Una luce nel labirinto

Una luce nel labirinto
Non arrendersi mai.

una luce nel labirinto

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Non sottomettersi mai.

mercoledì 15 novembre 2023

La politica economica del fascismo, lo scioglimento dei sindacati, il blocco dei salari, l'abolizione del diritto di sciopero, l'aumento dell'orario di lavoro.

La politica economica del Fascismo: il corporativismo, la battaglia del grano, la "quota 90" Fin dai primi tempi del Partito Nazionale Fascista, il suo leader Benito Mussolini ha sempre sostenuto il principio del corporativismo come pietra fondamentale per l’organizzazione del lavoro. Ben radicata all’interno della tradizione nazionalista, l’idea corporativa si fonde però con il passato socialista del “duce”, riconoscendo la realtà (e il ruolo) delle classi sociali, subordinandole tuttavia al bene superiore dello Stato nazionale, che ha il compito di regolare e superare il conflitto sociale. Lo Stato “sindacal-corporativo” si traduce, nel disegno politico-dittatoriale mussoliniano, nell’asservimento dei sindacati al regime: a partire dal 1925, nel momento di affermazione del Fascismo quale dittatura in senso pieno e compiuto, assistiamo alle ultime grandi manifestazioni operaie (tra cui ricordiamo il grande sciopero dei metallurgici lombardi tra febbraio e marzo di quell’anno), fino allo scontro tra la FIOM socialista e le corporazioni del Fascio. Il Patto di Palazzo Vidoni (2 ottobre 1925) e la Legge Rocco (3 aprile 1926) attuano la fascistizzazione anche in campo sindacale, provvedendo alla soppressione di sindacati e associazioni di categoria antifasciste, oltre all’abolizione del diritto di sciopero. In tal modo, le principali attività economiche dello Stato italiano sono sotto il controllo diretto del Partito Nazionale Fascista, tanto che di li a poco sarà necessario essere iscritti al partito per poter aver diritto ad un lavoro. Per reagire alla difficile situazione economica (a causa della debolezza della lira, all’inflazione crescente e al conseguente aumento del costo della vita), il regime, per favorire l’aumento della produzione e dei consumi interni, attua alcuni provvedimenti, tra cui la cosiddetta “battaglia del grano” e la difesa della moneta nazionale (la "quota 90", come nel discorso propagandistico di Mussolini a Pesaro nel 1926). Nel 1927, approvata la Carta del Lavoro - un manifesto dell’organizzazione lavorativa del nuovo Stato corporativo - vengono poi approvate misure deflattive e una generale riduzione dei salari: una serie di misure che, nonostante la repressione fascista, portano a nuovi scioperi, spesso sollevati della forze comuniste clandestine. I principi del corporativismo: pace sociale e armonia tra le classi Fin dalla fondazione del Partito Nazionale Fascista, Mussolini aveva sostenuto il corporativismo come principio fondante dell’organizzazione lavorativa e produttiva. Il corporativismo rientra pienamente nella tradizione nazionalista, con un'eccezione (dovuta probabilmente al passato socialista di Mussolini e alle influenze anarco-sindacaliste presenti nel fascismo delle origini): il fascismo, infatti, riconosce l’esistenza delle classi sociali e del loro contrasto, mentre il nazionalismo parla di un unico “popolo” fondante la nazione. L’ottica mussoliniana prevede che, per il superiore bene dello Stato, il conflitto sociale venga superato e regolato attraverso un organismo superiore. Perciò le associazioni degli imprenditori e dei lavoratori devono rientrare all’interno di una comune organizzazione del lavoro, la Corporazione, che sia unitaria, armonizzata al suo interno e posta sotto il diretto controllo dello Stato. Il progetto teorico di Mussolini è lo Stato “sindacal-corporativo”, ovvero la sindacalizzazione dello Stato e l’ingresso completo