Una luce nel labirinto

Una luce nel labirinto
Non arrendersi mai.

una luce nel labirinto

una luce nel labirinto
Non sottomettersi mai.

venerdì 28 febbraio 2025

K.Marx,Manoscritti economico -filosofici: Il denaro.

Se i sentimenti, le passioni, ecc. dell'uomo non sono soltanto determinazioni antropologiche in senso [stretto], ma affermazioni veramente ontologiche dell'essenza (della natura), e se essi si affermano realmente solo per il fatto che il loro oggetto è per essi sensibile, si intende che: 1) il modo della loro affermazione non è per nulla unico ed identico, ma anzi il modo diverso di affermarsi costituisce la particolarità della loro esistenza, della loro vita; il modo con cui l'oggetto è per essi, è il modo particolare del loro godimento; 2) là dove l'affermazione sensibile è la soppressione immediata dell'oggetto nella sua forma per sé stante (mangiare, bere, lavorare un oggetto, ecc.), proprio là ha luogo l'affermazione dell'oggetto; 3) in quanto l'uomo è umano, e quindi anche il suo sentimento, ecc., è umano, l'affermazione dell'oggetto da parte di un altro è anche un godimento suo proprio; 4) solo attraverso l'industria in pieno sviluppo, cioè attraverso la mediazione della proprietà privata, l'essenza ontologica della passione umana diviene tanto nella sua totalità quanto nella sua umanità; la scienza dell'uomo è quindi essa stessa un prodotto dell'attuazione pratica che l'uomo fa di se stesso; 5) il senso della proprietà privata - liberata dalla sua estraniazione - è l'esistenza degli oggetti essenziali per l'uomo, tanto come oggetto di godimento quanto come oggetto di attività. Il denaro, possedendo la caratteristica di comprar tutto, di appropriarsi di tutti gli oggetti, è dunque l'oggetto in senso eminente. L'universalità di questa sua caratteristica costituisce l'onnipotenza del suo essere; è tenuto per ciò come l'essere onnipotente... il denaro fa da mezzano tra il bisogno e l'oggetto, tra la vita e i mezzi di sussistenza dell'uomo. Ma ciò che media a me la mia vita, mi media pure l'esistenza degli altri uomini per me. Questo è per me l'altro uomo. «Eh, diavolo! Certamente mani e piedi, testa e sedere son tuoi! Ma tutto quel che io mi posso godere allegramente, non è forse meno mio? Se posso pagarmi sei stalloni, le loro forze non sono le mie ? Io ci corro su, e sono perfettamente a mio agio come se io avessi ventiquattro gambe» (GOETHE, Faust, Mefistofele)1. Shakespeare nel Timone di Atene: «Oro? Oro giallo, fiammeggiante, prezioso? No, o dèi, non sono un vostro vano adoratore. Radici, chiedo ai limpidi cieli. Ce n'è abbastanza per far nero il bianco, brutto il bello, ingiusto il giusto, volgare il nobile, vecchio il giovane, codardo il coraggioso... Esso allontana... i sacerdoti dagli altari; strappa di sotto al capo del forte il guanciale. Questo giallo schiavo unisce e infrange le fedi; benedice i maledetti; rende gradita l'orrida lebbra; onora i ladri e dà loro titoli, riverenze, lode nel consesso dei senatori. È desso che fa risposare la vedova afflitta; colei che l'ospedale e le piaghe ulcerose fanno apparire disgustosa, esso profuma e prepara di nuovo giovane per il giorno d'aprile. Avanti, o dannato metallo, tu prostituta comune dell'umanità, che rechi la discordia tra i popoli...» E più oltre: «Tu dolce regicida, o caro divorzio tra padre e figlio, tu splendido profanatore del più puro letto coniugale, tu Marte valoroso, seduttore sempre giovane, fresco, amato, delicato, il cui rossore scioglie la neve consacrata nel grembo di Diana; tu, dio visibile, che fondi insieme strettamente le cose impossibili, e le costringi a baciarsi! Tu i parli in ogni lingua, per ogni intento [XLII]; o tu pietra di paragone di tutti i cuori, pensa, l'uomo, il tuo schiavo si ribella; e col tuo valore gettalo in una discordia che tutto confonda in modo che le bestie abbiano l'impero del mondo»2. Shakespeare descrive l'essenza del denaro in modo veramente incisivo. Per comprenderlo, cominciamo dall'interpretazione del passo di Goethe. Ciò che mediante il denaro è a mia disposizione, ciò che io posso pagare, ciò che il denaro può comprare, quello sono io stesso, il possessore del denaro medesimo, Quanto grande è il potere del denaro, tanto grande è il mio potere. Le caratteristiche del denaro sono le mie stesse caratteristiche e le mie forze essenziali, cioè sono le caratteristiche e le forze essenziali del suo possessore. Ciò che io sono e posso, non è quindi affatto determinato dalla mia individualità. Io sono brutto, ma posso comprarmi la più bella tra le donne. E quindi io non sono brutto, perché l'effetto della bruttezza, la sua forza repulsiva, è annullata dal denaro. Io, considerato come individuo, sono storpio, ma il denaro mi procura venti quattro gambe; quindi non sono storpio. Io sono un uomo malvagio, disonesto, senza scrupoli, stupido; ma il denaro è onorato, e quindi anche il suo possessore. Il denaro è il bene supremo, e quindi il suo possessore è buono; il denaro inoltre mi toglie la pena di esser disonesto; e quindi si presume che io sia onesto. Io sono uno stupido, ma il denaro è la vera intelligenza di tutte le cose; e allora come potrebbe essere stupido chi lo possiede? Inoltre costui potrà sempre comperarsi le persone intelligenti, e chi ha potere sulle persone intelligenti, non è più intelligente delle persone intelligenti? Io che col denaro ho la facoltà di procurarmi tutto quello a cui il cuore umano aspira, non possiedo forse tutte le umane facoltà ? Forse che il mio denaro non trasforma tutte le mie deficienze nel loro contrario ? E se il denaro è il vincolo che mi unisce alla vita umana, che unisce a me