Una luce nel labirinto

Una luce nel labirinto
Non arrendersi mai.

una luce nel labirinto

una luce nel labirinto
Non sottomettersi mai.

giovedì 31 ottobre 2024

Vecchi e nuovi ciarlatani della politica borghese.

Vecchi e nuovi ciarlatani della politica borghese. Il capitalismo, in ispecie nella fase imperialistica, non ha confini se non di carattere geografico. La libertà di commercio è ritenuta “legge naturale”. La libera concorrenza determina la concentrazione della produzione e questa conduce al monopolio. La produzione di merci viene considerata ancora base di tutta l’economia, ma essa è minata ed i maggiori profitti spettano ai geni delle manovre finanziarie. Base di tali operazioni e trucchi è la socializzazione della produzione. Ma l’immenso progresso compiuto dall’umanità, affaticarsi per giungere a tale socializzazione, va a vantaggio degli speculatori. La fondamentale e originaria funzione delle banche consiste nel servire da intermediario nei pagamenti. Esse trasformano poi il capitale liquido inattivo in capitale attivo, cioè produttore di profitto, raccogliendo tutte le rendite in denaro e mettendole a disposizione dei capitalisti. Lo sviluppo e la concentrazione degl’istituti bancari porta costoro ad essere potenze monopoliste, detentrici di quasi tutto il capitale liquido dei capitalisti e dei piccoli industriali, oltre a possedere mezzi di produzione e sorgenti di materie prime. La concentrazione delle banche trasforma il capitalismo in imperialismo capitalista. Nel vecchio capitalismo la caratteristica principale era l’esportazione di merci, nella fase imperialistica assume notevole importanza l’esportazione di capitale. Il sistema capitalistico è la produzione mercantile al suo massimo grado di sviluppo sia a livello nazionale sia a livello internazionale. In esso sono inevitabili disuguaglianze, discontinuità nello sviluppo di singole imprese, di singoli rami industriali, di singoli paesi. La classe operaia in questo contesto è una merce utile a creare plusvalore e quindi profitto. La socializzazione della produzione si scontra con l’appropriazione di pochi delle ricchezze prodotte. Parte di queste vengono utilizzate dai capitalisti per “creare consenso” al sistema tramite i partiti politici prettamente borghesi, opportunisti, che dicono di voler cambiare per nulla mutare, burocrati sindacali collaborazionisti, “pugilatori a pagamento con lingua da schiavi” nei mass-media, religioni varie e , persino, lo sport. Nessuno si questi osa mettere in discussione i rapporti di produzione ed il profitto. Parlano di libertà, equità, a volte uguaglianza, giustizia, ma nascondono la disuguaglianza più grande: l’appropriazione oligarchica della produzione socializzata. Il Papa ha detto che bisogna essere vicini ai poveri, ma non si è sognato di affermare che bisogna superare un sistema orrendo come il capitalismo che genera tanti poveri e pochi ricchi. Egli stesso rappresenta un’istituzione che è parte integrante del sistema. Come le ideologie sono soggette a mutare con il mutare degli eventi e nuove prendono il posto di vecchie con contenuti sempre uguali, così organizzazioni politiche, sindacali, religiose, propagandistiche cercano di contenere l’insoddisfazione di una vita sempre più grama di milioni di persone con finte linee politiche nuove e “rivoluzionarie”, ma che di nuovo e rivoluzionario non hanno proprio nulla. Difatti nè le vecchie né le nuove pongono alla base della loro azione il superamento del capitalismo e dei suoi rapporti di produzione. Tanti lavoratori ci cascavano prima e ci cascano dopo nella fiera dell’illusionismo e delle illusioni ad occhi aperti per poi ricadere nello sconforto e nella rassegnazione. Le statistiche riportano l’aumento dei disoccupati, al di la della propaganda, delle famiglie povere, la diminuzione del potere d’acquisto degli stipendi, l’aumento dei licenziati. Tutti discutono di questi effetti del sistema, ma non lo mettono in discussione. Anzi utilizzano queste situazioni come armi ideologiche di terrore per aumentare la disoccupazione, la povertà, la platea licenziata e per ridurre ancora di più gli stipendi, accrescendo lo sfruttamento dei lavoratori. La classe lavoratrice non deve aspettarsi alcunchè da costoro, che si scontrano per dividersi il profitto, ma che sono compatti contro i lavoratori! Si parla tanto di casta, di costi della politica, di aziende in crisi, di banche affamatrici. Si parla poco o niente, e soprattutto si fa niente, di evasione fiscale e contributiva, di corruzione, di profitti che continuano a non mancare per le imprese, la discontinuità delle singole imprese è caratteristica al sistema. Non si accenna per niente ai salari sempre più bassi, alla disoccupazione crescente, se non in termini moralistici, alla povertà vistosa di tante persone, costrette a non vivere la vita. Si parla di scuola, di sanità, di trasporti come servizi non soddisfacenti, intanto si peggiora sempre più la situazione. In sintesi tante parole per gli sfruttati, fatti concreti per gli sfruttatori del sistema. I nuovi, che dovrebbero cambiare la realtà, proseguono sulle linee precedenti. Le loro proposte politiche, seppur in diversa forma dialettica, sono in molti casi peggiori e dannose per i lavoratori rispetto ai cosiddetti “ vecchi” e mirano a togliere ancor più diritti ed aumentare lo sfruttamento. Sono movimenti piccolo borghesi, che rappresentano quella parte di questa classe, in molti casi improduttiva, che sente in pericolo il proprio “Statu quo”, ma che nulla hanno a che vedere con la classe lavoratrice. Difatti non mettono in discussione i rapporti di produzione, nodo tra chi vuole veramente un mondo nuovo o chi gioca a far finta di cambiare per cambiare nulla. A loro sta bene la democrazia borghese, “miglior involucro per il capitalismo”, e con essa le disuguaglianze, le ingiustizie, la miseria, le guerre che essa produce. A loro sta bene il profitto, causa di disumanità all’interno dell’umanità. Chi vuole veramente cambiare e lotta per un mondo nuovo, dove la soddisfazione dei bisogni materiali e spirituali degli esseri umani è la base della produzione socializzzata, è per superare i rapporti di produzione ed il profitto. Tutto il resto sono chiacchiere da illusionisti.

Amo il mio secolo...

“Amo il mio secolo perché è la patria che posseggo nel tempo… I signori reazionari credono che la psicologia sia il fattore più distruttivo: il pensiero ecco l’infame! Non c’è nulla di più errato. La psiche è l’elemento più conservatore. Essa è pigra ed ama l’ipnosi della routine…E se non ci fossero i fatti turbolenti, l’inerzia sarebbe la miglior garanzia dell’ordine…I fatti però hanno una loro logica interna, anche se il pensiero si ostina a non riconoscerli fino all’ultimo. Esso scambia la propria limitatezza presuntuosa per una lucidità superiore. Povero pensiero! Finisce sempre per sfracellarsi contro il muro dei fatti…I grandi avvenimenti, quelli che come pietre miliari indicano le svolte del cammino storico, si creano all’intersezione di grandi cause. E queste ultime, indipendentemente dalla nostra volontà, si formano nel corso della nostra esistenza sociale.” Trotsky

lunedì 28 ottobre 2024

Se lo vogliamo, possiamo sognare!

