiuti, responsabili di raccogliere e smistare i rifiuti e recuperare eventuali i materiali riciclabili. Questi lavoratori sono esposti a elevati rischi sanitari, aggravati dall’impossibilità di accedere all’assistenza sanitaria e alla protezione sociale. I lavoratori di queste tre categorie sono soggetti alle condizioni di punibilità della legge, ma la stessa non garantisce loro adeguata protezione legale (p. 148), soprattutto nel caso di lavoratori migranti irregolari. Il problema comune ai tre gruppi è il riconoscimento del diritto all’identità personale e alla dignità come lavoratori, il diritto di associazione e di rappresentanza nei processi di elaborazione delle politiche pertinenti. Ciò è stato riconosciuto in due strumenti dell’OIL, ossia la risoluzione sul lavoro dignitoso e l’economia informale (OIL, 2002) e la Raccomandazione n. 204 sulla transizione dall’economia informale a quella formale (OIL, 2015). Nelle sue recenti pubblicazioni statistiche, l’OIL (2018a) stima che il 61,2 per cento dei posti di lavoro in tutto il mondo è concentrato nell’economia informale, oscillando dall’ 86 per cento in Africa al 25 per cento in Europa e in Asia centrale. All’interno del settore informale, la maggior parte di questi lavori è svolta da lavoratori “autonomi”, ma ciò non significa che i dipendenti abbiano sempre un rapporto di lavoro formale. L’OIL stima che in tutto il mondo, il 40 per cento di tutti i dipendenti lavora in modo informale e la loro quota va dal 15 per cento in Europa, al 26 per cento nelle Americhe, al 50 per cento in Asia e nel Pacifico e al 57 per cento in Africa. Sebbene non tutti i lavori dell’economia informale siano caratterizzati da salari bassi e instabilità, essi sicuramente non godono di protezione sociale riconosciuta dalla legge, benefici accessori e sussidi di disoccupazione. Molti lavoratori del settore informale, inoltre, non godono del diritto di associazione e della contrattazione collettiva. Mentre nei paesi industrializzati l’economia informale è sviluppata solo parzialmente, in molte economie a basso reddito e prevalentemente agricole il settore informale è “l’economia”(IPSP, 2018). L’occupazione formale e standard esiste limitatamente al settore pubblico, che comprende i servizi di base e parte dell’industria manifatturiera. La contrazione del settore formale (pubblico) rende ancora più urgente per i sindacati estendere la loro base associativa. I sindacati hanno a lungo ignorato o sottovalutato il settore informale, considerandolo un fenomeno transitorio e troppo difficile da organizzare (Gallin, 2001). L’iniziale risposta sindacale all’ascesa del settore informale è stata il rifiuto, come mostrato da molti sindacati europei di fronte all’aumento delle agenzie per il lavoro, dei contratti temporanei e del lavoro a tempo parziale (Heery, 2009). Per stare al passo, è necessario che i sindacati coinvolgano anche i lavoratori informali (Breman, 2010). Alcuni sondaggi in Ghana, Nigeria, Namibia, Sud Africa, Zimbabwe e Zambia hanno mostrato l’urgenza per i sindacati di organizzare e proteggere i lavoratori informali (ALRN, 2003). Negli ultimi anni, i sindacati hanno fatto grandi passi avanti e hanno tentato, in molte parti del mondo, soprattutto in Africa, di orga36 LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO nizzare i lavoratori informali o di aiutarli ad organizzarsi autonomamente, specialmente nel settore dei trasporti, nel turismo e nella sicurezza (LO/FTF, nd). Rappresentare i lavoratori informali non è mai stato facile (Bonner e Spooner, 2011). I lavoratori informali, infatti, non hanno un posto di lavoro abituale che possa facilitare l’avvio del processo associativo, in quanto sono sparsi in singoli luoghi di lavoro o abitazioni oppure sono in movimento, come nel caso dei venditori ambulanti, dei tassisti e degli addetti alla raccolta di rifiuti o alle consegne. La maggior parte di essi, non avendo un rapporto di lavoro o avendo un rapporto informale, non rientra nel quadro giuridico che disciplina i diritti sindacali e del lavoro. Inoltre, essi spesso non hanno un datore di lavoro con cui stipulare accordi di contrattazione collettiva. Laddove invece esiste un rapporto di lavoro, ad esempio nel caso dei lavoratori a giornata nell’agricoltura o nell’edilizia o dei lavoratori tessili a domicilio, i luoghi di lavoro sono spesso così sparsi, piccoli o “nascosti” nelle singole famiglie da non garantire potere contrattuale sufficiente nei confronti dei datori di lavoro, che spesso operano attraverso “intermediari” inflessibili. Non è facile instaurare un rapporto di solidarietà tra i lavoratori autonomi, i quali sono spesso in competizione tra loro su contratti e clienti. Essi si riuniscono solo per ragioni specifiche, ad esempio per protestare contro le autorità in situazioni di crisi, ma in questi casi l’unità di intenti e l’azione collettiva sono spesso deboli e di breve durata. Creare un’organizzazione duratura richiede di norma l’aiuto, la guida e l’erogazione di contributi da parte di sindacati e finanziatori. Un’altra grande categoria di lavoratori informali è quella dei lavoratori migranti. Spesso privi di uno status giuridico ufficiale e desiderosi di voler “uscire dall’ombra”, essi sono particolarmente vulnerabili allo sfruttamento e alle molestie e spesso non riescono a integrarsi nella cultura sindacale tradizionale. Infine, un altro problema nell’organizzazione sindacale dei lavoratori informali riguarda la difficoltà del pagamento delle quote associative da parte di persone che spesso hanno redditi relativamente bassi. Una strategia di sovvenzione incrociata all’interno del più ampio movimento sindacale ha i suoi limiti, sebbene esistano degli esempi positivi, come quello dei sindacati degli insegnanti, che, dotati generalmente di molte risorse, hanno contribuito alla nascita dei sindacati nel settore informale in Ghana e Sierra Leone (LO/FTF, nd; Schurman e Eaton, 2012). Lo sviluppo dei sindacati è ulteriormente ostacolato dall’esistenza di un sistema di iscrizione basato esclusivamente sul pagamento delle quote associative, che costituisce un problema soprattutto per quelle persone il cui reddito è appena sufficiente per vivere. Dall’altra parte, laddove i sindacati siano sostenuti da donazioni esterne, si corre il rischio di instaurare un rapporto di eccssiva dipendenza da questi donatori. Uno studio di Gallin (2001) distingue due approcci per favorire l’organizzazione dei lavoratori del settore informale: ampliare l’ambito d’azione dei sindacati oppure creare specifiche associazioni o cooperative simili ai sindacati per i lavoratori del settore informale. L’esempio più rilevante del secondo approccio è la Self-Employed Women’s Association (SEWA), fondata nel 1972 in India, che rappresenta la più grande organizzazione di lavoratori informali con quasi due milioni di membri nel 2013. Il primo approccio, invece, prevede l’estensione del campo di attività dei sindacati ai lavoratori del settore informale, come hanno fatto il TUC in Ghana o il COSATU in Sud Africa nel 2000. Nello stesso periodo, i sindacati del settore dell’abbigliamento in Australia e Canada hanno iniziato a reclutare i lavoratori a domicilio. Ci sono anche esempi di confederazioni sindacali che hanno istituito un’associazione o un sindacato speciale per i lavoratori del settore informale, come in Senegal nel settore dei trasporti o a Hong Kong, dove il principale sindacato ha collaborato alla creazione della Federazione dei sindacati asiatici dei lavoratori domestici (FADWU), che riunisce principalmente donne filippine e thailandesi (Swider 2000). I sindacati in Sierra Leone, supportati dai sindacati degli insegnanti, hanno promosso la nascita di diversi sindacati degli addetti alle consegne. In Kenya, dopo decenni di declino sindacale e una forte contrazione del settore formale dovuta ai licenziamenti di massa, all’esternalizzazione e alla precarietà, negli ultimi anni la principale confederazione sindacale del paese si è concentrata sul settore informale. Dal 2015, sette nuove organizzazioni si sono unite alla confederazione, che è cresciuta fino a raggiungere 2,7 milioni di membri, di cui 650.000 solo nel settore formale, principalmente pubblico. Riassumendo, negli ultimi anni si è registrata un’impennata delle adesioni ai sindacati tra i lavoratori informali, soprattutto in Africa, tra gli addetti alle consegne, i tassisti, i venditori ambulanti e i lavoratori nel settore dell’abbigliamento in Nigeria e in diversi paesi del sud-est asiatico, nonché tra i lavoratori agricoli e a giornata in Nepal, Honduras, Repubblica Dominicana, Bolivia, Colombia e Paraguay. Il grafico 12 mostra che in alcuni paesi (Kenya, Burundi, Swaziland, Togo, Sierra Leone) i lavoratori del settore informale costituiscono la maggioranza degli iscritti al sindacato. I tentativi di organizzare i lavoratori informali incontrano a volte degli ostacoli. Le esperienze in Sud Africa e in Brasile hanno ottenuto risultati incerti, mentre in India questi processi sono avvenuti principalmente all’esterno del movimento sindacale. In Sud Africa, la campagna del sindacato dei lavoratori dei trasporti per organizzare i conducenti di minibus — un elemento critico nel sistema di trasporto pubblico in fallimento — che aveva inizialmente ottenuto un discreto successo, è fallita a causa delle feroci intimidazioni dei datori di lavoro. Il sindacato dei lavoratori del settore tessile, avendo perso migliaia di iscritti a causa della chiusura degli stabilimenti dopo le riduzioni delle tariffe, ha esteso l’adesione ai lavoratori a domicilio. Il sindacato del settore minerario sta attivamente reclutando lavoratori I CAMBIAMENTI NEI RAPPORTI DI LAVORO 37 informali a contratto nel settore edile. La xenofobia e la violenza contro i migranti hanno accompagnato i tentativi dei sindacati di organizzare i venditori ambulanti e gli addetti alla sicurezza (Gordon e Maharaj, 2014). Negli anni ‘90, alcuni sindacati brasiliani hanno tentato di organizzare i lavoratori informali, ma i loro sforzi sono stati piuttosto inefficaci, a causa delle limitate risorse organizzative e finanziarie (Ramalho, 2010; Frangi e Routh, 2014). Grafico 12: Quota di adesione sindacale dei lavoratori del settore informale. 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 Quota (%) di partecipazione totale 2011 2017 Paraguay Bolivia Nicaragua Honduras Colombia Rep Dominicana Indonesia Filippine India Nepal Tanzania Ghana Zambia Uganda Niger Zimbabwe Malawi Mozambico Ruanda Benin Burundi Swaziland Togo Kenya Sierra Leone Molti paesi, come il Pakistan, negano il diritto di associazione ai lavoratori dell’economia informale, come i lavoratori a domicilio e quelli agricoli. Tuttavia, esistono anche dei segnali incoraggianti. In seguito alla riforma legislativa in Giordania, tra il 2010 e il 2011, è stato abolito il divieto di associazione ai lavoratori migranti, che ora raggiungono una quota del 12 per cento di tutti i membri. Nel 2015, è stata costituita la prima rete ufficiale di lavoratori migranti, sviluppata soprattutto nel settore dell’abbigliamento. Questa rete, composta quasi per la metà da donne, ha l’obiettivo di difendere i pieni diritti dei lavoratori a domicilio. In Libano, i lavoratori domestici, siano essi nazionali o stranieri, sono esclusi dall’applicazione della normativa in materia di lavoro e subiscono violazioni dei loro diritti e libertà. Dopo anni di lotte, la Federazione nazionale dei sindacati dei lavoratori e degli impiegati del Libano (FENASOL), con il supporto delle ONG e della CSI, ha istituito un sindacato per i lavoratori domestici, descritta dall’Ufficio dell’OIL per le attività dei lavoratori come un “eccellente esempio di lavoratori di varie nazionalità che si riuniscono in un contesto legislativo restrittivo”. Nell’ultimo periodo, abbiamo assistito a un graduale riavvicinamento tra le molte forme ibride di organizzazioni dei lavoratori informali e il movimento sindacale ufficiale. Molte confederazioni sindacali hanno acconsentito all’adesione dei lavoratori informali e delle loro organizzazioni. La CSI ha incoraggiato questo processo sin dalla sua fondazione nel 2006. SEWA è stato il precursore ed è ora un membro a pieno titolo della CSI. Se da una parte è vero che le forme di organizzazione volontaria dei lavoratori informali non possono essere considerate dei sindacati a pieno titolo, dall’altra i sindacati e le confederazioni sindacali hanno mostrato un interesse crescente nell’organizzazione e nella rappresentanza dei lavoratori dell’economia informale, direttamente o stringendo alleanze, e contribuendo alla creazione di organizzazioni sindacali durature. ⏹ 3.6 Il lavoro e i sindacati dell’economia delle piattaforme Nonostante le sue dimensioni ancora modeste, l’economia delle piattaforme (o gig economy) è cresciuta in modo esponenziale in molti paesi. Essa solleva una serie di questioni relative al diritto al lavoro e alla protezione sociale, all’organizzazione sindacale e alla contrattazione collettiva, tanto da guadagnare un posto centrale nelle recenti attività dell’OIL23. Katz e Krueger (2016) hanno stimato che negli Stati Uniti la quota dei lavoratori impiegati attraverso le piattaforme digitali come Uber o TaskRabbit sarebbe pari allo 0,5 per cento, includendo nell’analisi tanto i lavori principali quanto quelli secondari. Pesole et al. (2018) evidenziano che in 14 paesi europei, in media il 2 per cento 38 LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO della popolazione in età lavorativa lavora parzialmente o totalmente online nella cosiddetta gig economy. Analogamente a Huws et al. (2017), essi hanno rilevato che, nella maggior parte dei casi, i lavori svolti nel settore delle piattaforme non costituiscono l’occupazione principale dei lavoratori. Tuttavia, disponendo di pochi dati, tali risultati sono da ritenersi indicativi. L’aspetto probabilmente più rilevante è il tasso di crescita del settore. Farrell e Greig (2016) hanno stimato che lo 0,6 per cento della popolazione statunitense in età lavorativa era impiegata in 30 piattaforme digitali nel 2015, ma che il numero di lavoratori che percepiscono un reddito da queste piattaforme è raddoppiato ogni mese nell’autunno del 2015. Uber, la più grande piattaforma di lavoro a chiamata (lavoro on demand), è cresciuta a un ritmo rapidissimo. Dopo essere stata lanciata nel 2010, il numero degli autisti partner di Uber è quasi raddoppiato ogni sei mesi tra la metà del 2012 e la fine del 2015 (Hall e Krueger, 2018). Questo tipo di lavoro è destinato ad aumentare, sia che si tratti della principale fonte di reddito che di un secondo lavoro, soprattutto tra i giovani. Il settore, infatti, ha ancora moltissime opportunità di crescita. Uber, ad esempio, si sta espandendo nel settore delle consegne di pasti a domicilio (food delivery) con Uber Eats, in concorrenza con Deliveroo e Easy-Eat. Le principali aziende di questo settore si stanno sviluppando in Cina, ed è facile immaginare un futuro in cui cucinare, come lavorare a maglia e cucire circa cinquanta a cento anni fa, cesserà di far parte della nostra quotidianità, e questi servizi saranno forniti da grandi imprese, che prenderanno ordini via internet consegnandoli a domicilio. La diffusione degli intermediari digitali, ossia le piattaforme come Uber, Deliveroo, TaskRabbit, ClickWork o Fiverr, sta trasformando radicalmente i rapporti di lavoro. Alcune sono specializzate in attività che possono essere svolte da remoto da qualsiasi parte del mondo (ad esempio, editing o progettazione grafica), altre si rivolgono a aree specifiche o richiedono la presenza fisica del lavoratore (food delivery, servizi di pulizia e di taxi o fotografia). Queste forme di lavoro consentono ai lavoratori di agire in modo relativamente autonomo al di fuori delle strutture tradizionali stabilite dal diritto del lavoro e senza una chiara definizione dell’orario di lavoro, dei salari minimi o degli obblighi. Dall’altra parte, i datori di lavoro non devono investire nei luoghi di lavoro né fornire strumenti. A differenza del sistema del sistema di contrattazione del lavoro a domicilio, che impediva la supervisione del lavoro, nelle reti online le prestazioni possono essere facilmente tracciabili e il lavoratore può essere sottoposto a supervisione digitale (Finkin, 2016). La tappa successiva dello sviluppo del mercato lavoro digitale a livello mondiale potrebbe essere la nascita di piattaforme specializzate in lavori che possono essere svolti a distanza, suddivisi in una serie di compiti o incarichi. Questa nuova fase può essere considerata una nuova forma di globalizzazione nella sua massima espressione24. In un ambiente di crowdsourcing online, in cui un lavoro può essere affidato in outsourcing a qualsiasi lavoratore potenzialmente connesso da ogni parte del mondo, è possibile andare incontro a conflitti tra le diverse legislazioni nazionali sul lavoro oppure è possibile che i lavoratori abituati a ricevere salari elevati si ritrovino a