la società, che mi collega con la natura e gli uomini, non è il denaro forse il vincolo di tutti i vincoli? Non può esso sciogliere e stringere ogni vincolo ? E quindi non è forse anche il dissolvitore universale ? Esso è tanto la vera moneta spicciola quanto il vero cemento, la forza galvano-chimica della società. Shakespeare rileva nel denaro soprattutto due caratteristiche; 1) è la divinità visibile, la trasformazione di tutte le caratteristiche umane e naturali nel loro contrario, la confusione universale e l'universale rovesciamento delle cose. Esso fonde insieme le cose impossibili; 2) è la meretrice universale, la mezzana universale degli uomini e dei popoli. La confusione e il rovesciamento di tutte le qualità umane e naturali, la fusione delle cose impossibili - la forza divina - propria del denaro risiede nella sua essenza in quanto è l'essenza estraniata, che espropria e si aliena, dell'uomo come essere generico. Il denaro è il potere alienato dell' umanità. Quello che io non posso come uomo, e quindi quello che le mie forze essenziali individuali non possono, lo posso mediante il denaro. Dunque il denaro fa di ognuna di queste forze essenziali qualcosa che esso in sé non è, cioè ne fa il suo contrario. Quando io ho voglia di mangiare oppure voglio servirmi della diligenza perché non sono abbastanza forte per fare il cammino a piedi, il denaro mi procura tanto il cibo quanto la diligenza, cioè trasforma i miei desideri da entità rappresentate e li traduce dalla loro esistenza pensata, rappresentata, voluta nella loro esistenza sensibile, reale, li traduce dalla rappresentazione nella vita, dall'essere rappresentato nell'essere reale. In quanto è tale mediazione, il denaro è la forza veramente creatrice. La domanda esiste, sì, anche per chi non ha denaro, ma la sua domanda è un puro ente dell'immaginazione, che non ha nessun effetto, nessuna esistenza per me, per un terzo, per la [...]3[XLIII]; e quindi resta per me stesso irreale, privo di oggetto. La differenza tra la domanda che ha effetto, in quanto è fondata sul denaro, e la domanda che non ha effetto, in quanto è fondata soltanto sul mio bisogno, sulla mia passione, sul mio desiderio, ecc., è la stessa differenza che passa tra l'essere e il pensare, tra la semplice rappresentazione quale esiste dentro di me e la rappresentazione qual è per me come oggetto reale fuori di me. Quando non ho denaro per viaggiare, non ho nessun bisogno, cioè nessun bisogno reale e realizzantesi di viaggiare. Se ho una certa vocazione per lo studio, ma non ho denaro per realizzarla, non ho nessuna vocazione per lo studio, cioè nessuna vocazione efficace, nessuna vocazione vera. Al contrario, se io non ho realmente nessuna vocazione per lo studio, ma ho la volontà e il denaro, ho una vocazione efficace. Il denaro, in quanto è il mezzo e il potere esteriore, cioè nascente non dall'uomo come uomo, né dalla società umana come società, in quanto è il mezzo universale e il potere universale di ridurre la rappresentazione a realtà e la realtà a semplice rappresentazione, trasforma tanto le forze essenziali reali, sia umane che naturali in rappresentazioni meramente astratte e quindi in imperfezioni, in penose fantasie, quanto, d'altra parte, le imperfezioni e le fantasie reali, le forze essenziali realmente impotenti, esistenti soltanto nell'immaginazione dell'individuo, in forze essenziali reali e in poteri reali. Già in base a questa determinazione il denaro è dunque l'universale rovesciamento delle individualità, rovesciamento che le capovolge nel loro contrario e alle loro caratteristiche aggiunge caratteristiche che sono in contraddizione con quelle. Sotto forma della potenza sovvertitrice qui descritta il denaro si presenta poi anche in opposizione all'individuo e ai vincoli sociali, ecc., che affermano di essere entità per se stesse. Il denaro muta la fedeltà in infedeltà, l'amore in odio, l'odio in amore, la virtù in vizio, il vizio in virtù, il servo in padrone, il padrone in servo, la stupidità in intelligenza, l'intelligenza in stupidità. Poiché il denaro, in quanto è il concetto esistente e in atto del valore, confonde e inverte ogni cosa, è la universale confusione e inversione di tutte le cose, e quindi il mondo rovesciato, la confusione e l'inversione di tutte le qualità naturali ed umane. Chi può comprare il coraggio, è coraggioso anche se è vile. Siccome il denaro si scambia non con una determinata qualità, né con una cosa determinata, né con alcuna delle forze essenziali dell'uomo, ma con l'intero mondo oggettivo, umano e naturale, esso quindi, considerato dal punto di vista del suo possessore, scambia le caratteristiche e gli oggetti gli uni con gli altri, anche se si contraddicono a vicenda. È la fusione delle cose impossibili; esso costringe gli oggetti contraddittori a baciarsi. Se presupponi l'uomo come uomo e il suo rapporto col mondo come un rapporto umano, potrai scambiare amore soltanto con amore, fiducia solo con fiducia, ecc. Se vuoi godere dell'arte, devi essere un uomo artisticamente educato; se vuoi esercitare qualche influsso sugli altri uomini, devi essere un uomo che agisce sugli altri uomini stimolandoli e sollecitandoli realmente. Ognuno dei tuoi rapporti con l'uomo, e con la natura, dev'essere una manifestazione determinata e corrispondente all'oggetto della tua volontà, della tua vita individuale nella sua realtà. Se tu ami senza suscitare una amorosa corrispondenza, cioè se il tuo amore come amore non produce una corrispondenza d'amore, se nella tua manifestazione vitale di uomo amante non fai di te stesso un uomo amato, il tuo amore è impotente, è un'infelicità.