In una realtà della classe lavoratrice sempre più precaria nelle condizioni di lavoro e di vita per effetto delle linee aziendali e dei governi negli ultimi decenni, il sindacato e le forze politiche socialdemocratiche, sono sempre più appiattiti su linee liberali, e non costruiscono una linea di difesa che coinvolga le lavoratrici ed i lavoratori in una piattaforma rivendicativa, che parta dalle esigenze reali e si basi su pochi punti qualificanti. Partiti della cosiddetta sinistra e dirigenza sindacale, in ispecie la Cisl, nel periodo di cui sopra, non sono immuni da linee sbagliate ed, in molti casi, condivisioni di scelte penalizzanti per i lavoratori, ad esempio la riforma delle pensioni del 2011, quando sono state indette tre ore di sciopero senza alcuna organizzazione, mentre era necessario stare in piazza ogni giorno per respingerla. La situazione attuale della classe lavoratrice vede un precariato massiccio, stipendi da fame, età di pensionamento alta, condizioni di lavoro sempre più da caserma in una realtà sociale basata sullo sfruttamento. La sanità è sempre più privata e meno pubblica. I trasporti sono orientati a privilegiare l’alta velocità e non i cittadini utenti della rete medio-bassa. La scuola è carente nei servizi e nell’insegnamento. Questa dimensione socio-economica non può essere affrontata rincorrendo ogni volta gli ordini del giorno delle imprese e dei governi. Va sfidata varando una piattaforma che veda i seguenti punti centrali: contratti di lavoro basati su: tempo indeterminato; tempo parziale; tempo determinato per sostituzione maternità, ferie e periodi d’intensificazione produttiva; reintroduzione dell’art. 18 per tutti; età pensionabile a 62 anni per tutti con l’80% dell’ultimo stipendio e, per coloro che raggiungono i 40 anni di contributi, trattamento pensionistico anche con età inferiore; indicizzazione delle pensioni al 100 %; riduzione dell’orario di lavoro a 32 ore settimanali a parità di stipendio, unico modo per aumentare l’occupazione, visto che gl’investimenti, se non vi sono nuovi insediamenti produttivi, sono intensivi, ovvero in tecnologie, ed hanno come conseguenza la diminuzione degli occupati; aumento degli stipendi, non legati alla produttività; reddito di vita universale. Questi punti vanno discussi con i lavoratori, presentati alle aziende ed al governo, perseguiti con momenti di lotta fino al raggiungimento degli obiettivi. I soldi ci sono! Se tutti pagassero le tasse, versassero i contributi, ci fosse una lotta vera alla corruzione, si avrebbe a disposizione dello Stato quanto esso spende per l’attuale Stato sociale e tutti i problemi sarebbero risolti. La realtà vede, invece, le lavoratrici ed i lavoratori di ogni settore sobbarcarsi il peso di categorie, spesso parassitarie, rappresentate da forze politiche, che vendono chiacchiere a chi lavora e regalano privilegi a chi gode del plusvalore estratto alla classe lavoratrice. Il sindacato dei lavoratori deve fare il suo mestiere ed il suo ruolo si svolge nella difesa di chi vive vendendo o le braccia o la sua intelligenza. Se non si pone questi obiettivi è un'organizzazione di servizi, ma non un sindacato, guidato da chi non rappresenta i loro interessi, ma quelli del sistema. Voglio vedere dove andrebbero i cosiddetti “populisti” se il sindacato portasse avanti questa piattaforma ! I partiti della cosìddetta sinistra sono partiti liberal-democratici. E' giusto reclamare diritti, ma se essi non sono accompagnati da quelli economico-sociali, escludono milioni di cittadini dalla partecipazione al voto, come sempre più sta avvenendo. La borghesia grande, media e piccola, si rivolge a chi rappresenta bene i suoi interessi e li vota. La classe operaia operativa e pensionata non vede difesi da alcuno le sue esigenze di lavoro e di vita e si astiene dalla partecipazione alle varie elezioni, ritenendo tutti uguali. I non votanti appartengono tutti alla classe lavoratrice operativa e pensionata! E' un bene che la classe lavoratrice si renda conto della truffa del sistema democratico, miglior involucro del capitalismo e altra faccia della medaglia, ma se ferma la sua azione alla frustrazione, alla disillusione, all'apatia e all'indifferenza, si sottomette ancora di più al Tallone di ferro del capi
tale. E' necessario, invece, prendere coscienza della realtà, organizzarsi e lottare per la difesa dei propri interessi immediati ed iniziare il cammino per superare la società divisa in classi, avendo come meta una realtà economico-sociale dove "Ognuno possa dare secondo le sue capacità ed avere secondo le sue necessità."

giovedì 17 ottobre 2024

" Esiste un solo bene, la conoscenza, ed un solo male, l'ignoranza." Socrate.

“Dobbiamo distinguere con massima chiarezza fra lo stato che è il recipiente, e la razza che è il contenuto. E questo recipiente ha valore solo se sa contenere e custodire il contenuto; altrimenti non ha senso. Il fine ultimo dello Stato nazionale è quello di serbare quegli elementi di razza originari, che, come datori di civiltà, creano la bellezza e la nobiltà di un’umanità superiore.” “Generalmente la Natura delibera e apporta alcune modifiche nel problema della purezza della razza di creature terrestri. Essa non predilige i bastardi.” “L’idea nazionale si differenzia principalmente da quella marxista in questo, che essa ammette l’importanza della razza…” “Ottenere la cittadinanza è come essere ammessi ad un elenco automobilistico. L’aspirante presenta la domanda, si indaga, la domanda viene accettata, e un bel giorno gli si rende noto con una missiva che è diventato cittadino dello Stato. E l’annuncio gli è dato in forma comica: a colui che finora è stato uno Zulù si rende noto che “ è diventato Tedesco”! “Chi toglie i confini , apre una via di cui si conosce il principio, ma che finisce in un mare senza rive.” “A me nazionalista che guardo il valore di un popolo dalla sua razza, mi è sufficiente osservare le minori virtù della razza di quella Nazione impedite per non legare l’avvenire del nostro pese con quello loro” “Quello che porrà Mussolini tra i più illustri uomini del mondo è il proposito di non dividere l’Italia con il comunismo, ma di aiutare gl’italiani annientando il marxismo” “ Una nazione che, nell’era della soppressione delle razze, pensa ai migliori elementi della propria stirpe, deve essere un domani la padrona del mondo.” A. Hitler, Mein Kampf. Questo libro tuti gli esseri umani dovrebbero leggere, affinchè prendano conoscenza, esperienza e monito degli orrori della storia nello scorso secolo per affrontare il presente, che sembra sulla via del passato, ed il futuro. “Lo duca e io per quel cammino ascoso Intrammo a ritornar nel chiaro mondo; e sanza cura aver d’alcun riposo, salimmo su, el primo e io secondo, tanto ch’i’ vidi dele cose belle che porta ‘i ciel, per un pertugio tondo: e quindi uscimmo a riveder le stelle.” Dante Alinghieri, La Divina Commedia, Inferno. “Per i suoi principi, il comunismo è al di sopra del dissidio tra borghesia e proletariato, poiché lo considera giustificato nel suo significato storico soltanto per il presente, non per il futuro; esso intende appunto sopprimere tale dissidio. Riconosce perciò, finchè il dissidio permane, che il risentimento del proletariato contro i suoi oppressori è una necessità, che rappresenta la leva più importante del movimento operaio ai suoi inizi, ma va oltre tale risentimento, perché il comunismo è appunto una causa di tutta l’umanità, non soltanto degli operai.” F. Engels, “ La situazione della classe operaia in Inghilterra”. “Noi ci chiamiamo comunisti. Che cos’è un comunista? Comunista è una parola latina. Comunista deriva dalla parola comune. La società comunista significa: tutto in comune, la terra, le fabbriche, il lavoro. Ecco cos’è il comunismo.” Lenin, “ I compiti delle associazioni giovanili.”

giovedì 10 ottobre 2024

No a nuove tasse! Tassare gli evasori!