competere direttamente con quelli abituati a lavorare in condizioni non dignitose. Molte delle caratteristiche appena descritte sono applicabili anche al crowdsourcing che prevede lo svolgimento di prestazioni lavorative in luoghi fisici. In questo caso tuttavia, sarebbe possibile applicare la normativa sul lavoro del paese di riferimento per risolvere eventuali conflitti, come ha sperimentato Uber, la più nota azienda del settore. I potenziali effetti destabilizzatori delle piattaforme sui mercati del lavoro sono notevoli e superano la loro importanza in quanto fonte di occupazione. Si è tentato in varie occasioni di regolamentare il lavoro delle piattaforme attraverso i sindacati, le cooperative, i comitati aziendali e le opportunità offerte dal web, ma siamo solo all’inizio e c’è ancora molto da fare. I sostenitori del lavoro delle piattaforme affermano che esso genera vantaggi economici per i gruppi socialmente emarginati, tra cui i disoccupati, i rifugiati o chi si trova isolato geograficamente, anche se questo non sembra essere stato il caso di Uber (Hall e Krueger, 2018). Tuttavia, lavorare nella gig economy come principale fonte di reddito non garantisce ai lavoratori un salario dignitoso, ferie e congedi retribuiti, il versamento dei contributi pensionistici, l’accesso ad assicurazioni o a regimi sanitari, la regolamentazione dell’orario di lavoro e la sicurezza del reddito (De Stefano, 2016). Per comprendere le modalità di organizzazione dei lavoratori delle piattaforme, è utile effettuare un parallelismo con i lavoratori autonomi, temporanei (OCSE, 2016) e informali. La maggior parte delle piattaforme classifica, infatti, i lavoratori come lavoratori autonomi, ai quali, in molte giurisdizioni, non viene riconosciuto il diritto di costituire e aderire ad organizzazioni sindacali e di partecipare alla contrattazione collettiva. Anche laddove tali diritti sono riconosciuti, spesso è difficile applicarli a causa della prevalenza di forme di lavoro atipiche. Pertanto, i lavoratori delle piattaforme devono affrontare diverse sfide nel tentativo di far sentire la propria voce, organizzare una rappresentanza collettiva e stabilire regole del lavoro permanenti e applicabili. Le modalità di funzionamento di molti mercati delle piattaforme non garantiscono il rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori (De Stefano, 2017). Alcune piattaforme come Uber negano il ruolo del datore di lavoro, mentre altre come Hello Alfred (faccende domestiche), Shyp (spedizioni) e Muchery (food delivery) considerano i fornitori di servizi come veri e propri dipendenti. Negli Stati Uniti, è in corso una battaglia legale per stabilire se gli autisti di Uber debbano essere considerati lavoratori dipendenti o I CAMBIAMENTI NEI RAPPORTI DI LAVORO 39 autonomi. Nel 2016 nel Regno Unito, due autisti di Uber hanno intentato una causa contro l’azienda in nome di un numeroso gruppo di lavoratori, dimostrando che i 40.000 autisti di Uber non erano lavoratori autonomi e avevano diritto al salario minimo e a ferie e congedi retribuiti. Sebbene Uber consideri formalmente i suoi autisti come lavoratori autonomi, questi accusano l’azienda di trattarli di fatto come lavoratori dipendenti, cercando di controllare i loro modelli di lavoro e la loro retribuzione. Nel 2017, in seguito a una protesta dei lavoratori delle piattaforme sostenuta dai sindacati e avvenuta in Svizzera, i lavoratori hanno ottenuto un miglioramento dei salari e delle condizioni di lavoro e il riconoscimento di non essere lavoratori autonomi (Vandaele, 2018). A Bologna, in Italia, è stata firmata una carta tra il sindacato dei rider locali, le tre principali confederazioni sindacali, il consiglio comunale e le piattaforme locali di food delivey Sgnam e MyMenu, che stabilisce una serie di standard minimi in materia di retribuzione, orario di lavoro e assicurazione. Poiché piattaforme come Deliveroo, Foodora e JustEat non hanno sottoscritto tale documento, il sindaco di Bologna ha invitato i clienti a boicottare tali piattaforme (Vandaele, 2018). Tuttavia, una recente causa in Italia contro Foodora ha confermato che i gig-workers hanno lo status di lavoratori autonomi (Eurofound, 2018). Riclassificare i lavoratori autonomi come lavoratori dipendenti è stato uno dei tradizionali approcci dei sindacati in risposta alla diffusione dell’economia delle piattaforme (Johnston e Land-Kazlauskas, 2018). È chiaro tuttavia che questo approccio non sempre funzionerà e non sarà facile convincere tutti i lavoratori. Un altro possibile approccio è garantire a tutti i lavoratori, a prescindere dal loro status, l’applicazione delle disposizioni di base del diritto del lavoro e della protezione sociale e il riconoscimento degli stessi diritti sociali e fondamentali di associazione e contrattazione collettiva (Adam e Deakin, 2014). In questo modo, le piattaforme e le imprese sarebbero meno inclini a riclassificare i lavoratori dipendenti ( i cui costi sono molto alti) come lavoratori autonomi. Per raggiungere questo obiettivo, è necessario riconoscere ai lavoratori autonomi il diritto di associazione e di contrattazione collettiva, senza che questi siano accusati di violazione delle leggi antitrust. Analogamente, per comprendere le modalità di organizzazione dei lavoratori delle piattaforme, è utile prendere in esame i numerosi tentativi di organizzazione promossi dai movimenti sociali e dei lavoratori, dai comitati aziendali, dalle cooperative e dai sindacati veri e propri. Ne è un esempio lo sviluppo di “centri per i lavoratori” negli Stati Uniti, in alcuni casi nati su iniziativa dei sindacati e in altri casi lanciati da sostenitori e attivisti che consideravano i sindacati convenzionali poco adatti a organizzare e rappresentare i lavoratori “esclusi” (Fine, 2006; Milkman, 2013). Sebbene i risultati ottenuti dai centri per i lavoratori non si rivolgano specificatamente ai lavoratori dell’economia delle piattaforme, gli approcci adottati per l’organizzazione dei lavoratori atipici possono essere potenzialmente applicati anche a quelli delle piattaforme. Il National Day Laborers Organizing Network degli Stati Uniti sottolinea che il lavoro dei lavoratori a giornata e quelli delle piattaforme hanno delle carattestiche comuni. Il lavoro dei lavoratori a giornata, infatti, si è trasferito sulle piattaforme digitali attraverso applicazioni come Taskrabbit e Handy. Un altro esempio è rappresentato dall’Independent Workers’ Union of Great Britain (IWGB). Questa organizzazione opera al di fuori della Confederazione dei sindacati (TUC) ed è stata fondata con lo scopo di sostenere e organizzare i lavoratori a basso salario e gli immigrati. Nell’agosto del 2016, quando Deliveroo ha informato con una e-mail gli addetti alle consegne a chiamata che le loro tariffe sarebbero state abbassate, i lavoratori hanno protestato davanti alla sede centrale di questa organizzazione. Il Workers’ Union ha partecipato alle proteste e da allora si è unito a fianco dei lavoratori. Nel tentativo di ottenere un riconoscimento ufficiale, il sindacato ha adottato un approccio geografico all’organizzazione dei lavoratori in alcune aree di Londra, stabilendo dei siti di lavoro in base alle zone di consegna integrate nell’app Deliveroo. Alcuni sindacati offrono servizi dedicati ai lavoratori autonomi delle piattaforme. Ad esempio, il Freelancers Union negli Stati Uniti, con 275.000 membri, opera come gruppo di difesa e garantisce prestazioni assicurative ai suoi membri, compresi i tradizionali freelance e i gig-workers. In quanto “sindacato di minoranza”, non ha diritto a partecipare alla contrattazione ai sensi del National Labour Regulation Act. La New York Taxi Workers Alliance del 2011, la prima organizzazione dei lavoratori atipici affiliata all’AFL-CIO, è un altro esempio di sindacato di minoranza non riconosciuto e privo del diritto di partecipare alla contrattazione collettiva. Il sindacato tedesco IG Metall ha lanciato un sito web per i crowdworker (www.faircrowdwork.org) e un altro grande sindacato tedesco, Ver.di, sta sviluppando servizi legali e di supporto su misura per i lavoratori delle piattaforme. FairCrowdwork.org chiede ai lavoratori cosa apprezzano e cosa non apprezzano delle piattaforme attraverso le quali lavorano, pubblicando i risultati di tali sondaggi. Utilizzando le risorse e il sostegno di IG Metall, si potrebbe promuovere il concetto di un forum online e di un sistema di valutazione dei datori di lavoro per fornire un’idea di cosa significhi lavorare per diverse piattaforme. Il sindacato ha anche sviluppato un codice di condotta firmato da otto piattaforme con sede in Germania, in cui si impegnano ad aderire agli standard salariali locali (Vandaele, 2018). L’iniziativa dell’IG Metall risulta ancora più rilavante grazie alla collaborazione di vari sindacati europei. Uno di questi partner è l’Unionen, il più grande sindacato svedese, che conta circa 10.000 lavoratori autonomi tra i suoi 660.000 membri. Questo 40 LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO sindacato non si oppone al lavoro delle piattaforme digitale, ma ritiene che sia necessario regolamentarlo tramite la definizione di norme specifiche, nonché tramite la creazione di nuove organizzazioni con la partecipazione delle parti sociali responsabili di stabilire gli standard del settore e assicurarne il rispetto. Requisito per partecipare a questa organizzazione è la firma di un contratto collettivo di lavoro da parte delle imprese. In Austria, i lavoratori di Foodora che si occupano di consegne tramite app si sono recentemente riuniti in un comitato aziendale con il sostegno di Vida, il sindacato che rappresenta i lavoratori del settore dei trasporti e dei servizi. I lavoratori di Deliveroo in Germania (Colonia e Berlino) hanno adottato un approccio simile, in questo caso con l’aiuto del sindacato dei lavoratori del settore alimentare e della ristorazione. In Svezia, sono stati firmati accordi collettivi con le piattaforme, tra Bzzt e il sindacato dei lavoratori dei trasporti (Johnston e Land-Kazlauskas, 2018). In Danimarca, Hilfr.dk, una piattaforma per i servizi di pulizie domestiche, ha firmato un contratto collettivo nell’aprile 2018 con 3F, un sindacato danese. Il nuovo contratto collettivo garantirà ai lavoratori della piattaforma un’indennità di malattia, ferie retribuite e i contributi pensionistici e lasciando ai lavoratori la libertà di scegliere il proprio status, se lavoratore dipendente o autonomo. L’esperimento di SMart (Société mutuelle pour les artistes), la principale organizzazione di servizi per i lavoratori con contratti di collaborazione un’in Belgio, è abbastanza ambizioso. Lanciata nei primi anni 2000 come organizzazione polivalente (agenzia di lavoro, cooperativa, sindacato, datore di lavoro) e responsabile della gestione di pratiche e contratti di alcune centinaia di artisti e liberi professionisti, SMart è cresciuta fino a diventare un’organizzazione di quasi 80.000 lavoratori a progetto nel 2015. Non sono mancati tuttavia i timori dei sindacati belgi sulla possibilità che l’organizzazione facilitasse il “dumping sociale” normalizzando un nuovo tipo di lavoro occasionale (Vandaele, 2018; Xhauflair et al., 2018). Trasformatasi da società senza scopo di lucro in cooperativa, SMart ha iniziato ad agire come datore di lavoro dei suoi membri. La sua principale vittoria risale al 2016, anno in cui ha firmato un protocollo congiunto con due piattaforme di food delivery, Take Eat Easy e Deliveroo, che garantiva un numero minimo di ore pagate dopo la prima chiamata, pacchetti assicurativi per i rider di Deliveroo e il rimborso delle spese professionali. Pochi mesi dopo, quando Take Eat Easy è fallita lasciando scoperto il pagamento di centinaia di rider, SMart è riuscita a ottenere l’ultimo pagamento (post-fallimento) per quanti di loro erano diventati suoi membri, dimostrando serietà nell’assolvimento delle sue responsabilità come datore di lavoro (Xhauflair et al., 2018). Nel novembre 2017, Deliveroo ha annullato unilateralmente l’accordo. Il nuovo “collettivo dei corrieri”, sostenuto dai sindacati, ha reagito organizzando una manifestazione di protesta a Bruxelles e, nel gennaio 2018, uno sciopero che ha attirato l’attenzione e il sostegno di diversi altri sindacati e organizzazioni di corrieri in Europa (Vandaele, 2018). 4 / In sintesi Dal 2000, i tassi di sindacalizzazioni sono diminuiti in tutte le regioni del mondo tranne che in due (Nord Africa e America del Sud), con significative differenze tra i paesi se si considera il totale della forza lavoro occupata, compresi i lavoratori informali. I tassi di sindacalizzazione più bassi si registrano nelle regioni più povere (Africa subsahariana, Asia meridionale), ma ci sono delle eccezioni, ad esempio i paesi arabi ricchi, in cui il livello di sindacalizzazione è estremamente basso. La deindustrializzazione dell’economia ha portato a una riduzione dei posti di lavoro nell’industria e a un calo del numero di adesioni tra i restanti lavoratori del settore. Questo processo interessa tutti i paesi, sebbene con diversi livelli di partenza. Poiché chi entra per la prima volta nel mercato del lavoro e chi è in cerca di occupazione ha maggiori probabilità di trovare un impiego nei servizi commerciali, il divario nei tassi di sindacalizzazione tra industria e servizi commerciali prefigura un ulteriore declino sindacale e la necessità di un cambiamento strutturale dei sindacati stessi. Negli ultimi trenta o quarant’anni, il declino dell’adesione sindacale nei paesi sviluppati è stato accompagnato da un ricambio generazionale dei lavoratori anziani, altamente sindacalizzati, con lavoratori più giovani, meno sindacalizzati ma più istruiti. Non disponiamo di dati sufficienti per analizzare questi cambiamenti nei paesi in via di sviluppo e nei paesi emergenti, ma sicuramente non risentono della pressione demografica dell’invecchiamento della società, come invece accade in Europa o in Giappone. A partire dagli anni ’80, abbiamo assistito al progressivo abbandono del rapporto di lavoro standard. Questo processo, che è diventato una norma e un modello anche per le imprese non sindacalizzate, è accompagnato dalla contrazione del settore formale in Africa, Asia e America Latina. Ovunque i giovani hanno maggiori probabilità di effettuare lavori temporanei o a tempo parziale, informali o occasionali. In tutti i paesi, i lavoratori a tempo parziale e temporanei sono meno sindacalizzati rispetto ai lavoratori a tempo pieno e permanenti. La contrazione del settore formale (pubblico) ha portato a un forte calo dei livelli di sindacalizzazione in molte IN SINTESI 41 economie emergenti e in via di sviluppo, creando l’urgente necessità per i sindacati di ampliare la base associativa ed estendersi nel settore informale. Recentemente, molti sindacati hanno iniziato a organizzare e a rappresentare i lavoratori del settore informale o hanno intensificato la cooperazione con le associazioni dei lavoratori informali al di fuori del movimento sindacale. Molti sindacati nei paesi sviluppati si sono impegnati per organizzare i lavoratori temporanei, a tempo parziale e in somministrazione, estendendo l’adesione anche ai lavoratori autonomi. Oltre al calo della sindacalizzazione nell’industria, il principale cambiamento dei sindacati degli ultimi decenni è l’aumento dell’adesione femminile. Nel Sud del mondo, la globalizzazione ha creato milioni di posti di lavoro nell’industria e nei servizi, senza tuttavia portare a un aumento dell’adesione sindacale, mentre nei paesi sviluppati, ha messo in crisi i lavoratori e i sindacati nelle loro tradizionali roccaforti industriali. Con l’aumento delle migrazioni per lavoro, i sindacati hanno adottato un approccio più inclusivo nei confronti dei lavoratori migranti, seppure persista il problema dell’integrazione. Il lavoro delle piattaforme, organizzato attraverso intermediari digitali, rappresenta ancora una fonte limitata di occupazione, sebbene stia crescendo rapidamente, trasformando significativamente i rapporti di lavoro. Nonostante i vari tentativi di regolamentazione del lavoro delle piattaforme attraverso i sindacati, le cooperative, i comitati aziendali e le opportunità offerte dal web, siamo ancora all’inizio e rimane ancora molto da fare. Il lavoro delle piattaforme è particolarmente sviluppato nel settore dei servizi commerciali — vendita al dettaglio, settore alberghiero, ristorazione, catering e turismo, trasporto privato su strada, servizi alle imprese, agenzie di noleggio e di lavoro, comunicazioni, servizi finanziari, sicurezza e servizi amministrativi — dove, anche tra i lavoratori standard, i tassi di adesione sindacale sono generalmente molto bassi. II. Perché esistono diversi livelli di sindacalizzazione? Nella sezione precedente abbiamo analizzato l’andamento dell’adesione sindacale e i cambiamenti nella composizione dei sindacati rispetto ad alcune variabili, quali i cambiamenti nella struttura dell’occupazione e nella natura dei rapporti di lavoro, il progresso tecnologico, la digitalizzazione, la globalizzazione e le migrazioni. In questa sezione, esamineremo alcuni fattori che possono spiegare perché in generale i sindacati di alcuni paesi sono maggiormente sviluppati di altri. Inizieremo esaminando i livelli di sviluppo, di reddito e di urbanizzazione, per poi passare ad alcune caratteristiche del mercato del lavoro, come la quota dell’agricoltura e dell’industria e la dimensione del settore informale. In un secondo momento, esamineremo i fattori che influiscono sul tessuto sociale e sul contesto politico in cui operano i sindacati, come i conflitti etnici e le violazioni dei diritti dei lavoratori. Infine, prenderemo in considerazione alcune caratteristiche istituzionali legate alla contrattazione collettiva, al riconoscimento dei sindacati, alla rappresentanza sul posto di lavoro e alle assicurazioni, nonché al livello di unità o frammentarietà dei sindacati stessi. Tutti questi fattori saranno analizzati singolarmente e sarà altresì valutata la correlazione tra di essi. La variabile presa in considerazione è il tasso di sindacalizzazione, calcolato sull’intera popolazione occupata, che si rivela essere la misura più affidabile nei paesi a basso e medio reddito, con il minor rischio di errore dovuto a una errata classificazione dello status dei lavoratori. 