martedì 15 novembre 2022
Storia della collaborazionista X Mas con i nazisti occupanti.
Storia della collaborazionista X Mas con i nazisti occupanti, dopo l’8 settembre 1943. Per conoscere e non ripetere errori.
Premessa.
Io spesso mi chiedo quale storia del periodo resistenziale sia stata talvolta scritta e magari approvata in questa nostra Italia, e spesso mi domando se non sia la visione fascista e repubblichina degli avvenimenti, senza accorgersene, mancando di approfondimenti adeguati. Per esempio ritengo che non si abbia ben presente cosa fu davvero la Xa Mas e chi fu il principe Junio Valerio Borghese, scampato, nel dopoguerra, alla pena capitale per collaborazionismo con i nazisti e per i crimini commessi dalla ‘Decima’, e che fece temere agli Italiani democratici, nella notte dell’Immacolata del 1970, di cadere in un nuovo regime autoritario. E se ritorno su un argomento che ho già toccato nel mio: “No alla X Mas nelle sedi istituzionali della Repubblica italiana. Motivi storici”, in: www.nonsolocarnia.info, a cui rimando, lo faccio per approfondire il perché labari della X Mas e chi ricorda la stessa, debbano restare fuori dalle sedi istituzionali della Repubblica ed anche dal suo territorio, e cercare di portare questi argomenti all’attenzione di voi lettori e di chi sia interessato.
E io credo che per comprendere cosa sia stata la Xa Mas e cosa abbia fatto in particolare dopo l’8 settembre 1943, si debba leggere come minimo l’esaustivo testo di Ricciotti Lazzero, intitolato ‘La Decima Mas. Compagnia di Ventura del Principe Nero’, Rizzoli, Milano, 1984, oltre che le sintesi dei processi, in particolare quello di Vicenza in corte d’appello, pubblicato in: digilander.libero.it/ladecimamas/intro.htm, o quello a Junio Valerio Borghese. Mi rendo conto che nel merito esiste una vastissima bibliografia, ma ritengo che la linea di lettura dei fatti, basata su una ricca documentazione italiana ed estera a supporto, presente nel volume di Ricciotti Lazzero (cfr. Ricciotti Lazzero, op. cit., pp. 249 – 264), sia sufficientemente esaustiva, e permetta di aprire un serio dibattito sull’argomento.
Inoltre, in questa nostra Repubblica, pare che sia stato e sia ancora difficile cercare di analizzare in modo serio gli eventi di un periodo storico preciso, soggetto a visioni ed interpretazioni politiche e politicizzanti. Lo sottolinea pure Ricciotti Lazzero che premette al suo lavoro una nota sui problemi da lui incontrati «a causa delle bocche che restano chiuse, dell’abitudine alla non collaborazione, della mancanza di senso critico storico, in un’Italia che non ammette, per paura, apatia, scarsa cultura e deficienza di humour, il ‘processo a se stessa’ che altre nazioni si sono fatte e resta ferma su posizioni retoriche incomprensibili […]» (Ivi, p. 9), e che continua così: «Come sempre in un paese come il mio dove i mostri continuano a rimanere sacri, dove la ricerca storica sui fatti recenti è malvista ed osteggiata, dove la massa si rivolge con voluttà all’effimero, il tentativo di andare a fondo su un argomento particolare come questo è stato molto duro». (Ivi, p. 10). Ma vediamo insieme cosa ci narrano Ricciotti Lazzero ed altri sulla Decima Mas e le sue azioni.
LA X Mas.
La X Mas, (anche nota come Xª o 10ª Flottiglia Mas, Decima Mas, X Mas, la ‘Decima’), esisteva prima dell’8 settembre 1943, ed era, allora, un’unità speciale della Regia Marina italiana, nata nel 1939 come 1ª Flottiglia M.A.S.. Essa non sempre aveva agito con esiti positivi, tanto che, inizialmente, le sue azioni non furono coronate da successo e comportarono molte perdite tra gli equipaggi, come nel caso del fallito attacco a Malta del 1941. Ma poi, grazie anche al perfezionamento dei mezzi tecnici e di supporto, essa ottenne la buona riuscita di alcune sue imprese, come quella della Baia di Suda (25-26 marzo 1941) o quella di Alessandria d’Egitto. (https://it.wikipedia.org/wiki/Xª_Flottiglia_MAS_(Repubblica_Sociale_Italiana). 28 dicembre 2017).
Guidata fin dal suo sorgere dal Principe Junio Valerio Borghese, appartenente alla nobile famiglia romana dei Borghese ed ufficiale di Marina esperto in sommergibili, doveva venir impegnata, nel 1943, in una operazione simile a quella denominata ‘Unternehmen Pastorius’ tentata senza successo, nel giugno 1942, dai nazisti, e terminata con 6 ex cittadini Usa, al soldo della Germania, finiti sulla sedia elettrica. (Riciotti Lazzero, op. cit., pp. 14-15). Forse per raccogliere informazioni utili a organizzare la stessa, nel 1942 il Principe Borghese viaggiò attraverso l’Europa incontrando, a Parigi, anche Karl Dönitz, comandante della flotta sottomarina nazista. (https://it.wikipedia.org/wiki/Junio_Valerio_Borghese). L’impresa prevista da Borghese aveva come obiettivo un grattacielo di New York, da far saltare con mine, grazie a militari che sarebbero giunti con un sommergibile al porto della città, ma non ebbe seguito. (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 14). Ma vi è anche chi dice, invece, che egli volesse solo minare il porto della nota città statunitense, e avesse dovuto rinunciare all’impresa, una prima volta, per la perdita del sommergibile che doveva utilizzare. (https://it.wikipedia.org/wiki/Junio_Valerio_Borghese).
Poi giunse l’8 settembre 1943, quando Borghese comandava gruppi della Decima sparsi dal nord al sud Italia, ed uno locato pure ad in Spagna, ad Algerisas, di fronte a Gibilterra. Colto dagli eventi, il Principe decideva «di restare con le armi al piede e di non accettare la resa agli Alleati» (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 15), mentre il Comandante in Capo delle Forze Navali da Battaglia, Carlo Bergamini accettava di obbedire, per fedeltà al Re e per il bene della Patria, alle clausole poste dall’Armistizio, e moriva in mare con la sua nave ammiraglia, colpita a morte, dopo accanita difesa, dagli aerei nazisti. (http://www.marina.difesa.it/storiacultura/storia/medaglie/Pagine/CarloBergamini.aspx).
Non così il Principe Junio Valerio che accettava di offrirsi, con la Flottiglia che comandava, ai tedeschi, prima ancora che nascesse l’R.S.I.. Infatti il 14 settembre 1943, si presentava a lui l’ufficiale nazista Max Berninghaus, capitano di fregata e «nazista duro e deciso», (Ricciotti Lazzero, op. cit., p.17) ed il Principe accettava di sottoscrivere un patto di Alleanza tra la X Mas ed il Terzo Reich, che stabiliva che la X Mas, con «capo riconosciuto» il comandante Borghese, era «alleata delle FF.AA. germaniche, con parità di diritti e doveri», pur mantenendo autonomia logistica, organizzativa, disciplinare ed amministrativa, nonché l’uso della bandiera italiana. (Ivi, p. 18). L’ accordo diventava esecutivo subito, mettendo la ‘Decima’ a disposizione dell’SS – Obergruppenführer und General der Waffen SS Karl Wolff, insediatosi il 9 settembre nel veronese con la carica di Höchster SS- und polizeiführer in Italien, che di fatto ne poteva stabilire l’utilizzo. (Ibid.).
Borghese – racconta il generale Wolff – «con le sue unità fu messo ai miei ordini per la lotta antipartigiana, così come per il mantenimento della pace, dell’ordine e della sicurezza alle spalle delle zone occupate dall’esercito tedesco in Italia […]». (Ivi, p. 19).
«La posizione della Decima Mas è chiara. – scrive a questo punto Ricciotti Lazzero – È la prima unità che abbia trattato con i tedeschi stringendo con essi un “patto di alleanza” ben preciso», prima ancora che qualcuno tra i gerarchi si sia mosso. (Ivi, p. 19). E vi è solo un altro caso simile, riportato da documentazione tedesca, di unità militare italiana alle dipendenze dirette di Karl Wolff ma con una certa autonomia: quello del btg. ‘Goffredo Mameli’, del Reggimento ‘Luciano Mannara’, costituitosi a Verona con volontari, e guidato dall’ufficiale della milizia Vittorio Facchini. (Ibid).
Ma cosa significava ‘operare in autonomia’ per l’Obergruppenführer Wolff? Significava, per esempio che la Xa Mas, per quanto riguardava l’impiego bellico e le operazioni di sicurezza, era alle sue personali dipendenze; da lui riceveva gli ordini di impiego, ed a lui doveva rendicontare del risultato delle azioni militari intraprese. Borghese aveva la facoltà di dare ordini all’interno dell’ambito deciso di servizio, ma per le azioni principali e più importanti doveva avere l’approvazione di Wolff. (Ivi, p. 20).
I tedeschi vedono nella ‘Decima’, corpo autonomo italiano schierato con loro, un modo per indebolire la possibilità, per l’R.S.I., di richiedere la costruzione di un esercito ed una marina autonomi, (Ivi, p. 21) mentre il primo incontro fra Benito Mussolini, circondato ormai dalle SS, e il principe Borghese, il 5 ottobre 1943, non sortisce alcun risultato di rilievo. (Ivi, pp. 22-23).
«Borghese, che ha patteggiato con i tedeschi da solo, senza badare ai fascisti, anzi in barba a loro, è deciso a proseguire per la sua strada indipendente, il duce guarda a quell’unità che nasce con il beneplacito tedesco come a un ostacolo […]». (Ivi, p. 23). Ed anche successivamente «Rapporti formali tra Decima Mas – RSI, qualche entusiasmo da parte di qualcuno, ma niente di più. (…). La Decima è […] un corpo a sé, molto tenuto d’occhio e sorvegliato, che fa concorrenza al nuovo esercito in gestazione». (Ibid).
Pertanto chi sostiene che la X Mas combattè per la Patria, sta commettendo un grosso errore, perché fu al servizio dell’occupante nazista. E anche se fosse stata inglobata, ad un certo punto, almeno formalmente, nell’Esercito dell’R.S.I., come si potrebbe intuire dall’intestazione del manifesto qui riprodotto, relativo al periodo in cui la ‘Decima’ si trovava in Veneto, sarebbe stata la stessa cosa. Anche i repubblichini avevano una certa autonomia ma dipendevano di fatto dai tedeschi. Coloro che combatterono per cacciare i nazisti furono i partigiani, gli Angloamericani ed i russi bolscevichi, che fermarono Hitler e dettero un nuovo corso alla storia, lasciando però milioni di morti sul terreno. E colgo l’occasione per precisare ai friulani che proprio perchè del btg. ‘N.P.’ (Nuotatori Paracadutisti) della X Mas, e poiché avevano partecipato a rastrellamenti nella zona di Valdobbiadene vennero giustiziati, la notte fra il 5 ed il 6 novemebre 1944, da un gruppo di gappisti, il conte Giorgio di Strassoldo, ufficiale sottocapo del btg., ed il sergente Luigi Spazzapan. (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 22 e p. 136).
Manifesto che avvisa di un prelevamento di ostaggi precauzionale, che pagheranno con la vita se verrà toccata l’incolumità di un solo milite nei paesi di Carrè – Chiuppano, Caltrano, in Veneto. In esso si legge, pure, che «Ad essi non sarà fatto alcun male se nessun atto di sabotaggio, attentato alla vita, o delitti in genere saranno compiuti nella zona a carico di uomini e cose appartenenti alla Divisione X». Da: http://www.centrorsi.it/notizie/Archivio-storico/I-manifesti-murari-nella-Rsi-esempi.html.