Il governo è alla ricerca di soldi e, ancora una volta, il cerchio si chiude su chi già paga le tasse, lavoratori dipendenti e pensionati. No a nuove tasse, no a tagli di servizi e su pensioni! Le tasse le paghino coloro che, finora, non le hanno mai pagate! Sono 10 milioni i cittadini che non fanno la denuncia dei redditi. Le paghino chi evade sia il fisco sia i contributi! Paghino come i lavoratori dipendenti e pensionati i cittadini che versano meno della metà delle categorie di cui sopra. Sono il 7% dei contribuenti ad avere una tassazione agevolata, la tassa piatta. Il 93% versa più del doppio di costoro. I soldi ci sono! Basta volerli cercare veramente e non fare leggi che avvantaggiano ancora di più gli evasori totali, parziali e gli avvantaggiati della tassa piatta.

sabato 5 ottobre 2024

Paul Lafargue,Il libro del capitalista, L 'ecclesiaste.

L’«Ecclesiaste» o il libro del capitalista Paul Lafargue (1886) Fonte: Paul Lafargue, Il diritto all’ozio. La religione del Capitale, a cura di Lanfranco Binni, Firenze, Il Ponte Editore, 2015. Trascritto da Leonardo Maria Battisti su licenza concessa dal Fondo Walter Binni, febbraio 2019. Questo libro è passato tra le mani di molti capitalisti che l’hanno letto e annotato; ecco alcune delle loro annotazioni: «È certo che questi precetti della saggezza divina sarebbero male interpretati dalla rozza intelligenza dei salariati. Credo opportuno che siano tradotti in volapiuk1 o in qualsiasi altra lingua sacra». Firmato: Jules Simon2. «Bisognerebbe fare come i dottori giudaici che proibivano ai profani la lettura dell’Ecclesiaste dell’Antico Testamento e far conoscere il Libro del Capitalista solo agli iniziati in possesso di un milione». Firmato: Breichröder. «Un milione di franchi o di marchi mi sembra una vera miseria. Propongo un milione di dollari». Firmato: Jay Gould3 I. Natura del Dio Capitale 1. Medita le parole del Capitale, tuo Dio. 2. Io sono il Dio che divora gli uomini; mi siedo a tavola nelle fabbriche e consumo i salariati. Io transustanzio in capitale divino la vita miserabile del lavoratore. Io sono il mistero infinito: la mia sostanza eterna altro non è che carne deperibile; la mia onnipotenza, umana debolezza. La forza inerte del Capitale è la forza del salariato. 3. Principio dei principi: da me inizia ogni produzione, a me finisce ogni scambio. 4. Io sono il Dio vivente, presente in ogni luogo: le ferrovie, gli altiforni, i chicchi di grano, le navi, i vigneti, le monete d’oro e d’argento sono le membra sparse del Capitale universale. 5. Io sono l’anima incommensurabile del mondo civilizzato, multiforme e molteplice all’infinito. Io vivo in ciò che si compra e si vende; agisco in qualunque merce e non ne esiste alcuna al di fuori della mia vivente unità. 6. Io risplendo nell’oro e puzzo nel letame, rallegro nel vino e corrodo nel vetriolo. 7. La mia sostanza, che si accresce continuamente, scorre come un fiume invisibile attraverso la materia; divisa e suddivisa oltre ogni immaginazione, si imprigiona nelle forme speciali assunte da ogni merce e, senza stancarmi, mi travaso da una merce all’altra: oggi pane e carne, domani forza lavoro del produttore, dopodomani lingotto di ferro, tela di cotone, opera drammatica, quintale di lardo, sacco di concime. La trasmigrazione del Capitale non si ferma mai. La mia sostanza non muore, ma le sue forme sono deperibili, finiscono e passano. 8. L’uomo vede, tocca, sente e gusta il mio corpo, ma il mio spirito più sottile dell’etere è inafferrabile per i sensi. Il mio spirito è il Credito; per manifestarsi non ha bisogno di corpo. 9. Chimico più esperto di Berzelius e di Gerhardt4, il mio spirito trasmuta i vasti campi, le colossali macchine, i pesanti metalli e le mandrie muggenti in azioni di carta; e più leggeri di palline di sambuco animate dall’elettricità i canali e gli altiforni, le miniere e le fabbriche rimbalzano di mano in mano nella Borsa, il mio tempio sacro. 10. Senza di me niente inizia e niente si conclude nel paese governato dalla Banca. Io fecondo il lavoro; io assoggetto al servizio dell’uomo le forze irresistibili della natura e metto nelle sue mani la potente leva della scienza accumulata. 11. Io connetto le società nella rete d’oro del commercio e dell’industria. 12. L’uomo che non mi possiede, che non ha Capitale, cammina nudo nella vita circondato di nemici feroci e armati di ogni strumento di tortura e di morte. 13. All’uomo che non ha Capitale, se è forte come un toro, si carica sulle spalle un fardello più pesante; se è laborioso come una formica, gli si raddoppia il compito; se è sobrio come un asino, gli si riduce il cibo. 14. Che cosa sono la scienza, la virtù e il lavoro senza il Capitale? Vanità e frustrazione. 15. Senza la grazia del Capitale, la scienza fa perdere l’uomo nei sentieri della follia; il lavoro e la virtú lo precipitano nell’abisso della miseria. 16. Non la scienza, la virtú, il lavoro appagano lo spirito dell’uomo; sono io, il Capitale, a nutrire la muta affamata dei suoi desideri e delle sue passioni. 17. Io mi do e mi riprendo a mio esclusivo piacimento, senza renderne conto. Io sono l’Onnipotente che comanda sulle cose vive e sulle cose morte. II. L’eletto del Capitale 1. L’uomo, questo infetto ammasso di materia, viene al mondo nudo come un verme e poi alla fine, chiuso in una cassa come un fantoccio, marcisce sottoterra e il suo marciume ingrassa l’erba dei campi. 2. Tuttavia ho scelto proprio questo sacco di spazzatura puzzolente per rappresentare me, il Capitale, che sono la cosa più sublime che esista sotto il sole. 3. Le ostriche e le lumache hanno un valore per le loro semplici qualità naturali; il capitalista conta per il solo fatto che sono io a sceglierlo come mio eletto, vale solo per il Capitale che rappresenta. 4. Arricchisco lo scellerato nonostante la sua scelleratezza, impoverisco il giusto nonostante la sua onestà. Scelgo chi mi pare. 5. Scelgo il capitalista non per la sua intelligenza, onestà, bellezza e giovinezza. La sua imbecillità, i suoi vizi, la sua bruttezza e la sua vecchiaia sono altrettante prove del mio incalcolabile potere. 