1 / Lo sviluppo economico e l’economia informale È stato osservato che, fino a un certo limite, l’adesione sindacale tende ad aumentare con il livello dei guadagni. All’interno dei paesi appartenenti all’OCSE, i tassi di sindacalizzazione tendono a concentrarsi in mezzo o appena al di sopra della distribuzione dei salari (Checchi et al., 2010). Tenendo conto del numero totale degli occupati, i tassi di sindacalizzazione più bassi si registrano nei paesi più poveri. Complessivamente, se consideriamo la totalità dei 143 paesi per i quali sono disponibili dati recenti per entrambe le variabili, esiste una chiara correlazione positiva tra il PIL pro capite e il livello di sindacalizzazione (rGDP=0,56). In alcuni dei paesi più ricchi — per esempio nel Nord Europa — il mercato del lavoro ha il più alto tasso di sindacalizzazione. Da questo si può concludere che un alto livello di sindacalizzazione non ostacola la crescita economica. Tuttavia, gli esempi degli Stati Uniti o del Giappone dimostrano che ci sono casi in cui a livelli medi di reddito corrispondono bassi livelli di sindacalizzazione. Da una prospettiva più generale, è possibile affermare che, per gran parte del ventesimo secolo, l’adesione sindacale è aumentata con l’aumento del reddito medio, ma che a partire dagli anni ‘70 i due valori si sono spostati in direzione opposta. I paesi più ricchi sono caratterizzati da alti livelli di urbanizzazion e industrializzazione, hanno un approccio orientato all’economia globale e all’esportazione e non dipendono dall’agricoltura. Non stupisce il fatto che esiste una correlazione positiva tra popolazione urbana e adesione sindacale, mentre , al contrario, la correlazione diventa negativa se si considera la popolazione rurale. Non è stata osservata invece alcuna relazione significativa, né positiva né negativa, con il grado di apertura dell’economia. Un fattore che incide in maniera importante sui livelli di sindacallizzazione è la dimensione dell’economia informale. Più grande è il settore informale, maggiore è la quota di occupati con lavori informali e più basso è il livello di sindacalizzazione. L’informalità del lavoro implica vulnerabilità, insicurezza e concorrenza tra i lavoratori, e di conseguenza una minore propensione dei lavoratori ad aderire a un sindacato. Ciò trova conferma nella forte associazione negativa tra la dimensione del settore informale (infs) o la quota dei posti di lavoro informali tra i dipendenti (infj) e il tasso di adesione sindacale calcolato sul totale dei lavoraotori occupati: 44 PERCHÉ ESISTONO DIVERSI LIVELLI DI SINDACALIZZAZIONE? rinfs=-0,55 e rinfj=-0,51 (N=97, grafico 13). Il messaggio generale è chiaro: l’espansione dell’economia informale è una minaccia sia per i lavoratori sia per i sindacati, poiché i lavoratori del settore informale hanno molte possibilità di organizzarsi e di impegnarsi nel dialogo sociale e hanno meno probabilità di beneficiare della sicurezza del lavoro, di un reddito stabile e di protezione sociale rispetto ai lavoratori del settore formale. Come dimostrato da studi scientifici basati su serie storiche, l’aumento della partecipazione al mercato del lavoro e della quota del lavoro temporaneo sta contribuendo al calo dei livelli di sindacalizzazione (Checchi e Visser, 2005). Grafico 13: Sindacalizzazione e dimensione dell’economia informale. 0 10 20 30 40 50 60 70 80 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 Densità sindacale (% dell’occupazione totale) % occupazione nell’economia informale 2 / La diversità etnica La diversità etnica e i conflitti sono stati studiati in relazione alla crescita economica, allo sviluppo della società civile, alla fiducia e al capitale sociale. Il concetto di diversità etnica è molto ampio e può spaziare da manifestazioni estreme come guerra civile e genocidio, a periodiche rivolte etniche, a forme di diversità quotidiane, alle appartenenze etniche e all’integrazione delle minoranze e dei migranti (Kanbur, Rajaram e Varshney 2011). È un tema che ha acquisito importanza con l’aumento dei flussi migratori a livello mondiale. Horwitz e Horwitz (2007) osservano che, in ogni circostanza, la “diversità” è un’arma a doppio taglio: da una parte, crea un bacino più ricco di competenze ed esperienze, e quindi rappresenta un potenziale di innovazione e crescita, ma dall’altra, aumenta di coordinamento e genera problemi di fiducia, e quindi potenziali divisioni e conflitti inconciliabili. Entrambe le facce della medaglia si riflettono nell’ambito sindacale: da una parte le esperienze pregresse dei migranti — cruciali agli inizi del sindacalismo e potenzialmente anche oggi — e dall’altra i problemi di comprensione reciproca e la concorrenza sui posti di lavoro e i salari. È possibile supporre che i sindacati delle società con una maggiore diversità etnica abbiano maggiori difficoltà rispetto a quelli di società etnicamente più omogenee. Il livello di sindacalizzazione relativamente basso degli Stati Uniti è stato spesso associato alle diverse ondate migratorie e alla conseguente diversità etnica del paese. Chiaramente influiscono anche altri fattori, se si pensa invece che il Canada, giusto a Nord degli Stati Uniti, e altre società di immigrazione come la Nuova Zelanda e l’Australia hanno dei livelli di sindacalizzazione costantemente alti. Il concetto di diversità etnica include, tuttavia, anche una serie di motivi di divisioni a livello locale e potenziali conflitti non legati LA VIOLAZIONE DEI DIRITTI DEI LAVORATORI 45 specificatamente alle migrazioni Ai fini di questo studio, è importate verificare se tali divisioni hanno limitato l’adesione sindacale dei lavoratori. Prima di passare ai risultati, è necessario sottolineare che l’analisi non tiene conto dei paesi attualmente o recentemente in stato di guerra (civile). In Afghanistan, Iraq, Siria, Yemen, Sudan, Sud Sudan, Somalia, Libia, Ciad, i due Congos e Haiti non è stato possibile verificare i dati relativi all’adesione sindacale. In alcune regioni del mondo (grafico 14), l’analisi ha rivelato una significativa associazione negativa tra il livello medio di diversità etnica e il livello medio di sindacalizzazione (red =-0,61, N=18). Tra i paesi, tale relazione è più debole (red =-0,37, N=125) a causa delle variazioni all’interno della regione. Più che la diversità, sono i conflitti ad ostacolare lo sviluppo sindacale. Infatti, la relazione negativa tra diversità etnica e sindacalizzazione raggiunge valori più alti nei venti o trenta paesi più poveri, dove i conflitti frenano tanto lo sviluppo economico quanto la sindacalizzazione. Questi paesi si trovano nelle regioni dove le lotte etniche sono più violente: Africa subsahariana, Medio Oriente e alcune parti dell’Asia. Chiaramente, i più alti livelli di sindacalizzazione si registrano nelle regioni e nei paesi etnicamente più omogenei, ossia l’Europa settentrionale, seguita dall’Europa occidentale e meridionale. Ma ci sono come sempre delle eccezioni: esistono paesi con una forte diversità etnica o linguistica che hanno livelli di sindacalizzazione piuttosto elevati (Sudafrica, Belgio, Brasile), mentre esistono paesi relativamente più omogenei con bassi livelli di sindacalizzazione (Germania, Portogallo, Polonia). Inoltre, la diversità etnica, sebbene sia in continuo mutamento a causa dei cambiamenti demografici e dei flussi migratori, non è un fattore del tutto attendibile per valutare l’andamento dell’adesione sindacale. Grafico 14: Diversità etnica e partecipazione sindacale per regione del mondo. 00 Livello di sindacalizzazione (occupazione totale) Indice di diversità etnica 0,10 0,20 0,30 0,40 0,50 0,60 0,70 0,80 10 20 30 40 50 60 70 3 / La violazione dei diritti dei lavoratori A primo impatto, ci si potrebbe aspettare una chiara relazione tra la limitazione o la violazione delle norme del lavoro, come definite nelle pertinenti Convenzioni dell’OIL, e l’effettivo livello di sindacalizzazione. La realtà, tuttavia, è più complicata. Sebbene si sia cercato di migliorare l’indice di violazione dei diritti del lavoro, includendo i vari aspetti legali e comportamentali delle violazioni, tale indice potrebbe non coprire tutte le condizioni socio-politiche e culturali in cui operano i sindacati e non cogliere appieno il clima latente di fondo in cui si verificano tali violazioni (Kucera e Sari, 2016)25. Inoltre, sorge un problema endogeno, che Kucera (2007) descrive come segue: “Ci sono chiaramente casi (...) 46 PERCHÉ ESISTONO DIVERSI LIVELLI DI SINDACALIZZAZIONE? in cui il fatto stesso di aver osservato delle violazioni indica l’esistenza di un movimento sindacale pienamente attivo e, al contrario, casi in cui le violazioni non sono osservate e sono considerate assenti perché il movimento sindacale è soppresso o minacciato”. Questo solleva una questione non solo di causalità, ma anche di misurazione. Ad ogni modo, i dati mostrano una relazione negativa significativa tra le violazioni dei diritti dei lavoratori (lrv) e il livello di sindacalizzazione: rlrv=0,46 (N=137). Il grafico 15 mostra un rapporto curvilineo: oltre un certo livello di violazione dei diritti (a metà dell’indice di Kucera, dal punto 6 al 10), l’attività sindacale è fortemente limitata, riuscendo a coprire nel migliore dei casi il 10 per cento della forza lavoro occupata, sia perché interi gruppi sono legalmente e praticamente esclusi dal diritto di associazione (lavoratori agricoli, piccole imprese, servizi pubblici, migranti, lavoratori temporanei e autonomi), sia perché non è esercitato alcun controllo sui casi di soppressione e ostruzionismo. Laddove i diritti dei lavoratori sono fortemente consolidati e le violazioni sono rare (ad esempio, tra il punto 0 e 1 dell’indice), i tassi di adesione sindacale possono variare tra il 10 e l’80 per cento, indicando quindi che l’adesione sindacale in contesti di tutela dei diritti è influenzata da altri fattori, in particolare dalle politiche e dalle attività sindacali. Questo porta direttamente al paragrafo successivo sulle garanzie istituzionali all’attività sindacale. Grafico 15: Livelli di sindacalizzazione e indice di violazione dei diritti dei lavoratori. 0 10 20 30 40 50 60 70 80 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Densità sindacale (% dell’occupazione totale) Indice dei diritti sul lavoro (indice Kucera) 4 / Garanzie istituzionali all’attività sindacale Gli studi comparativi sull’appartenenza sindacale indicano che alcuni fattori istituzionali influiscono sulle variazioni dei tassi di sindacalizzazione tra i paesi e sul loro andamento temporale, nello specifico: l’organizzazione e la copertura della contrattazione collettiva, la rappresentanza sul posto di lavoro, la partecipazione dei sindacati a varie forme di assistenza e assicurazione contro la disoccupazione e l’erogazione delle prestazioni (Brady, 2007; Checchi e Visser, 2005; Ebbinghaus e Visser, 1999; Rasmussen e Pontusson, 2017; Scruggs e Lange, 2002; Western, 1997). Questi studi prendono ad esame un insieme di circa 20 paesi industrializzati avanzati, con dati annuali che arrivano fino agli anni Sessanta o addirittura Cinquanta. GARANZIE ISTITUZIONALI ALL’ATTIVITÀ SINDACALE 47 Ai fini di questo lavoro, è utile comprendere fino a che punto le garanzie istituzionali incidono sui tassi di adesione sindacale in tutti i paesi mondo. Si parte dall’esame dell’organizzazione e della portata della contrattazione collettiva, definendo il processo di contrattazione collettiva come centralizzato quando almeno due terzi della sua copertura si basano su trattative e accordi con le associazioni dei datori di lavoro piuttosto che con le singole aziende. Se le trattative del settore rappresentano meno di un terzo della copertura della contrattazione, e la maggior parte o la totalità della contrattazione avviene a livello di azienda o di impresa, la contrattazione è definita decentrata. Le situazioni intermedie sono considerate processi di media centralizzazione. Nella nostra analisi sarà considerata solo la contrattazione collettiva finalizzata alla conclusione di accordi che, in termini sostanziali o procedurali, sono vincolanti per le imprese nella fissazione dei salari. In base a questi criteri, il set di dati può essere diviso in tre categorie: 44 paesi con contrattazione solo o principalmente a livello aziendale, 19 paesi con media centralizzazione e 25 paesi con contrattazione centralizzata. Spostandoci da un gruppo all’altro, il tasso medio di copertura della contrattazione raddoppia, passando da una media del 14 per cento di tutti i lavoratori con contrattazione decentrata, al 28 per cento con centralizzazione media e al 65 per cento con contrattazione centralizzata. Per i restanti 52 paesi, esclusi Cina, Cuba, Bielorussia e alcuni paesi arabi, non disponiamo di dati sufficienti sulla copertura e sull’organizzazione della contrattazione collettiva. I tre gruppi sono composti in maniera omogenea da paesi con diversi livelli di sviluppo, il che rende la nostra analisi sull’influenza del quadro istituzionale sui livelli di sindacalizzazione abbastanza attendibile. La centralizzazione riduce i costi di organizzazione dei sindacati. La contrattazione collettiva di categoria consente ai sindacati di stabilire i salari di riferimento dell’intero settore, limitando il rischio che i datori di lavoro “cattivi” prevalgano sui quelli “buoni”. Inoltre, in situazioni di contrattazione centralizzata, per i sindacati sarà sufficiente organizzare e mobilitare i lavoratori delle grandi imprese o delle aziende strategiche per stabilire un modello applicabile all’intero settore. Ciò significa che, fintanto che queste imprese manterranno la loro adesione alle associazioni dei datori di lavoro firmatarie del contratto collettivo nazionale o di categoria, o fintanto che questi accordi saranno pienamente applicabili, i sindacati non dovranno occuparsi della sindacalizzazione dei lavoratori delle piccole imprese poiché rientreranno nell’ambito di applicabilità di tali accordi (Hayter e Visser, 2018). Questo spiega, da un lato, perché la correlazione tra la centralizzazione e la copertura della contrattazione collettiva è più forte (rcent/cov=0,78) rispetto a quella che intercorre tra la centralizzazione della contrattazione e l’adesione sindacale (rcent/dens=0,51). Dall’altro, spiega anche perché, in condizioni di contrattazione centralizzata, il divario tra l’adesione sindacale nelle grandi e nelle piccole imprese può essere significativo. Torneremo tuttavia sulla questione nella parte conclusiva di questo lavoro. Proseguiamo la nostra analisi concentrandoci sul riconoscimento dei sindacati e della rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro, considerato un fattore fondamentale, insieme al coinvolgimento dei sindacati nei sistemi di assicurazione sanitaria e contro la disoccupazione. Il diritto alla rappresentanza sindacale sul posto di lavoro, consente ai sindacati di occuparsi di questioni di produttività, di conciliazioni con i datori di lavoro, nonché di mantenere la “consuetudine sociale” dell’appartenenza sindacale attraverso benefici diretti e contatti con i lavoratori. La rappresentanza sindacale sul posto di lavoro può essere regolamentata in diversi modi. In alcuni paesi, come gli Stati Uniti o il Regno Unito, i sindacati devono “lottare” per il riconoscimento da parte di ciascuna impresa, dimostrando di rappresentare realmente gli interessi della maggioranza dei lavoratori. In altri paesi, come la Germania o l’Austria, la rappresentanza sul posto di lavoro è garantita indirettamente come diritto stabilito per legge tramite il comitato aziendale eletto. In altri casi, invece, essa