Ma per ritornare al post 8 settembre ’43, sfasciatosi il Regio Esercito Italiano, anche la X Mas iniziò in modo autonomo l’arruolamento. I volontari non furono solo marinai – spiega Ricciotti Lazzero – ma anche soldati ed ufficiali di fanteria, bersaglieri, alpini, genieri, autisti, radiotelegrafisti, che concorsero a formare nuovi battaglioni e reparti. (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 24). Andarono nella Decima sia uomini sanguinari che fascisti convinti ed in fuga dagli Alleati al Sud e giovani ‘dal viso pulito’, spesso studenti che poco o nulla sapevano del fascismo, che anelavano a prestare servizio in un corpo organizzato, e che poi, senza magari saperlo, si trovarono impiegati in prima linea nella pulizia dell’entroterra, alle spalle della Wehrmacht, e nella lotta al ‘fratello italiano’. A nessuno venne chiesto il giuramento all’ R.S.I. ma solo «Il rispetto ad un’idea ed alla bandiera che sventola sul pennone». (Ivi, p. 10 e p. 24).
Richiamavano gli slogans, la pubblicità, la divisa grigioverde con maglioncino grigio, giacca senza colletto e basco da paracadutista, ma la realtà poi fu altra cosa. Si formarono nuovi gruppi, si rimpolparono vecchi battaglioni, mentre il grosso delle truppe, subito dopo l’8 settembre 1943, era locato a La Spezia. (Per l’elenco dettagliato dei gruppi, battaglioni con numero delle compagnie, ecc. cfr. Ivi, pp. 25- 31). E dopo l’8 settembre 1943, aderì alla X Mas anche Umberto Bertozzi, ingegnere, amico di Junio Valerio Borghese, e figlio di un imprenditore dell’industria conserviera, che guidò l’Ufficio I, famoso per le torture, e la famigerata la Compagnia O, formatasi nel maggio – giugno 1944, autocarrata, composta da 120 uomini, e strutturata su tre plotoni fucilieri ed un plotone comando, e destinata, in un primo tempo, ad operare esclusivamente nell’entroterra spezzino. (Ivi, pp. 29-30, e https://it.wikipedia.org/wiki/Umberto_Bertozzi).
Umberto Bertozzi, giudicato colpevole «di oltre cento ‘omicidi volontari’, fra cui il concorso nella strage di Forno di Massa e di numerose sevizie particolarmente efferate perpetrate tra il 1944-1945», (Cfr. Pena capitale per il braccio Dx di Borghese, la sentenza della Corte di Assise di Vicenza, in: http://digilander.libero.it/ladecimamas/) verrà condannato a Vicenza, il 4 giugno 1947, con Franco Banchieri, alla pena di morte, ma la condanna venne poi commutata in ergastolo, che negli anni, grazie anche alla concessione di condoni, divennero prima 30 anni e poi 19, fino ad estinzione della pena nel 1963. (https://it.wikipedia.org/wiki/Umberto_Bertozzi).
Comunque tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944, cominciarono a delinearsi i primi battaglioni da utilizzare nella lotta antipartigiana: il ‘Barbarigo’, il ‘Lupo’, il ‘Mai morti’ poi ‘Sagittario’, il ‘ Folgore’, (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 34) che vennero addestrati anche dai tedeschi a muoversi sul terreno. (Ivi, p. 35). Nessuno sospettava allora che gli angloamericani sarebbero sbarcati ad Anzio il 22 gennaio 1944.
Simbolo 10a Mas. (https://wikivisually.com/lang-it/wiki/X%C2%AA_Flottiglia_MAS_(Repubblica_Sociale_Italiana) 28 dicembre 2017.
Distintivo del gruppo Fumai ‘Mai Morti’. (http://www.filatelicafiorentina.com/prodotti.php?catsel=1383&t=brigate%20nere%201943-45&i=1383&p=1369 – 28 dicembre 2017).
Il Btg. ‘Mai Morti’ poi diventato ‘ Sagittario’.
Oltre ad Umberto Bertozzi ed al sergente Schininà (nome non reperito) suo aiuto, (Ivi, p. 99), vi furono altri personaggi della ‘Decima’ che si resero tristemente famosi: uno di questi fu Beniamino Fumai, barese, che il 16 giugno 1921, assieme al fratello, aveva aderito al fascio di Bari, militando poi nella stessa squadra d’azione di Achille Starace. (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 39). Quindi si era spostato a Nord, a Trieste, formando, dopo l’8 settembre 1943, un gruppo di 43 individui, a cui aveva dato il nome‘ Mai morti’, ed avente come distintivo uno scudo nero con al centro un teschio, ai lati la scritta “Per l’onore dell’Italia” ed in apice la data 8 settembre 1943. Il gruppetto si definiva, pomposamente e non si sa a che titolo, F.A.F. (Forze Armate Fasciste), e pare che tutti i suoi componenti fossero soggetti «propensi alla più pura delinquenza», (Ivi, p. 39) e fu apprezzato pure da Christian Wirth, distintosi per i forni crematori di Lublino, e poi passato alla Risiera di San Sabba. (Ivi, pp. 39-40).
A Trieste il ‘Mai Morti’ semina terrore: «i suoi uomini sono liberi di agire, possono razziare ciò che vogliono, saranno sempre impunti», finchè le loro rapine, estorsioni assassinii giungono a disgustare persino i fascisti. A questo punto interviene Alessandro Pavolini in persona, che scioglie il ‘Mai Morti’. (Ivi, p.40). Così Fumai ed i suoi lasciano la città giuliana e vagano per l’Italia settentrionale. Il 6 gennaio si trovano al Lago Maggiore, quindi, il 20 dello stesso mese, in zona Intra-Pallanza, quindi passano a Verona, poi a Brescia ed a Milano, ove Fumai contatta la Decima Mas, per poi caricare i suoi su autocarri e presentarsi a La Spezia. (Ivi, p. 40).
Il ‘Mai Morti’, diventato battaglione della ‘Decima’ al comando di Fumai, riesce a seminare «in ogni angolo del Piemonte dolori e sangue, ed un odio indicibile per i marò», tanto che il 6 marzo 1944 Dante Tuninetti, allora prefetto della Provincia di Novara, mandava un telegramma urgente al Ministro degli Interni dell’R.S.I. per chiedere che si prodighi affinchè il gruppo ‘Mai Morti’ non giunga sul suo territorio, e venga, invece, utilizzato al fronte. (Ivi, p. 40).
Il risultato è che il ‘Mai Morti’ comincia ad operare nello spezzino, lasciando chiare tracce del suo passaggio. Infine il battaglione, nel maggio 1944, si scioglie e sulle sue ceneri nasce il battaglione ‘Sagittario’, comandato sempre da Beniamino Fumai. (Ivi, p. 41).
Ben presto il ‘Sagittario’ si caratterizzò per la ferocia nelle azioni e nella caccia ad antifascisti, partigiani, ed in particolare anarchici della Lunigiana e della provincia di Massa e Carrara, e si trovava pure nel Canavese, nell’estate 1944, a due passi da Cuorgnè, al fianco della Compagnia O guidata dal Bertozzi. (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 85 e p. 99). «La sua azione è spietata: uccisioni, incendi, furti e saccheggi», e in quella zone rimane famoso per aver «seminato dappertutto il terrore: soprusi, violenze anche contro donne, rapine, uccisioni, incendi di case, razzie» (Ivi, p. 124), tanto da innervosire lo stesso Junio Valerio Borghese. Sicuramente vi fu un colloquio fra questi ed il Fumai, ma quest’ultimo ebbe la meglio, e con i suoi 700 uomini, armati fino ai denti, si spostò prima a Torino poi ad Ivrea. E dopo essersi arbitrariamente spacciato per ex maggiore della Milizia, ora Beniamino Fumai si spaccia per capitano di corvetta. (Ivi, p. 40 e 85).
Ma a quel punto anche i repubblichini iniziano a protestare. Infine Beniamino Fumai tenta di aggredire lo stesso Borghese a Ciriè. Così, nell’autunno 1944, viene convocato dal Principe, che, poco interessato alle sue minacce, gli revoca il mandato di comandante del ‘Sagittario’, nominando al suo posto il tenente di vascello Ugo Franchi, comandante in seconda del ‘N.P’.. (Ivi, pp. 124- 125). A questo punto il Fumai raccatta i suoi fedelissimi e, dopo aver rubato armi alla Caserma dell’Artiglieria a Torino, ove la Decima aveva un suo deposito, forma una propria banda, a cui aderiscono molti della ‘Sagittario’, che erano fuggiti da un treno durante lo spostamento in Veneto. (Ibid.).
Ad un certo punto il Fumai ed i suoi si piazzano a Milano in via Manzoni, presso la sede del Partito Fascista Repubblicano, e creano la II Brigata Nera ‘Arditi’, con il parere negativo dell’R.S.I., che non la vuole, sostenendo che Fumai risulta ancora in forze alla ‘Decima’, e quindi si sa che questi, il 5 marzo 1945, alloggiava al prestigioso hotel Danieli di Venezia, e non certamente in prima linea. Infine dopo la Liberazione, il Fumai viene processato, condannato, e quindi amnistiato, come tanti dei suoi, salvandosi la pelle. (Federico Maistrello, in: La Decima Mas in provincia di Treviso. Fatti e documenti, ed. Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea della marca trevigiana, 1997, p. 14).
Immagine da: “Il Messaggero Veneto”, 19 gennaio 2017. Essa correda l’articolo: La X Mas si raduna a Gorizia, partigiani e sinistra: “No, grazie”.
Manifesto dell’R.S.I. – Da: https://wikivisually.com/lang-it/wiki/X%C2%AA_Flottiglia_MAS_(Repubblica_Sociale_Italiana) – 28 dicembre 2017).
Alla X Mas viveri e più che il necessario non mancano mai … ed anche i Repubblicani si allarmano.
Pare proprio che alla X Mas non mancassero cibo ed armi. Ma come li aveva recuperati? Leggiamo nel merito sempre Ricciotti Lazzero, ricordando, pure che, dopo l’8 settembre varie caserme risultavano abbandonate od in mano agli occupanti.
Quello che notano molti è il parco macchine di Borghese, (Ricciotti Lazzero, op. cit. p. 49) e quei giovani ufficiali sempre pieni di soldi. (Ivi, p. 56). La Mas One del Principe è una Lancia Astura mimetizzata, carrozzeria ‘ Touring’, requisita al ‘ Garage Europa’ di Firenze, ma non è l’unica auto a sua disposizione. Infatti il Comandante Borghese ne ha cinque, ed ha un autista anche se quasi sempre guida lui. In compenso l’autista si preoccupa del fatto che non manchi mai la benzina, o prelevandola dai chioschi autorizzati, in cambio di un buono del Comandante, o alla borsa nera, o al Comando di tappa di Milano, o al garage di via Morosini, sempre nella città lombarda. Chi procura carburante presso i pozzi di petrolio di Raglio di Rivergaro, in provincia di Piacenza, è Daniele Rigoni. Ma non manca neppure la ‘Avio’, benzina fornita dai tedeschi, di colore violetto. (Ivi, pp. 125-126).
E «anche per i viveri e le uniformi e tutto quanto occorre all’inquadramento di migliaia di uomini, la Decima provvede in modo autonomo, come previsto dal patto di accordo con i tedeschi, con intendenze che per lungo periodo lavorano a livello di battaglione. Esse si servono dei corredi della GIL, prendono scarpe e scarponi Vibran al Calzaturificio Brixia di Brescia riempiendone autocarri, prendono armi agli stabilimenti Berretta di Val Trompia, prendono a Bergamo coperte, nel Bresciano pentolame e calze lunghe di cotone. «È un modo di agire che sfiora la rapina, ma comprensibile, in concorrenza con i tedeschi che spogliano caserme, magazzini, depositi, stabilimenti». (Ricciotti Lazzero, pp. 49 – 51. Citazione pp. 51-52). Ma se un partigiano prendeva una mela da un albero per mangiare, probabilmente ora si direbbe che era un ladro.