mercoledì 26 febbraio 2025

Shakespeare, Poesie d'amore

16 Poesie d’Amore di Shakespeare. Sonetto 145 Quelle labbra che Amor creò con le sue mani bisbigliarono un suono che diceva “Io odio” a me, che per amor suo languivo: ma quando ella avvertì il mio penoso stato, subito nel suo cuore scese la pietà a rimproverar la lingua che sempre dolce soleva esprimersi nel dar miti condanne; e le insegnò a parlarmi in altro modo, “Io odio” ella emendò con un finale, che le seguì come un sereno giorno segue la notte che, simile a un demonio, dal cielo azzurro sprofonda nell’inferno. Dalle parole “Io odio” ella scacciò ogni odio e mi salvò la vita dicendomi “non te”. Sonetto 10 È infamia il tuo negare amore verso gli altri tu che per te stesso sei così inaccorto. Si può ammettere, se vuoi, che sei da molti amato ma è molto più evidente che tu non ami alcuno: sei tanto posseduto da odio distruttore che neppur contro te stesso esiti a tramare, portando alla rovina una splendida dimora che per tuo desiderio dovresti rinsaldare. Muta il tuo pensiero affinché io muti il mio sentire! Dev’essere meglio accolto l’odio dell’amore?
Sii piacente e generoso come la tua persona o prova a te stesso almeno il tuo nobil cuore: fa’, per amor mio, che un altro te abbia vita affinché la tua bellezza continui a rifiorire. Sonetto 47 I miei occhi e il cuore son venuti a patti ed or ciascuno all’altro il suo ben riversa: se i miei occhi son desiosi di uno sguardo, o il cuore innamorato si distrugge di sospiri, gli occhi allor festeggian l’effigie del mio amore e al fantastico banchetto invitano il mio cuore; un’altra volta gli occhi son ospiti del cuore che a lor partecipa il suo pensier d’amore. Così, per la tua immagine o per il mio amore, anche se lontano sei sempre in me presente; perché non puoi andare oltre i miei pensieri e sempre io son con loro ed essi son con te; o se essi dormono, in me la tua visione desta il cuore mio a delizia sua e degli occhi. Sonetto 116 Non sia mai ch’io ponga impedimenti all’unione di anime fedeli; Amore non è Amore se muta quando scopre un mutamento o tende a svanire quando l’altro s’allontana. Oh no! Amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai; è la stella-guida di ogni sperduta barca, il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza. Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote dovran cadere sotto la sua curva lama; Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio: se questo è errore e mi sarà provato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato. Sonetto 88 Quando avrai deciso di non stimarmi più ed esporrai i miei meriti al pubblico disprezzo, contro me stesso combatterò al tuo fianco e proverò che sei sincero pur sapendoti spergiuro. Conoscendo a fondo ogni mia mancanza, a tuo sostegno potrei portare a conoscenza colpe nascoste di cui mi son macchiato, affinché perdendomi tu possa averne gloria: e in tal modo anch’io ne sarei gratificato: perché volgendo a te ogni mio pensier d’amore, le gravi accuse che imputerò a me stesso, dando a te un vantaggio, doppio per me sarà. Il mio amore è così grande, talmente ti appartengo, che per la tua ragione sopporterò ogni torto. Non ti amo con i miei occhi Per la verità, io non ti amo coi miei occhi, perché essi vedono in te un mucchio di difetti; ma è il mio cuore che ama quel che loro disprezzano e, apparenze a parte, ne gode alla follia. Né i miei orecchi delizia il timbro della tua voce, né la mia sensibilità è incline a vili toccamenti, né il mio gusto e l’olfatto bramano l’invito al banchetto dei sensi con te soltanto. Ma né i miei cinque spiriti, né i miei cinque sensi possono dissuadere questo mio sciocco cuore dal tuo servizio, avendo ormai perso ogni sembianza umana, ridotto a schiavo e misero vassallo del tuo superbo cuore. Solo in questo io considero la mia peste un bene: che chi mi fa peccare, m’infligge pure la penitenza. Sonetto 130 Gli occhi della mia donna non sono come il sole; il corallo è molto più rosso delle sue labbra: se la neve è bianca, allora perché i suoi seni sono grigi? Se i capelli devono essere filamenti, fili neri crescono sulla sua testa Ho visto rose variegate, rosse e bianche, ma non ho visto alcuna rosa sulle sue guance; e c’è più delizia in altri profumi che nell’alito che il mio amore esala. mi piace sentirla parlare, perché so che la sua voce, per me, è come musica; quando la vidi non mi sembrò una dea: la mia donna, quando cammina, non ha grazia. E nonostante ciò, il mio amore è cosi raro come se lei fosse stata elogiata da falsi paragoni. Sonetto 142 Amore è il mio peccato e odio la tua miglior virtù: odio del mio peccato, fondato su amor colpevole. Oh ma confronta il mio stato al tuo e scoprirai che il mio non merita rimprovero; o se lo merita, non da quelle labbra tue che hanno profanato il carminio che le adorna e al pari delle mie suggellato falso amore, sottraendo a letti altrui i lor legittimi piaceri. Sia mio diritto amarti, come tu ami quelli che i tuoi occhi anelano quanto i miei ti tediano: radica nel tuo cuor pietà, affinché crescendo, possa la tua pietà meritare d’essere pietita. Se cercherai di avere quanto tu or rifiuti dal tuo stesso esempio potrà esserti negato. Sonetto 18 Posso paragonarti a un giorno d’estate? Tu sei più amabile e più tranquillo. Venti forti scuotono i teneri boccioli di Maggio, e il corso dell’estate ha fin troppo presto una fine. Talvolta troppo caldo splende l’occhio del cielo, e spesso la sua pelle dorata s’oscura; ed ogni cosa bella la bellezza talora declina, spogliata per caso o per il mutevole corso della natura. Ma la tua eterna estate non dovrà svanire, né perder la bellezza che