può essere garantita sulla base di un accordo nazionale tra il sindacato principale e l’organizzazione dei datori di lavoro, come accade ad esempio in Scandinavia. Quest’ultimo caso, ossia il riconoscimento tramite un accordo nazionale firmato dai datori di lavoro, solleva meno problemi di applicabilità ed è quindi più efficace rispetto al riconoscimento garantito come obbligo di legge per i datori di lavoro. Utilizzando una semplice codifica, dove “0” è il riconoscimento sindacale a livello di ogni singola impresa, “1” è il riconoscimento legale e “2” è il riconoscimento mediante accordo, risulta che il riconoscimento della rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro è fortemente correlato al tasso di adesione sindacale, raccess=0,69. La centralizzazione della contrattazione collettiva, il riconoscimento dei sindacati e la loro rappresentanza nei luogo di lavoro riducono i costi dell’attività sindacale e la pressione delle forze “non sindacali” nelle trattative. Tuttavia, quando i salari, i diritti e le condizioni di lavoro sono garantiti in egual misura tanto a chi aderisce ai sindacati quanto a tutti gli altri lavoratori, i sindacati si trovano di fronte al problema del free-rider. In questo caso, è importante che i sindacati facciano pressione sui lavoratori affinché contribuiscano alla causa comune, attraverso il “closed shop” o altre forme di iscrizione obbligatoria oppure prevedendo l’erogazione di benefici rivolti esclusivamente ai membri. Poiché il “closed shops” e la maggior parte delle forme di iscrizione obbligatoria — ad esempio quelle esistenti in Nuova Zelanda e in Australia — sono state impedite o dichiarate illegali, sono state introdotte altre procedure che rafforzano l’adesione sindacale, quali il riconoscimento agli iscritti di sussidi di disoccupazione, di un’assicurazione sanitaria o di servizi di consulenza del lavoro. Come già accennato, esistono casi di fondi assicurativi contro la disoccupazione promossi dal 48 PERCHÉ ESISTONO DIVERSI LIVELLI DI SINDACALIZZAZIONE? governo e gestiti dai sindacati in Svezia, in Finlandia, in Danimarca e in Islanda, in forma diversa in Belgio, nel settore agricolo italiano e nell’edilizia olandese. Inoltre, i sindacati intervengono nella gestione dell’assicurazione sanitaria in Argentina, Israele e Taiwan (fino al 1995), nei sistemi di protezione sociale, nelle pensioni e nei benefici legati alle imprese in Tanzania, Egitto e Nord Africa, e, prima del 1989, nei sindacati dei paesi comunisti. Il netto calo dei livelli di adesione sindacale in seguito al ritiro del sostegno statale a questi sistemi di protezione, come avvenuto in Israele nel 1995, dimostra che essi fungono da incentivo all’adesione sindacale. In tutti i paesi esiste una chiara relazione positiva tra la partecipazione dei sindacati ai sistemi di assicurazione sanitaria e contro la disoccupazione e i livelli di sindacalizzazione (rins=0,67). Infine, sono stati esaminati gli effetti di un approccio tripartito, inteso come l’esistenza di consigli sociali ed economici tripartiti e di consultazioni regolari tra i sindacati, i datori di lavoro e il governo sui salari minimi e sulle politiche sociali, che vanno ad aggiungersi al dialogo sociale bipartito e al coordinamento a livello centrale sulle politiche salariali tra i sindacati e le associazioni dei datori di lavoro. Da tale analisi risulta che i tassi di sindacalizzazione non hanno alcuna correlazione con l’approccio tripartito (rtri=0,09), mentre tale associazione esiste con il coordinamento bipartito (rbi=0,51). Quest’ultimo, invece, risulta fortemente correlato da una parte con il riconoscimento da parte dei datori di lavoro della rappresentanza sindacale sul posto di lavoro e dall’altra con la centralizzazione della contrattazione. Queste correlazioni non si osservano per l’approccio tripartito. È pur vero che l’approccio tripartito è difficilmente misurabile e le sue caratteristiche formali (l’esistenza di un consiglio, la sua composizione, il numero di consultazioni) possono nascondere la realtà dei fatti. L’ambito istituzionale appena descritto agisce nel suo insieme ed è difficile inserirlo in un’analisi multivariata. Pertanto, è risultato più conveniente costruire una semplice scala o un indice delle garanzie istituzionali a favore l’attività sindacale basata su quattro caratteristiche (centralizzazione, riconoscimento, sistemi di assicurazione e coordinamento bipartito), ognuna con un possibile punteggio da “0” a “2”, e partendo da un valore base di “1”. Si ottiene così un punteggio totale che può variare da 1 a 9. Il grafico 16 mostra che questo indice è correlato con i tassi di sindacalizzazione per 96 paesi (R2index=0,62). A parità di condizioni, ad ogni aumento di un punto sull’indice corrisponde un aumento di quasi quattro punti percentuali del tasso medio di copertura sindacale. Grafico 16: Garanzie istituzionali all’attività sindacale e tassi di sindacalizzazione, 2016/17. R² = 0,6162 00 10 20 30 40 50 60 70 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 Tasso di densità sindacale (% degli occupati) Indice di sostegno istituzionale ai sindacati (0–10) Nonostante i risultati siano abbastanza attendibili, la questione delle garanzie istituzionali lascia ancora domande senza risposta. A qualsiasi livello dell’indice del supporto istituzionale all’attività sindacale corrispondono diversi valori, come illustrato nel grafico 16. Ad esempio, in assenza di garanzie, il livello di adesione sindacale degli Stati Uniti è del 10,4 per cento e quello del Canada del 28,4 per cento. Esistono altri parametri che non sono stati misurati, ma che influiscono ugualmente sull’attività sindacale, come ad esempio il grado di ostilità dei datori di lavoro nei confronti dei sindacati, il sostegno politico o la cultura giuridica? Probabilmente questi fattori differiscono tra Canada e Stati Uniti, ma non sono rilevati nell’indice. Inoltre, perché in paesi con elevate garanzie istituzionali all’attività MANCANZA DI GARANZIE ISTITUZIONALI, FRAMMENTARIETÀ E CONCORRENZA SINDACALE 49 sindacale, seppur in modo diverso, come Francia, Germania e Paesi Bassi, i tassi di sindacalizzazione sono così bassi rispetto a quanto ci potrebbe espettare? Infine, è importante sottolineare che le garanzie istituzioni non sono da considerarsi un parametro esogeno, quanto piuttosto il risultato delle scelte e delle politiche passate e presenti dei sindacati stessi. 5 / Mancanza di garanzie istituzionali, frammentarietà e concorrenza sindacale Le garanzie istituzionali hanno sempre il rovescio della medaglia. Quando le istituzioni — come i consigli settoriali per la contrattazione collettiva o i comitati aziendali — stabiliscono un monopolio di rappresentanza sindacale, ciò può “diminuire la necessità dei sindacati di dimostrare la loro influenza attraverso la mobilitazione e ridurre gli incentivi politici e organizzativi volti ad attrarre nuovi membri” (Ebbinghaus e Visser, 1999). Nella maggior parte dei paesi, i sindacati devono guadagnarsi un posto nei comitati aziendali attraverso elezioni aperte anche ad altri sindacati e organizzazioni. In molti paesi, il requisito dei sindacati per rappresentare i lavoratori nella contrattazione collettiva è superare una soglia di adesione del 10, 33 o 50 per cento del forza lavoro totale dell’azienda o del settore di riferimento. Tuttavia, ci sono paesi in cui tale criterio non si applica e il riconoscimento dei sindacati nella contrattazione non è legato al numero di adesioni. In questi casi, spinti dai bassi livelli di sindacalizzazione, nuove organizzazioni o forme alternative di rappresentanza sindacale possono tentare la fortuna e cercare di convincere i datori di lavoro a diffidare dai sindacati esistenti. Casi simili sono stati osservati nei Paesi Bassi, dimostrando che, anche quando il diritto di rappresentare i lavoratori nella contrattazione collettiva non è vincolato né a soglie di adesione né a criteri elettorali, i sindacati possono comunque essere spinti da ragioni politiche o ideologiche per reclutare nuovi gruppi, come i lavoratori a tempo parziale o migranti, scongiurando quindi il rischio di un ulteriore declino. In Germania, l’adozione di clausole di apertura dai contratti settoriali da parte delle aziende ha spinto i sindacati a rafforzare il loro sostegno sul posto di lavoro e ridurre la concorrenza dei lavoratori temporanei collocati dalle agenzie di lavoro. Alcuni studi sulle strategie di rilancio e rinnovamento dei sindacati — effettuati per la prima volta negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Australia — hanno rilevato che tali strategie trovano maggiore applicazione nei contesti con scarse garanzie istituzionali a favore dei sindacati, cioè in paesi in cui il riconoscimento del diritto dei sindacati di rappresentare i lavoratori e di partecipare alla contrattazione collettiva è legato alla mobilitazione dei lavoratori nelle elezioni. Inoltre, in questi paesi i sindacati non godono del diritto di partecipazione a organi rappresentativi come i comitati aziendali (Heery e Adler, 2004). Circa dieci anni dopo la loro prima introduzione, nuove “campagne di sensibilizzazione sindacale” hanno attraversato l’Oceano Atlantico e la Manica per raggiungere paesi con una una “mancanza di garanzie istituzionali” come la Polonia (Czarzasty, Gajewska e Mrozowicki, 2014) e l’Irlanda (Murphy e Turner, 2016) e più tardi in paesi con contesti istituzionali più favorevoli per i sindacati, come la Danimarca (Arnholtz, Ibsen e Ibsen, 2016), la Svezia (Bengtsson, 2013), la Francia (Tapia e Turner, 2013), la Germania (Schmalz e Thiel, 2017) e i Paesi Bassi (Connolly, Marino e Martinez Lucio, 2017). Cosa spiega questo ritardo? Hassel (2007) ha elaborato l’interessante teoria secondo cui le garanzie istituzionali possono diventare una “maledizione”. Le stesse garanzie istituzionali che “aiutano i sindacati a mantenere una posizione di forza nel loro tradizionale segmento di mercato (...) impediscono loro di adattarsi alla mutevole composizione del mercato del lavoro”. L’autrice applica questa teoria per spiegare il ritardo dei sindacati tedeschi nell’organizzazione delle donne, dei lavoratori a tempo parziale e dei lavoratori in somministrazione. Marshall e Perelman (2008) hanno fatto un’osservazione simile per spiegare la resistenza dei sindacati argentini nell’organizzazione di nuovi gruppi come le donne, i lavoratori a tempo parziale, i migranti e i lavoratori dell’economia informale. “Fintanto che il movimento sindacale avrà ancora una posizione istituzionale a cui aggrapparsi, il calo di adesioni non sarà sufficiente a creare un senso di urgenza. I cambiamenti avverrano solo quando verrano meno tali sostegni istituzionali” (Kloosterboer, 2007). Questo concetto si osserva chiaramente nell’esempio di Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia, dove i sindacati hanno perso le loro garanzie istituzionali rispettivamente durante le amministrazioni Reagan, Thatcher e Howard. I sindacati di paesi con elevate garanzie istituzionali dovrebbero evitare di arrivare a tanto. Soprattutto se ci si rende conto che in questi casi i vantaggi effettivi derivanti dal rinnovamento dei sindacati in termini di incremento delle adesioni e del potere contrattuale sono stati deboli, a volte temporanei e spesso al di sotto delle aspettative. Nella loro analisi delle strategie di rinnovamento dei sindacati, Ibsen e Tapia (2017) sottolineano che per ottenere successo è fondamentale poter contare sul sostegno delle strutture istituzionali, ad esempio costruendo le condizioni per una contrattazione collettiva di diversi datori di lavoro. Si osserva una certa analogia con il modello 50 PERCHÉ ESISTONO DIVERSI LIVELLI DI SINDACALIZZAZIONE? di crescita sindacale di Freeman (Freeman, 1998). In questo modello, gli sforzi di organizzazione sindacale non sono lineari, il che significa che sono più deboli quando il tasso di sindacalizzazione è molto basso o molto alto. Il motivo è che a livelli di sindacalizzazione molto bassi, i sindacati non dispongono delle necessarie risorse per mobilitarsi, e necessitano quindi del supporto di altri sindacati o di altre organizzazioni, come è stato dimostrato nel caso dei sindacati africani. A livelli molto alti di sindacalizzazione, i sindacati possono pensare che il mercato degli iscritti sia “saturo” e che siano necessari sforzi straordinari per convincere i pochi non iscritti rimasti, i quali probabilmente hanno forti convinzioni ideologiche o religiose per non aderire ad un sindacato, o godono già dei benefici sindacali grazie agli effetti di ricaduta (garanzie salariali più alte e migliori condizioni di lavoro, cosa che non sarebbe avvenuta in assenza di un sindacato). Confrontando i dati nazionali, è possibile osservare nei paesi con il minor tasso di sindacalizzazione nel 2000, proprio a partire da quell’anno è registrata una leggera tendenza (r=0,31) verso una maggiore crescita sindacale (espressa come aumento percentuale dei tassi di sindacalizzazione). Questo è dovuto principalmente all’apertura dei sindacati nei confronti del settore informale in molti paesi in via di sviluppo. Nelle economie sviluppate, invece, non vi è alcuna relazione tra il livello di sindacalizzazione registrato nel 2000 e la misura della crescita o del declino sindacale degli anni successivi. La frammentarietà dei sindacati e la loro rivalità, in termini di reclutamento di nuovi membri e affermazione della propria influenza, sono spesso associate a livelli di sindacalizzazione molto bassi. È il caso di paesi quali Filippine, Bangladesh, India, Indonesia, Perù, Messico, Cile, Polonia, Ungheria e Francia. Dall’altra parte, invece, troviamo esempi di una grande crescita sindacale come risultato di una (ri)unificazione o del rafforzamento della collaborazione tra le diverse organizzazioni sindacali, come accaduto negli ultimi anni in Tunisia e Uruguay, o mezzo secolo fa in Finlandia e in Italia. Un’eccessiva competizione — sia da parte di datori di lavoro che da parte di sindacati o confederazioni rivali che difendono le loro ideologie in un contesto sindacale frammentato — ha effetti negativi non solo sul potere sindacale, ma anche sull’incremento delle adesioni. In una situazione del genere, i sindacati tendono a lottare per guadarsi il sostegno politico piuttosto che a trovare soluzioni comuni. Questo scoraggia i potenziali membri, poiché in situazioni simili i sindacati hanno poco da offrire. L’esistenza di monopoli sindacali, al contratio, come quelli osservati nei paesi comunisti, ma anche altrove, può rivelarsi fatale per il rinnovamento dei sindacati e portare al loro inesorabile declino. I movimenti sociali, le cooperative, i centri per i lavoratori, i sindacati delle minoranze e le organizzazioni di tipo sindacale possono essere il motore della rappresentanza dei lavoratori del settore informale, dei lavoratori delle piattaforme, delle donne, dei giovani e dei lavoratori precari. L’avanzata delle donne nei sindacati, per esempio, si deve in gran parte allo sviluppo del movimento femminile negli anni ‘60 e ‘70 (Cook et al., 1984). I sindacati tradizionali a volte hanno bisogno di una “spina nel fianco”: organizzazioni o movimenti piccoli, indipendenti o alternativi, che si aprono a nuove realtà, diventando pionieri di nuovi approcci. I sindacati che organizzano e rappresentano diverse categorie di lavoratori e interessi possono alzare il livello generale di sindacalizzazione, come sembra essere accaduto in Scandinavia, dove i sindacati e le confederazioni sindacali di operai, impiegati, professionisti e accademici coesistono e cooperano tra loro già da parecchio tempo. III. Quattro possibili scenari Fino a questo momento ci siamo concentrati sul passato e sul presente: lo stato attuale dei sindacati, il modo in cui il declino industriale, il progresso tecnologico, la digitalizzazione e la globalizzazione hanno cambiato i rapporti di lavoro e l’adesione sindacale e le possibili ragioni alla base delle differenze nell’adesione e nell’organizzazione sindacale. È ora di guardare al futuro. Quale sarà il futuro dei sindacati? Le tendenze del passato continueranno, peggioreranno o si invertiranno? Come già accennato nell’introduzione, esploreremo quattro scenari o possibili futuri per i sindacati: emarginazione, dualizzazione, sostituzione e rivitalizzazione. Ognuno di questi scenari si basa su una visione selettiva e inevitabilmente di parte degli sviluppi presenti e passati. Saranno esposte le argomentazioni a favore dell’uno e dell’altro scenario, seguite dalle dovute contro argomentazioni. Nel paragrafo conclusivo, cercheremo di determinare la probabilità di ciascuno di questi quattro scenari. 