I generi alimentari provengono da contrabbandieri comaschi che trafficano con la Svizzera, e vengono distribuiti grazie ad una fitta rete di collegamenti. Il ‘commercio’ con la Svizzera pare non trovi ostacoli e implica il lavoro di molte persone: si parla di 150 addetti. E «gli Svizzeri non arricciano il naso su certe cose, e commerciano con chiunque procuri loro buoni affari». (Ivi, pp. 52-53). Ma quando la Decima vorrà passare i confini elvetici per inseguire dei partigiani, essi gireranno le armi contro di lei. (Ivi, p. 120).
Quello che colpiva particolarmente, però, era l’afflusso di denaro nelle casse della X Mas. Certamente le iniziative per raccogliere fondi non le mancavano, e sapeva far ricorso all’inventiva ed all’astuzia, sorretta da un ufficio propaganda di spessore. (Ivi, p. 57). Ma l’Hauptmann Kurt Hubert Franz riteneva che l’alta paga data ad ufficiali e soldati potesse favorire la diserzione dalle truppe repubblicane, (Ivi, p. 59) e gli appartenenti alla Decima, come si legge in un appunto al Duce di Mario Bassi, prefetto di Varese, continuavano comunque «azioni illegali […]. Furti, rapine, provocazioni gravi, fermi, perquisizioni, contegni scorretti in pubblico rappresentano quasi la caratteristica speciale di questi militari. (…). La cittadinanza, oltre ad essere allarmata per queste continue vessazioni, si domanda come costoro, che dovrebbero essere sottoposti ad una rigida disciplina militare, possano agire impunemente, e senza alcuna possibilità di punizione, in quanto, come è noto, nessun accertamento diretto è possibile presso il comando, il quale, col comodo pretesto che si tratta di delinquenti comuni travestiti da appartenenti alla Xa Mas, rifiuta di fornire qualsiasi notizia atta all’identificazione dei responsabili. Il pubblico non sa spiegarsi perché costoro, che sono giovani ed aitanti, non siano inviati in zona di operazione […]». (Ivi, p. 58).
Inoltre la Decima giocava sul fatto di dipendere direttamente dalle SS Obergruppenführer Wolff, di appartenere alle unità speciali dette Sondeverbände e di risultare in ruolo ai tedeschi (Ivi, pp. 57-58), anche se vi è chi, invece, afferma che amministrativamente dipendeva dall’R.S.I. (https://it.wikipedia.org/wiki/X%C2%AA_Flottiglia_MAS_(Repubblica_Sociale_Italiana).
E la ‘Decima’ era abile a promuovere collette presso commercianti, industriali ed affini, e quando qualcuno gli mandava solo spiccioli, avvertiva l’interessato che probabilmente nella spedizione delle banconote vi era stato un errore, e quindi di provvedere a sanare il disguido. E si giunse al punto che Graziani invitò il Sottosegretario di Stato alla Marina ad intervenire sulla ‘Decima’ i cui ufficiali e sottoufficiali giravano pieni di soldi «in ambienti milanesi e fiorentini», utilizzandoli per scopi privati e muovendosi su «vistose autovetture di lusso», mentre il modo di amministrare dei militari della X Mas appariva, secondo il prefetto della Provincia di Milano, «non confacente all’ordine, allo scrupolo, al senso di responsabilità». (Ivi, pp. 57-58). Ma nessuno pare potesse far nulla.
Gagliardetti del btg. Lupo della X Mas, (da: http://www.decima-mas.net/apps/index.php?pid=72).
Su cosa fece realmente la Xa Mas, impiegata in attività antipartigiane a terra.
L’elenco di quanto fece la Decima Mas in Liguria, in Piemonte, in Veneto, in Toscana, è lungo, ed i metodi che utilizzò quasi illeggibili: essi sono intrisi di violenza e morte. E per meglio sottolinearne gli intenti, persino il Reggimento San Marco tolse al leone di San Marco, il vangelo aperto con la scritta: “Pax tibi Marce, evangelista meus” sostituendolo con un Vangelo chiuso, con una croce, e sotto una scritta: “Iterum rudit leo”: “Il leone ruggisce di nuovo”. (Ivi, p. 35).
Esempio di leone di San Marco che veniva montato sulle mostrine dei reparti della X Mas. Da: http://kriegsmarine-dasboot.blogspot.it/2010/06/coppia-leoni-san-marco.html
Già nel dicembre 1943 ‘decimini’, (come vennero chiamati quelli della X Mas), iniziano ad esser impiegati in azioni antipartigiane, ed il 16 gennaio 1944 effettuano, assieme ai tedeschi ed a guardie repubblicane, il primo rastrellamento in provincia di La Spezia, nella zona di Sarzana, Santo Stefano Magra, Fosdinovo e Pallerone. (Ivi, p. 80).
Il 13 marzo militari della Decima e tedeschi rastrellano trenta uomini a Pontremoli, ed uccidono due giovani potatori di viti a Vignola di Pontremoli solo perché si erano avvicinati a loro, mentre in zona vengono raggiunti, nell’atto di consumare un frugale pasto ed a causa di una soffiata, 13 partigiani. Due di loro vengono uccisi subito, uno viene ferito ad una gamba e fatto camminare per poi freddarlo, gli altri sono catturati e fucilati a Valmozzola, tranne uno. «La Xa non lascia invendicati i suoi caduti» – si legge su di un manifesto affisso in loco a fine marzo. (Ivi, pp. 81-82).
Nell’aprile 1944, un gruppo partigiano disarma il posto di blocco di Cerreto, impedisce la consegna del bestiame all’ammasso ed effettua alcuni attacchi improvvisi, ove restano uccisi due militi. La risposta di Kesserling si fa subito sentire: «Ogni villaggio in cui sia provata la presenza di partigiani o nel quale siano avvenuti attacchi contro soldati tedeschi o italiani, o nel quale siano avvenuti tentativi di sabotaggio a depositi di guerra, sia raso al suolo. Inoltre siano fucilati tutti gli abitanti maschi del villaggio, di età superiore ai 18 anni. Le donne ed i bambini siano internati nei campi di lavoro». Inizia così il rastrellamento dell’Alta Lunigiana. (Ivi, p. 83).
In questo caso l’azione di rappresaglia contro la popolazione civile è condotta dalla Xa Mas, da soldati della Guardia Nazionale Repubblicana, da camicie nere e tedeschi. I partigiani riescono a sgusciar via, ma per 4 giorni i militi, divisi in tre colonne, rastrellano la zona che va dalla valle del Rosaro, a quella alta dell’Aulella, da Sassalbo a Giuncugnano, dal Cerreto a passo dei Carpinelli. Risultato? Un centinaio di case bruciate, di cui 70 su 72 a Mommio, ventidue fra contadini e pastori uccisi, migliaia di capi di bestiame massacrati o razziati. (Ivi, p. 83).
Il 15 aprile 1944, un reparto del btg. Lupo, del Reggimento San Marco, percorre le strade di La Spezia facendo il saluto romano, e picchiando i cittadini che non rispondono loro allo stesso modo. (Ivi, p. 79).
Quindi, il 13 giugno 1944, la strage di Forno, un piccolo paese a nord di Massa, verso le Apuane, nella giornata in cui si celebra la festa di Sant’Antonio. La Decima raduna 100 uomini giovani e qualche anziano del paese presso la caserma dei Carabinieri, presidiata dai Marò. Quindi ne vengono scelti 65, fra cui vi è il maresciallo dei Carabinieri Ciro Siciliani, che vengono condotti fino in località Sant’Anna ed ivi fucilati da un plotone di SS comandato da Umberto Bertozzi della Xa Mas, assieme ad altri ostaggi catturati durante il tragitto. Assistono all’esecuzione soldati nazisti e militi della ‘Decima’. I giustiziati sono 81, fra cui Ciro Siciliani, reo di aver cercato di intercedere per la popolazione e di non essersi efficacemente opposto ai partigiani. Due giovani sopravvivono per caso e riescono a mettersi in salvo. Prima di abbandonare il paese, i tedeschi danno fuoco alla caserma dei Carabinieri, ove sono rimasti alcuni partigiani feriti, che muoiono tra le fiamme. Secondo Massimo Michelucci, invece, i fucilati furono 60, 4 i sopravvissuti alla fucilazione, uno fu arso vivo, 52 persone vennero inviate nei campi di concentramento tedeschi, una donna ed un bimbo ed altri partigiani furono trucidati nel rastrellamento, e furono incendiate la caserma dei Carabinieri ed alcune case. (Ivi, p. 84, Episodio di Forno – Massa 13. 6. 1944 http://www.straginazifasciste.it/, A proposito di Decima Mas, in: http://digilander.libero.it/ladecimamas/pagina3.htm).
Per quanto riguarda Umberto Bertozzi, dopo l’eccidio di Forno «proseguì con la Decima la sua attività antipartigiana in Lunigiana, nello Spezzino e poi in alta Italia, soprattutto in Piemonte ed a Conegliano, a Maniago, a Cuorgné nel Canavese, dove dimostrò tutte le sue private qualità di carnefice, seviziando prigionieri, mettendo in essere una vera e propria squadra di torturatori, che bastonando, togliendo unghie, incidendo la X della Decima sui petti e sulle schiene di donne e uomini, ben poco ha da invidiare a più rinomate e famose bande e camere di tortura». (‘A proposito di Decima Mas, in: http://digilander.libero.it/ladecimamas/pagina3.htm).
E la strage di Forno è una di quelle ricordate al processo contro Umberto Bertozzi, Franco Banchieri e Benedetti Ranunzio, accusati «di collaborazionismo col tedesco invasore a sensi art. 5 D.L.L. 27/7/1944 n. 159 e 51 cod. pen. mil. guerra, per avere dopo l’8/9/1943, e fino alla liberazione, il primo quale comandante dell’ufficio J (I ndr) della X Mas ed ufficiale della medesima, gli altri quali sottufficiali e marinai della medesima, in varie provincie di Italia, collaborato col tedesco invasore sul piano militare, disponendo o partecipando a rastrellamenti, arresti, interrogatori, perquisizioni, deportazioni, incendi, saccheggi, uccisioni, rapine, usando sistematicamente e facendo usare sistemi vessatori e sevizie particolarmente efferate, in danno di numerosi partigiani allo scopo di stroncare il movimento di liberazione nazionale». (http://digilander.libero.it/ladecimamas/stragi.htm e http://digilander.libero.it/ladecimamas/sentenza.htm).
Ciro Siciliano, Maresciallo dei Carabinieri, reo di aver cercato di difendere la popolazione, vittima della Xa Mas a Forno. Da: http://memoria.comune.massa.ms.it/index.php?q=img_assist/popup/134.
Ma non sono i soli a finire sotto processo anche per collaborazionismo con il tedesco. Vengono accusati di nefandezze pure Nino Buttazzoni, comandante del battaglione ‘N.P.’, denunciato dalla Commissione Alleata per fatti accaduti ad Asiago, e per rapina ed incendio, Ignoti militari tedeschi e Marinai della X Mas, che vengono pure accusati di «Violenza con omicidio», «distruzione […] Aiuto al nemico» (http://digilander.libero.it/ladecimamas/inc_insab.htm); Ignoti elementi della polizia fascista e della X Mas, Remigio Rebez di Muggia, (Ivi), al cui processo Flavio Rovere ha dedicato una pubblicazione, Beniamino Fumai e Junio Valerio Borghese. (Ivi). Ma poi … I due ergastoli a Borghese finirono per diventare tre anni di carcere, Fumai fu assolto, e nell’Italia repubblicana testimoni non si presentarono, mentre Togliatti proponeva “l’amnistia e indulto per reati comuni, politici e militari” avvenuti durante il periodo dell’occupazione nazifascista trasformato poi in Decreto Presidenziale 22 giugno 1946.