possiedi, né dovrà la morte farsi vanto che tu vaghi nella sua ombra, quando in eterni versi nel tempo tu crescerai: finché uomini respireranno o occhi potran vedere, queste parole vivranno, e daranno vita a te. Sonetto 57 Essendo schiavo tuo, che altro potrei fare se non servir ore e momenti di ogni tuo volere? Non è prezioso il tempo che io ho da spendere, né servigi da rendere finché tu non li chieda. Né oso io dolermi di quei momenti senza fine mentre, mio signore, guardo l’ora in tua attesa, né giudico esasperante l’amarezza dell’assenza quando al tuo servitore tu hai detto addio. Né oso domandare al mio pensier geloso ove tu possa essere o supporre cosa stia facendo, ma in triste schiavitù io aspetto e solo penso quanto tu renda felice chi ti sta vicino. L’amore è così sciocco che in ogni tuo piacere, qualunque sia il tuo agire, non crede in alcun male. Sonetto 29 Quando, inviso alla fortuna e agli uomini, in solitudine piango il mio reietto stato ed ossessiono il sordo cielo con futili lamenti e valuto me stesso e maledico il mio destino: volendo esser simile a chi è più ricco di speranze, simile a lui nel tratto, come lui con molti amici e bramo l’arte di questo e l’abilità di quello, per nulla soddisfatto di quanto mi è più caro: se quasi detestandomi in queste congetture mi accade di pensarti, ecco che il mio spirito, quale allodola che s’alzi al rompere del giorno dalla cupa terra, eleva canti alle porte del cielo; quel ricordo del tuo dolce amor tanto m’appaga ch’io più non muto l’aver mio con alcun regno. Sonetto 46 I miei occhi e il cuore sono in conflitto estremo per contendersi l’immagine della tua persona: gli occhi al cuor vorrebbero celare la tua effigie, agli occhi il cuor contesta la libertà di tal diritto. Il cuore a difesa adduce che tu dimori in lui – un tempio mai violato da sguardi penetranti – ma gli accusati negano tal dissertazione, dicendo che in loro giace il tuo bel sembiante. Per attribuir questo diritto si convoca in giuria un esame dei pensieri che al cuore son fedeli, e per verdetto loro viene aggiudicata la parte dei puri occhi e quella del caro cuore: così: agli occhi spetta la tua esteriorità, e diritto del mio cuore è il tuo profondo amore. All’amata Se leggi questi versi, dimentica la mano che li scrisse: t’amo a tal punto che non vorrei restar nei tuoi dolci pensieri, se il pensare a me ti facesse soffrire. Sonetto 109 No, non dire mai che il mio cuore è stato falso anche se l’assenza sembrò ridurre la mia fiamma; come non è facil ch’io mi stacchi da me stesso, così è della mia anima che vive nel tuo petto: quello è il rifugio mio d’amore; se ho vagato come chi viaggia, io di nuovo lì ritorno fedelmente puntuale, non mutato dagli eventi, tanto ch’io stesso porto acqua alle mie colpe. Non credere mai, pur se in me regnassero tutte le debolezze che insidiano la carne, ch’io mi possa macchiare in modo tanto assurdo da perdere per niente la somma dei tuoi pregi: perché niente io chiamo questo immenso universo tranne te, mia rosa; in esso tu sei il mio tutto. Sonetto 1 Alle meraviglie del creato noi chiediam progenie perché mai si estingua la rosa di bellezza, e quando ormai sfiorita un dì dovrà cadere, possa un suo germoglio continuarne la memoria: ma tu, solo devoto ai tuoi splendenti occhi, bruci te stesso per nutrir la fiamma di tua luce creando miseria là dove c’è ricchezza, tu nemico tuo, troppo crudele verso il tuo dolce io. Ora che del mondo sei tu il fresco fiore e l’unico araldo di vibrante primavera, nel tuo stesso germoglio soffochi il tuo seme e, giovane spilorcio, nell’egoismo ti distruggi. Abbi pietà del mondo o diverrai talmente ingordo da divorar con la tua morte quanto a lui dovuto. Sonetto 22 Lo specchio non mi convincerà che sono vecchio, finché tu e giovinezza avrete la stessa età; ma quando in te io scorgerò i solchi del tempo attenderò che morte dia pace ai giorni miei. Poiché tutta la bellezza che ti inonda altro non è che degna veste del mio cuore che vive nel tuo petto, come il tuo nel mio: come potrei dunque esser io più vecchio? Perciò, amore, abbi cura di te stesso così come io farò, non per me, ma per te custodendo il tuo cuore che terrò così prezioso qual tenera nutrice il suo bimbo da mal protegga. Non sperare nel tuo cuore quando il mio sarà distrutto: tu mi hai donato il tuo non per averlo indietro. Sonetto 73 In me tu vedi quel periodo dell’anno quando nessuna o poche foglie gialle ancor resistono su quei rami che fremon contro il freddo, nudi archi in rovina ove briosi cantarono gli uccelli. In me tu vedi il crepuscolo di un giorno che dopo il tramonto svanisce all’occidente e a poco a poco viene inghiottito dalla notte buia, ombra di quella vita che tutto confina in pace. In me tu vedi lo svigorire di quel fuoco che si estingue fra le ceneri della sua gioventù come in un letto di morte su cui dovrà spirare, consunto da ciò che fu il suo nutrimento. Questo in me tu vedi, perciò il tuo amor si accresce per farti meglio amare chi dovrai lasciar fra breve. Sonetto 91 Vi è chi vanta la propria nascita, chi l’ingegno, chi la ricchezza, chi la forza fisica, chi il vestire alla moda anche se stravagante, chi vanta falchi e cani e chi i cavalli. E ogni temperamento ha una sua tendenza innata in cui trova una gioia superiore al resto; ma queste piccolezze non s’addicon al mio metro: io tutte le miglioro in un solo immenso bene. Per me il tuo amore è meglio di nobili natali, più ricco della ricchezza, più fiero dell’eleganza, di maggior diletto dei falchi o dei cavalli e avendo te, di ogni vanto umano io mi glorio: sfortunato solo in questo, che tu puoi togliermi ogni cosa e far di me l’essere più misero.