1 / Marginalizzazione L’ipotesi che i sindacati svaniranno gradualmente e perderanno la loro influenza nella regolamentazione dei mercati del lavoro si basa sull’estrapolazione delle tendenze attuali. Se il declino degli ultimi venti o trent’anni continuerà, in molti paesi la sopravvivenza dei sindacati sarà a rischio entro la metà del secolo. La copertura dei sindacati potrebbe scendere al di sotto di una determinata soglia — 10 per cento, 5 per cento, 2 per cento — oltre la quale la loro sopravvivenza diventerà difficile. Dopo aver dimostrato che il tasso di declino sindacale in Australia ha subito una forte accelerazione nell’ultimo decennio, Gahan et al. (2018) concludono che “se questo declino dell’adesione sindacale continuerà, entro la fine del prossimo decennio i sindacati rappresenteranno solo una piccola quota della forza lavoro australiana, e i loro membri saranno concentrati in un minor numero di settori”. A ciò seguirà un calo della copertura della contrattazione collettiva e la crescita salariale raggiungerà i minimi storici. Secondo Pernot (2010), senza un rilancio dei sindacati tra i lavoratori del settore privato, “il sindacalismo in Francia è destinato a svolgere un ruolo marginale o a rivolgersi a frange sempre più piccole del settore pubblico e amministrativo, con alcuni giorni di gloria che non avranno nessun seguito”. Milkman (2013) sostiene che negli Stati Uniti i sindacati sono tornati al punto in cui si trovavano prima degli anni Trenta, le politiche del New Deal di Roosevelt e lo sviluppo del sindacalismo industriale. Con un tasso di sindacalizzazione del 6,4 per cento nel settore privato, pari al quello registrato nel 1901, quando non si non c’erano iscritti al sindacato nel settore pubblico, “il settore privato in questo paese è ora quasi privo di sindacati, in un modo che non si vedeva da un secolo” (Rosenfeld, 2014). Sulla base di questi dati, è possibile affermare che i sindacati degli Stati Uniti non sono più forti di quelli dei paesi in via di sviluppo, se si considera, giustamente, che in questi paesi il settore informale occupa la più grande fetta del settore privato. Ma anche in molti paesi sviluppati, ad esempio nell’Europa centrale e orientale, i tassi di sindacalizzazione del settore privato sono attualmente talmente bassi da significare che sono quasi scomparsi tra i grandi esponenti economici. Donado e Wälde (2002) sostengono che le tendenze a lungo termine dell’adesione sindacale, come mostrato nel grafico 17, rappresentano ovunque una curva a forma di U rovesciata, anche se in alcuni paesi i tassi di sindacalizzazione raggiungono il picco più tardi rispetto ad altri (come nel caso dell’Europa rispetto a Stati Uniti e Giappone) e a livelli più elevati (come nel caso dell’Europa settentrionale rispetto agli altri paesi). La definizione di “ovunque” è discutibile, ma la tendenza generale degli otto riquadri del grafico 17 è certamente di declino. Per Donado e Wälde questa è la dimostrazione che i sindacati hanno perso il loro ruolo di istituzione responsabile della regolamentazione del mercato, lasciando spazio allo stato sociale, agli organismi di regolamentazione internazionale, all’istruzione e alla scienza 52 QUATTRO POSSIBILI SCENARI moderna. Come è stato mostrato nelle pagine precedenti, il declino della rappresentanza e dell’azione collettiva incarnate dai sindacati si deve principalmente ai cambiamenti della globalizzazione e del progresso tecnologico nei mercati del lavoro e nelle istituzioni sociali e politiche. In alcuni casi, questo declino è stato esacerbato dalla risposta tardiva dei sindacati ai cambiamenti in atto. Grafico 17: Tendenze a lungo termine dei livelli di adesione sindacale. Czech Rep 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1890 1900 1910 1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 WESTERN EUROPE SMALL COUNTRIES Belgium Netherlands Switzerland Austria 00 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1890 1900 1910 1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 NORTHERN EUROPE Sweden Denmark Norway Finland 00 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1890 1900 1910 1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1890 1900 1910 1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1945 1955 1965 1975 1985 1995 2005 2015 AFRICA South Africa Kenya Ghana Egypt Tunesia 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1945 1955 1965 1975 1985 1995 2005 2015 LATIN AMERICA Brazil Argentina Chile Costa Rica Mexico ASIA 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1945 1955 1965 1975 1985 1995 2005 2015 Japan Korea Malaysia Philippines Turkey RUSSIA AND CEE 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1945 1955 1965 1975 1985 1995 2005 2015 Russia Poland Hungary Slovakia Czech Rep 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1890 1900 1910 1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 00 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1890 1900 1910 1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 00 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 ANGLO AMERICAN USA Canada UK Australia Ireland 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1890 1900 1910 1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 WESTERN AND SOUHERN EUROPE Germany France Italy Spain Portugal 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1945 1955 1965 1975 1985 1995 2005 2015 AFRICA South Africa Kenya Ghana Egypt Tunesia 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1945 1955 1965 1975 1985 1995 2005 2015 LATIN AMERICA Brazil Argentina Chile Costa Rica Mexico ASIA 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1945 1955 1965 1975 1985 1995 2005 2015 Japan Korea Malaysia Philippines Turkey RUSSIA AND CEE 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1945 1955 1965 1975 1985 1995 2005 2015 Russia Poland Hungary Slovakia Czech Rep 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1890 1900 1910 1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 WESTERN EUROPE SMALL COUNTRIES Belgium Netherlands Switzerland Austria 00 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1890 1900 1910 1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 NORTHERN EUROPE Sweden Denmark Norway Finland 00 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1890 1900 1910 1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 ANGLO AMERICAN USA Canada UK Australia Ireland 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1890 1900 1910 1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 WESTERN AND SOUHERN EUROPE Germany France Italy Spain Portugal 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1945 1955 1965 1975 1985 1995 2005 2015 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1945 1955 1965 1975 1985 1995 2005 2015 ASIA 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1945 1955 1965 1975 1985 1995 2005 2015 Japan Korea Malaysia Philippines Turkey RUSSIA AND CEE 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1945 1955 1965 1975 1985 1995 2005 2015 Russia Poland Hungary Slovakia 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1890 1900 1910 1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 WESTERN EUROPE SMALL COUNTRIES Belgium Netherlands Switzerland Austria 00 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1890 1900 1910 1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 NORTHERN EUROPE Sweden Denmark Norway Finland 00 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1890 1900 1910 1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 ANGLO AMERICAN USA Canada UK Australia Ireland 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1890 1900 1910 1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 WESTERN AND SOUHERN EUROPE Germany France Italy Spain Portugal 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1945 1955 1965 1975 1985 1995 2005 2015 AFRICA South Africa Kenya Ghana Egypt Tunesia 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1945 1955 1965 1975 1985 1995 2005 2015 LATIN AMERICA Brazil Argentina Chile Costa Rica Mexico 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1945 1955 1965 1975 1985 1995 2005 2015 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1945 1955 1965 1975 1985 1995 2005 2015 Stati Uniti Canada Australia Irlanda Germania Francia Italia Spagna Portogallo MONDO ANGLO AMERICANO EUROPA OCCIDENTALE E MERIDIONALE EUROPA OCCIDENTALE, PICCOLI PAESI EUROPA DEL NORD AMERICA LATINA AFRICA ASIA RUSSIA E EUROPA CENTRO-ORIENTALE Regno Unito Belgio Paesi Bassi Svizzera Austria Svezia Danimarca Norvegia Finlandia Brasile Argentina Cile Costa Rica Messico Sudafrica Kenya Ghana Egitto Tunisia Giappone Rep di Corea Malaysia Filippine Turchia Russia Polonia Rep Ceca Ungheria Slovacchia MARGINALIZZAZIONE 53 Un’altra spiegazione dell’ascesa e del successivo declino del sindacalismo è la teoria del ciclo di vita del prodotto (si veda. Bryson, Gomez e Wilman, 2018). Questi autori hanno inizialmente osservato che, ad esempio nel Regno Unito, nel corso del tempo la quota di lavoratori che chiedevano di avere più “voce” è rimasta più o meno costante, riscontrando tuttavia un passaggio dalla “voce” fornita dal sindacato alla “voce” fornita dal datore di lavoro. Essi sostengono che la “voce”, o qualsiasi meccanismo per valutare e correggere le decisioni dei datori di lavoro, è un bisogno generico o un “prodotto” di cui i lavoratori hanno bisogno in ogni tempo e in ogni luogo. I sindacati offrono una soluzione per soddisfare questa esigenza. Nel farlo, hanno sempre fatto a gara con altre soluzioni o metodi esistenti per dare voce ai lavoratori. Soluzioni alternative possono svilupparsi e prendere il sopravvento. Ritorneremo tuttavia su questa possibilità — sostituzione dei sindacati — nel terzo scenario. Una delle caratteristiche fondamentali dei sindacati è che possono organizzare scioperi di lunga durata, sospensioni del lavoro, sit-in, proteste e manifestazioni. Tuttavia, come ha sottolineato Milkman (2013), con il declino dei sindacati del settore privato, i grandi scioperi industriali sono diventati rari. Questa tendenza è iniziata negli anni Ottanta (Shalev, 1992) ed è stata osservata in quasi tutti i paesi sviluppati. Lo sciopero, infatti, si è spostato maggiormente nel settore pubblico. Tuttavia, anche quando gli scioperi pubblici hanno avuto una partecipazione massiccia, esprimendo anche il malcontento dei lavoratori del settore privato, come ad esempio in Francia, questo non ha portato a un aumento della sindacalizzazione, come accadeva invece in passato per i grandi scioperi industriali (Pernot, 2010). Questo non è solo il caso della Francia. Proteste simili si sono verificate nei Paesi Bassi nel 2004, in Grecia nel 2010 e negli anni successivi, in Portogallo nel 2011 e nel 2012 e in Polonia nel 2013. Questo non significa che gli scioperi degli ultimi anni siani falliti. Ci sono anche molti esempi di scioperi che, partendo da un obiettivo ben definito, hanno portato alla diffusione di campagne di successo. È difficile dunque dire quale sia la chiave del successo. Probabilmente il segnale più allarmante che punta verso un ulteriore calo dell’adesione sindacale è l’invecchiamento dei membri dei sindacati, osservato in quasi tutti i paesi sviluppati. Questo dipende direttamente dal minore tasso di sindacalizzazione dei giovani, a cui si aggiunge, in Europa o in Giappone, il cambio demografico, con l’ingresso nel mercato del lavoro di un numero sempre inferiore di persone. Abbiamo già avuto modo di osservare che il rapporto tra il tasso di sindacalizzazione dei nuovi iscritti rispetto a quelli prossimi all’uscita dal mercato del lavoro è passato da 1:2 negli anni ‘70 e ‘80 a 1:4 negli anni 2000, il che significa che oggi i lavoratori che escono dal mercato del lavoro hanno quattro volte più probabilità di essere sindacalizzati di quelli che entrano, ammesso che questi ultimi riescano a trovare un lavoro. Nei paesi sviluppati, un quinto degli occupati iscritti ai sindacati ha in media più di 55, mentre solo uno su venti ha meno di 25 anni. In alcuni paesi, come la Danimarca, l’Irlanda o il Belgio, la distribuzione è più omogenea, ma la situazione è chiara: per mantenere l’attuale numero di membri, i sindacati dei paesi sviluppati devono rimpiazzare ogni anno una percentuale stimata tra il 3 e il 4 per cento dei loro iscritti. Ciò comporterebbe ad ogni modo una diluizione dei tassi di sindacalizzazione in contrapposizione all’aumento della popolazione attiva. Per aumentare il numero di iscritti, i sindacati dovrebbero in qualche modo tornare ai tassi di sindacalizzazione tra i giovani degli anni ‘70. Tuttavia, raggiungere quest’obiettivo risulta impossibile perché i nuovi lavoratori di oggi sono sempre meno esposti ai sindacati in una fase precoce della loro vita e della loro carriera. L’esposizione precoce è fondamentale perché molti dei benefici dei sindacati funzionano come un investimento a lungo termine, rivelando la loro utilità molto tempo dopo l’adesione. In questo senso, i sindacati sono simili a ciò che nella teoria dei consumatori è noto come un “bene esperienza” (Gomez e Gunderson, 2004). Per questo motivo, è molto importante avere legami con colleghi, amici e genitori che sono iscritti a un sindacato. Alcune ricerche britanniche e olandesi hanno dimostrato che i figli di genitori iscritti a un sindacato hanno maggiori probabilità seguire l’esempio dei genitori (Bryson e Davies, 2018; Visser, 2002). Esistono sono molte evidenze del fatto che “i membri attirano membri” (Waddington e Kerr, 2002). Il contatto con i colleghi che aderiscono (attivamente) a un sindacato è essenziale per incentivare e mantenere l’adesione sindacale e per adottare un atteggiamento “positivo” nei confronti della partecipazione collettiva (Ibsen, Toubøl e Jensen, 2017; Visser, 2002). Nella realtà tuttavia, la probabilità che i giovani trovino lavoro in aziende e luoghi di lavoro in cui molti colleghi sono iscritti a un sindacato, o dove c’è una viva attività sindacale, è drammaticamente diminuita. Con il calo dei tassi di sindacalizzazione, in ogni generazione ci sono sempre meno genitori che possono trasmettere i valori dell’appartenenza sindacale ai propri figli. Una bassa adesione giovanile significa che in ciascuna coorte aumenta il numero di giovani che non avranno mai un’esperienza sindacale. Secondo uno studio di Booth, Budd e Munday (2010), negli Stati Uniti a metà degli anni ‘80, il 58 per cento dei ventitreenni non aveva mai avuto un’esperienza sindacale. Circa 20 anni dopo, questa cifra è salita al 71 per cento. I dati relativi al Regno Unito mostrano che il numero dei non iscritti è aumentato dal 23 per cento a metà degli anni ‘80 a oltre il 50 per cento tra il 2005 e il 2006 (Bryson et al., 2017). Bryson e Gomez (2005) hanno dimostrato che nel Regno Unito il declino dell’adesione sindacale a partire dagli anni ‘80 si deve proprio alla diminuzione delle probabilità di aderire a un sindacato, piuttosto che alla perdita dei lavoratori iscritti. 54 QUATTRO POSSIBILI SCENARI Le migrazioni complicano la situazione. Nell’ Europa centrale e orientale, la disoccupazione, i bassi livelli salariali e l’emigrazione hanno prosciugato i sindacati della partecipazione giovanile. In alcuni paesi come l’Estonia, la Lettonia o l’Ungheria, non ci sono praticamente più giovani nei sindacati. Korkut et al. (2017) sottolineano che, invece di aumentare il potere contrattuale dei sindacati limitando l’offerta, l’allontanamento dei giovani più intraprendenti ha impedito il rinnovamento dei sindacati e minaccia la continuazione intergenerazionale dell’attività sindacale in molti settori. Uno studio congiunto della Friedrich Ebert Stiſtung (FES) e dell’OIL giunge alla stessa conclusione riguardo alle conseguenze negative dell’emigrazione sui sindacati libanesi26. L’abbandono dei giovani potrebbe diventare una minaccia anche per i sindacati di alcuni paesi africani. 