6. Dal momento che ne faccio un mio eletto, il capitalista incarna la virtù, la bellezza, il genio. Gli uomini trovano spiritosa la sua stupidità e affermano che il suo genio non ha niente a che vedere con la scienza dei pedanti, i poeti cercano inspirazione in lui, e gli artisti accolgono in ginocchio le sue critiche come leggi del gusto, le donne giurano che è il Don Giovanni ideale, i filosofi sentenziano che i suoi vizi sono virtù, gli economisti scoprono che la sua vita oziosa è la forza motrice del mondo sociale. 7. Un gregge di salariati lavora per il capitalista che beve, mangia, se la gode, e si riposa del lavoro del ventre e del basso ventre. 8. Il capitalista non lavora né con le mani né con il cervello. 9. Ha un bestiame maschile e femminile per arare la terra, forgiare i metalli e tessere le stoffe; ha direttori e capireparto a dirigere le fabbriche, e scienziati per pensare. Il capitalista si consacra al lavoro delle latrine: beve e mangia per produrre letame. 10. Ingrasso l’eletto con un benessere eterno; che cosa c’è di meglio e di più reale sulla terra che bere, mangiare e godersela felici? Il resto non è che vanità e tormento dell’anima. 11. Addolcisco le amarezze, elimino ogni pena affinché la vita sia dolce e piacevole all’eletto. 12. La vista ha il suo organo; anche l’odorato, il tatto, il gusto, l’udito e l’amore hanno i loro organi. Non rifiuto nulla di ciò che desiderano gli occhi, la bocca e gli altri organi dell’eletto. 13. La virtù ha un doppio aspetto: la virtù del capitalista è l’appagamento, la virtù del salariato è la privazione. 14. Il capitalista si prende sulla terra tutto ciò che gli piace, è il padrone. Se si è stancato delle donne, risveglierà i suoi sensi con vergini bambine. 15. Il capitalista è la legge. I legislatori redigono i Codici secondo i suoi interessi, e i filosofi adattano la morale ai suoi costumi. Le sue azioni sono giuste e buone. Ogni atto che leda i suoi interessi è un crimine e sarà punito. 16. Riservo agli eletti una felicità unica, sconosciuta ai salariati. Fare profitti è la gioia suprema. Se l’eletto che incassa utili perde la moglie, la madre, i figli, il cane e l’onore, si rassegna; ma se smette di realizzare profitti, è una sciagura irreparabile di cui il capitalista non potrà mai consolarsi. III. Doveri del capitalista § 1 1. Molti sono chiamati, pochi sono gli eletti; ogni giorno riduco il numero dei miei eletti. 2. Mi do ai capitalisti e mi divido tra loro; ogni eletto riceve in deposito una piccola parte del Capitale unico, e ne conserva il godimento solo se la accresce e la fa prolificare. Il Capitale si ritira dalle mani di chi non adempie la sua legge. 3. Ho scelto il capitalista per estrarre plusvalore; accumulare profitti è la sua missione. 4. Per essere libero e a proprio agio nella caccia agli utili, il capitalista spezza i legami dell’amicizia e dell’amore; non conosce amici, fratelli, madre, moglie, figli quando si tratta di realizzare un guadagno. 5. Egli si eleva al di sopra delle vane demarcazioni che confinano i mortali in una patria o in un partito; prima di essere russo o polacco, francese o prussiano, inglese o irlandese, bianco o nero, l’eletto è sfruttatore; è monarchico o repubblicano, conservatore o radicale, cattolico o libero pensatore, solo per soprammercato. L’oro ha un colore, ma al suo cospetto le opinioni dei capitalisti non hanno alcun colore. 6. Il capitalista intasca con la stessa indifferenza il denaro bagnato di lacrime, il denaro macchiato di sangue, il denaro sporco di fango. 7. Non concede nulla ai pregiudizi del volgo. Non produce per vendere merci di buona qualità, ma che procurino grandi utili. Non fonda società finanziarie per distribuire dividendi, ma per impossessarsi dei capitali degli azionisti; perché i piccoli capitali appartengono ai grandi e, sopra di loro ci sono capitali ancora più grandi che li sorvegliano per divorarli al momento giusto. È questa la legge del Capitale. 8. Elevando l’uomo alla dignità di capitalista, gli trasmetto una parte della mia onnipotenza sugli uomini e sulle cose. 9. Il capitalista deve dire: «La società sono io, la morale sono i miei gusti e le mie passioni, la legge è il mio interesse». 10. Se un solo capitalista è leso nei suoi interessi, la società intera ne soffre; perché l’impossibilità di accrescere il Capitale è il male dei mali, contro il quale non esistono rimedi. 11. Il capitalista fa produrre ma non produce, fa lavorare e non lavora, gli è interdetta ogni occupazione manuale o intellettuale che lo distoglierebbe dalla sua missione sacra: l’accumulazione dei profitti. 12. Il capitalista non si trasforma in uno scoiattolo ideologico che fa girare una ruota a macinare vento. 13. Si cura molto poco che i cieli raccontino la gloria di Dio; non gli interessa sapere se la cicala canta con il didietro o con le ali e se la formica è una capitalista*1. 14. Non si preoccupa né dell’inizio né della fine delle cose, gli interessa soltanto che producano utili. 15. Lascia ai teologi dell’economia ufficiale le dispute sul monometallismo e il bimetallismo, mentre intasca senza alcuna distinzione le monete d’oro e d’argento che gli capitano a tiro. 16. Lascia agli scienziati, buoni solo a questo, lo studio dei fenomeni naturali e agli inventori l’applicazione industriale delle forze della natura, ma si affretta ad accaparrarsi le loro scoperte appena si possano sfruttare. 17. Non si affatica il cervello per sapere se il Bello e il Buono sono una sola cosa, la stessa cosa, ma si regala tartufi cosí buoni da mangiare ma piú brutti degli escrementi di maiale. 18. Applaude i discorsi sulle verità eterne, ma guadagna denaro con le falsificazioni di giornata. 19. Non specula sull’essenza della virtú, della coscienza e dell’amore, ma specula sulla loro compravendita. 20. Non si chiede se la Libertà sia buona in sé, ma si prende ogni libertà per non lasciarne che il nome ai salariati. 21. Non sta a discutere se il diritto prevalga sulla forza, perché sa di avere tutti i diritti dal momento che possiede il Capitale. 