Albert Einstein, Perchè il socialismo?

Perché il socialismo? di Albert Einstein Albert Einstein è il fisico di fama mondiale. Questo articolo è stato originariamente pubblicato nel primo numero di Monthly Review (maggio 1949). Successivamente è stato pubblicato nel maggio 1998 per commemorare il primo numero del cinquantesimo anno di MR . - GLI EDITORI È consigliabile che uno che non è un esperto di questioni economiche e sociali esprima opinioni sul tema del socialismo? Credo che lo sia per una serie di ragioni. Consideriamo prima la questione dal punto di vista della conoscenza scientifica. Potrebbe sembrare che non ci siano differenze metodologiche essenziali tra astronomia ed economia: gli scienziati in entrambi i campi tentano di scoprire leggi di accettabilità generale per un gruppo circoscritto di fenomeni al fine di rendere l'interconnessione di questi fenomeni il più chiaramente comprensibile possibile. Ma in realtà tali differenze metodologiche esistono. La scoperta di leggi generali nel campo dell'economia è resa difficile dalla circostanza che i fenomeni economici osservati sono spesso influenzati da molti fattori che sono molto difficili da valutare separatamente. Inoltre, l'esperienza accumulata dall'inizio del cosiddetto periodo civilizzato della storia umana è stata - come è noto - largamente influenzata e limitata da cause di natura non esclusivamente economica. Ad esempio, la maggior parte dei principali stati della storia doveva la propria esistenza alla conquista. I popoli conquistatori si stabilirono, legalmente ed economicamente, come la classe privilegiata del paese conquistato. Presero per sé il monopolio della proprietà terriera e nominarono un sacerdozio tra i loro ranghi. I sacerdoti, responsabili dell'istruzione, trasformarono la divisione di classe della società in un'istituzione permanente e crearono un sistema di valori in base al quale le persone furono da allora in poi, in larga misura inconsciamente, guidate nel loro comportamento sociale. la maggior parte dei principali stati della storia deve la propria esistenza alla conquista. I popoli conquistatori si stabilirono, legalmente ed economicamente, come la classe privilegiata del paese conquistato. Presero per sé il monopolio della proprietà terriera e nominarono un sacerdozio tra i loro ranghi. I sacerdoti, responsabili dell'istruzione, trasformarono la divisione di classe della società in un'istituzione permanente e crearono un sistema di valori in base al quale le persone furono da allora in poi, in larga misura inconsciamente, guidate nel loro comportamento sociale. la maggior parte dei principali stati della storia deve la propria esistenza alla conquista. I popoli conquistatori si stabilirono, legalmente ed economicamente, come la classe privilegiata del paese conquistato. Presero per sé il monopolio della proprietà terriera e nominarono un sacerdozio tra i loro ranghi. I sacerdoti, responsabili dell'istruzione, trasformarono la divisione di classe della società in un'istituzione permanente e crearono un sistema di valori in base al quale le persone furono da allora in poi, in larga misura inconsciamente, guidate nel loro comportamento sociale. Ma la tradizione storica è, per così dire, di ieri; da nessuna parte abbiamo davvero superato quella che Thorstein Veblen chiamava "la fase predatoria" dello sviluppo umano. I fatti economici osservabili appartengono a quella fase e anche le leggi che possiamo derivarne non sono applicabili ad altre fasi. Poiché il vero scopo del socialismo è proprio quello di superare e andare oltre la fase predatoria dello sviluppo umano, la scienza economica nel suo stato attuale può gettare poca luce sulla società socialista del futuro. In secondo luogo, il socialismo è diretto verso un fine etico-sociale. La scienza, tuttavia, non può creare fini e, ancor meno, instillarli negli esseri umani; la scienza, al massimo, può fornire i mezzi per raggiungere certi fini. Ma i fini stessi sono concepiti da personalità con alti ideali etici e - se questi fini non sono nati morti, ma vitali e vigorosi - sono adottati e portati avanti da quei tanti esseri umani che, quasi inconsciamente, determinano la lenta evoluzione della società. Per questi motivi, dovremmo stare attenti a non sopravvalutare la scienza e i metodi scientifici quando si tratta di problemi umani; e non dovremmo presumere che gli esperti siano gli unici ad avere il diritto di esprimersi su questioni che riguardano l'organizzazione della società. Innumerevoli voci affermano da tempo che la società umana sta attraversando una crisi, che la sua stabilità è stata gravemente frantumata. È caratteristico di una tale situazione che gli individui si sentano indifferenti o addirittura ostili nei confronti del gruppo, piccolo o grande, a cui appartengono. Per illustrare il mio significato, lasciatemi registrare qui un'esperienza personale. Di recente ho discusso con un uomo intelligente e ben disposto la minaccia di un'altra guerra, che a mio parere metterebbe seriamente in pericolo l'esistenza dell'umanità, e ho osservato che solo un'organizzazione sovranazionale offrirebbe protezione da quel pericolo. Allora il mio visitatore, con molta calma e freddezza, mi disse: "Perché sei così profondamente contrario alla scomparsa della razza umana?" Sono sicuro che fino a un secolo fa nessuno avrebbe fatto una dichiarazione del genere con tanta leggerezza. È l'affermazione di un uomo che ha cercato invano di raggiungere un equilibrio dentro di sé e ha più o meno perso la speranza di riuscire. È l'espressione di una dolorosa solitudine e isolamento di cui tante persone stanno soffrendo in questi giorni. Qual è la causa? C'è una via d'uscita? È facile sollevare domande del genere, ma è difficile rispondere con un certo grado di sicurezza. Devo provarci, tuttavia, come meglio posso, anche se sono molto consapevole del fatto che i nostri