2 / Dualizzazione Come per l’emarginazione, lo scenario della dualizzazione presuppone il proseguimento o addirittura un peggioramento delle tendenze all’instabilità e alla precarietà del lavoro, tanto nei settori tradizionali quanto nella nuova economia delle piattaforme. La principale motivazione è che, rispondendo alle richieste dei datori di lavoro, i sindacati finiranno per tutelare i posti di lavoro dei loro membri tradizionali — professionisti e lavoratori di grandi aziende con contratti a tempo indeterminato − potenzialmente a scapito degli “esclusi” e dei lavoratori atipici, ossia i disoccupati, i lavoratori temporanei e occasionali. Sebbene i movimenti sindacali siano generalmente sostenitori di un’ideologia di “parità dei diritti”, a volte non hanno altra scelta che accettare politiche, riforme, compromessi o alleanze volte ad aumentare la produttività del lavoro e a preservare i posti di lavoro, tutelando gli interessi dei loro principali membri e correndo il rischio di indebolire ulteriormente la posizione degli “esclusi” (Emmenegger, 2014). Ad esempio, in alcune occasioni le organizzazioni sindacali hanno acconsentito alla deregolamentazione dei settori dei servizi poco qualificati come modo per ridurre i costi e preservare la competitività dell’azienda (Hassel, 2014). Di conseguenza, i sindacati sono stati accusati in alcuni casi di ignorare i problemi dei lavoratori vulnerabili (Standing, 2011). Queste argomentazioni sono state sviluppate, in particolare, per analizzare la strategia e le difficoltà dei sindacati in Germania e Francia (Palier e Thelen, 2010), Giappone (Song, 2014) e Repubblica di Corea (Shin, 2010). Il dualismo sindacale si osserva tra piccole e grandi imprese, sia come precondizione sia come risultato delle politiche sindacali dualiste, nonché tra lavoratori permanenti e temporanei, nazionali e stranieri, anziani e giovani, e, nei paesi in via di sviluppo, tra il settore formale e quello informale. Queste dimensioni sono strettamente correlate, in quanto le piccole imprese sono spesso esentate dall’applicazione delle disposizioni legali sulla tutela dell’occupazione, costringendo di fatto gli strenieri ad accettare lavori temporanei. Lee (2010) scrive sul “doppio dualismo” dei sindacati aziendali giapponesi e coreani che, escludendo le piccole imprese, i sindacati escludono di conseguenza anche i lavoratori temporanei e gli stranieri. Il fatto che i sindacati escludano le piccole imprese e rappresentino solo o prevalentemente i lavoratori delle grandi imprese può essere considerato un’evidenza del dualismo delle politiche sindacali. Un’indagine dell’OCSE del 1990 cita studi e analisi condotti in Giappone, Germania, Svizzera, Paesi Bassi, Norvegia, Francia, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti, secondo cui i tassi di sindacalizzazione aumentano con le dimensioni dell’impresa (ad eccezione delle più grandi). L’indagine indica anche che i sindacati di Belgio, Danimarca e Italia hanno ottenuto risultati eccezionali nell’organizzazione dei lavoratori delle piccole e medie imprese (Visser, 1991). Nell’ambito del dibattito pubblico sulle strategie per stimolare la creazione di nuovi posti di lavoro, l’attenzione si è concentrata sulle PMI, descritte come motori di occupazione. Anche se i dati variano, si stima che le PMI rappresentano il 53 per cento di tutti i posti di lavoro nel Regno Unito e l’86 per cento in Grecia (OCSE, 2017b). Nelle economie dei mercati emergenti, questi tassi sono più bassi, soprattutto nel settore formale. L’OIL, ad esempio, stima la quota dell’occupazione delle PMI al 34,8 per cento nel 2016, in aumento rispetto al 31,2 per cento del 2003 (OIL, 2017). Tenendo conto del settore informale, le piccole e microimprese che impiegano da una a cinque persone arrivano a rappresentare fino al 90 per cento dell’occupazione totale. Alcuni dati recenti, purtroppo disponibili solo per le economie dei paesi sviluppati, mostrano che, in media, il 62 per cento di tutti gli iscritti a un sindacato lavora in grandi imprese con più di 100 dipendenti, il 27 per cento nelle piccole e medie imprese (10–100 dipendenti) e l’11 per cento nelle piccole e microimprese (meno di dieci dipendenti). In Giappone e nella Repubblica di Corea, quasi tutti gli iscritti a un sindacato lavorano in grandi imprese, mentre in Germania, Francia e Paesi Bassi, questo dato supera di gran lunga il 70 per cento. Non disponiamo di dati per gli Stati Uniti, mentre in Canada la quota delle grandi imprese supera il 50 per cento. In Belgio, Danimarca, Svizzera, DUALIZZAZIONE 55 Grecia, Portogallo e Spagna, si registra una minore presenza di grandi imprese e di conseguenza una maggiore quota di lavoratori delle PMI tra gli iscritti ai sindacati. Tali variazioni riflettono le differenze nella struttura dell’economia dei vari paesi e l’eventuale presenza di grandi multinazionali. Per capire se effettivamente i sindacati si impegnano esclusivamente nella rappresentanza dei lavoratori delle grandi imprese, trascurando o non riuscendo a raggiungere i lavoratori delle piccole imprese, è necessario guardare al divario nei tassi di sindacalizzazione tra i lavoratori delle grandi e piccole imprese (grafico 18). Grafico 18: Tassi di sindacalizzazione per dimensione dell’impresa. 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 Tasso di densità sindacale (% dipendenti) 1-9 dipendenti 10-99 dipendenti a partire da 100 dipendenti Giappone Estonia Rep di Corea Lituania Messico Polonia Costa Rica Rep Ceca Grecia Slovenia Australia Francia Spagna Bulgaria Portogallo Germania Ungheria Sudafrica slovacchi Lettonia Israele Regno Unito Romania Italia Canada Irlanda Austria Paesi Bassi Svizzera Croazia Lussemburgo Cipro Norvegia Svezia Danimarca Finlandia Belgio In molti paesi, quali Giappone, Repubblica di Corea, Australia, Francia, Polonia, Germania e Spagna, le organizzazioni sindacali sono praticamente assenti nelle piccole imprese con meno di dieci lavoratori. Non è chiaro se valga lo stesso per i paesi in via di sviluppo, ma è probabile di si, a meno che i sindacati abbiano iniziato a organizzare i lavoratori autonomi del settore informale. Molti fattori determinano l’assenza dei sindacati nelle piccole imprese. Dal punto di vista dei lavoratori, lavorare a fianco del datore di lavoro può rappresentare un ostacolo all’iscrizione a un sindacato. Dal punto sindacale, invece, creare e mantenere delle rappresentanze sindacali all’interno delle piccole imprese ha un costo elevato. In molti paesi, inoltre, esistono degli ostacoli legali all’edesione sindacale e molti sindacati sono soggetti al criterio della soglia minima di adesione. In Polonia, ad esempio, qualsiasi sindacato deve avere almeno dieci iscritti per avviare la propria attività. Questo requisito, volto a combattere la frammentarietà sindacale, priva molti lavoratori del diritto alla rappresentanza. In Thailandia, ad esempio, la soglia minima di rappresentanza sindacale è di 10 dipendenti, in Romania di 15, in Honduras e in Perù di 20. Un simile approccio restrittivo può avere delle conseguenze enormi. In Polonia, il 30–40 per cento di tutti i dipendenti, comprese alcune categorie del servizio pubblico, è de jure escluso dal diritto di associazione. In Thailandia, circa il 15 per cento di tutti i lavoratori, occupato in oltre 250.000 imprese industriali, quasi tre quarti del totale delle imprese registrate, è escluso dalla rappresentanza sindacale (Brown, 2016). Milkman (2013) cita i dati relativi agli Stati Uniti da cui si evince che negli anni ‘90 il 22 per cento dei lavoratori del settore privato, inclusi dirigenti, lavoratori autonomi, dipendenti delle microimprese, lavoratori agricoli, a domicilio e in somministrazione, sia stato escluso dalle tutele del National Labour Relations Act del New Deal. Altrettanto importanti sono i criteri per la rappresentanza negli organi istituzionali come i comitati aziendali. Molti studi dimostrano infatti che tali organi possono aiutare i sindacati a reclutare nuovi membri e a rafforzare l’appartenenza sindacale degli iscritti (per le evidenza sulla Germania: Behrens, 2009; Goerke e Pannenberg, 2007). Le piccole imprese con meno di 10, 20 o anche 50 dipendenti sono di solito escluse dalla rappresentanza di tali organi. 56 QUATTRO POSSIBILI SCENARI Confrontando i tassi di sindacalizzazione delle imprese di medie (10–99 dipendenti) e grandi (100 o più dipendenti) dimensioni, le maggiori differenze si riscontrano in Giappone, Repubblica di Corea, Germania, Francia, Polonia e Messico (grafico 18). Le differenze sono minime o nulle in Svizzera, Grecia, Danimarca, Finlandia, Finlandia, Svezia e Norvegia, mentre il Regno Unito, i Paesi Bassi, l’Italia, la Spagna, l’Irlanda e Israele si trovano a metà. I dati del Belgio suggeriscono addirittura una migliore organizzazione dei sindacati all’interno delle piccole imprese piuttosto che in quelle di grandi dimensioni. La presenza di un profondo divario tra i tassi di sindacalizzazione dei lavoratori delle piccole e grandi imprese costituisce un indizio e non una prova dell’esistenza di politiche sindacali dualiste. Le grandi imprese hanno un’importanza strategica per i sindacati in quanto attraverso di esse è possibile esercitare pressioni su altri datori di lavoro e sugli attori politici. Rappresentando i lavoratori delle grandi imprese, i sindacati di categoria possono contribuire a migliorare i salari e le condizioni di lavoro di tutto il settore, comprese le piccole imprese. Questo approccio ha guidato a lungo le attività sindacali e la contrattazione collettiva di molti paesi, tra cui Germania e Svezia. Se il risultato di questo approccio è il livellamento della produttività media, delle condizioni di lavoro e della retribuzione e la ricollocazione dei lavoratori in esubero delle piccole imprese improduttive, si profilerà una situazione opposta a quella del dualismo che non avrà nel complesso conseguenze negative. Tuttavia, estendere l’applicazione dei contratti economicamente dispendiosi conclusi con le grandi imprese alle piccole imprese, senza tener conto delle loro ridotte capacità finanziarie, è pericoloso e può generare un aumento della disoccupazione. Il decentramento della contrattazione collettiva a livello aziendale è meno soggetto a rischi di questo tipo, ma può provocare un aumento delle differenze salariali e delle disuguaglianze tra le aziende, nonché una riduzione dei livelli di sindacalizzazione e di copertura della contrattazione. Il dualismo può assumere diverse forme e può diventare istituzionalizzato attraverso una contrattazione o eccessivamente centralizzata o eccessivamente decentrata, che porta a enormi differenze nei livelli di rischio di perdere il lavoro o in termini di retribuzione, condizioni di lavoro e opportunità di carriera. Il sindacalismo aziendale giapponese è probabilmente il modo più sicuro per istituzionalizzare il dualismo tra i membri tradizionali dei sindacati e gli “esclusi”. I comitati aziendali, laddove possono guidare le trattative salariali, come in Spagna, funzionano più o meno allo stesso modo. Il dilemma della politica della contrattazione collettiva può essere illustrato attraverso due esempi. Doerflinger e Pulignano (2018) mettono a confronto le concessioni in ambito di contrattazione fatte durante la recessione del 2008 a due multinazionali in Belgio e Germania. In Belgio, la contrattazione in materia di salati, orario lavorativo e posti di lavoro è ripartita tra il livello nazionale (settoriale) e locale (impresa), e le priorità stabilite a livello centrale dai sindacati hanno un forte peso nelle trattative. In Germania, i rappresentanti sindacali delle imprese hanno la facoltà di definire le loro priorità ricorrendo a clausole di apertura rispetto agli accordi di settore. Gli autori concludono che i sindacati di entrambi i paesi miravano a tutelare i posti di lavoro, ma che quelli belgi hanno avuto maggiore successo nell’attuazione di una strategia più inclusiva, preservando i posti di lavoro dei lavoratori temporanei e in somministrazione. Gli autori aggiungono cautamente di non poter prevedere gli effetti a lungo termine di strategie così diverse sugli investimenti e sull’occupazione. In uno studio che mette a confronto i sindacati italiani e coreani, Durazzi, Fleckenstein e Lee (2018) sottolineano l’importanza dell’opinione pubblica. All’indomani della crisi asiatica del 1997–98, che ha generato un aumento dei lavoratori atipici, i sindacati coreani sono stati oggetto di crescenti critiche pubbliche per aver servito gli interessi dei loro membri tradizionali ignorando i lavoratori e le persone in cerca di lavoro, entrambi ai margini del mercato del lavoro. Questa situazione, avvenuta parallelamente al calo del numero di iscritti, è stata percepita dai leader sindacali come una minaccia all’esistenza stessa dei sindacati. I leader delle organizzazioni sindacali più deboli (il potere effettivo nella Repubblica di Corea è nelle mani dei sindacati aziendali) temevano che i sindacati avrebbero continuato a perdere legittimità se non avessero iniziato a reclutare anche i gruppi che fino a quel momento erano rimasti esclusi. La nascita dell’Alleanza per i lavoratori atipici, che unisce le forze sindacali e della società civile, ha ulteriormente accelerato questa inversione di tendenza, portando tuttavia alla luce profonde divisioni. Il sindacato della società Hyundai, ad esempio, è stato espulso dalla federazione dei lavoratori metalmeccanici per la sua posizione discriminatoria nei confronti dei lavoratori atipici. Dopo la profonda riorganizzazione dell’industria cantieristica navale a causa della crescente concorrenza cinese, i sindacati delle imprese del settore della costruzione navale e di altre industrie metalmeccaniche hanno iniziato a rappresentare gli interessi dei lavoratori atipici, nella consapevolezza che il lavoro irregolare a basso costo e il crescente divario tra lavoratori tipici e atipici sono, nelle parole di un leader sindacale, “un ostacolo all’attuazione delle richieste dei lavoratori standard in termini di salari e condizioni di lavoro migliori”. I sindacati aziendali hanno continuato a dare priorità ai lavoratori standard, seppur acquisendo consapevolezza sul fatto che i lavoratori standard e non standard hanno interessi e bisogni comuni. SOSTITUZIONE 57 La conclusione di questi due esempi non è che il dualismo sindacale cesserà di esistere. Al contratio, esso rimane comunque una possibilità a causa dell’attuale tendenza al decentramento della contrattazione collettiva (contrattazione d’impresa, “clausole di apertura”, alleanze locali), che dà maggiore spazio a chi è interessato a preservare il posto di lavoro, ignorando di fatto tutti gli altri. Esistono tuttavia delle controtendenze anche nei paesi in cui il dualismo è più marcato. Marx e Starke (2017) utilizzano l’esempio dell’introduzione del salario minimo nazionale in Germania nel 2014, dove i sindacati, dopo anni di dispute interne e di opposizione da parte dei sindacati del settore delle esportazioni, si sono uniti in una coalizione a favore del salario minimo. Alcune misure, come l’estensione obbligatoria dei contratti collettivi di settore e il salario minimo nazionale obbligatorio, sono a favore dei lavoratori precari con scarso potere contrattuale, mitigando quindi gli aspetti più estremi del dualismo (Hayter e Visser, 2018; Trygstad, Larsen e Nergaard, 2018). Molti sindacati in Africa, Asia e America Latina, motivati da un autentico senso di solidarietà o da un senso di auto tutela, hanno iniziato a interessarsi ai problemi dei lavoratori informali e precari. Nei paesi in via di sviluppo, inoltre, molti sindacati hanno trasformato le loro politiche nei confronti dei lavoratori temporanei e dei migranti. Secondo Doellgast, Lillie e Pulignano (2018), i sindacati europei “sono sempre più inclini a regolamentare il lavoro precario e a rappresentarlo all’interno delle proprie organizzazioni”. Stando alle loro parole, lo fanno “sia per proteggere i loro iscritti dalla concorrenza del lavoro a basso costo, sia in virtù del loro più ampio impegno a favore dell’uguaglianza e della giustizia sociale”. Sulla base di nove casi studio comparativi effettuati in 14 paesi (Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Polonia, Slovenia, Svezia, Regno Unito e Ungheria) in diversi settori e professioni come il settore metallurgico e chimico, la vendita al dettaglio, i servizi di pulizia, gli enti locali, i musicisti freelance, la logistica e la lavorazione delle carni, gli autori hanno osservato l’eseistenza tanto di strategie di inclusione quanto di esclusione (dualismo). Nel loro studio, il dualismo non è la risposta sindacale dominante all’aumento dell’instabilità e della precarietà del lavoro. Per offrire una risposta alternativa, tuttavia, i sindacati hanno bisogno di un sostegno istituzionale inclusivo “derivante da una forma di combinazione tra potere statale e sindacale al fine di estendere la tutela istituzionale dai gruppi più forti a quelli più deboli”(Doellgast, Lillie e Pulignano, 2018). Questi casi studio presentano alcuni esempi di sindacati che in Belgio, Danimarca, Finlandia, Italia e Svezia si sono mobilitati con successo per l’attuazione di politiche inclusive grazie a una combinazione tra forza istituzionale e azione collettiva. Bisognerebbe tuttavia comprendere se per i sindacati deboli o indeboliti privi di sostegno istituzionale e politico l’unica alternativa al dualismo sia l’emarginazione, e viceversa. 