22. Non è né a favore né contro il suffragio universale, né a favore né contro il suffragio ristretto, e si serve di entrambi: compra gli elettori del suffragio ristretto e imbroglia quelli del suffragio universale. Se deve scegliere, si pronuncia a favore di quest’ultimo, piú economico: infatti mentre è costretto a comprare gli elettori e gli eletti del suffragio ristretto, con il suffragio universale gli basta comprare gli eletti. 23. Non partecipa ai chiacchiericci sul libero scambio e sul protezionismo; di volta in volta è liberoscambista e protezionista secondo le convenienze del suo commercio e della sua industria. 24. Non ha alcun principio: neppure il principio di non avere principi. § 2 25. Il capitalista è nella mia mano la verga di bronzo per comandare l’indocile gregge dei salariati. 26. Il capitalista soffoca nel suo cuore ogni sentimento umano, è senza pietà; tratta il suo simile più duramente di una bestia da soma. Gli uomini, le donne e i bambini per lui non sono altro che macchine da profitto. Il suo cuore di bronzo non palpita quando i suoi occhi contemplano le miserie dei salariati e le sue orecchie ascoltano le loro grida di rabbia e di dolore. 27. Come una pressa idraulica scende lentamente, inesorabile, riducendo al più piccolo volume, alla più perfetta disseccazione la polpa sottoposta alla sua azione, così il capitalista, pressando e spremendo il salariato, estrae il lavoro dai suoi muscoli e dai suoi nervi: ogni goccia di sudore che ne spreme si trasforma in capitale. Quando il salariato, logorato e sfinito sotto il torchio, non rende piú il superlavoro che produce plusvalore, allora lo getta in strada come gli avanzi di cucina, spazzatura. 28. Il capitalista che risparmia il salariato tradisce me e tradisce se stesso. 29. Il capitalista mercifica l’uomo, la donna e il bambino, affinché chi non possiede né grasso, né lana o qualunque altra merce, abbia almeno qualcosa da vendere: la sua forza muscolare, la sua intelligenza, la sua coscienza. Per trasformarsi in capitale, l’uomo deve prima diventare merce. 30. Io sono il Capitale, il padrone dell’universo, e il capitalista è il mio rappresentante: davanti a lui gli uomini sono uguali, tutti ugualmente curvi sotto il suo sfruttamento. Il bracciante che affitta la sua forza, l’ingegnere che offre la sua intelligenza, il cassiere che vende la sua onestà, il deputato che fa mercato della sua coscienza, la ragazza di piacere che presta il suo sesso, sono per il capitalista salariati da sfruttare. 31. Il capitalista perfeziona il salariato: lo obbliga a riprodurre la sua forza-lavoro con un’alimentazione grossolana e scadente perché la venda al minor prezzo, e lo costringe ad acquisire l’ascetismo dell’anacoreta, la pazienza dell’asino e la costanza del bue. 32. Il salariato è proprietà del capitalista, è la sua bestia da lavoro, un suo bene, cosa sua. Nella fabbrica dove non ci si deve accorgere quando sorge il sole né quando cala la notte, punta sull’operaio cento occhi vigilanti perché non si distolga dal suo compito né con un gesto né con una parola. 33. Il tempo del salariato è denaro: ogni minuto che perde è un furto che commette. 34. L’oppressione del capitalista segue il salariato come un’ombra perfino nel suo tugurio, perché non si corrompa con letture e discorsi socialisti, né si affatichi il corpo con degli svaghi. Uscendo dalla fabbrica deve chiudersi in casa, mangiare e coricarsi, per riportare l’indomani al suo padrone un corpo riposato e disponibile, e uno spirito rassegnato. 35. Il capitalista non riconosce al salariato alcun diritto, neppure il diritto alla schiavitú, che è il diritto al lavoro. 36. E spoglia il salariato della sua intelligenza e della sua abilità manuale trasferendole alle macchine, che non si ribellano. IV. Massime della saggezza divina 1. Il marinaio è assalito dalla tempesta, il minatore vive tra il grisù e le frane, l’operaio si muove tra le ruote e le cinghie degli ingranaggi della macchina di ferro, la mutilazione e la morte incombono sul salariato che lavora: il capitalista, che non lavora, è al riparo da ogni pericolo. 2. Il lavoro sfianca, uccide e non arricchisce: non è lavorando ma facendo lavorare gli altri che si accumulano fortune. 3. La proprietà è il frutto del lavoro e la ricompensa dell’ozio. 4. Non si estrae vino da un sasso, né profitti da un cadavere: solo i vivi si possono sfruttare. Il boia che ghigliottina un criminale deruba il capitalista di un animale da sfruttare*2. 5. Il denaro e tutto ciò che comporta non hanno odore. 6. Il denaro riscatta le sue qualità vergognose con la sua quantità. 7. Il denaro sostituisce la virtú in chi lo possiede. 8. Fare del bene non è un investimento redditizio. 9. Andando a letto è meglio dirsi «ho fatto un buon affare», piuttosto che «ho fatto una buona azione». 10. Il padrone che fa lavorare i salariati quattordici ore su ventiquattro non perde la sua giornata. 11. Non risparmiare né il buono né il cattivo operaio, perché sia il buono che il cattivo cavallo hanno bisogno dello sperone. 12. L’albero che non dà frutti deve essere sradicato e bruciato; l’operaio che non rende piú deve essere condannato alla fame. 13. L’operaio che si ribella, nutrilo con il piombo. 14. Ci mette piú tempo la foglia del gelso a trasformarsi in seta, del salariato a trasformarsi in capitale. 15. Rubare in grande e restituire briciole, è la filantropia. 16. Far cooperare gli operai alla costruzione della propria fortuna, è la cooperazione. 17. Prendersi la parte piú grossa dei frutti del lavoro, è la partecipazione. 18. Il capitalista, fanatico della libertà, non dà l’elemosina, perché toglie al senza-lavoro la libertà di morire di fame. 19. Gli uomini non sono altro che macchine per produrre e consumare: il capitalista compra gli uni e corre dietro le altre. 20. Il capitalista ha due lingue nella sua bocca: una per comprare e l’altra per vendere. 21. La bocca che mente dà la vita alla Borsa. 22. La delicatezza e l’onestà sono i veleni degli affari. 23. Rubando a tutti non si ruba a nessuno. 24. Dimostra che l’uomo è capace di devozione come un cagnolino: sii devoto a te stesso. 