Le stragi di Forno, di Guadine, di Borgo Ticino, di Castelletto Ticino, di Crocetta del Montello, ecc., furono una realtà e sulla X Mas così scrive Massimo Michelucci: «La Decima […] non fu Nesi e la sua epica […]. Nella storia la Decima Mas, purtroppo per i suoi reduci, fu Bertozzi e la collaborazione nella repressione antipartigiana. Fu il nesso, il collegamento, l’ambiguità e la collusione in tal senso del suo capo e demiurgo Borghese con i vertici militari tedeschi che sovrintendevano alla Repubblica di Salò». (Le stragi documentate, Per l’onore … Ma dove è l’onore? in: http://digilander.libero.it/ladecimamas/stragi.htm).
E fu il Principe Borghese che, l’8 settembre ’44, ricevette da Wolff, plenipotenziario delle FF.AA. germaniche in Italia, a nome del Fuhrer, la Croce di Ferro di I classe come «riconoscimento e attestazione dell’opera svolta dalla Decima Flottiglia Mas per la rinascita delle FF.AA. italiane a fianco dell’alleato germanico», e per «premiare la fede, la lealtà e l’ardimento guerresco di tutti gli uomini della Decima che combattono per l’Onore d’Italia». (La decorazione ricevuta dal Generale delle SS Wolff per ordine di Hitler, in http://digilander.libero.it/ladecimamas/, Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 19).
Ma per continuare, quando il battaglione Complementi ‘Castagnacci’ giunge nel Canavese, il 26 maggio 1944, i suoi militi cercano alloggio presso la popolazione utilizzando anche «sistemi energici», (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 88) non essendo stata organizzata la caserma che li doveva accogliere. Molti marò giungono in quella zona cruciale per la lotta antipartigiana, ma pare che fra loro vi fossero «pochi entusiasti, e molti sfiduciati», tanto che anche la ‘Decima’ contò diserzioni. (Ivi, p. 85 e pp. 89-90). Inoltre «la maggior parte dei volontari non è preparata alla controguerriglia», e la «famosa sezione dei mezzi di assalto della Marina ha generato, alla fine, una grande unità terrestre» (Ivi, pp. 90-91), con compiti precisi «coprire le spalle ai reparti germanici, […] ‘fare sicurezza’ e […] assicurare i collegamenti nelle zone di vitale importanza». (Ivi, p. 90).
Il Canavese è zona di importanza strategica, perché vi passa la linea ferroviaria Milano Torino e, proprio in quella tratta, si stanno intensificando i sabotaggi alla stessa. (Ivi, p. 98). Ed anche per questo motivo i tedeschi vogliono che sia ripulita dai ‘ribelli’ e vi inviano la Decima.
Dopo l’uccisione ad Ozegna l’8 luglio 1944, del comandante del ‘Barbarigo’, Umberto Bardelli e di altri della X Mas per mano dei partigiani, incomincia un rastrellamento feroce del paese. «Ozegna viene perquisita casa per casa, molti gli ostaggi prelevati. Le perquisizioni ed i fermi si estendono a Valperga, Canischio e Alpette. A Feletto molte case vengono date alle fiamme. Numerosi partigiani prigionieri impiccati». (Ivi, p. 95). «È una estate, quella del Canavese e in altre province piemontesi-lombarde, veramente tremenda», e le cosiddette “azioni di polizia” che in gergo significano azioni di rappresaglia, si moltiplicano. (Ivi, p. 96).
E così scriveva, sulla X Mas, il canonico don Domenico Cibrario, parroco di Cuorgnè, «[…] arrivano la mattina del 31 luglio quasi tremila uomini, la Decima Flottiglia Mas, che lascerà tristissima memoria in tutto il Canavese». (Ivi, p. 98). Ed «Incominciano tosto le rappresaglie nelle famiglie dei partigiani. Tre mesi si fermano i soldati della Decima, e la caserma locale rigurgita di prigionieri civili. I familiari dei giovani datisi alla macchia sono quasi tutti imprigionati: sono ricercati gli indiziati politici. Fra i primi perseguitati sono i parroci, accusati di collaborazionismo coi partigiani». (Ivi, p. 98). Alcuni sacerdoti restano in galera anche per quasi un mese, villanie sono indirizzate al Papa ed all’Episcopato, e se i sacerdoti non vengono toccati, i luoghi di reclusione sono “bolgia d’inferno”. (Ivi, pp. 98-99). «Vi sono camere di tortura, e parecchi escono malconci dalla caserma, per essere ricoverati all’ospedale», (Ivi, p. 99), e non si sa neppure quanti abbiano subito angherie e soprusi di ogni tipo, e vere e proprie persecuzioni, ma furono almeno 300 le persone che passarono nelle loro mani: sacerdoti, i medici di Cuorgnè, diverse donne ed anche bambini. «Quasi tutti vengono bastonati e torturati». (Ivi, pp. 99-100).
Pont Canavese si salva per un pelo dal rogo, ma continuano gli arbitrari fermi dei genitori di partigiani, che vengono portati a Cuorgnè ove ha sede l’Ufficio I e maltrattati. Ed ai nomi di Umberto Bertozzi e dello Schininà, tristemente famosi per i metodi utilizzati, si uniscono quelli dei loro collaboratori Ratta forse di nome Piero e Durante (nome non reperito), e quello di Luigi Carallo, comandante del Btg. Fulmine prima, comandante in seconda della Decima Mas poi. (Ivi, p. 99 e p.101).
Pont «aveva assunto un aspetto militare. In ogni postazione di blocco si erano costruite trincee ed istallati cannoncini e mitragliatrici, che venivano fatti funzionare ad ogni minimo allarme e quasi ininterrottamente tutte le notti». (Ivi, p. 101). La farina per il pane della popolazione non giungeva più dall’R.S.I., mentre le provviste annonarie erano ridotte al lumicino, ed era stato fatto divieto di suonare le campane. (Ivi, p. 102).
Ad un certo punto, il ‘Sagittario’, comandato sempre dal Fumai, si sposta in Val di Ribordone. Qui un partigiano e un marò si sparano contemporaneamente e muoiono, ma, a causa della morte del marò, i suoi compagni incendiano per rappresaglia tutte le case della frazione di Posio ed il Municipio e le scuole di Ribordone. (Ivi, p. 103). E si susseguono le torture ai prigionieri, fra cui si trova pure una giovane diciottenne partigiana, Luigina Trione, che viene violentata e torturata selvaggiamente anche a Torino, nella caserma di via Asti, (Ibid.) come capitato a molte altre, in altri luoghi, pure per mano di tedeschi, bande nere, repubblichini ecc. ecc., con esiti terrificanti a livello psichico e fisico nelle sopravvissute, ed anche in Luigina. (Cfr. per esempio, Imelde Rosa Pellegrini, “Omaggio alla memoria partigiana”, ed. Fondazione di Comunità Santo Stefano, Portogruaro, ‘Dallo squadrismo fascista alle stragi della Risiera, Trieste-Istria Friuli -1919-1945, 3aedizione, Aned, Trieste 1978, ed altri ancora).
Quindi tocca a Borgo Ticino. La scusa per una strage è l’uccisione di tre militari tedeschi. Fra gli allegati del processo alla Decima Mas, tenutosi a Roma contro Junio Valerio Borghese ed altri, vi è anche il “Rapporto del Nucleo dei Carabinieri di Borgo Ticino al Pretore di Borgo Manero in data 12 febbraio 1947”, che descrive detta strage. In esso si può leggere che il 13 agosto 1944, «erano giunti in Borgo Ticino reparti delle SS, tedesche e della X Mas, tutti provenienti da Sesto Calende, fu bloccato il paese. Armati di mortai, mitragliatrici, armi automatiche portatili di ogni genere e di autoblinde, portarono, con la minaccia delle armi e mediante sparatorie intimidatrici, tutti gli abitanti sulla piazza denominata ” Dei Martiri “. Ammalati, invalidi, bambini, donne, vecchi, tutti furono costretti a raggiungere la piazza». Quindi, terminato il rastrellamento, alla popolazione, tenuta a bada con le armi dai tedeschi e dalla X Mas, fu detto che si sarebbe bruciato il paese, per impedire che fosse dato ricovero ed assistenza ai partigiani, come ordinato dal Capitano Krumhar, che comandava il gruppo tedesco (mentre quello della Xa era guidato dal ten. Ongarillo ma anche Ungarillo Ungarelli). E pur essendo stata pagata una taglia di 300.000 lire, 13 giovani furono messi al muro, di cui 12 caddero sotto i colpi delle armi naziste ed uno miracolosamente si salvò. Dopo l’eccidio la popolazione «venne buttata fuori dell’abitato, percossa e braccata; i nazisti e quelli della X Mas […] si dettero a rapinare, incendiare e distruggere ogni cosa. (…). Prima di iniziare le devastazioni e gli incendi la soldataglia della X Mas in combutta coi tedeschi, commise rapine di maiali, animali da cortile, biancheria, biciclette, radio, riserve alimentari di ogni genere, liquori, oggetti preziosi, valori correnti, il tutto per una quantità ingentissima». (Rapporto del Nucleo dei Carabinieri di Borgo Ticino, op. cit., in ‘Borgo Ricino, in: digilander.libero.it/ladecimamas/stragi3.htm).
Poi è la volta di Feletto, centro del ribellismo del Basso Canavese. «Il 15 agosto 1944 un gruppo di partigiani tende un’imboscata ad automezzi tedeschi in transito a Feletto. L’operazione riesce e nella sparatoria che segue muore un soldato (tedesco ndr). Immediatamente scatta un’operazione di rastrellamento condotta dalla Decima Mas. Muore un civile, tre partigiani sorpresi in un cortile sono uccisi a colpi di bombe a mano, un altro uomo viene trucidato a colpi di raffica di mitra». Quindi il 16 il paese viene bruciato dopo una terribile caccia all’uomo. Le case distrutte sono 262, 31 persone vengono prese in ostaggio e finiscono in Germania, parte del bestiame ed il grano vengono razziati, «Alle 15 i tedeschi si allontanano. Restano gli uomini della Decima Mas che continuano a depredare il paese». (L’episodio di Feletto. 15.8.1944, in: http://www.straginazifasciste.it/, Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 105).
E la Decima non si ferma. Infatti rastrella 12 uomini anche a Corio Canavese, un piccolissimo paese di montagna. (Ibid.).
Ma le stragi della Decima non avvengono solo qui. Il 24 agosto 1944, a Guadine, in provincia di Massa Carrara, ai piedi delle Apuane, uomini della Decima rastrellano civili, e liquidano a raffiche di mitra 13 persone del paese, uomini e donne, sparando a caso verso il bosco, sulla strada e verso gli usci, e ferendone altre. Quindi danno fuoco all’abitato, distruggendolo per il 70%. Poi ritornano e incendiano Gronda, Redicesi e Resceto. (‘Strage di Guadine MS, http://digilander.libero.it/ladecimamas/stragi2.htm, e Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 106). Inoltre, nell’agosto ’44, Bertozzi minaccia di dare alle fiamme Villanuova, di bombardare Frassinetto e Alpette. Ma se questi paesi vengono poi risparmiati, sottostando ad imposizioni e vessazioni precise, in compenso la Xa Mas bombarda per giorni in direzione di Ronco e Campiglia, in Val Soana, uccidendo un civile, ferendone altri, creando terrore tra la popolazione. (Ricciotti Lazzero, op. cit., pp. 108-109). Quindi viene dato fuoco anche a parecchie case di Cuorgnè, (Ivi, p. 112) mentre il btg. Lupo partecipa, assieme a truppe tedesche e repubblicane, ad azioni per ristabilire ‘la sicurezza’ nelle valli dell’Alto Piemonte a confine con la Francia. (Ivi, p. 113). Infine, nell’ottobre, si presentano a Pont Canavese «truppe russe al soldo del tedesco», mentre Ronco viene incendiata dopo un rastrellamento con il solito bottino, e molti partigiani vengono catturati e mandati in Germania. (Ivi, p. 115). Una colonna di Alpenjäger e marò della Decima salgono in zona Ausone ed Agaro, ove danno alle fiamme case. (Ivi, p. 117).