3 / Sostituzione Il terzo scenario riguarda la possibilità che in futuro i sindacati saranno sostituiti da altre forme di azione e rappresentanza sociale. Il declino di molti sindacati tradizionali e lo sviluppo di nuove forme di occupazione instabili e atipiche (il lavoro delle piattaforme, il lavoro autonomo dipendente, nonché il lavoro a domicilio e autonomo nei settori formali e informali) hanno dato modo di sperimentare nuove forme di tutela e rappresentanza dei lavoratori. Allo stesso tempo, tuttavia, è stato avviato un dibattito sulla loro efficacia e sulla loro capacità di sostituirsi completamente ai sindacati. Uno studio di Tapia, Ibsen e Kochan (2015) ha esaminato quattro di queste nuove forme: la partecipazione diretta dei dipendenti e la rappresentanza fornita dal datore di lavoro, come i circoli di qualità; l’impegno volontario dei datori di lavoro nel rispetto degli standard lavorativi, come nel caso della Responsabilità sociale d’impresa (RSI); gli Accordi quadro internazionali (IFA) negoziati con i sindacati internazionali e le organizzazioni della società civile. Gli autori concludono che l’efficacia di questi nuovi meccanismi non può essere misurata indipendentemente dai sindacati. La presenza di clausole del lavoro negli accordi commerciali preferenziali, ad esempio, sembra essere direttamente correlata con l’influenza dei sindacati (Raess, Dürr e Sari, 2018). Questa conclusione è in linea con i risultati di uno studio sulle “istituzioni lavorative emergenti nel XXI secolo” del National Bureau of Economic Research (Freeman, Hersch e Mishel, 2005). Gli autori si chiedono se quelle che chiamano istituzioni non associative − gruppi di difesa dei diritti umani e del lavoro, gruppi di attivisti, campagne per i salari minimi delle ONG, ispettorati del lavoro, associazioni professionali, intermediari della formazione e forme di collaborazione tra lavoratori e dirigenti − sostituiranno i sindacati in declino. Le domande principali della questione sono due: (1) Queste istituzioni che non hanno natura associativa possono fornire servizi e rappresentanza ai lavoratori come tradizionalmente hanno fatto i sindacati? (2) In caso affermativo, saranno in grado di estendere il loro 58 QUATTRO POSSIBILI SCENARI ambito d’azione fino a includere una parte consistente della forza lavoro che si affidava tradizionalmente ai sindacati? I casi studio dell’indagine del National Bureau of Economic Research, che fa riferimento alla situazione degli Stati Uniti, rispondono a entrambe le domande con un “no” categorico. “Le nuove istituzioni hanno ancora molta strada da fare prima di poter fornire benefici economici lontanamente comparabili a quelli dei sindacati” (Freeman, Hersch e Mishel, 2005). Anche laddove il ruolo dei sindacati è notevolmente indebolito, come negli Stati Uniti, questi ultimi hanno comunque maggiore successo delle nuove forme di rappresentanza, che non sono riuscite a espandersi oltre gruppi ristretti del mercato del lavoro e la cui efficacia è legata alla pressione esercitata dai sindacati. Bryson, Gomez e Willman (2018) giungono a una conclusione diversa sulla base del Workplace Employment Relations Survey (Indagine sui rapporti di lavoro), che abbraccia tre decenni e si concentra sui meccanismi di rappresentanza nei luoghi di lavoro britannici. Questi autori osservano che in molti contesti si è effettivamente passati dalla rappresentanza sindacale ad altre forme di rappresentanza. Allo stesso tempo, è stato osservato che la quota di posti di lavoro privi di rappresentanza è rimasta pressoché invariata, attestandosi a circa un quarto. Al contrario, sia il sistema a doppio canale, in cui esistono sia la rappresentanza sindacale sia altre forme di rappresentanza (come in molti paesi dell’Europa continentale), sia i sistemi in cui vige solo la rappresentanza sindacale o addirittura il monopolio di un singolo sindacato (il tradizionale modello britannico, americano o scandinavo) hanno subito una forte contrazione: dal 30 al 14 per cento nel caso della doppia rappresentanza (sindacato e comitato aziendale), e dal 18 al 3 per cento nel caso della sola rappresentanza sindacale. Nello stesso periodo, tuttavia, i meccanismi di rappresentanza forniti dal datore di lavoro, basati sulla consultazione e sulla partecipazione senza l’intermediazione del sindacato, sono più che raddoppiati, passando dal 25 al 58 per cento del totale dei luoghi di lavoro. I meccanismi di rappresentanza forniti dai datori di lavoro, quindi, non riguardano più un gruppo ristretto di lavoratori, quanto piuttosto una maggioranza di essi. Gli autori dimostrano che la rappresentanza sindacale tradizionale è maggiormente radicata nei luoghi di lavoro di vecchia data, mentre i nuovi luoghi di lavoro sono più inclini ad adottare altre forme di rappresentanza non sindacale. Le ricerche suggeriscono che la rappresentanza sindacale risulta più efficace delle forme alternative di rappresentanza, soprattutto in situazioni di conflitti aziendali, quando la necessità è maggiore. Inoltre, quando non esiste una rappresentanza sindacale aziendale, i lavoratori spesso non hanno altra scelta che accettare ciò che viene offerto loro. Spesso è il datore di lavoro a scegliere per i lavoratori, per i quali l’unica alternativa sarebbe lasciare l’azienda o il posto di lavoro. I meccanismi di rappresentanza forniti dal datore di lavoro utilizzati in sostituzione ai sindacati assenti, indeboliti o non riconosciuti sono rivolti ai lavoratori con posti di lavoro più o meno stabili in luoghi di lavoro “regolari”. Al contrario, i centri per i lavoratori e le organizzazioni su base comunitaria si rivolgono ai lavoratori che non hanno un posto di lavoro regolare. Essi sono supportati dai sindacati, o in alternativa, dagli attivisti dei diritti umani e dai difensori dei lavoratori. Negli Stati Uniti, i centri per i lavoratori rappresentano tipicamente i lavoratori migranti e a basso salario in settori o occupazioni in cui i sindacati sono assenti e, secondo la legislazione statunitense, esclusi dalla contrattazione collettiva (Fine, 2006; Rosenfeld, 2014). Fine ha messo in discussione l’efficacia dei centri per i lavoratori, data la loro limitata portata geografica, la frammentarietà e le scarse adesioni. Dopo il suo iniziale scetticismo, l’autrice ha recentemente cambiato punto di vista, alla luce delle maggiori interazioni tra i centri per i lavoratori e i sindacati (Fine, 2011). Anche nella Repubblica di Corea e in Giappone hanno preso piede delle alleanze di lavoratori temporanei e altre organizzazioni su base comunitaria volte ad assistere i lavoratori, soprattutto le donne, occupati in settori in cui l’organizzazione sindacale è assente o debole o in cui le donne sono o si sentono escluse dai sindacati aziendali tradizionali. La ricerca dimostra l’importante ruolo svolto dalle ONG nell’organizzazione delle donne occupate in lavori scarsamente qualificati e a basso salario, e l’importanza della funzione delle organizzazioni femminili come alternativa ai sindacati nella difesa dei diritti delle lavoratrici (Broadbent e Ford, 2008). Crinis (2008) osserva che, a causa della mancanza di attività sindacali a tutela delle lavoratrici in Malesia, le sindacaliste si sono unite alle ONG per sensibilizzare la comunità sui diritti delle donne in materia di lavoro, violenza domestica e molestie sessuali. Il settore delle pulizie industriali ha acquistato visibilità nelle recenti campagne di Living Wage (salario minimo). La campagna britannica Living Wage, nata negli anni 2000 con l’obiettivo di cambiare i comportamenti dei clienti, ha introdotto pratiche di lavoro sostenibili e ha esteso la RSI all’interno delle catene di fornitura. Riunendo i grupi sociali e i sindacati, la campagna si è inizialmente concentrata sui lavoratori del settore delle pulizie assunti dalle grandi aziende con sede nel distretto finanziario di Londra. Dopo una serie di successi, in cui alcuni datori di lavoro si sono impegnati a pagare agli addetti alle pulizie a contratto uno stipendio volontario superiore al minimo legale nazionale, la campagna si è diffusa in tutta Londra e in altre città. Esistono esempi simili di campagne di Living Wage in varie città degli Stati Uniti27. SOSTITUZIONE 59 Tali iniziative sociali offrono un’alternativa ai sindacati. Esse hanno un ruolo importante nell’organizzazione dei lavoratori informali, come i venditori ambulanti e gli addetti alla raccolta dei rifiuti in Ghana, India, Perù e Thailandia, come discusso nello studio comparativo di Chen, Madhaw e Sankaran (2014). La questione importante è capire se tali iniziative possono trasformarsi in organizzazioni permanenti con il potere di negoziare con le autorità locali o nazionali e, eventualmente, con i datori di lavoro, e far rispettare i relativi accordi. In questi specifici ambiti, tuttavia, l’esperienza, le competenze e la professionalità dei sindacati risultano ancora fondamentali. A questo proposito, il lavoro di Holgate (2015) sul sindacalismo sociale è particolarmente significativo, poiché mostra che i sindacati di grandi città hanno spostato le loro attività dal luogo di lavoro alla comunità locale e hanno iniziato a partecipare e a sostenere le associazioni cittadine di Londra, Sydney e Toronto. In questa fase, l’attività sindacale si è estesa dall’ambito lavorativo a quello sociale, ai diritti del lavoro e ai diritti civili. Un recente studio di Heckscher e McCarthy (2014) esamina le differenze nel potenziale dei movimenti sociali e dei sindacati. Essi sostengono che le forme tradizionali di solidarietà lavorativa sono in declino e che sono sostituite da proteste e movimenti monotematici come Occupy, il movimento di Mozilla per l’accesso gratuito a internet o le campagne studentesche per gli standard lavorativi. La “solidarietà collaborativa” che sta alla base di questi movimenti è costruita su “legami deboli”, spesso stabiliti tramite piattaforme digitali, e si basa su valori condivisi e sull’empatia piuttosto che sull’esperienza comune di lavoro e di appartenenza tipica dei sindacati. Questo tipo di legami, seppure deboli, possono supportare l’azione collettiva, che assume la forma di “sciame”: azioni organizzate in modo indipendente da singoli gruppi di sostenitori finalizzate al raggiungimento di un obiettivo comune, magari attingendo a risorse comuni raccolte attraverso una piattaforma digitale. Un’azione collettiva di questo tipo, secondo Heckscher e McCarthy, preannuncia un nuovo futuro, in sintonia con l’era di internet, e suggerisce che la sopravvivenza e il successo del movimento sindacale dipendono dalla sua capacità di imparare da questi esempi e di accettare la solidarietà apparentemente debole e collaborativa su cui si fondano. Sicuramente, i social media e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione possono diventare uno strumento per i lavoratori per condividere esperienze e far sentire la propria voce in assenza dei sindacati, offrendo la possibilità di costruire “comunità virtuali” anche all’interno del luogo di lavoro. Questi meccanismi possono essere utili soprattutto quando i sindacati non sono riconosciuti o sono poco attivi, così come nei casi in cui i lavoratori sono sparsi in diversi luoghi geografici o lavorano in diversi settori professionali o piattaforme digitali. Bryson et al. (2017) citano l’esempio di OUR Walmart, in cui è stata sviluppata una strategia basata su Facebook e un’applicazione per organizzare delle campagne all’interno della nota azienda antisindacale che conta 1,5 milioni di dipendenti. Piuttosto che essere sostituiti da organizzazioni privi di una struttura associativa, i sindacati possono trasformarsi in qualcosa di simile a gruppi d’azione o di pressione o forme di azione sociale, impegnandosi in movimenti di protesta, campagne di diversa natura e altre forme di pressione politica che non si basano sulla contrattazione collettiva e sull’organizzazione di scioperi. Esistono esempi di questi nuovi fenomeni in Slovacchia e in altri paesi dell’Europa centrale e orientale, dove i tassi di sindacalizzazione sono progressivamente diminuiti e l’unica roccaforte dei sindacati è il settore pubblico, anch’esso in declino. Per evitare di essere rimpiazzati dalle organizzazioni per i diritti civili, i sindacati hanno aderito o si sono messi alla guida di un cambiamento che altrimenti non sarebbero stati in grado di sconfiggere. È interessante notare che questa “innovazione”, che mette in secondo piano il concetto di “appartenenza”, ha spostato l’attenzione − nelle campagne politiche e sociali ma non nella contrattazione collettiva − sui problemi dei lavoratori vulnerabili e precari (Bernaciak e Kahancová, 2017). Inoltre, le attività sindacali hanno cominciato ad assumere la forma di campagne o progetti, simili all’“organizzazione sindacale”, ma senza l’esplicito obiettivo di attirare nuovi membri. Di conseguenza, questi sindacati, così come molti sindacati nei paesi in via di sviluppo, che si occupano principalmente delle condizioni dei lavoratori informali, sono diventati più dipendenti dai finanziamenti esterni delle ONG, delle organizzazioni internazionali, dei programmi di aiuto allo sviluppo dei paesi più ricchi e dei sindacati e delle federazioni sindacali internazionali. 60 QUATTRO POSSIBILI SCENARI 4 / Rivitalizzazione Il quarto e ultimo scenario è quello della rivitalizzazione, basato sulla premessa che i sindacati riusciranno a rinnovarsi e a espandersi oltre la loro attuale base associativa, rappresentando anche la “nuova forza lavoro instabile” dell’economia digitale. Esistono diverse evidenze a sostegno di questa ipotesi, quali lo sviluppo dei sindacati e delle organizzazioni di tipo sindacale nelle economie informali di Africa, Asia e America Latina, nonché l’adozione da parte dei sindacati dei paesi sviluppati di modi intelligenti per usare il web come strumento per comunicare e organizzare i lavoratori delle piattaforme e per estendere l’adesione ai lavoratori “autonomi” dell’economia tradizionale e di quella digitale. Esistono altri elementi che lasciano ben sperare sul futuro sindacati, quali: i livelli crescenti di diversità e di istruzione dei membri, gli enormi progressi compiuti nella partecipazione sindacale delle donne e, non da ultimo, l’impulso delle innumerevoli campagne e iniziative di rinnovamento dei sindacati organizzate a partire dal 2000. Oggi, sempre più dirigenti sindacali sono consapevoli dell’urgente necessità di rinnovamento, che dipende anche dalla giusta distribuzione di risorse all’interno del movimento sindacale. I tassi di sindacalizzazione tra i dipendenti e i professionisti della pubblica amministrazione, delle assicurazioni sociali, dell’istruzione e dei servizi sanitari sono ancora elevati anche in molti dei paesi in cui i tassi di sindacalizzazione del settore privato sono ai minimi storici. Ciò solleva la questione del corretto utilizzo e della divisione delle risorse all’interno dei sindacati. Aumentare l’adesione sindacale dei giovani è la chiave di tutte le strategie di rinnovamento sindacale. Affinché si verifichi un reale cambiamento, è necessario raddoppiare i tassi di adesione sindacale dei giovani sotto i 30 anni, passando dall’attuale 11 per cento al 22 cento. Esistono vari modi per raggiungere questo obiettivo. Il reclutamento sindacale precoce, nelle scuole professionali e nelle università e nel passaggio dalla scuola al lavoro richiede l’introduzione di programmi speciali di affiliazione, con quote ridotte e benefici mirati a sostegno dei giovani in questa fase della loro vita. Ciò comporta inevitabilmente uno spostamento delle risorse, dei benefici e delle politiche sindacali dai lavoratori più anziani a quelli più giovani, come ad esempio un cambio ai vertici delle organizzazioni sindacali, che aumenterebbe il numero dei giovani che ricoprono ruolo dirigenziali all’interno dei sindacati e delle confederazioni sindacali. La Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL) ha fissato una quota del 20 per cento per i lavoratori sotto i 30 anni nell’elezione di dirigenti sindacali. L’introduzione di una simile quota per le donne, sebbene molto più alta, ha contribuito ad aumentare il numero della donne in posizioni dirigenziali nei sindacati. Questo cambiamento, insieme ad un’inversione di tendenza delle politiche sindacali, ha aumentato l’interesse delle donne nei confronti dei sindacati. I sindacati godono spesso di un ampio sostegno pubblico, nonostante nel complesso l’adesione sindacale sia in calo. L’importanza della reputazione dei sindacati nella società è un elemento da non sottovalutare. Due esempi lo dimostrano, uno relativo al settore informatico indiano e l’altro all’industria automobilistica tedesca. Noronha e D’Cruz (2017) affermano che “nel corso degli anni, si è diffusa una reputazione negativa sui sindacati indiani, criticati di avere un comportamento irresponsabile, di far prevalere i loro interessi personali, di adottare strategie non idonee, di trascurare le preoccupazioni dei loro membri e di ignorare il benessere della società in generale”. Gli autori dimostrano, inoltre, che i datori di lavoro del settore IT hanno sfruttato la situazione per impedire o interrompere i tentativi di associazione dei lavoratori, dipingendo i sindacati come arretrati, inutili, irrilevanti o addirittura pericolosi. Da questo punto di vista, per non rivelarsi un fallimento, i tentativi di organizzazione tra i professionisti del settore IT hanno evitato i contatti e le legami con i sindacati. Da questo esempio ne consegue che un’organizzazione di successo deve contare sulla professionalità e sulle competenze dei sindacati come abili negoziatori. Nel caso tedesco, invece, IG Metall ha sfruttato le opportunità create dalla crisi finanziaria del 2008. In quel periodo infatti, il sindacato