delle associazioni di categoria dentro di esso. Questo progetto in realtà si tradurrà in realtà nell’asservimento dei sindacati al regime. Dalle ultime mobilitazioni della Fiom al sindacalismo fascista integrale (1925 – 1927) I primi governi Mussolini avevano applicato provvedimenti volti al riconoscimento dei soli sindacati fascisti all’interno delle contrattazioni con gli imprenditori. Nel corso del 1925 una serie di agitazioni sociali (le ultime di grande portata) determina lo scontro tra la Federazione degli operai metallurgici (FIOM, il principale sindacato operaio in Italia), di ispirazione socialista, e le corporazioni fasciste. Infatti, nelle elezioni delle commissioni interne Fiat del settembre 1924 i lavoratori votano massicciamente per la FIOM e, in occasione di scioperi avviati dai fascisti, decidono di seguire le iniziative della FIOM (come avviene per il grande sciopero dei metallurgici lombardi del febbraio-marzo 1925). Col Patto di Palazzo Vidoni, del 2 ottobre 1925, e con la Legge Rocco sulle corporazioni, del 3 aprile 1926 il regime attua la fascistizzazione in campo sindacale e procede alla soppressione dei sindacati e delle associazioni di categoria antifasciste. Con l’assenso degli imprenditori, questi e i lavoratori vennero riuniti “mediante organi centrali di collegamento con una superiore gerarchia comune”, le corporazioni, che diventano organi dello Stato controllati dal Gran Consiglio del Fascismo. Sciolti i sindacati e abolito il diritto di sciopero, le attività economiche di primaria importanza per lo Stato vennero poste sotto il controllo del Pnf. Successivamente, viene resa obbligatoria l’iscrizione al partito fascista e alle associazioni di regime per poter ottenere un lavoro. Il sindacalismo fascista è a questo punto integrale e pienamente parte dello Stato fascista. I provvedimenti economici dal "discorso di Pesaro" alla deflazione del ’27-’28 Nonostante la congiuntura economica internazionale favorevole, la situazione italiana rimase difficile fino al 1926, a causa della debolezza della lira, all’inflazione crescente e al conseguente aumento del costo della vita. Per bloccare un'ulteriore svalutazione, il regime fascista decide di puntare sull’aumento della produzione e dei consumi interni. Viene lanciata la “battaglia del grano” per intensificare la coltura di cereali; si impone l’impiego di minerali nazionali per la produzione siderurgica; è vietata la costruzione di edifici di lusso e di nuovi esercizi pubblici; si estende la giornata lavorativa a 9 ore e si diminuiscono i dipendenti statali. La battaglia in difesa della lira diventa un tema di propaganda durante un famoso discorso di Mussolini, tenuto a Pesaro nell’agosto 1926, in cui questi ribadisce la volontà del regime di difendere a oltranza la moneta nazionale. Tra il 7 gennaio e il 22 aprile 1927 il Gran Consiglio discute e approva la Carta del lavoro: un manifesto dell’organizzazione lavorativa del nuovo Stato corporativo, contenente i principi guida della disciplina produttiva. Nel corso del 1927 vengono messe in atto anche alcune politiche deflattive, che però causano solo la riduzione dei salari. Tutte le corporazioni e le associazioni di categoria, d’accordo con gli industriali, decidono un abbassamento generale del 10% dei salari dal 24 maggio. Si decide inoltre la riduzione dell’indennità caroviveri agli impiegati statali. Di fronte a queste decisioni i lavoratori, ancora fortemente sindacalizzati, in più occasioni decidono di ignorare il divieto di sciopero e incrociano le braccia. Secondo fonti non ufficiali, in questo periodo si emettono oltre 8000 condanne per reati sindacali. A dirigere le vertenze ritroviamo spesso i comunisti, che hanno già avviato la propria azione clandestina approfittando del malcontento dei lavoratori.