25. Diffida dell’uomo disonesto, ma non fidarti di quello onesto, 26. Promettere denota bonarietà e cortesia, mantenere la promessa rivela debolezza mentale. 27. Le monete sono coniate con l’effigie del sovrano o della Repubblica perché, come gli uccelli del cielo, appartengono soltanto a chi le cattura. 28. Le monete da cento soldi si rialzano sempre quando cadono, anche nel letame. 29. Ti preoccupi di molte cose, ti crei molti problemi, ti sforzi di essere onesto, ambisci al sapere, brighi per la carriera, ricerchi onori, e tutto questo non è che vanità, se lo porta il vento; una sola cosa è necessaria: il Capitale, sempre il Capitale. 30. La giovinezza sfiorisce, la bellezza appassisce, l’intelligenza si annebbia; solo l’oro non raggrinzisce, non invecchia. 31. Il denaro è l’anima del capitalismo e il movente delle sue azioni. 32. In verità vi dico, è più glorioso essere un portafoglio zeppo d’oro e di banconote che un uomo più carico di talento e di virtù di un asino che porta legumi al mercato. 33. Il genio, l’intelligenza, il pudore, l’onestà, la bellezza esistono solo perché hanno un valore venale. 34. La virtù e il lavoro sono utili solo in casa degli altri. 35. Non c’è niente di meglio per il capitalista che bere, mangiare e godersela: è tutto quello gli resterà di più certo quando sarà morto. 36. Finché rimane tra gli uomini che il sole illumina e riscalda, il capitalista deve darsi alla bella vita perché non si vive due volte la stessa ora e non si sfugge all’ignobile vecchiaia che afferra l’uomo per la testa e lo spinge nella tomba. 37. Nel sepolcro dove vai, le tue virtù non ti accompagneranno; troverai solo vermi. 38. Oltre un ventre pieno e di vigorosa digestione, e sensi robusti e soddisfatti, non c’è che vanità e frustrazione. V. Ultima verba 1. Io sono il Capitale, il re del mondo. 2. Avanzo scortato dalla menzogna, dall’invidia, dall’avarizia, dal cavillo e dall’assassinio. Porto la divisione nella famiglia e la guerra nella città. Ovunque passo semino odio, disperazione, miseria e malattie. 3. Io sono il Dio implacabile. Mi compiaccio tra le discordie e le sofferenze. Torturo i salariati e non risparmio i capitalisti, miei eletti. 4. Il salariato non può sfuggirmi: se per evadere valica le montagne, mi trova al di là dei monti; se attraversa i mari, lo aspetto sulla riva dove sbarca. Il salariato è mio prigioniero e la terra è la sua prigione. 5. Ingozzo i capitalisti di un benessere greve, idiota e ricco di malattie. Castro corporalmente e intellettualmente i miei eletti: la loro razza si estingue nell’imbecillità e nell’impotenza. 6. Colmo i capitalisti di tutte le cose desiderabili, e castro in loro ogni desiderio. Carico le loro tavole di cibi appetitosi, e tolgo loro l’appetito. Riempio i loro letti di donne giovani ed esperte in carezze, e intorpidisco i loro sensi. L’intero universo è per loro scialbo, fastidioso, snervante, sbadigliano per tutta la vita, invocano il nulla, e l’idea della morte li gela di paura. 7. A mio piacimento e senza che la mente umana possa capire le mie ragioni, colpisco i miei eletti e li precipito nella miseria, la geenna dei salariati. 8. I capitalisti sono i miei strumenti. Mi servo di loro come di una frusta a mille code per flagellare lo stupido gregge dei salariati. Innalzo i miei eletti al primo rango della società e li disprezzo. 9. Il sono il Dio che guida gli uomini e confonde la loro mente. 10. Il poeta dei tempi antichi ha predetto l’era del Capitalismo quando ha scritto: «Ora il bene è mischiato al male, ma un giorno non ci saranno piú legami di famiglia, né giustizia, né virtú. Aidos e Nemesis risaliranno in cielo e al male non ci sarà piú rimedio*3». I tempi annunciati sono arrivati: come i mostri famelici dei mari e le bestie feroci dei boschi, gli uomini si divorano selvaggiamente tra loro. 11. Mi fa ridere la saggezza umana. «Lavora, e la carestia se ne andrà; lavora, e i tuoi granai si riempiranno di provviste», diceva la saggezza antica. Io ho detto: «Lavora, e la penuria e la miseria saranno le tue fedeli compagne; lavora, e svuoterai la tua casa al Monte di Pietà». 12. Io sono il Dio che sconvolge gli imperi: piego i superbi sotto il mio giogo egualitario; faccio a pezzi l’insolente ed egoista individualità umana; plasmo per l’eguaglianza l’imbecille umanità. Accoppio e aggiogo i salariati e i capitalisti nella preparazione dello stampo comunista della futura società. 13. Gli uomini hanno scacciato dai cieli Brahma, Giove, Geova, Gesú, Allah; io mi suicido. 14. Quando il Comunismo sarà la legge della società, finirà il regno del Capitale, il Dio che incarna le generazioni del passato e del presente. Il Capitale non dominerà piú il mondo, obbedirà all’odiato lavoratore. L’uomo la smetterà di inginocchiarsi davanti all’opera delle proprie mani e del proprio cervello, si alzerà in piedi e guarderà la natura da padrone. 15. Il Capitale sarà l’ultimo degli Dèi. Note *1.L’autore dell’Ecclesiaste capitalista certamente allude a quegli economisti, noiosi dicitori di futilità, secondo cui il capitale è anteriore all’uomo dal momento che la formica, accumulando provviste, si comporta da capitalista [N.d.A.].↩ *2. L’Ecclesiaste ci rivela la ragione capitalista della campagna per l’abolizione della pena di morte, condotta con tanto fracasso da victor Hugo e dagli altri ciarlatani dell’umanitarismo [N.d.A.].↩ *3. Questa predizione dei tempi capitalisti, piú veritiera di quella dei profeti che annunciavano la venuta di Gesú, si trova nelle Opere e i giorni di Esiodo [N.d.A.].↩ 1. Lingua universale creata nel 1879 dal prete cattolico tedesco Johann Martin Schleyer (1831-1912), una sorta di esperanto basato sulle lingue europee.↩ 2. Jules Simon (1814-1896), repubblicano conservatore, filosofo, presidente del consiglio nel 1876-1877.↩ 3. Jay Gould (1836-1892), magnate americano delle ferrovie e del telegrafo.↩ 4. Jöns Jacob Berzelius (1779-1848), svedese, fondatore della chimica moderna; Charles Frédéric Gerhardt (1816-1856), celebre chimico francese.↩ Inizio pagina Indice de La religione del capitale Archivio Lafargue Ultima modifica 2019.02.15