ha proposto e negoziato un programma di rottamazione delle auto e ha introdotto uno schema di lavoro a orario ridotto che ha mantenuto in vita l’industria automobilistica e i suoi lavoratori qualificati. Questa strategia, ampiamente pubblicizzata dai media, ha aggiunto influenza e prestigio all’innegabile potere del sindacato e ha contribuito a migliorare non solo la posizione del sindacato nella società, ma ha anche aumentato il numero delle adesioni (Schmalz e Thiel, 2017). Frangi, Koos e Hadziabdic (2016) dimostrano che una parte considerevole dell’opinione pubblica europea considera i sindacati un’istituzione sociale di rilievo e che tale percezione è rimasta immutata nel tempo nonostante il calo dell’adesione sindacale. Inoltre, il livello di “fiducia nei sindacati” è particolarmente elevato all’interno dei gruppi sociali particolarmente vulnerabili: persone a basso reddito, giovani e migranti, ossia gruppi di solito sottorappresentati nei sindacati, così come nella politica e nella maggior parte delle altre organizzazioni e istituzioni sociali. Nell’ottobre 2015, quando l’Australian Bureau of Statistics ha annunciato che i tassi di sindacalizzazione sindacale erano scesi ad appena il 14,4 per cento del totale dei dipendenti, il livello più basso degli ultimi 25 anni, la principale società di RIVITALIZZAZIONE 61 sondaggi del paese ha pubblicato dei dati secondo cui il 62 per cento degli australiani riteneva che i sindacati fossero importanti. I dati mostrano anche che questa opinione si è rafforzata dal 2012. Nel 2015 infatti, solo il 21 per cento degli intervistati riteneva che i sindacati non fossero molto rilevanti, rispetto al 27 per cento del 2012. Ancora più in contrasto con il dato sulla bassa adesione sindacale è il fatto che il 45 per cento degli australiani ritiene che il rafforzamento dei sindacati agevolerebbe i lavoratori28. In breve, sembra che ci siano i presupposti per uno sviluppo ideologico e sociale dei sindacati. Rinnovare i sindacati non significa tornare al passato, né nelle forme di rappresentanza né in termini di numeri. Rinnovare significa fare le cose in modo diverso e con meno risorse, a partire dall’appartenenza sindacale e da ciò che implica rispetto a obblighi, diritti e doveri. In futuro l’appartenenza sindacale sarà probabilmente più fragile e “temporanea” e meno basata su un impegno permanente e “a tempo indeterminato”, rispecchiando i cambiamenti nei rapporti di lavoro. La partecipazione sindacale dell’attuale e della prossima generazione di giovani che entreranno nel mercato del lavoro potrebbe aprire la strada a nuove forme basate sul web, tra cui il crowd financing e il pagamento di piccoli contributi per progetti specifici, il diritto di voto nelle elezioni sindacali, nei contratti collettivi, nei patti sociali e nello sciopero. Questi cambiamenti richiedono nuove riflessioni e sperimentazioni, soprattutto rispetto a quello che è e deve rimanere l’obiettivo dei sindacati: organizzare i lavoratori e rappresentare una posizione comune tra i lavoratori nella conclusione di accordi vincolanti per i datori di lavoro e i governi. La contrattazione collettiva presuppone la possibilità di indire scioperi e di impegnarsi nel rispetto dei relativi risultati. Questi obiettivi possono essere raggiunti con forme di adesione più libere e meno vincolanti? La questione è ancora aperta e ha implicazioni legali. Infine, il processo di rinnovamento implica la nsciata di forme di cooperazione e alleanze con altre organizzazioni e gruppi sociali. Le storie di successo raccontate in una recente raccolta del FES tedesco — dei lavoratori dei trasporti ugandesi, delle guardie di sicurezza keniote, dei lavoratori tessili nigeriani, dei venditori ambulanti indiani e degli addetti alle pulizie sudcoreani — mostrano che i lavoratori atipici hanno superato le forme tradizionali di sindacalismo, creando nuove associazioni o organizzazioni ibride in cui i lavoratori informali sono uniti ai lavoratori formali e viceversa. La flessibilità organizzativa e una concezione più inclusiva della solidarietà e del concetto di lavoratore hanno permesso ai sindacati di avvicinarsi ai lavoratori informali e di sperimentare modalità innovative di collaborazione per rappresentare i loro interessi (Herberg, 2018). Esistono altri esempi incoraggianti di rinnovamento dei sindacati nei paesi in via di sviluppo, come il ricorso agli IFA, agli accordi commerciali preferenziali o ai meccanismi di controllo stabiliti da organizzazioni internazionali come l’OIL o l’OCSE; la nascita di alleanze politiche e sociali per la difesa della democrazia, dei diritti civili e delle garanzie sanitarie (Karreth, 2018); l’adozione di un approccio inclusivo nei confronti della diversità e dei diritti delle minoranze tanto nella composizione quanto nelle politiche sindacali. Conclusioni Tutti i quattro scenari appena descritti sono possibili, ma qual è il più probabile? Verosimilmente, la risposta varia in base al luogo in cui ci troviamo. Non esiste infatti una sola risposta, né tanto meno una risposta esatta. Lo scenario della marginalizzazione ha più probabilità di concretizzarsi laddove il declino e l’invecchiamento hanno raggiunto livelli estremi e i sindacati non godono del sostegno delle istituzioni giuridiche e sociali ma, al contrario, vivono in clima politico e sociale di ostilità o indifferenza (parti dell’Europa centrale e orientale e degli Stati Uniti). Lo scenario del dualismo rappresenta una possibilità per i paesi in via di sviluppo, a meno che non si incoraggi l’auto-organizzazione dei lavoratori informali, e anche per le le economie sviluppate se i sindacati rimarrano ancorati alla loro roccaforte nei servizi pubblici, nelle grandi imprese e in alcuni settori manifatturieri. Lo scenario della sostituzione potrebbe prenderà piede nei contesti in cui i lavoratori hanno bisogno di far sentire la propria voce e di essere rappresentati, ma dove non esistono sindacati che possano sostenerli (luoghi di lavoro britannici o americani, la nuova economia delle piattaforme, i lavoratori autonomi del settore informale in Asia meridionale e in America centrale). La rivitalizzazione sta avvenendo ovunque, ma il suo successo dipenderà dalla disponibilità dei sindacati di risorse sufficienti a garantire la loro resistenza, entrare in contatto con i giovani e trovare modi efficaci per stringere alleanze con altre organizzazioni e movimenti. Il punto principale che vale la pena di sottolineare è che in realtà i quattro scenari si stanno verificando contemporaneamente, a volte negli stessi paesi ma in settori diversi (pubblico/privato; industria/servizi; lavoratori dipendenti/ lavoratori autonomi; vacchia economia/piattaforme da remoto), a volte in relazione tra di loro: il dualismo come modo per impedire l’emarginazione; la sostituzione come ispirazione per la rivitalizzazione; la rivitalizzazione come forma di “apertura” delle pratiche dualiste. I sindacati e i loro leader devono avere la consapevolzza che attirare nuovi membri, tanto nella vecchia quanto nella nuova economia, è diventato più difficile di mantenere i legami esistenti. Essi devono altresì riconoscere che per attirare nuove membri e aprirsi a nuove forme di partecipazione è necessario agire in modo diverso, anche se l’obiettivo rimane sempre lo stesso: organizzare ed esprimere solidarietà tra i lavoratori. Sono i mezzi che devono cambiare, non gli obiettivi. Riferimenti bibliografici Ackers, P. 2015. ‘Trade unions as professional associations’. In: S. Johnstone, and P. Ackers, ed. Finding a voice at work? New perspectives on employment relations. Oxford: Oxford University Press, pp. 95–126. Adams, Z.; Deakin, S. 2014. ‘Institutional solutions to precariousness and inequality in labor markets’, British Journal of Industrial Relations, 52 (4), pp. 779–809. Afonso, A.; Devitt, C. 2016. ‘Comparative political economy and international migration’, Socio-Economic Review, 14 (3), pp. 591–613. ALRN. 2003. Trade Unions in Africa. African Labour Research Network. Arnholtz, J.; Ibsen, C.L.; Ibsen, F. 2016. ‘Importing low-density ideas to high-density revitalization: The “organising model” in Denmark’, Economic and Industrial Democracy 37 (2), pp. 297–317. Antentas, J.M. 2015. ‘Spain: The Indignados rebellion of 2011 in perspective’, Labor History, 56, pp. 136–160. 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Questa pubblicazione è stata inizialmente concepita da Susan Hayter (dell’Ufficio del Vicedirettore Generale dell’OIL per le politiche), che mi ha ispirato e che ringrazio per la sua fiducia. Un ringraziamento speciale va anche a Helena André (Direttrice dell’Ufficio dell’OIL per le attività dei lavoratori) che ha reso possibile questa ricerca. Rafael Peels (Ufficio dell’OIL per le attività dei lavoratori), uno dei più competenti ed entusiasti sostenitori di questo lavoro, ha fornito commenti preziosi e il suo contributo è stato prezioso per completare la ricerca e la pubblicazione del progetto in tempo. Inoltre, ringrazio Alex Bryson, Rafael Gomez, Anke Hassel, Richard Hyman, Mara Kahancová, Anders Kjellberg, Marcel van der Linden, Paul de Beer, Valeria Pulignano; Miroslav Stojanoviç e Kurt Vandaele per aver letto la bozza della presente pubblicazione, fornendo prezioni commenti e suggerimenti per migliorarla. Un grazie a Philippe Pochet dell’Istituto sindacale europeo (ETUI) per aver organizzato un seminario per presentare il mio lavoro ai rappresentanti dei sindacati, tra cui Rudy de Leeuw, Presidente della Confederazione europea dei sindacati (CES) e Oliver Roethig, Segretario regionale dell’UNI-Europa. La responsabilità del testo finale, dei suoi giudizi e dei suoi errori è esclusivamente dell’autore. 5 OIL, 2015a, Iniziativa del Centenario dell’OIL per il futuro del lavoro, Rapporto del Direttore Generale, Ginevra: OIL, punto 9. Si veda anche: https://www.ilo.org/global/topics/future-of-work/lang–en/index.htm 6 Sito web della Confederazione sindacale internazionale, https://www.ituc-csi.org/IMG/pdf/18_02_02_list_of_affiliates_17th_gc.pdf (accesso 11/11/2018). L’elenco degli affiliati risale al novembre 2017. 7 Nei paragrafi successivi ho tratto ispirazione dal capitolo 7 (“The Future of Work: Good Jobs for All”) dell’IPSP (2018), Rethinking Society for the 21st Century. Rapporto dell’International Panel on Social Progress, Cambridge University Press, 2018, vol. 1. 8 Per settore informale si intendono le unità produttive, mentre per occupazione informale si intendono i posti di lavoro. I lavoratori familiari non retribuiti di età superiore ai 15 anni sono sempre considerati informali. Nel caso di lavoratori autonomi e datori di lavoro, lo status occupazionale informale del lavoro è determinato dalla natura formale dell’impresa. I dipendenti sono considerati lavoratori informali se il lavoro è svolto nel settore informale o, quando è svolto nel settore formale, se il loro lavoro non è dichiarato, è occasionale, di breve durata e al di sotto della soglia dei contributi previdenziali (OIL, 2018a:18–19). 9 I dati risalgono al 2017 o all’anno successivo e coprono 150 paesi registrati nel database ILOSTAT (https://www.ilo.org/ilostat/irdata), mentre gli ulteriori dati sulla composizione dei membri e sui tassi di sindacalizzazione delle categorie di lavoratori provengono dal database ICTWSS, 6.0 (http://uva-aias.net/en/ictwss). Queste statistiche coprono oltre il 90 per cento della popolazione mondiale con un’equa distribuzione nelle regioni del mondo e in termini di reddito. Sono esclusi i paesi colpiti da guerre (civili) o eventi catastrofici, tra cui Afghanistan, Iraq, Siria, Yemen, Libia, Ciad, Somalia, Sudan, Sudan, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana, Congo, Repubblica Democratica del Congo e Haiti, mentre non ci sono dati per Corea del Nord, Bhutan, Turkmenistan, Tagikistan, Uzbekistan, Qatar, Giamaica e Portorico. I sindacati sono vietati in Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Le statistiche sul numero degli iscritti tengono in considerazione la popolazione occupata (e in alcuni casi anche i disoccupati), escludendo i pensionati e gli iscritti che si sono ritirati dal mercato del lavoro ma che hanno mantenuto la loro adesione al sindacato. 10 Questi sindacati devono essere esclusi perché non agiscono indipendentemente dallo Stato o dal partito, perché i lavoratori non possono scegliere liberamente a quale sindacato aderire e perché è difficile verificarne i tassi di adesione. I 303 milioni di iscritti rivendicati dalla Federazione dei sindacati di tutta la Cina (ACFTU) costituirebbero, se corretto, il 58 per cento della quota totale di iscritti a un sindacato a livello mondiale. Negli ultimi tempi, i sindacati cinesi, pur essendo fortemente accusati di non rappresentare realmente i lavoratori, hanno svolto sempre più spesso un ruolo di intermediazione tra le proteste dei lavoratori e la direzione o le autorità locali. (Chen, 2009; Friedman and Kuruvilla, 2014; Liu, 2019; 2014; Taylor and Li, 2010; China Labour Bulletin, http://www.clb.org.hk/). 11 Le statistiche sull’occupazione totale includono i dipendenti, i lavoratori autonomi e i liberi professionisti, i collaboratori familiari non retribuiti e, purtroppo, anche i datori di lavoro. Un calcolo più ristretto — escludendo i datori di lavoro e i lavoratori agricoli — sarebbe stato preferibile, ma tali dati non sono disponibili per molti paesi e quindi non sarebbe possibile effettuare una comparazione tra le regioni del mondo. Ci accontenteremo quindi di questo metro di valutazione meno preciso, ma più accessibile. 12 La legge sindacale stabilisce che le imprese in cui è stata istituita una rappresentanza sindacale devono contribuire con il due per cento del loro reddito mensile ai fondi sindacali. I contributi da parte dei lavoratori sono limitati; https://www.clb.org.hk/. 13 In Italia, l’unico paese sviluppato con un’alta quota di lavoratori sindacalizzati (e di lavoratori agricoli), il tasso di sindacalizzazione raggiunge quasi il 100 per cento. In questo paese i sindacati svolgono alcune delle funzioni assicurative e amministrative dello Stato. 14 Israele sembra essere un’eccezione, con tassi di sindacalizzazione più elevati nei servizi commerciali. 72 NOTE 15 Purtroppo non disponiamo di dati successivi. 16 i tratta di un’approssimazione, l’età media di entrata e di uscita dal mercato del lavoro è probabilmente più alta per i professionisti e per i laureati rispetto ai lavoratori. 17 Per calcolare questa media e per facilitare il confronto con gli anni precedenti, sono stati omessi i valori estremi degli Stati baltici, dove non ci sono praticamente iscritti ai sindacati con età inferiore ai 25 anni. 18 Nel 2006, 130 paesi hanno creato oltre 3.500 EPZ all’interno dei loro confini, che contano circa 66 milioni di lavoratori (Murray, 2018). Le più grandi di queste si trovano in Cina, Indonesia e Bangladesh. 19 Nella maggior parte dei paesi in cui è possibile effettuare un confronto con i dati delle indagini sulle famiglie effettuate su un campione molto più ampio, l’European Social Survey stima tassi di densità molto più bassi. I dati dell’European Social Survey sono stati calibrati rispetto ai tassi di sindacalizzazione medi noti (si veda anche OCSE 2017 per questa procedura, che è stata utilizzata per calibrare altri dati sull’adesione sindacale). 20 L’attività sindacale tra i lavoratori atipici non è esogena allo sviluppo dell’occupazione non standard, come è stato dimostrato in altre sedi. Per esempio, nei Paesi Bassi, le lavoratrici a tempo parziale si sono organizzate per rendere questa forma di lavoro più adeguata in termini di diritti del lavoro e di equilibrio tra lavoro e famiglia, fino a farla diventare la “norma” e lo “standard” per molte donne con figli (Visser, 2001). Ciò non significa negare i continui svantaggi del lavoro a tempo parziale in termini di carriera e di indipendenza finanziaria. 21 ‘Ryanair turns Polish pilots into precarious workers’, Financial Times, 1-11-2018. 22 https://www.ilo.org/dyn/normlex/. 23 https://www.ilo.org/global/topics/non-standard-employment/crowd-work/lang–en/index.htm. 24 Sarah O’Connor, ‘How to manage the gig economy’s growing jobs market’, Financial Times, 30-10-2018. 25 Per l’ultima risoluzione dell’OIL sull’indice dell’ottobre 2018 si veda: https://www.ilo.org/global/statistics-and- databases/meetings-and-events/ international-conference-of-labour-statisticians/20/WCMS_648636/ lang–en/index.htm. 26 https://www.ilo.org/beirut/events/WCMS_535008/lang–en/index.htm 27 Si veda https://www.ituc-csi.org/wagescampaign per la campagna in corso dell’ITUC per il salario minimo. 28 The Guardian, 27-10-2015. Contatti: Ufficio per l’Italia e San Marino Via Panisperna 28 00184 Roma Italia Tel. +39 06 678 4334 e-mail: rome@ilo.org Illustrazione della copertina © Julien Eichinger/Adobe Stock Organizzazione Internazionale del Lavoro ACTRAV 4 route des Morillons CH-1211 Geneva 22 Switzerland Tel. +41 22 799 7021 e-mail: actrav@ilo.org