giovedì 2 novembre 2023

" La fame da lupo" per una società nuova.

“La fame da lupo” per una società nuova. La produzione nel mondo è il doppio delle necessità materiali dell’intera umanità. Già oggi, se vi fosse una società comunista, ogni essere umano potrebbe vivere senza subire il ricatto della soddisfazione dei bisogni. Invece i dati riportano che nell’intero pianeta più di un miliardo di persone non sono alimentate abbastanza ed ogni anno muoiono milioni di esse per fame, 50 milioni sono bambini. Una società che non soddisfa i bisogni primari e porta alla morte per inedia non può dirsi società! E’ un sistema che mette al centro il profitto e lo sfruttamento dell’essere umano sull’essere umano e che rende schiava delle necessità gran parte della popolazione mondiale. Il capitale per rivitalizzarsi ogni giorno cerca di sfruttare sempre più le masse lavoratrici e chiede di tornare a rapporti di lavoro simili ad un secolo e mezzo fa. I partiti parlamentari di ogni colore non si oppongono a questa nera e cruda realtà. I sindacati, al traino dei partiti, nei fatti sono sempre più a rimorchio delle esigenze del capitale. I posti di lavoro vengono tagliati, i salari e le pensioni abbassati, le condizioni di lavoro e di vita peggiorate, i servizi sociali, scuola, sanità, trasporti, finanziati con i soldi dei lavoratori, gli unici a pagare le tasse per intero, diventano un miraggio. Il capitale, usando pennivendoli, videolettori di notizie, rotocalchi vari, tutti pugilatori a pagamento con lingua da schiavi, cerca di sviare l’attenzione sull’omofobia, il razzismo, l’egoismo, le guerre, mali insiti a questa dimensione socio-economica, che possono essere eliminati solo superando le modalità di produzione e distribuzione dell’attuale sistema. “ La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi.” Carl von Clausewitz, Della guerra. Invocare la pace contro la guerra nel capitalismo è abbaiare alla luna! La pace tra gli esseri umani potrà esserci solo abolendo le classi e dando all’umanità comunanza di produzione e distribuzione di beni. Questa realtà non è per l’umanità! Gli esseri umani per definirsi veramente tali devono vivere! E nella vita è insito il soddisfacimento dei bisogni materiali e spirituali. Non c’è libertà con la pancia e la mente vuote! Sempre più le decisioni dei governi, le guerre per interessi economici delle varie potenze, che portano alla morte decine di migliaia di proletari, mostrano in modo chiaro che ogni azione è determinata dal senso del profitto. Non c’è visione del futuro in senso migliorativo delle condizioni di vita dei cittadini, ma solo volontà di utilizzare al meglio il presente per difendere gl’interessi dei detentori del potere. “ Ma la democrazia pura e semplice è incapace di sanare i mali sociali. L’eguaglianza democratica è una chimera. La lotta dei poveri contro i ricchi non può essere combattuta sul terreno della democrazia o della politica. Anche questo grado è dunque solo uno stadio transitorio, l’ultimo mezzo puramente politico che ancora deve essere sperimentato e dal quale deve subito svilupparsi un nuovo elemento, un principio che oltrepassa la politica. Questo principio è il socialismo. F. Engels, Lineamenti di una critica dell’economia politica. La classe lavoratrice deve comprendere, acquisendo coscienza, che seguire un partito borghese od un altro significa solo schierarsi per una frazione della borghesia o un’altra, mai per i propri interessi. Per lottare per le sue esigenze chi vive di lavoro deve uscire dal circolo vizioso di destra, sinistra, centro, rottamatori, sovranisti, che vogliono residuare la classe lavoratrice, governo del fare finta, governo tecnico, governo di transizione, governo di responsabilità ed abbracciare in prima persona la propria causa, che deve mirare a difendere diritti, lavoro, salari, servizi sociali nell’immediato ed a superare questa dimensione economico-sociale nello storico. C’è molto da fare! Altro che non c’è più niente da fare! Chi propaganda la seconda sensazione vuole che le lavoratrici ed i lavoratori facciano poco per loro stessi e molto, lasciando fare a loro, per il capitale. “La fame da lupo” della classe lavoratrice, che ogni giorno nel mondo produttivo e nella società viene asservita, umiliata, colpita nella sua dignità deve esprimersi nel mettere in campo ogni energia per liberarsi dalla condizione imposta dalla realtà produttiva odierna. Un importante uomo politico italiano ha detto che in Italia non esistono poveri, ma solo persone che non hanno cognizione di utilizzo del benessere. Un altro ha affermato che i poveri mangiano meglio. Chissà perché essi preferiscono non essere in quelle condizioni! La povertà quindi come colpa e la ricchezza come merito individuale, non frutto della società capitalistica e la sua divisione in classe. E’ una presa per i fondelli! Non solo ci sfruttano, ci prendono anche per imbecilli! E’ ora di mettere in campo tutte le forze intellettive e fisiche, la nuova società è più vicina di quanto essi pensano. Sta a noi esserci all’appuntamento con la storia! Noi, al contrario degli apologeti del sistema attuale, una visione l’abbiamo. Essa è basata sulla scienza. La nostra visione è una società in cui “Ognuno possa dare secondo le sue capacità e possa ricevere secondo le sue necessità”. La realtà economico-sociale, fin dal sorgere della vita umana sulla terra, è stata dinamica come lo è la materia. Con scienza, coscienza, organizzazione, tattica e strategia possiamo prepararci agli snodi della storia per conquistare un “ Mondo nuovo”. Panta rei!