I Tedeschi sono particolarmente contenti dell’attività antipartigiana della Xa Mas, ed il contrammiraglio Wilhelm Meedsen-Bohlken, comandante della flotta tedesca in Italia, annota, nella seconda metà del luglio 1944, che «altri reparti delle unità della Marina italiana sono stati avviati dal capitano di fregata principe Borghese alla lotta contro i banditi» e nell’ agosto scrive che «L’impiego della Divisione Decima […] nella lotta antipartigiana è continuato con successo sotto la direzione dell’alto comandante delle SS e della polizia». (Ivi, p. 107).
Fino a questo momento a nessuno dei marò è stato chiesto di giurare per l’R.S.I., (Ivi, p. 24 e p. 90), ma non si sa invero come la Xa Mas potesse agire senza un accordo o una certa qual dipendenza dall’ R.S.I., visto che pare che Borghese fosse stato nominato, il 14 febbraio 1944, sottocapo della Marina Nazionale Repubblicana. (https://it.wikipedia.org/wiki/Marina_Nazionale_Repubblicana).
Mappa del Canavese, da: http://digilander.libero.it/garibaldi17/il%20canavese.htm
Ma c’è chi senza leggere forse nulla, intervista marò, mostrando i limiti delle fonti orali.
Letto e quindi scritto quanto, che ha documentazione a supporto e conferme, resto strabiliata quando ascolto, su you tube, alcune frasi dette dal marò Sergio Denti, che non conosco e che non intendo offendere, ad un intervistatore ignoto, che pare nulla sappia della Xa Mas. L’ intervistatore gli chiede conferma del fatto che la Xa Mas avesse una regola per cui non doveva mai combattere contro gli italiani, e questi conferma sicuro. (Intervista a Sergio Denti della Decima Flottiglia Mas. Prima parte. In: https://www.youtube.com/watch?v=NweB6qMZz0w 28 dicembre 2017). Ma come si fa a credere ed a pubblicare cose di questo genere? – mi chiedo. Inoltre Sergio Denti sostiene che egli non era a conoscenza della guerra partigiana, di cui seppe solo nel dopoguerra, il che pare come minimo incredibile, in quanto poi egli dichiara di esser stato egli a Milano ed a Sesto Calende come uomo della Decima, ed in ogni caso.
Invece nella stessa intervista appare interessante quanto il Denti dice sul suo arruolamento. Egli afferma di esser stato, in un certo qual modo, una vittima di Mussolini, perché, giovanissimo, quando era un Balilla, si sentiva orgoglioso con quelle “divisina”, e che per lui «Mussolini era il Dio». Quindi a 16 anni si era arruolato volontario in Marina, facendo la firma falsa di suo padre, e divenendo, poi, esperto in esplosivi. Successivamente fu imbarcato sulla torpediniera silurante Orsa, comandata dall’ Ammiraglio Bucci. Quindi fu ferito e l’8 settembre 1943, ancora claudicante, si mise a ricercare la sua nave, e finì a La Spazia, dove incontrò Valerio Borghese. Poi con la Decima si trovò a Milano, a Sesto Calende e nel Varesotto. Infine, alla fine della guerra, egli temeva di essere ucciso se si fosse recato a Firenze, non si sa da chi e non si sa il perché, ma a suo dire fu salvato dai Carabinieri. E proprio perchè era con i Carabinieri, la gente non gli fece nulla perché era intoccabile, il che pare davvero strano. (Intervista a Sergio Denti della Decima Flottiglia Mas. Seconda parte. (1945), in: https://www.youtube.com/watch?v=FegXHJvr1Bs).
Inoltre, sempre nella seconda parte dell’intervista, egli narra che Mussolini voleva arrestare Borghese, perché per Pavolini, a sua detta, il Principe doveva diventare un fascista, confermando quindi la non aderenza di Borghese e della Decima all’R.S.I. (Ivi). Poi però, negando persino il Patto d’Acciaio, sostiene che Mussolini non fu mai alleato di Hitler, e non si sa perché l’intervistatore non dica nulla, prendendo per oro colato tutto quello che sostiene il Denti. (Ivi).
Non si capisce poi come mai Tele RDR 193 pensi che la Decima Mas sia un argomento tabù, senza neppure conoscere il volume di Ricciotti Lazzero, documentatissimo, e altre pubblicazioni, e scambi per verità vera quello che narra uno della Decima nell’intervista in: https://www.youtube.com/watch?v=KCsqtfHmmmk, che è pura esaltazione secondo me, del Principe Borghese. Ma quello che spaventa maggiormente è che detta intervista abbia avuto più di 8000 ascoltatori. E ci sono altre interviste su you tube sull’argomento, ma non posso sentirle tutte, anche perché, credetemi, se sono come le tre ascoltate, per una storica sono una sofferenza.
Ma dopo questo inciso, ritorniamo, insieme, alla storia della X Mas.
La Decima migra in Veneto e quindi a Tarnova.
Nel settembre 1944, dopo lo sfondamento della Linea Gotica ed il superamento del Passo della Futa da parte degli Alleati, vi è già chi ha capito, fra i repubblichini, i nazisti, e i collaborazionisti con i tedeschi, che la sconfitta è vicina. Odilo Globočnik e Karl Wolff pensano di far spostare Mussolini a Cividale, ma poi non se ne fa nulla (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 130), e la Carnia viene data in mano ai Cosacchi, anche per farne una zona cuscinetto e l’ultimo baluardo a difesa. (Cfr. nel merito: Enzo Collotti, Il Litorale Adriatico nel Nuovo Ordine Europeo 1943-1945, Vangelista ed., 1974, pp. 11- 12, e Intervista inedita a Ciro Nigris, 2000, di prossima pubblicazione su www.nonsolocarnia.info).
E verso il mese di ottobre o novembre, i primi reparti della Xa Mas entrano in Veneto. Ma solo i primi giorni del mese dicembre varcheranno i confini dell’Ozak, dove «le autorità dell’R.s.i. non contano nulla». (Ivi, p. 131 e p. 153). Il Veneto, che fa parte ancora della ‘Duce Italien’ che finisce al Livenza ed ai monti del Cansiglio, è diventato importantissimo nel caso il fronte finale sia quello dell’Est. (Ivi, p. 132). La Decima verrà sempre adoperata per attività antipartigiana, ma in questo caso «si sente pure, se in lontananza, odor di slavi, che il fascismo considera da sempre suoi nemici viscerali» (Ibid.).
Parte anche la Sagittario, ma metà dei suoi soldati, circa 300 – 350 marò, scendono a Monza dal treno per ritornare a casa od unirsi a Beniamino Fumai. (Ivi, p. 125).
La Decima pone il suo comando, il tribunale militare di guerra e l’ufficio arruolamento nel Castello di Conegliano, il comando operativo, con l’ufficio I, che rinnoverà ivi «le barbarie del Piemonte», (Ivi, p. 132) invece, si sistemano a Maniago, dove si trova anche un campo di aviazione, mentre si sente già parlare dello spostamento di un reparto a Tolmino. (Ibid.). Solo il btg. Lupo non segue il resto della Decima, e si trasferisce, da Alba a Milano, e quindi sull’Appennino bolognese. (Ivi, p. 133).
Appena giunta in Veneto, la Decima inizia una caccia spietata ai partigiani. Il 6 novembre la compagnia guidata dal Bertozzi piomba su Orgnese, una frazione di Cavasso Nuovo, raduna gli abitanti, sceglie tre uomini a caso, li fa denudare e quindi il famigerato capo dell’Ufficio I in persona li percuote prima con un bastone poi con una striscia di cuoio, per terminare l’opera utilizzando cani per mordere le gambe dei disgraziati. (Ivi, p. 137). Quindi, qualche giorno dopo, ritorna sul posto ed opera un grande rastrellamento prendendo globalmente, in più giorni, circa una cinquantina di ostaggi. Parecchi sono inviati in Germania, altri interrogati e torturati. 14 di loro finiranno fucilati lungo il muro di cinta del cimitero di Udine l’11 febbraio 1945. (Ibid.).
A Crocetta di Montello, in provincia di Treviso, 13 partigiani vengono orrendamente seviziati e poi uccisi. (L’eccidio di Crocetta del Montello, in: digilander.libero.it/ladecimamas/stragi5.htm#).
Il 30 novembre 1944 tutta la Val Meduna viene occupata e setacciata, Tramonti di Mezzo viene occupata; muoiono a Palcoda Paola e Battisti; ed altri partigiani, sia osovani che garibaldini, vengono presi e giustiziati sia a Tramonti di Mezzo il 13 dicembre 1944, che a Pordenone l’11 gennaio 1945. (Ivi, p. 139). Anche a Tramonti di Sotto i marò catturano diversi partigiani, che fucilano a rate. (Ibid.). E la Decima continua nella sua spietata lotta antipartigiana, ma i tedeschi hanno già previsto che essa intervenga, assieme a elementi della loro polizia ed ad ustascia, domobranci, cetnici, contro l’Esercito di Liberazione della Jugoslavia, per frenare l’avanzata dei combattenti contro il nazifascismo da est, per chiudere le vie attraverso cui passano i viveri, e liberare vie importanti per una possibile resistenza in caso di sbarco od avanzata degli Angloamericani.
Tarnova.
Mappa della Selva di Tarnova, da https://it.wikipedia.org/wiki/Selva_di_Tarnova
La Selva di Tarnova (Trnovo) ha quindi rilevanza bellica, ed i tedeschi vogliono liberarla dal Novj ad ogni costo. Ma essa è anche fitta, montuosa, piena di rocce e doline, che possono dare rifugio ai partigiani in particolare sloveni. E l’Italia dell’Est appare, in quel momento, nel dicembre 1944 – gennaio 1945, uno degli ultimi baluardi di difesa del Reich.
I tedeschi non si possono più servire della 188a divisione di montagna, organizzatissima ed addestrata al combattimento perché è stata spostata, e così decidono di inviare la ‘Decima’ prima a due passi da Gorizia, a poi da lì nella selva di Tarnova, ma essa ha «molto entusiasmo ma scarsa preparazione in campo strategico […] e scarsa dimestichezza con la guerra di movimento». Inoltre è «anche armata […] in modo leggero, […] e difetta nei servizi di collegamento e comunicazione». (Ivi, pp. 155- 156).
La zona era stata già oggetto di una ‘operazione di pulizia’ da parte dei tedeschi nell’ottobre 1944, (AA.VV., La Slovenia durante la seconda guerra mondiale”, Ifsml, 2013, p. 353) Lo scopo primario di queste azioni era quello di occupare la zona in mano ai partigiani, tagliare le vie di rifornimento dalla Valle di Vipacco e dal Carso alle unità partigiane del Novj, cercando così di eliminare il IX Corpo, ed al tempo stesso di creare presidi a difesa dell’occupazione. (Ibid).
L’azione incomincia il 19 dicembre, e vede impegnati il ‘Sagittario’, che sloggia i partigiani da Tarnova, ed il ‘Barbarigo’, che raggiunge Chiapovano (Čepovan) senza incontrare resistenza. L’azione pare quindi a favore della Decima, ma poi accade un fatto importante. Il vice- comandante della Xa Mas, Luigi Carallo, che si muove senza scorta, viene bloccato da soldati dell’esercito di Liberazione jugoslavo, che lo uccidono, e trovano, sul suo corpo, le carte del piano di attacco. (Ivi, p. 157).