mercoledì 2 ottobre 2024

Mira alla luna...

" Mira alla Luna, anche se la manchi, atterrerai tra le stelle." Anonimo

Seneca, lettere a Lucillo.

. Lettere a Lucilio – libro XIII – Lettera V Della forza d’animo che deve distinguere il saggio. Non bisogna inquietarsi dell’avvenire 1 So che hai molto coraggio; infatti, anche prima che temprassi il tuo spirito con insegnamenti salutari e utili per vincere le avversità della vita, eri già piuttosto soddisfatto del tuo atteggiamento di fronte alla sorte, ed ancor più lo sei ora dopo averla affrontata con decisione e aver provato le tue forze, nelle quali non si può mai confidare con sicurezza finché non si sono mostrate numerose difficoltà da ogni parte, e non si sono molto appressate. Così si sperimenta il coraggio vero, che non è soggiogato dall’arbitrio altrui: è la prova del fuoco. 2 Un atleta non può combattere con accanimento, se non è già livido per le percosse: chi ha visto il proprio sangue, chi ha sentito i propri denti scricchiolare sotto i pugni, chi è stato messo a terra e schiacciato dall’avversario e, umiliato, non si è perso d’animo, chi si è rialzato più fiero dopo ogni caduta, va a combattere con grandi speranze di vittoria. 3 Quindi, per continuare con questo paragone, molte volte ormai hai subito l’assalto della sorte; tu, però, non ti sei arreso, ma sei balzato in piedi e hai resistito con maggiore risolutezza: il valore, quando è sfidato, si moltiplica. Tuttavia accetta, se credi, le armi di difesa che ti posso offrire. 4 Sono più le cose che ci spaventano, Lucilio mio, di quelle che ci minacciano effettivamente, e spesso soffriamo più per le nostre paure che per la realtà. Non ti parlo con il linguaggio degli Stoici, ma in tono più sommesso; noi, infatti, definiamo poco importanti e trascurabili tutte le avversità che ci strappano gemiti e lamenti. Tralasciamo queste parole gravi, ma, buon dio, vere: ti raccomando solo di non essere infelice prima del tempo, poiché le disgrazie che hai temuto imminenti, forse non arriveranno mai, ma di certo non sono ancora arrivate. 5 Certe cose ci tormentano più del dovuto, certe prima del dovuto, certe assolutamente senza motivo; quindi, o accresciamo la nostra sofferenza o la anticipiamo o addirittura ce la creiamo. Rimandiamo per il momento il primo punto, poiché il problema è controverso e c’è una discussione in corso. Quei mali che io ho definito trascurabili, tu li giudicherai gravissimi; taluni ridono sotto i colpi di frusta, altri, invece, gemono per un pugno. Vedremo in seguito se quei mali hanno forza per se stessi o per la nostra debolezza. 6 Se chi ti circonda vorrà persuaderti della tua infelicità, promettimi di badare non a quello che ascolti, ma a quello che provi e di decidere in base alla tua capacità di sopportare; chiedi a te stesso, che ti conosci meglio di chiunque altro: «Perché costoro mi compiangono? Perché stanno in ansia, perché hanno paura anche di toccarmi, quasi che le disgrazie fossero contagiose? È veramente un male o, più che di un male, si tratta di un qualcosa che può portare più che danno infamia?» Chiediti: «Forse mi cruccio e mi affliggo senza motivo e rendo un male qualcosa che non lo è?» 7 «In che modo,» domandi, «posso comprendere se mi angustio a torto o a ragione?» Attieniti a questa regola per stabilirlo: o ci tormentiamo per il presente o per il futuro o per entrambi. Del presente è facile giudicare: se sei libero, sano e non subisci dolore per un’offesa, guarderemo al futuro: oggi non c’è motivo di preoccuparsi. 8 «Ma ci sarà». Innanzi tutto considera se ci sono sicuri indizi di un male imminente: per lo più, infatti, stiamo in ansia solo per sospetti e ci facciamo ingannare da quelle dicerie che riescono a determinare la sorte di una guerra e che, a maggior ragione, determinano la sorte degli individui. È così, Lucilio mio, crediamo facilmente alle supposizioni; non mettiamo alla prova l’attendibilità delle nostre paure e non ce le scrolliamo di dosso; ci agitiamo e voltiamo le spalle come soldati che abbandonano l’accampamento per il polverone sollevato da un gregge di pecore in fuga o come quelle persone che si lasciano spaventare dai racconti di cose senza fondamento e di cui non si conosce neppure l’autore. 9 Non so perché le paure infondate incutano più turbamento; quelle fondate hanno un loro limite: tutto ciò che è incerto è in balia delle congetture e dell’arbitrio di un animo intimorito. Perciò niente è così dannoso, così irrefrenabile come il panico; le altre forme di paura derivano dall’assenza di ragionamento, questa dall’assenza di senno. 10 Perciò, esaminiamo attentamente la questione. È verosimile che in futuro ci accada qualche guaio, ma non è proprio sicuro. Quanti eventi inattesi sono avvenuti! E quanti fatti attesi non si sono mai verificati! E se anche capiteranno, a che giova andare incontro al dolore? Ti dorrai a sufficienza quando il male arriverà: nel frattempo augurati il meglio. 11 Che cosa ci guadagnerai? Tempo. Possono intervenire molti fattori per cui un pericolo vicino, o addirittura imminente, si ferma o cessa o piomba addosso a qualcun altro; spesso in un incendio si apre una via di fuga; qualcuno è uscito illeso da un crollo; a volte la spada è stata ritirata dal collo su cui pendeva; qualcuno è sopravvissuto al suo carnefice. Anche la sfortuna è mutevole. Forse sarà, forse non sarà, nel frattempo non è; tu spera sempre nel meglio. 12 Talora, benché non vi siano indizi manifesti che preannuncino qualche sventura, l’animo si crea mali immaginari: o travisa in peggio una parola ambigua o ingigantisce un’offesa ricevuta, e pensa non a quanto l’altro sia in collera, ma a quanto sia lecito a chi è in collera. Ma non c’è nessun motivo di vivere, nessun limite alle nostre sciagure, se si teme tutto ciò che può accadere. Qui giova essere saggi: respingi con forza d’animo la paura anche se giustificata; oppure, scaccia una debolezza con un’altra: tempera il timore con la speranza. Gli eventi temuti non accadono e quelli sperati deludono: è una verità più certa di tutte le nostre paure. 13 Soppesa, quindi, speranza e paura, e quando tutto sarà incerto, favorisci te stesso: credi a ciò che preferisci. Anche se il timore avrà più argomenti, scegli la speranza e metti fine alla tua angoscia; considera che la maggior parte degli uomini si arrovella e si agita, sebbene non vi siano mali presenti né certezza di mali futuri. Nessuno, infatti, resiste a se stesso quando ha cominciato ad essere inquieto e non riconduce i suoi timori alla realtà; nessuno dice: «Mente chi sostiene questo, mente: o se l’è inventato o crede a dicerie.» Ci lasciamo trasportare dal vento; paventiamo l’incerto come se fosse certo; non abbiamo il senso della misura, subito un dubbio si trasforma in timore. 14 Mi vergogno usare con te tale linguaggio e di confortarti con simili rimedi. Un altro dica pure: «Forse non capiterà,» tu di’: «E se anche capiterà? Vedremo chi dei due avrà la meglio; forse si risolverà a mio vantaggio e una morte come questa onorerà la mia vita.» La cicuta rese grande Socrate. Togli a Catone la spada che gli diede la libertà, gli toglierai una gran parte di gloria. 15 Ora ti sto facendo troppe esortazioni, mentre tu hai più bisogno di essere ammonito che esortato. Non ti spingo ad un comportamento diverso dalla tua natura: tu sei predisposto dalla nascita a ciò di cui parliamo; tanto più, dunque, accresci ed arricchisci il bene che c’è in te. 16 Posso ormai concludere questa lettera, se le imprimo il suo sigillo, se le affido, vale a dire, una bella massima da riferirti. «Tra gli altri mali, lo stolto ha anche questo: comincia sempre a vivere». Rifletti sul significato di questa frase, mio ottimo Lucilio, e comprenderai quanto sia vergognosa la leggerezza di quegli uomini che ogni giorno pongono nuove fondamenta alla loro vita, che nutrono speranze anche in punto di morte. 17 Osservali uno per uno: vedrai vecchi che hanno mire ambiziose e che si danno ai viaggi, agli affari. Niente è più sconcio di un vecchio che voglia ricominciare a vivere. Non aggiungerei il nome dell’autore di questa frase, se non fosse troppo poco conosciuta: non è tra quelle più famose di Epicuro, che io mi sono permesso di lodare e di fare mie. Stammi bene.

Caro Meneceo...

