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venerdì 11 novembre 2022

La tassa piatta premia le partite iva e penalizza dipendenti e pensionati.

La repubblica 11.11.2022 Così la flat tax penalizza dipendenti e pensionati e premia le partite Iva di Valentina Conte Anche una tassa piatta limitata agli incrementi di reddito porterebbe solo vantaggi minimi alle buste paga. Ecco tutte le simulazioni ROMA - Dipendenti e pensionati pagano un'Irpef tre o anche quattro volte più alta degli autonomi, agevolati dalla flat tax al 15%. E la distanza aumenta all'aumentare del reddito, perché la tassa piatta non è progressiva e premia i più ricchi. Sarà per questo, per compensare, che il governo pensa di introdurre in legge di bilancio anche la "flat tax incrementale" per i lavoratori dipendenti e forse anche per i pensionati. Ma il vantaggio sarebbe davvero minimo, tra lo zero virgola e l'1%, perché i salari in Italia non crescono da anni. E le pensioni salgono solo quando c'è l'inflazione, registrata però l'anno dopo (+7,3% nel 2023). La flat tax al 15% Vediamo dunque cosa succederà con la doppia flat tax: quella della Lega e l'incrementale spinta da FdI e dalla premier Meloni. Per la prima, la tassa piatta al 15%, l'intento del governo è ampliare la platea dei beneficiari: non più solo redditi da lavoro autonomo fino a 65 mila euro come ora, ma fino a 85 mila o anche 100 mila (la soglia ancora non è stata decisa). A parità di reddito annuo lordo, c'è un abisso tra le tasse pagate da un lavoratore dipendente, un pensionato e un autonomo "piatto". Premessa per una corretta lettura delle tabelle: in tutti e tre i casi considerati (lavoratore dipendente, pensionato e autonomo) sono state anche considerate le detrazioni da lavoro che si calcolano con formule diverse nei tre casi. Per la partita Iva in flat tax occorre tenere presente che il 15% di "tassa piatta" si paga sul 78% del fatturato (perché il 78% è considerato il "coefficiente di redditività" che di solito si prende in considerazione), al netto sia dei costi deducibili (22%) sia dei contributi previdenziali (pari al 25,98% versati alla gestione separata di Inps). In tutte e tre le simulazioni va poi annotato che per semplicità non sono state considerate le tasse locali (addizionali Irpef comunali e regionali) che appesantiscono ancora di più il reddito del lavoratore dipendente e del pensionato. Ebbene, a 30 mila euro di reddito, si va dai 2.600 euro annui di Irpef versati dalla partita Iva ai 6.700 euro del pensionato e a 4.500 del lavoratore. Più si sale di reddito e più la distanza si amplia, veleggiando tra il +200% e il +300%. A 60 mila euro di reddito, una partita Iva versa 5.200 euro di Irpef all'anno, il pensionato 18.700 euro, il lavoratore 16.300 euro. A 90 mila euro, si va dai 7.800 euro dell'autonomo ai 31.600 euro del pensionato e ai 28 mila euro del lavoratore. Attenzione però, avverte smileconomy, società indipendente di consulenza, che ha realizzato queste simulazioni per Repubblica. Se consideriamo anche la quota di contributi previdenziali e di Tfr versati dall'azienda, la "ricchezza annua" del lavoratore dipendente sarà sempre superiore, di circa un terzo, rispetto a quella del lavoratore autonomo che paga da solo, nell'ipotesi fatta, il 25,98% di contributi all'Inps contro il 33% dei dipendenti (di cui il 23,81% a carico del datore). E che, se sceglie la flat tax, non può più dedurre e detrarre nulla - neanche l'Iva, le spese edilizie, sanitarie o per la previdenza integrativa - perché è una tassa tutto compreso. Va anche detto che pensioni e Tfr sono un reddito differito di cui il dipendente godrà solo a fine carriera e che dunque non vede qui e oggi in busta paga. E che l'Irpef è necessaria per sostenere le spese essenziali dello Stato, di cui tutti godono: sanità, scuola, università, giustizia, sicurezza. Qualcuno deve pagarla. E il tasso di evasione tra dipendenti e pensionati è zero, mentre tra gli autonomi il tax gap - il buco nelle tasse - è al massimo storico del 68,7%: mancano all'appello 27,65 miliardi. La flat tax incrementale Veniamo poi all'altra flat tax, quella incrementale, spinta da FdI. L'idea, spiegata ieri dal ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, è di tassare al 15% una quota dell'incremento di reddito da lavoro e da impresa (ovvero le partite Iva che non hanno scelto la flat tax) registrato nel 2022 sul migliore dei tre anni precedenti. Si prende cioè il reddito più alto tra quelli dichiarati dal 2019 al 2021 e lo si confronta con quello del 2022. Se c'è un incremento, una quota di questo viene tassata al 15% anziché con l'aliquota marginale Irpef che, a seconda dei redditi, può essere del 23%, 25%, 35% o 43%. "Si tratterebbe, di fatto, di un quasi dimezzamento dell'aliquota marginale, quella che si applica agli incrementi di reddito", osserva l'economista Andrea Carbone, partner di smileconomy. "Se ad esempio ipotizziamo un incremento di reddito dal 2021 al 2022 di 2 mila euro e la detassazione al 15% di una metà di questo incremento, quindi mille euro, il vantaggio per un lavoratore varia dallo 0,4% all'1%: circa 200 euro netti extra all'anno che incidono di più sui redditi bassi". Molto poco per bilanciare una ben più generosa tassa piatta totale.

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