sentimenti e le nostre aspirazioni sono spesso contraddittori e oscuri e che non possono essere espressi con formule facili e semplici. L'uomo è, allo stesso tempo, un essere solitario e un essere sociale. Come essere solitario, cerca di proteggere la propria esistenza e quella di coloro che gli sono più vicini, di soddisfare i suoi desideri personali e di sviluppare le sue capacità innate. Come essere sociale, cerca di ottenere il riconoscimento e l'affetto dei suoi simili, di condividere i loro piaceri, di confortarli nei loro dolori e di migliorare le loro condizioni di vita. Solo l'esistenza di questi sforzi vari, spesso contrastanti, spiega il carattere speciale di un uomo, e la loro combinazione specifica determina la misura in cui un individuo può raggiungere un equilibrio interiore e può contribuire al benessere della società. È del tutto possibile che la forza relativa di queste due pulsioni sia, principalmente, fissata dall'eredità. Ma la personalità che finalmente emerge è in gran parte formata dall'ambiente in cui un uomo capita di trovarsi durante il suo sviluppo, dalla struttura della società in cui cresce, dalla tradizione di quella società e dalla sua valutazione di tipi particolari. di comportamento. Il concetto astratto di "società" significa per il singolo essere umano la somma totale dei suoi rapporti diretti e indiretti con i suoi contemporanei e con tutte le persone delle generazioni precedenti. L'individuo è in grado di pensare, sentire, lottare e lavorare da solo; ma dipende così tanto dalla società - nella sua esistenza fisica, intellettuale ed emotiva - che è impossibile pensare a lui, o capirlo, al di fuori della struttura della società. È la "società" che fornisce all'uomo cibo, vestiario, una casa, gli strumenti di lavoro, il linguaggio, le forme di pensiero, e la maggior parte del contenuto del pensiero; la sua vita è resa possibile dal lavoro e dai risultati dei molti milioni di passati e presenti che sono tutti nascosti dietro la piccola parola "società". È evidente, quindi, che la dipendenza dell'individuo dalla società è un fatto di natura che non può essere abolito, proprio come nel caso delle formiche e delle api. Tuttavia, mentre l'intero processo vitale delle formiche e delle api è fissato nei minimi dettagli da istinti rigidi ed ereditari, il modello sociale e le interrelazioni degli esseri umani sono molto variabili e suscettibili di cambiamento. La memoria, la capacità di fare nuove combinazioni, il dono della comunicazione orale hanno reso possibili nell'essere umano sviluppi non dettati da necessità biologiche. Tali sviluppi si manifestano in tradizioni, istituzioni e organizzazioni; in letteratura; nelle realizzazioni scientifiche e ingegneristiche; in opere d'arte. Questo spiega come accade che, in un certo senso, l'uomo possa influenzare la propria vita attraverso la propria condotta, L'uomo acquisisce alla nascita, per eredità, una costituzione biologica che dobbiamo considerare fissa e inalterabile, comprese le pulsioni naturali che sono caratteristiche della specie umana. Inoltre, durante la sua vita, acquisisce una costituzione culturale che adotta dalla società attraverso la comunicazione e molti altri tipi di influenze. È questa costituzione culturale che, con il passare del tempo, è soggetta a mutamenti e che determina in larga misura il rapporto tra individuo e società. L'antropologia moderna ci ha insegnato, attraverso l'indagine comparativa delle cosiddette culture primitive, che il comportamento sociale degli esseri umani può differire notevolmente, a seconda dei modelli culturali prevalenti e dei tipi di organizzazione che predominano nella società. Se ci chiediamo come cambiare la struttura della società e l'atteggiamento culturale dell'uomo per rendere la vita umana il più soddisfacente possibile, dovremmo essere costantemente consapevoli del fatto che ci sono alcune condizioni che non siamo in grado di modificare. Come accennato prima, la natura biologica dell'uomo non è, per tutti gli scopi pratici, soggetta a modifiche. Inoltre, gli sviluppi tecnologici e demografici degli ultimi secoli hanno creato condizioni che sono destinate a restare. In popolazioni relativamente densamente stanziate con i beni indispensabili alla loro continua esistenza, sono assolutamente necessarie un'estrema divisione del lavoro e un apparato produttivo altamente centralizzato. Il tempo - che, guardando indietro, sembra così idilliaco - è passato per sempre quando individui o gruppi relativamente piccoli potevano essere completamente autosufficienti. Sono giunto ora al punto in cui posso indicare brevemente ciò che per me costituisce l'essenza della crisi del nostro tempo. Riguarda il rapporto dell'individuo con la società. L'individuo è diventato più consapevole che mai della sua dipendenza dalla società. Ma non vive questa dipendenza come un bene positivo, come un legame organico, come una forza protettiva, ma piuttosto come una minaccia ai suoi diritti naturali, o anche alla sua esistenza economica. Inoltre, la sua posizione nella società è tale che le pulsioni egoistiche della sua costituzione vengono costantemente accentuate, mentre le sue pulsioni sociali, per natura più deboli, si deteriorano progressivamente. Tutti gli esseri umani, qualunque sia la loro posizione nella società, soffrono di questo processo di deterioramento. Inconsapevolmente prigionieri del proprio egoismo, si sentono insicuri, soli e privati dell'ingenuo, semplice, e godimento non sofisticato della vita. L'uomo può trovare un senso nella vita, breve e pericolosa com'è, solo dedicandosi alla società. L'anarchia economica della società capitalista così com'è oggi è, a mio parere, la vera fonte del male. Vediamo davanti a noi un'enorme comunità di produttori i cui membri si sforzano incessantemente di privarsi a vicenda dei frutti del loro lavoro collettivo, non con la forza, ma nel