Ma in zona l’Esercito di Liberazione Jugoslavo non ha molti partigiani da schierare a difesa, ed inizialmente cede, ma poi, con l’arrivo di rinforzi, la situazione si rovescia a suo favore. Arretrano i tedeschi, sterminati presso Chiapovano il 23 dicembre, mentre il ‘Barbariga’, che aveva conquistato detto paese, deve abbandonarlo. (Ibid.). Combatte il giorno di Natale il btg. ‘Sagittario’ a Casale Nenzi (Nemci), mentre gli uomini dell’‘N.P’ si trovano in posizione decisamente difficile, ma riescono a rientrare al paese di Tarnova, già occupato. E con questo termina questa offensiva che non è riuscita a distruggere il IX Corpo, ma ad indebolirlo, e che ha permesso la creazione di una serie di avamposti pericolosi per i partigiani del ‘Novj. Infatti Tarnova, Gargaro (Grgar), Montenero d’Idria (Črni vrh), con il villaggio di Col, sono caduti in mano ai collaborazionisti ed alle SS. (Ivi, p. 160, AA.VV., La Slovenia, op. cit., p. 353). La possibilità per i tedeschi di puntare al centro della Selva di Tarnova, diventa una realtà.
Gli uomini dell’Esercito di Liberazione Jugoslavo si trovano in grande difficoltà, e devono combattere con il freddo e la neve, senza viveri, munizioni, equipaggiamento, mentre solo 18 aerei alleati sorvolano, il 4 gennaio, il cielo per portare aiuto. Ma poi la situazione migliora, ed il IX Corpo decide di contrattaccare per recuperare Tarnova, in mano al Btg. Fulmine della Decima Mas, formato da 214 uomini, (non reali bersaglieri, come precisa Ricciotti Lazzero nel suo: “La verità sulla battaglia della Decima Mas nella selva di Tarnova”, in: “La Resistenza Bresciana”, n. 19, aprile 1988, p. 72), che ha tre mortai da 81, quattro mitragliatrici e diciassette mitragliatori. Inoltre Tarnova è circondata da reticolati di filo spinato e da una cintura di 24 fortini in legno. (Ricciotti Lazzero, La Decima Mas, p. 160 e p. 163, e Ricciotti Lazzero, La verità sulla battaglia, op. cit., p. 75).
I combattimenti causati dalla controffensiva partigiana sono durissimi, ed i tedeschi non intendono mollare pure una possibile via di ritirata verso l’Austria. «Nevica, anzi c’è una tempesta di neve quando la 19a Kosovelova brigada inizia l’attacco, il giorno 19 gennaio alle 3 e mezzo del mattino. A fianco della Kosovelova vi sono, in posizione di difesa contro eventuali attacchi, la 157a Brigata ‘Guido Picelli ‘ che deve proteggere Dolenja Tribuša, la Bazoviška brigada, che fa altrettanto per Otlica, Col e Črni vrh [Montenero d’Idria], mentre la Gregorčičeva e la Gradnikova brigada, rafforzate con la compagnia d’assalto e con il 2° battaglione della Prešernova brigada, occupano le posizioni in direzione di Gorizia». (Ricciotti Lazzero, La Decima Mas, p. 163).
La Kosovelova brigada attacca con forza, ed i combattimenti diventano selvaggi. Da Gorizia i tedeschi inviano una colonna motorizzata, che però non giunge mai a destinazione perché viene bloccata dalla Gradnikova brigada attestata sul San Gabriele (Škabrijel); una compagnia del Valanga arriva in aiuto fino a Prevallo dove finisce in un campo minato e trovano la morte 14 marò saltati con l’autocarro che li trasportava. (Ivi, pp. 163 -164). Infine il 20 gennaio 1945 i tedeschi, motorizzati, tornano all’attacco con 700 uomini, occupando monte San Gabriele dopo aver bombardato i partigiani sloveni. E quindi la battaglia vede impegnati il 3° battaglione del 10. SS Polizei – Regiment, i battaglioni della Decima ‘Sagittario’ e ‘Barbarigo’, ed il 3° battaglione del 15. SS. Polizei – Regiment con l’appoggio di 6 carri armati e autoblindo. (Ivi, p. 164).
L’attacco dei nazisti e dei collaborazionisti ha successo e un gruppo di loro penetra di notte, a causa di errori della Gregorčičeva brigada a Trnovo, attraverso Vitovlje e Krnica. Ma «a Trnovo trova vivi soltanto 35 italiani e ritorna precipitosamente a Gorizia senza sostare nel villaggio». (Ibid. L’ azione è descritta anche in: AA.VV., La Slovenia, op. cit., p. 354).
Cosa era accaduto? Un gruppo di attaccanti nazisti o collaborazionisti aveva puntato su Santa Caterina per occuparla, il ‘Barbarigo’ aveva combattuto per occupare Monte San Gabriele, un gruppo di tedeschi con una compagnia del ‘Sagittario’ con tre carri armati avevano conquistato, dopo aspri combattimenti, Monte San Daniele, 200 camicie nere della Milizia aveva tentato un aggiramento, mentre gli uomini del ‘Fulmine’ assediati a Tarnova morivano a decine. Gli aiuti richiesti non erano mai giunti. (Ricciotti Lazzero, op. cit., p. 164 e p. 167). Poi, il 22 gennaio, ricompariranno gli aerei degli alleati sulla selva di Tarnova, ma non saranno solo 18 apparecchi, saranno 80. (Ivi, p. 160).
Sul secondo testo pubblicato da Ricciotti Lazzero, La verità sulla battaglia della Decima Mas, op. cit., egli scrive, invece, che i tedeschi ed il ‘Valanga’ arrivarono a Tarnova all’alba del 21 gennaio e trovarono vivi 90 uomini del Fulmine su 242, con un solo ufficiale. Nella notte però, altri 24 uomini erano riusciti a passare in mezzo ai partigiani jugoslavi che li asserragliavano, ed avevano trovato riparo, feriti leggermente, a Sarcano. Furono abbandonati 6 feriti gravi, che nessuno poteva curare essendo morti il medico e gli infermieri del gruppo, e furono ritrovati colpiti da arma da fuoco ma nessuno seppe chi fu a sparare. (Ricciotti Lazzero, La verità sulla battaglia della Decima Mas, op. cit., p. 73). Inoltre ad un certo punto da Tarnova, il comandante del ‘Fulmine’, chiese aiuto immediato a Gorizia, ma gli fu risposto testualmente: «Tenere duro. Siete i migliori della Decima. Borghese», anche se nessuno sa se fu davvero il Principe a mandare quel messaggio. (Ivi, p. 73). I cadaveri recuperati furono 36 e vennero trasportati e tumulati a Conegliano Veneto. (Ivi, p. 74).
E se Il Notiziario addestrativo n. 17 dello Stato Maggiore Esercito della R.S.I. riportò che i superstiti rientrarono cantando inni, ciò non fu assolutamente vero. Ma leggendo l’intero articolo di Ricciotti Lazzero, La verità sulla battaglia della Decima Mas op. cit., pp. 75- 76, ci si accorge che i falsi furono più d’uno, e forse ora vengono presi per veri, compreso il rapporto a Mussolini, scritto da più mani dopo quello a Borghese. (Ibid.).
Alla seconda fase di ‘pulizia totale’ della zona in mano ai partigiani, all’interno della quale trova collocazione l’episodio di Tarnova ove morirono molti marò del ‘Fulmine’, nel marzo 1945 seguì la terza, ove unità del IX Corpo dell’esercito di Liberazione Jugoslavo restarono decimate dai combattimenti e dal cibo scarso, avendo il nemico occupato al Valle di Vipacco e subirono pure diserzioni. (AA.VV., La Slovenia, op. cit., p. 355).
Alla fine della guerra.
La guerra volge alla fine, ed anche la Decima Mas, nel gennaio 1945, pare entri a far parte dell’R.S.I., ‘per volontà del Duce’. (Ricciotti Lazzero, La Decima Mas, op. cit., p. 169). Essa deve spostarsi dall’Adriatisches Küstenland nuovamente in Veneto, per lasciar spazio alle truppe naziste e collaborazioniste che si ritirano da est. (Ivi, p. 170), mentre gli uomini del btg. ‘N.P’., composto da uomini addestrati a Valdobbiadene, che nell’offensiva di dicembre contro il Novj sono stati utilizzati nella zona tra monte San Daniele, Locavizza e Chiapovano, attendono di essere inviati contro gli angloamericani. Ma invece il Comandante Nino Buttazzoni li avvisa che saranno spediti a compiere un’altra azione antipartigiana. Dalle file del battaglione si levano urla di protesta, ed alcuni marò si strappano il distintivo della Xa Mas. Quindi un sergente originario di Roma inizia a parlare a nome degli insoddisfatti, ma viene zittito dal comandante con un colpo di pistola, che gli entra in bocca e gli esce dall’occhio, ed i suoi compagni si precipitano a soccorrerlo. Quindi il tribunale di guerra si riunisce a Conegliano il 12 gennaio e commina pene per ammutinamento che vanno da 8 a 10 mesi di reclusione. (Ivi, p. 162-163).
Quelli del ‘Fulmine’ reduci da Tarnova, invece, se ne vanno dalla ‘Decima’ prima del tempo, con il loro comandante in testa. (Ricciotti Lazzero, La verità sulla battaglia della Decima Mas, op. cit., p. 76), mentre nel febbraio i tedeschi decidono di mandare i marò a combattere in Romagna e nelle Valli di Comacchio. Verso la fine della guerra, quelli della Decima vengono concentrati ivi e nel Ferrarese, mentre il comandante Borghese distribuisce croci di ferro a Marostica, ed ordina di difendere il Cansiglio, quando il generale conte von Schwerin si è già arreso agli inglesi. (Ricciotti Lazzero, La Decima Mas, op. cit., pp. 219-221). Junio Valerio Borghese, che ha sempre mantenuto contatti con il Sud, aspetto di cui era a conoscenza anche Wollf, che dal febbraio 1945 ha trattato la resa per sé e per il Principe, sa che sarà salvato, ed attende a Milano che giunga una Jeep, guidata dall’inviato della C.I.A. Jiom Angleton, a prenderlo, ed a portarlo a Roma, vestito da soldato Alleato. Per gli altri della Decima la storia del fine guerra è diversa, e varia da gruppo a gruppo, mentre il nucleo principale si arrese ai partigiani a Thiene. (Ricciotti Lazzero, La verità sulla battaglia della Decima Mas, op. cit., p. 76).
Poi i processi, e l’amnistia Togliatti, ma questa è altra storia.
No alla Xa Mas nelle sedi istituzionali della Repubblica Italiana.
Non possiamo ammettere che i simboli di chi lottò a fianco degli occupanti nazisti contro chi voleva riportare l’Italia agli italiani ed alla democrazia, entrino nelle sedi della Repubblica, nata sul sangue versato da tanti cittadini della penisola, dando valore, credibilità e spessore ad un gruppo militare come la X Mas. E francamente non so, ammesso sia vero, come lo stesso Giorgio Napolitano, nel 2013, abbia reso onore alla nota formazione. (http://uncrsimilano.blogspot.it/2013/03/il-presidente-napolitano-rende-onore.html). E rimando pure al mio precedente: ‘No alla X Mas nelle sedi istituzionali della Repubblica italiana. Motivi storici’, in: www.nonsolocarnia.info, che ho modificato nella parte relativa a Tarnova, che era inesatta.
E chiudo dicendo che un paese come l’Italia merita di conoscere la sua storia e non la mistificazione della stessa, e deve rendere omaggio ha chi ha partecipato a costruire una Nazione repubblicana e democratica, non a chi ha collaborato con i nazisti.
Laura Matelda Puppini
lunedì 14 novembre 2022
Alcune verità storiche.
1. Mussolini non ha creato le pensioni, la previdenza sociale nasce nel 1898 con la fondazione della "Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai", all'epoca Mussolini aveva 15 anni. Nel 1933 venne rinominata INPS. La pensione sociale viene introdotta solo nel 1969, Mussolini in quella data è morto da 24 anni.