Caro Meneceo, sappi che la conoscenza della felicità non richiede un’età precisa, perché a qualsiasi età è piacevole prendersi cura del benessere della propria vita. Chi sostiene che non è ancora giunto il tempo di dedicarvisi, oppure che oramai è troppo tardi, crede che il momento giusto per farlo è alle nostre spalle oppure davanti a noi. Al contrario, conoscere la felicità riguarda sia il giovane sia l’anziano: il secondo per trarre benessere dal caro ricordo di ciò che ha realizzato, il primo per trarne forza e nutrimento e prepararsi a non temere il futuro. Ti mostrerò, dunque, quello che bisogna fare per ottenere la felicità, perché la sua presenza soddisfa la nostra vita, mentre la sua assenza ci spinge a fare di tutto per ottenerla. Rifletti sulle cose che ti raccomando e, allo stesso tempo, mettile in pratica: sono fondamentali per una vita ben realizzata. Prima di tutto, allora, considera che la vita divina è eterna e felice, come suggerisce la comune idea che abbiamo di dio: ogni divinità possiede una vita infinita e sempre felice. Va da sé che non ci sono dubbi sull’esistenza degli dei, ma le divinità non sono come le credono molte persone, che così facendo mettono in dubbio o tradiscono le loro stesse certezze più profonde. Ricordati che non è empio e irriverente chi rifiuta la religione popolare, ma chi attribuisce agli dei le convinzioni errate della gente comune. Questi giudizi sono false opinioni, perché di volta in volta attribuiscono agli dei la causa o delle più grandi sofferenze o dei beni più straordinari. In realtà, Meneceo, gli dei sono assolutamente felici e mostrano di riconoscere la somiglianza con le persone piene di virtù, quanto di mantenere la distanza da chi ne è completamente privo. In secondo luogo, abituati Meneceo a pensare che la morte non è nulla per noi, perché le sofferenze o i piaceri si acquisiscono con i sensi; la morte invece non è altro che l’incapacità di avere coscienza. La consapevolezza che la morte non significa nulla per noi rende godibile la mortalità della vita, scacciando l’inganno del tempo infinito che è provocato, invece, dal desiderio d’immortalità. Non c’è nulla di terribile nel vivere per chi sa che non c’è nulla da temere nel non vivere più. Perciò, è stupido chi sostiene di aver paura della morte, perché egli non teme la sofferenza al suo arrivo, ma piuttosto lo affligge la continua attesa di morire. È strano: quello che non ci turba, una volta presente, è condannato a portarci alla pazzia se è atteso in modo irrazionale. Invece, vedi Meneceo, la morte — considerata il più atroce di tutti i mali — non esiste per noi. Quando noi viviamo, la morte non c’è, quando c’è lei non ci siamo più noi. Dunque, la morte non è nulla né per noi, che siamo vivi, né per i morti, che non sono più. Invece, la gente comune fugge la morte come il peggior male, oppure la invoca come un luogo di pace rispetto ai mali che vive. Nota, Meneceo, che il vero saggio ha piacere di vivere, così come non teme di non vivere più. La vita per lui non è un male, né è un male il non vivere. Il saggio si comporta come nel mangiare: come sceglie i cibi migliori e non le porzioni più grandi, così si realizza non perché vive a lungo ma perché trascorre delle dolci giornate. Alcuni invitano il giovane a vivere bene e il vecchio a morire bene, ma questo è di nuovo sciocco non solo per la dolcezza che la vita sempre riserva — anche da vecchi — ma anche perché una bella vita ed una bella morte fanno parte della stesso stile di comportamento. Altri, ancora peggio, dicono che è meglio non nascere per niente, oppure, una volta venuti al mondo, passare al più presto la porta dell’Ade. Se sono così convinti, perché allora non se ne vanno via da questo mondo? Se lo vogliono veramente, non glielo vieta nessuno. Se lo dicono così per dire, forse è meglio che cambino discorso. Ricordiamoci poi, Meneceo, che il futuro sì ci appartiene, ma solo in parte. Solo così possiamo aspettarci che non si realizzi completamente tutto ciò che vogliamo, ma anche sapere che dobbiamo svolgere la nostra parte. Così pure teniamo presente che solo alcuni desideri sono naturali e profondi, mentre molti altri invece sono inutili; e fra i naturali solo alcuni sono bisogni necessari. Alcuni di questi sono fondamentali per la felicità, altri invece per il benessere fisico, altri ancora per la stessa sopravvivenza. Una conoscenza attenta dei desideri guida ogni nostra scelta, come ogni nostro rifiuto, al fine di raggiungere il benessere del corpo e la perfetta serenità della mente. Questo è il compito della vita felice e a questo noi indirizziamo ogni nostra azione per fuggire il dolore e l’angoscia. La serenità placa ogni bufera inferiore, perché il nostro organismo vitale non ha bisogno di nient’altro per il bene della persona. Dunque, il bisogno del piacere indica che soffriamo la sua mancanza, mentre non soffriamo più quando non ne abbiamo più bisogno. In questo senso, credo che il piacere sia principio e fine della vita felice, perché lo considero il bene fondamentale e naturalmente congenito per l’essere vivente. Sulla sua base valutiamo quello che volere o rifiutare e lui è la guida per valutare ciò che è buono. Proprio per questo, sarebbe errato credere che è giusto volere qualsiasi piacere. Talvolta conviene tralasciarne alcuni, da cui può venirci più male che bene, e invece considerare che alcune sofferenze sono preferibili ai piaceri stessi, se possiamo provare un piacere più grande dopo averle sopportate a lungo. Ogni piacere dunque è bene per sua intima natura, ma non conviene averli tutti. Allo stesso tempo, il dolore è sempre male, ma non tutti i dolori sono sempre da evitare. Gli uni e gli altri vanno giudicati in base alla considerazione dei danni e dei benefici, così come certe volte sperimentiamo che il bene si rivela per noi un male, invece il male un bene. Inoltre, Meneceo, considero una gran cosa l’indipendenza dai bisogni, non perché ci dobbiamo accontentare sempre di poco, ma perché possiamo essere soddisfatti anche di questo poco se ci capita di non avere molto. Sono convinto che l’abbondanza si gode con più dolcezza se ne siamo meno dipendenti. In fondo, non è difficile trovare ciò che veramente serve, mentre le cose inutili si presentano sempre difficili da conquistare. E i sapori semplici danno lo stesso piacere dei più raffinati, come pasteggiare con l’acqua e un pezzo di pane dà un grande piacere a chi ne era privo. Saper vivere di poco, dunque, non solo porta la salute e asciuga la bramosia verso i bisogni della vita, ma anche, quando di tanto in tanto capita di condurre una vita agiata, ci fa apprezzare meglio questa condizione, restando indifferenti verso gli scherzi della sorte. Quando dico che il piacere è il fine della vita felice, non intendo il semplice piacere dei goderecci, come credono coloro che non conoscono le nostre idee, le osteggiano in modo fazioso o le interpretano male. Il piacere che intendo aiuta a non soffrire con il corpo e ad essere sereni con la mente. Le cene e le feste, il godimento con i fanciulli e le donne, i buoni pesci e tutto quanto può offrire una ricca tavola non portano la dolcezza della vita felice. Questo lo porta il lucido esame delle cause di ogni scelta o rifiuto, al fine di respingere i falsi condizionamenti che provocano un rovellìo profondo. In realtà, Meneceo, il principio e bene supremo nella condotta è la saggezza, che appunto guida la stessa filosofia, madre di tutte le altre virtù. Essa ci insegna a comprendere che non c’è vita felice senza che sia saggia, bella e giusta, né vita saggia, bella e giusta che sia priva di felicità, perché le virtù sono connaturate alla felicità e da questa inseparabili. Considera, Meneceo, che vi è rispetto e ammirazione per chi ha un’opinione corretta e rispettosa degli dei, per chi non ha paura della morte e ha chiara coscienza del senso della natura, per chi ritiene che beni utili si procurano facilmente; infine per chi ritiene che i mali che affliggono profondamente la persona, lo fanno per poco, altrimenti se l’affliggono a lungo vuol dire che si possono sopportare. Questo genere d’uomo sa anche che è stupido credere che il fato sia padrone di tutto, come pensano alcuni; le cose accadono o per necessità, o per volontà della fortuna o per volontà nostra. Se la necessità è irresponsabile e la fortuna instabile, invece la nostra volontà è libera: per questo può meritarsi lode o biasimo. Al posto di essere resi schiavi del destino dei materialisti, era meglio allora credere ai racconti degli dei, che almeno offrono la speranza di placare le divinità con le preghiere, invece di quest’atroce, inflessibile Necessità. Al contrario, la fortuna per il saggio non è una divinità come per la gente comune — la divinità non fa nulla a caso — e neppure qualcosa priva di consistenza. Il saggio non crede che il caso arrechi agli uomini alcun bene o male determinante per la vita felice, ma sa che la fortuna può avviare grandi beni o grandi mali. Però è meglio essere senza fortuna ma saggi, piuttosto che fortunati e stolti; nella vita quotidiana, poi, preferisco che un bel progetto non vada in porto, piuttosto che abbia successo un progetto dissennato. Mi raccomando, Meneceo: rifletti, quando ti capita, di giorno oppure di notte, su quello che ti ho detto e su altre cose simili. Fallo da solo o con chi ti è vicino e sarai sempre libero dall’angoscia. Vivrai come un dio fra gli uomini, perché l’uomo che vive fra i beni immortali non sembra più neanche mortale.