complesso nel fedele rispetto delle regole legalmente stabilite. A questo riguardo, è importante rendersi conto che i mezzi di produzione, vale a dire l'intera capacità produttiva necessaria per produrre beni di consumo e beni capitali aggiuntivi, possono essere legalmente, e per la maggior parte sono, proprietà privata di individui. Per semplicità, nella discussione che segue chiamerò "lavoratori" tutti coloro che non partecipano alla proprietà dei mezzi di produzione, sebbene ciò non corrisponda del tutto all'uso consueto del termine. Il proprietario dei mezzi di produzione è in grado di acquistare la forza lavoro del lavoratore. Usando i mezzi di produzione, l'operaio produce nuovi beni che diventano proprietà del capitalista. Il punto essenziale di questo processo è la relazione tra ciò che il lavoratore produce e ciò che viene pagato, entrambi misurati in termini di valore reale. Nella misura in cui il contratto di lavoro è "gratuito", ciò che il lavoratore riceve è determinato non dal valore reale dei beni che produce, ma dai suoi bisogni minimi e dai requisiti di forza lavoro dei capitalisti in relazione al numero di lavoratori in competizione per lavori. Il capitale privato tende a concentrarsi in poche mani, in parte a causa della concorrenza tra i capitalisti, in parte perché lo sviluppo tecnologico e la crescente divisione del lavoro incoraggiano la formazione di unità di produzione più grandi a scapito di quelle più piccole. Il risultato di questi sviluppi è un'oligarchia del capitale privato il cui enorme potere non può essere efficacemente controllato nemmeno da una società politica organizzata democraticamente. Ciò è vero poiché i membri degli organi legislativi sono selezionati da partiti politici, in gran parte finanziati o altrimenti influenzati da capitalisti privati che, a tutti gli effetti pratici, separano l'elettorato dalla legislatura. La conseguenza è che i rappresentanti del popolo infatti non tutelano sufficientemente gli interessi delle fasce meno privilegiate della popolazione. Inoltre, nelle condizioni esistenti, i capitalisti privati controllano inevitabilmente, direttamente o indirettamente, le principali fonti di informazione (stampa, radio, istruzione). È quindi estremamente difficile, e nella maggior parte dei casi addirittura impossibile, per il singolo cittadino giungere a conclusioni obiettive e fare un uso intelligente dei suoi diritti politici. La situazione prevalente in un'economia basata sulla proprietà privata del capitale è quindi caratterizzata da due principi fondamentali: primo, i mezzi di produzione (capitale) sono di proprietà privata e i proprietari li dispongono come meglio credono; secondo, il contratto di lavoro è gratuito. Naturalmente, in questo senso non esiste una società capitalista pura . In particolare, va notato che i lavoratori, attraverso lunghe e aspre lotte politiche, sono riusciti a garantire una forma un po 'migliorata del "contratto di lavoro gratuito" per alcune categorie di lavoratori. Ma nel suo insieme, l'economia odierna non differisce molto dal capitalismo "puro". La produzione viene svolta a scopo di lucro, non per uso. Non è previsto che tutti coloro che possono e vogliono lavorare siano sempre in grado di trovare un impiego; quasi sempre esiste un "esercito di disoccupati". Il lavoratore ha costantemente paura di perdere il lavoro. Poiché i lavoratori disoccupati e mal pagati non forniscono un mercato redditizio, la produzione di beni di consumo è limitata e la conseguenza è un grande disagio. Il progresso tecnologico si traduce spesso in una maggiore disoccupazione piuttosto che in un alleggerimento del carico di lavoro per tutti. Il motivo del profitto, insieme alla concorrenza tra i capitalisti, è responsabile di un'instabilità nell'accumulazione e nell'utilizzo del capitale che porta a depressioni sempre più gravi. La concorrenza illimitata porta a un enorme spreco di manodopera, Considero questo paralizzante degli individui il peggior male del capitalismo. Tutto il nostro sistema educativo soffre di questo male. Un atteggiamento competitivo esagerato viene inculcato nello studente, che è addestrato ad adorare il successo acquisitivo come preparazione per la sua futura carriera. Sono convinto che ci sia un solo modo per eliminare questi gravi mali, vale a dire attraverso l'istituzione di un'economia socialista, accompagnata da un sistema educativo orientato verso obiettivi sociali. In una tale economia, i mezzi di produzione sono di proprietà della società stessa e sono utilizzati in modo pianificato. Un'economia pianificata, che adegua la produzione ai bisogni della comunità, distribuirà il lavoro da fare tra tutti coloro che possono lavorare e garantirebbe il sostentamento a ogni uomo, donna e bambino. L'educazione dell'individuo, oltre a promuovere le sue capacità innate, tenterebbe di sviluppare in lui un senso di responsabilità per i suoi simili invece della glorificazione del potere e del successo nella nostra società attuale. Tuttavia, è necessario ricordare che un'economia pianificata non è ancora socialismo. Un'economia pianificata in quanto tale può essere accompagnata dalla completa schiavitù dell'individuo. Il raggiungimento del socialismo richiede la soluzione di alcuni problemi socio-politici estremamente difficili: come è possibile, vista la centralizzazione di vasta portata del potere politico ed economico, impedire che la burocrazia diventi onnipotente e arrogante? Come si possono tutelare i diritti dell'individuo e quindi assicurare un contrappeso democratico al potere della burocrazia? La chiarezza sugli obiettivi e sui problemi del socialismo è della massima importanza nella nostra epoca di transizione. Poiché, nelle attuali circostanze, la discussione libera e senza ostacoli di questi problemi è caduta sotto un potente tabù, considero il fondamento di questa rivista un importante servizio.