2. Mussolini non ha istituito la cassa integrazione, La Cassa Integrazione Guadagni, nella sua struttura è stata costituita solo il 12 agosto 1947 con DLPSC numero 869, misura finalizzata al sostegno dei lavoratori dipendenti da aziende che durante la guerra erano state colpite e non erano in grado di riprendere normalmente l’attività.
3. Mussolini non ha istituito l'indennità di malattia, L’indennità di malattia è stata istituita con decreto legislativo del Capo provvisorio dello stato nr.435 del 13 maggio 1947. Nel 1968 viene estesa a tutti i lavoratori, anche coloro che dipendevano da imprese private. E nel 1978, con Legge 23 dicembre 1978, nr. 883, veniva estesa, oltre che l’indennità retributiva in caso di malattia, anche il diritto all’assistenza medica con la costituzione del Servizio Sanitario Nazionale.
4. Mussolini non istituì la tredicesima mensilità per tutti. venne istituita soltanto per i lavoratori dell'industria pesante e soltanto DOPO la caduta del fascismo che le mensilità aggiuntive come noi le conosciamo divennero appannaggio di tutti i lavoratori e non solo di pochi fortunati, rispettivamente con l’accordo interconfederale per l’industria del 27 ottobre 1946 e per tutti i lavoratori dipendenti a decorrere dal D.P.R. 28 luglio 1960 n. 1070: testi, evidentemente, di molto successivi alla morte di Mussolini.
5. Mussolini non diede il voto alle donne, le donne erano ammesse alle votazioni solo per piccoli referendum locali mentre erano escluse al voto per le elezioni politiche. La prima volta che le donne furono ammesse al voto fu al referendum del 1946.
6. Con Mussolini i treni non erano puntuali, il giornalista George Seldes nel 1936 commentò: "E' vero la maggioranza degli espressi su cui salgono i turisti stranieri sono in genere in orario, ma sulle linee minori i ritardi sono frequenti". L'inglese Elisabeth Wiskemann. sempre nel 1936: "Ho preso molte volte il treno e spesso sono arrivata in ritardo". Lo storico Denis Mack Smith sostenne che la puntualità dei treni durante il periodo fascista e' uno dei "miti accettati del fascismo", ma in effetti tra le due guerre l' Italia possedeva una rete ferroviaria inadeguata e arretrata.
Un esempio pratico sulla necessità che l'organizzazione sindacale sia diretta dai lavoratori per i lavoratori.
Un esempio pratico di come sia necessario che l'organizzazione dei lavoratori sia diretta dagli stessi lavoratori e non da rappresentatnti di altre classi.
" E'giusto che in Italia, mentre i grandi monopoli continuano a moltiplicare i profitti e le loro ricchezze, ai lavoratori non rimangano le briciole? E' giusto che il salario dei lavoratori sia al di sotto dei bisogni vitali dei lavoratori stessi e delle loro famiglie, delle loro creature? E' giusto questo? Di questo dobbiamo parlare, perchè questo è il compito del sindacato."
Giuseppe Di Vittorio
Il fatto quotidiano
Il segretario regionale Uil in Veneto affitta due immobili al suo sindacato. E scoppia il caso
di Giuseppe Pietrobelli | 14 NOVEMBRE 2022
Un sindacalista, per la precisione il segretario regionale della Uil del Veneto, proprietario di due immobili, li affitta alla stessa Uil da cui percepisce l’affitto con un regolare contratto. Lecito? Opportuno? Oppure, una commistione scorretta tra interessi privati e ruolo sindacale? È bastato che la vicenda diventasse di pubblico dominio perché all’interno dell’organizzazione dei lavoratori si scatenasse, in Veneto e non solo, un putiferio. Per il momento è rimasta circoscritta in ambito locale, ma adesso una decina di attivisti hanno coinvolto la segreteria nazionale della Uil, che in Italia raccoglie complessivamente 2 milioni e 300mila tra lavoratori e pensionati, e la segreteria nazionale Uilm, che si occupa del comparto metalmeccanico.
“Cari amici e cari compagni – scrivono in una lettera – siamo legati alla Uil da una vita di impegno sindacale. Abbiamo ricoperto cariche, siamo stati eletti dagli organismi democratici, ma abbiamo ancora da dare da attivisti per il bene della nostra Uil. Ci è stato insegnato che ruoli sindacali e attività private, seppur legittime, vadano rigorosamente separate per non esporre il sindacato a critiche interne o esterne”. Questa la premessa, poi l’affondo: “Abbiamo appreso di una situazione che riguarda la locazione di due sedi sindacali a Feltre e Verona da una società immobiliare che appartiene al segretario generale del Veneto, Roberto Toigo, quale socio unico. Riteniamo che vadano valutate con grande attenzione ragioni di opportunità, a tutela della nostra organizzazione”. Tra le firme spicca quella di Gerardo Colamarco, predecessore di Toigo.
La presa di posizione non ha registrato finora risposte da parte del segretario Pierpaolo Bombardieri. Chi invece ha contribuito ad attizzare la polemica è stato lo stesso Toigo, bellunese di origine, ex operaio dell’Electrolux, che ha fatto una notevole carriera diventando nel 2008 segretario organizzativo e amministrativo nazionale della Uilm. Sui giornali locali ha replicato all’accusa di aver coltivato interessi personali nella vicenda, grazie alla società MT2000, di cui è socio unico, e che ha come amministratore il commercialista Riccardo Modiano. Nei due contratti d’affitto è Modiano che concede gli immobili in locazione alla Uil nella persona del segretario Toigo, che mette la firma. La sede di Feltre (65 metri quadrati) ha un canone annuo di 5.400 euro, ma la Uil si è fatta carico di tutte le spese di sistemazione degli impianti. MT2000 ha registrato nel bilancio 2019 proventi da imprese collegate per 500 mila euro, con un utile d’esercizio di 467 mila euro.
Toigo ha dichiarato: “I due contratti sono regolari, alla luce del sole. È una soluzione adottata per superare il dissesto finanziario. Chi pensa di ricattare questo gruppo dirigente ha sbagliato bersaglio”. Adombrando una guerra di potere, ha buttato benzina sul fuoco: “Ho trovato una situazione economica e strutturale disastrosa, debiti, buchi di bilancio e banche che non volevano più sentire parlare di Uil Veneto, di concederci mutui o finanziamenti. In accordo con gli organi e le categorie regionali abbiamo cercato di aggirare l’ostacolo in questo modo”. E i bilanci? “In due anni abbiamo messo in ordine quasi la metà delle nostre 56 sedi, le abbiamo rese più sicure, a norma, dignitose. Abbiamo messo i conti sotto controllo e risolto gran parte delle criticità”.
Chi non ha gradito è l’ex segretario Colamarco, che replica a muso duro. “Sotto la mia gestione, durata 15 anni, i bilanci erano in attivo e non c’era nessun dissesto finanziario. Anzi io avevo progressivamente risanato la situazione. Non so a quali dissesti faccia riferimento Toigo. Ci sono alcune società della UIL regionale che hanno problemi, una a Padova e una a Vicenza, e in quest’ultimo caso la situazione è drammatica. Ma su questo il sottoscritto non c’entra nulla”. E rincara. “Toigo ha comunque ammesso di avere acquistato le sedi di Feltre e Verona con una sua società per poi concederle in affitto. Non mi risultano, visto che sono stato segretario regionale fino al settembre 2020, deliberazioni o autorizzazioni per l’intera operazione da parte della Uil del Veneto, come lui dice”. In casa Uil, quindi, volano gli stracci. Soltanto una sensibilità generazionale diversa o sotto c’è dell’altro? Di sicuro Toigo, 51 anni, dimostra di avere capacità imprenditoriali e una buona disponibilità economica. Addirittura nel 2018, come riferirono le cronache, aveva pagato con 40 mila euro cash una Bmw serie 5, salvo aver poi avuto l’amara sorpresa di scoprire che la concessionaria era in procedura fallimentare.
Lo scorso ottobre, inoltre, il segretario Uil è stato nominato presidente di Fondapi, il fondo nazionale pensione complementare per i lavoratori delle piccole e medie imprese. È una struttura importante, con un attivo gestito di un miliardo di euro, suddiviso su 90.000 aderenti e circa 13.000 aziende.
venerdì 11 novembre 2022
Tassa piatta e stralcio cartelle: chi ci guadagna?
La Stampa 11.11.22
Flat tax e stralcio delle cartelle esattoriali: ecco chi ci guadagnerà di più e come cambieranno gli stipendi
Le simulazioni caso per caso per partite Iva, dipendenti pubblici e privati
PAOLO RUSSO
11 Novembre 2022Aggiornato alle 10:01
(ansa)
Maxi sconti fiscali per gli autonomi e formato mini per quei pochi dipendenti che di questi tempi possono dire di aver guadagnato di più rispetto agli ultimi tre, quattro anni. Il tutto con un premio agli evasori che potranno saldare cartelle esattoriali da 50mila euro con un risparmio di oltre 22mila euro. Sono gli effetti della manovra fiscale che il governo si appresta a varare con la legge di bilancio.
I vantaggi per gli autonomi
La flat tax estesa da 65 a 85mila euro di reddito per il popolo delle partite Iva molto probabilmente si farà, perché a dirlo ora non è più solo la Lega, da sempre primo sponsor della “tassa piatta”, ma anche un esponente di punta di FdI, come il vice-ministro dell’Economia, Maurizio Leo, responsabile economico del partito di Giorgia Meloni. La misura dell'incremento della Flat tax da 65 mila a 85 mila euro «non dovrebbe costare cifre elevate. È una misura che è condivisa anche a livello europeo, che stimola la crescita e contrasta l'evasione fiscale», ha detto anticipandone il via libera, sia pura in misura ridotta rispetto all’applicazione fino a 100mila euro di reddito promessa in campagna elettorale.
Così fino a 85mila euro di reddito si applicherebbe l’aliquota piatta del 15% e anziché portare in detrazione spese e Iva si entrerebbe nel regime forfettario che fa detrarre una quota fissa del 22% di quanto guadagnato da professionisti, artigiani e commercianti.
Con quali effetti lo ha calcolato per La Stampa lo Studio tributario Timpone, uno dei più noti della Capitale. Con un reddito di 75mila euro un geometra single oggi tra Irpef, addizionali regionali e comunali versa 27.917 euro di imposta. Con la flat tax al 15% l’importo si riduce invece a 8.775, calcolando che la detrazione forfettaria delle spese è di 16.500. Il risparmio è quindi di 19.142 euro. Che paradossalmente scende a 14.992 euro se si ha un coniuge e un figlio a carico, visto che al vantaggio dell’aliquota più bassa si contrappone la perdita di 1.150 euro di detrazione per il figlio e 3mila di oneri detraibili.
Ma poiché la flat tax non è progressiva, più si guadagna e più il fisco si mostra generoso. Ecco così che un artigiano che di euro ne ha guadagnati 85mila se single anziché versarne 32.586 di imposte se la caverà con 9.945 euro di tasse con un risparmio più che doppio, visto che in tasca del nostro libero professionista resterebbero ben 22.641 euro. Vantaggio che scende a 18.491 con coniuge e figlio a carico per gli stessi motivi esposti nel caso del geometra.
Quelli più modesti per i dipendenti
Va comunque decisamente peggio per i dipendenti, ai quali la flat tax verrebbe applicata solo sulla eventuale quota di maggior reddito rispetto al massimo guadagnato negli ultimi tre, se non quattro anni. Nella maggioranza dei casi, viste le cattive acque in cui versa la maggior parte delle imprese e gli stipendi bloccati dei dipendenti pubblici, pochi saranno coloro che brinderanno ad aumenti sostanziosi. Ma mettiamo il caso di un dipendente che tra promozione, straordinari e benefit balzi da 30mila a 50mila euro di reddito. Oggi con la tassazione ordinaria verserebbe 14.400 euro, un domani con la “flat tax incrementale” cara alla Meloni se la caverebbe con 9.700, pari a un risparmio di 4.700 euro, non da buttare, ma che resta poca cosa rispetto al fisco amico degli autonomi. «Fermo restando -spiega Gianluca Timpone- che sarebbe utile fissare un tetto massimo allo stipendio di chi può avvantaggiarsi della flat tax incrementale perché sarebbe forse eccessivo premiare oltremisura manager che magari incamerano aumenti anche di qualche centinaia di migliaia di euro».
Ma se la flat tax incrementale fosse estesa anche agli autonomi, ad avvantaggiarsene potrebbe essere il popolo dei commercianti, che per abbattere gli utili di impresa e la relativa tassazione, spesso si auto attribuiscono uno stipendio in qualità di amministratori. Che potrebbero avere la tentazione di aumentare in misura più che robusta, sapendo di dover pagare sulla quota incrementale solo il 15%, alleggerendo però nello stesso tempo il resto della tassazione sull’impresa commerciale.
I vantaggi della sanatoria fiscale
Con la sanatoria fiscale la manovra sembra poi voler tendere un’altra volta la mano agli autonomi, i quali sicuramente in maggior misura dei dipendenti, che le tasse le pagano alla fonte, possiedono una quota consistente dei quei 23milioni di cartelle esattoriali pronte a partire da qui a fine anno verso i contribuenti infedeli. Qui le ipotesi allo studio in vista della manovra partono da una sanatoria per le cartelle entro 2.500 euro di valore dietro il versamento di un modesto 20% dell’importo dovuto, interessi e sanzioni compresi. Secondo i calcoli dello Studio Timpone una cartella da 1.500 euro, che lievita a 2.050 con interessi e sanzioni, si ridurrebbe invece a 1.260 euro, con un risparmio di 790 euro, calcolando che una quota per gli interessi, sia pur minima, sarebbe comunque dovuta.
Per le cartelle di importo superiore a 2.500 euro si applicherebbe invece il “saldo e stralcio” che in questo caso consentirebbe di cavarsela pagando per intero l’imposta dovuta, ma con una maggiorazione del solo 5% in sostituzione di interessi e sanzioni, «che mediamente pesano un buon 40%», spiega Gianluca Timpone. Ecco allora che l’esborso per 50mila euro di tasse non pagate, che oggi lievitano a 75mila euro, scenderebbe a 52.500, con un risparmio di 22.500 euro da pagare in comode rate quinquennali da 729 euro mensili.
Anche se, secondo il tributarista, «Il meccanismo così come concepito per avere più appeal dovrebbe prevedere l’abbattimento dell’80% degli importi anche per cartelle di valore superiore, magari fissando un limite Isee che tenda la mano a chi è effettivamente in difficoltà».
La tassa piatta premia le partite iva e penalizza dipendenti e pensionati.
La repubblica 11.11.2022
Così la flat tax penalizza dipendenti e pensionati e premia le partite Iva
di Valentina Conte
Anche una tassa piatta limitata agli incrementi di reddito porterebbe solo vantaggi minimi alle buste paga. Ecco tutte le simulazioni
ROMA - Dipendenti e pensionati pagano un'Irpef tre o anche quattro volte più alta degli autonomi, agevolati dalla flat tax al 15%. E la distanza aumenta all'aumentare del reddito, perché la tassa piatta non è progressiva e premia i più ricchi. Sarà per questo, per compensare, che il governo pensa di introdurre in legge di bilancio anche la "flat tax incrementale" per i lavoratori dipendenti e forse anche per i pensionati. Ma il vantaggio sarebbe davvero minimo, tra lo zero virgola e l'1%, perché i salari in Italia non crescono da anni. E le pensioni salgono solo quando c'è l'inflazione, registrata però l'anno dopo (+7,3% nel 2023).
La flat tax al 15%
Vediamo dunque cosa succederà con la doppia flat tax: quella della Lega e l'incrementale spinta da FdI e dalla premier Meloni. Per la prima, la tassa piatta al 15%, l'intento del governo è ampliare la platea dei beneficiari: non più solo redditi da lavoro autonomo fino a 65 mila euro come ora, ma fino a 85 mila o anche 100 mila (la soglia ancora non è stata decisa). A parità di reddito annuo lordo, c'è un abisso tra le tasse pagate da un lavoratore dipendente, un pensionato e un autonomo "piatto".
Premessa per una corretta lettura delle tabelle: in tutti e tre i casi considerati (lavoratore dipendente, pensionato e autonomo) sono state anche considerate le detrazioni da lavoro che si calcolano con formule diverse nei tre casi.
Per la partita Iva in flat tax occorre tenere presente che il 15% di "tassa piatta" si paga sul 78% del fatturato (perché il 78% è considerato il "coefficiente di redditività" che di solito si prende in considerazione), al netto sia dei costi deducibili (22%) sia dei contributi previdenziali (pari al 25,98% versati alla gestione separata di Inps).
In tutte e tre le simulazioni va poi annotato che per semplicità non sono state considerate le tasse locali (addizionali Irpef comunali e regionali) che appesantiscono ancora di più il reddito del lavoratore dipendente e del pensionato.
Ebbene, a 30 mila euro di reddito, si va dai 2.600 euro annui di Irpef versati dalla partita Iva ai 6.700 euro del pensionato e a 4.500 del lavoratore. Più si sale di reddito e più la distanza si amplia, veleggiando tra il +200% e il +300%. A 60 mila euro di reddito, una partita Iva versa 5.200 euro di Irpef all'anno, il pensionato 18.700 euro, il lavoratore 16.300 euro. A 90 mila euro, si va dai 7.800 euro dell'autonomo ai 31.600 euro del pensionato e ai 28 mila euro del lavoratore.
Attenzione però, avverte smileconomy, società indipendente di consulenza, che ha realizzato queste simulazioni per Repubblica. Se consideriamo anche la quota di contributi previdenziali e di Tfr versati dall'azienda, la "ricchezza annua" del lavoratore dipendente sarà sempre superiore, di circa un terzo, rispetto a quella del lavoratore autonomo che paga da solo, nell'ipotesi fatta, il 25,98% di contributi all'Inps contro il 33% dei dipendenti (di cui il 23,81% a carico del datore). E che, se sceglie la flat tax, non può più dedurre e detrarre nulla - neanche l'Iva, le spese edilizie, sanitarie o per la previdenza integrativa - perché è una tassa tutto compreso.
Va anche detto che pensioni e Tfr sono un reddito differito di cui il dipendente godrà solo a fine carriera e che dunque non vede qui e oggi in busta paga. E che l'Irpef è necessaria per sostenere le spese essenziali dello Stato, di cui tutti godono: sanità, scuola, università, giustizia, sicurezza. Qualcuno deve pagarla. E il tasso di evasione tra dipendenti e pensionati è zero, mentre tra gli autonomi il tax gap - il buco nelle tasse - è al massimo storico del 68,7%: mancano all'appello 27,65 miliardi.
La flat tax incrementale
Veniamo poi all'altra flat tax, quella incrementale, spinta da FdI. L'idea, spiegata ieri dal ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, è di tassare al 15% una quota dell'incremento di reddito da lavoro e da impresa (ovvero le partite Iva che non hanno scelto la flat tax) registrato nel 2022 sul migliore dei tre anni precedenti. Si prende cioè il reddito più alto tra quelli dichiarati dal 2019 al 2021 e lo si confronta con quello del 2022. Se c'è un incremento, una quota di questo viene tassata al 15% anziché con l'aliquota marginale Irpef che, a seconda dei redditi, può essere del 23%, 25%, 35% o 43%.
"Si tratterebbe, di fatto, di un quasi dimezzamento dell'aliquota marginale, quella che si applica agli incrementi di reddito", osserva l'economista Andrea Carbone, partner di smileconomy. "Se ad esempio ipotizziamo un incremento di reddito dal 2021 al 2022 di 2 mila euro e la detassazione al 15% di una metà di questo incremento, quindi mille euro, il vantaggio per un lavoratore varia dallo 0,4% all'1%: circa 200 euro netti extra all'anno che incidono di più sui redditi bassi". Molto poco per bilanciare una ben più generosa tassa piatta totale.
domenica 6 novembre 2022
"La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi."
Karl von Clausewitz
Dichiarare di essere per la pace senza essere contro il sistema capitalistico, incubatore della guerra e sinonimo della stessa, è dar sfogo a speranze irrealistiche e irrealizzabili.
La Pace tra ogni essere umano può essere conquistata solo in una società di eguali, fraterni e liberi dove " ognuno dia secondo le sue capacità e abbia secondo le sue necessità."
" Mi sembra che dovunque vige la proprietà privata, dove misura tutte le cose la pecunia, sia alquanto difficile che mai si riesca ad attuare un regime politico basato sulla giustizia o sulla prosperità."
Tommaso Moro
Diogene di giorno cercava l'uomo con la lanterna senza mai trovarlo.
Cercare la pace nel capitalismo è seguire l' esempio del filosofo con lo stesso risultato.
Solo superando i rapporti di produzione e le classi, solo avendo tutto in comune, la terra, le fabbriche, il lavoro si potrà avere la pace, perché ogni essere umano avrà gli stessi interessi e i medesimi obiettivi di vita, emancipandosi dal senso unico dell' avere e inoltrandosi nella frontiera del condividere.
Questa è la vera soluzione del contrasto uomo natura, del conflitto tra esistenza e essenza, tra oggettivazione e affermazione soggettiva, tra libertà e necessità, tra individuo e genere.
domenica 25 settembre 2022
Stato e rivoluzione.
La società capitalistica, considerata nelle sue condizioni di sviluppo piú favorevoli, ci offre nella repubblica democratica una democrazia piú o meno completa. Ma questa democrazia è sempre compressa nel ristretto quadro dello sfruttamento capitalistico, e rimane sempre, in fondo, una democrazia per la minoranza, per le sole classi possidenti, per i soli ricchi La libertà, nella società capitalistica, rimane sempre, approssimativamente quella che fu nelle repubbliche dell'antica Grecia: la libertà per i proprietari di schiavi. Gli odierni schiavi salariati, in forza dello sfruttamento capitalistico, sono talmente soffocati dal bisogno e dalla miseria, che «hanno ben altro pel capo che la democrazia», «che la politica», sicché, nel corso ordinano e pacifico degli avvenimenti, la maggioranza della popolazione si trova tagliata fuori dalla vita politica e sociale. Democrazia per un'infima minoranza, democrazia per i ricchi: è questa la democrazia della società capitalistica. Se osserviamo piú da vicino il meccanismo della democrazia capitalistica, dovunque e sempre - sia nei «minuti», nei pretesi minuti particolari della legislazione elettorale… sia nel funzionamento delle istituzioni rappresentative, sia negli ostacoli che di fatto si frappongono al diritto di riunione (gli edifici pubblici non sono per i «poveri»!), sia nell'organizzazione puramente capitalistica della stampa quotidiana, ecc. vedremo restrizioni su restrizioni al democratismo. Queste restrizioni, eliminazioni, esclusioni, intralci per i poveri, sembrano minuti, soprattutto a coloro che non hanno mai conosciuto il bisogno e non hanno mai avvicinato le classi oppresse né la vita delle masse che le costituiscono (e sono i nove decimi, se non i novantanove centesimi dei pubblicisti e degli uomini politici borghesi), ma, sommate, queste restrizioni escludono i poveri dalla politica e dalla partecipazione attiva alla democrazia. Marx afferrò perfettamente questo tratto essenziale della democrazia capitalistica, quando, nella sua analisi della esperienza della Comune, disse: agli oppressi è permesso di decidere, una volta ogni qualche anno, quale fra i rappresentanti della classe dominante li rappresenterà e li opprimerà in Parlamento
Lenin, Stato e Rivoluzione.
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