domenica 23 febbraio 2025

Conosci per sapere!

• "Erano detti ciarlatani in genere coloro che, aiutati da una sciolta parlantina, vendevano un po’ di tutto: arnesi cervellotici, grasso di marmotta per i calli, unguenti per i dolori, sciroppi, minutaglie varie. Erano una delle principali attrazioni delle fiere e dei mercati, ma talvolta passavano anche di casa in casa. Per attirare l’attenzione si servivano di ogni mezzo, in particolare avevano un eloquio attraente: giochi di parole, scherzi, motteggi; esibivano animali insoliti come marmotte, serpenti, scimmie; suonavano qualche strumento o cantavano: a volte erano veri artisti, dotati di diversi talenti. Molti, oltre alla vendita di medicamenti e cose magiche, montavano una tenda sulla piazza dentro la quale cavavano i denti (attività esercitata anche dai barbieri, che erano più dediti ai salassi), o facevano piccole operazioni, cauterizzazioni, producendo una confusione infernale, poiché usavano un espediente al fine di non far sentire le urla dei pazienti a coloro che stavano in attesa, cosa che li avrebbe fatti scappare tutti: assoldavano qualche sfaccendato che nei pressi della tenda suonasse trombe sfiatate, coperchi, latte, in modo da coprire le grida di dolore degli operati. Tipo folcloristico quant’altri mai, il ciarlatano è rimasto lungamente impresso nella memoria collettiva anche dopo la sua scomparsa, restando sinonimo di chiacchierone, spacciatore di panzane e roba inutile, scaltro abbindolatore, confusionario, simpatico marpione, giramondo". [Dizionario dei proverbi italiani, Mondadori 2007]. • “Non vi è nulla al mondo di più comune che l'ignoranza e i ciarlatani.” Cleobulo • “ Il mondo, spesso, è composto di truffatori e di gente a cui piace farsi truffare.” Voltaire • Quanti ciarlatani vi sono nella politica borghese! Eppure ... più lo sono e più hanno successo... • “ La conoscenza è la chiave che apre la porta del sapere.” Einstein " Considerate la vostra semenza: fatti non foste aviver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza.2 Dante Alighieri, Inferno, Canto XXVI

giovedì 20 febbraio 2025

Metti uno specchio nell'anima e lotta per essere felice!

La vita è bella!
La vita può essere tante vite nella vita stessa se si ha la capacità di vivere le diverse fasi e le diverse situazioni con entusiasmo, determinazione, tenacia, costanza, coerenza, utilizzando il passato come esperienza, maestra di vita, e non come rifugio alla propria insoddisfazione, alla propria tristezza, alla sensazione di un’esistenza inerte nel ricordo di epoche trascorse. Molti, a secondo delle età, si accontentano di esistere, non di vivere. “Se vuoi vivere una vita felice, legala a un obiettivo, non alle persone o alle cose.” Albert Einstein “ Siamo fatti anche noi della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni: e nello spazio e nel tempo di un sogno è racchiusa la nostra breve vita.” W. Shakespeare La vita può essere tante vite se si hanno sempre nuovi obiettivi, in coerenza con i propri ideali, i propri sogni, che non hanno scadenza come uno jogurt, ma sono sempre vivi nel cuore e nella mente e, con l’ausilio della scienza, artefici di nuove frontiere. In qualsiasi fase della vita: “ Qualunque cosa tu possa fare, qualunque sogno tu possa sognare, comincia. L’audacia reca in se genialità, magia e forza. Comincia ora.” J.W. Goethe “Faber est suae quisque fortunae.” Sallustio Ogni essere umano utilizzi al meglio la propria intelligenza e la propria energia per utilizzare al massimo ciò che offre la natura ed essere artefice della propria vita, essere attore protagonista, non spettatore non informato o, peggio ancora, burattino in mano ai vari burattinai di ogni specie. La vita è bella! Ogni essere umano merita di viverla in tutto il suo splendore! Bisogna che ogni essere umano si affidi alla ragione, alla scienza, alla conoscenza e si incammini sulla strada che porta a superare le tradizioni: “ La tradizione di tutte le generazioni passate pesa come un incubo sul cervello dei vivi.” K. Marx “ L’ignoranza è la madre delle tradizioni.” Montesquieu I conformismi, le false ideologie, rappresentazioni ipocrite della dimensioni socio-economiche, le accettazioni fideistiche della realtà. Una società che non soddisfa i bisogni primari del genere umano, materiali e spirituali, non è per la vita e merita di essere superata. “ L’uomo dell’avvenire dovrà nascere fornito di un cervello e di un sistema nervoso del tutto diversi da quelli di cui disponiamo noi , esseri ancora tradizionali, copernicani, classici.” E. Montale Per essere felici bisogna essere liberi materialmente e spiritualmente. Il primo passo per essere liberi è superare le paure con il coraggio della conoscenza. La mente ha bisogno di essere nutrita così come la pancia. “Esiste un solo bene, la conoscenza, e un solo male, l’ignoranza.” Socrate Metti uno specchio nell’anima e lotta per essere felice!

mercoledì 12 febbraio 2025

Si potrebbe avere una vita migliore se...

Negli anni trenta la popolazione italiana era di 31 milioni di cittadini e si aveva un monte ore lavoro di 60 miliardi. Oggi la popolazione è di 60 milioni e si lavora 40 miliardi di ore lavoro. La tecnologia ha ridotto e ridurrà sempre più l’utilizzo della forza lavoro umana. Parlare di aumentare l’occupazione con più investimenti pubblici e privati è un inganno, perché sempre più essi sono intensivi, ovvero in tecnologie, e non estensivi, ovvero in esseri umani. Un’ azione concreta per l’aumento dell’occupazione passa solo per la riduzione dell’età pensionabile, per la riduzione dell’orario di lavoro, per un reddito di vita o con qualsiasi nome lo si vuol chiamare. D’altronde esiste già in tanti Paesi europei, ad esclusione di Grecia e di Italia. I pugilatori a pagamento con lingua da schiavi diranno: “ E i soldi?” Ci sono ed in abbondanza. Equitalia ha crediti per mille e duecento miliardi di euro, l’evasione fiscale e contributiva è di circa 500 miliardi di euro, dieci milioni di persone non fanno la dichiarazione dei redditi, altri milioni dichiarano meno di 15.000,00 euro all’anno. Se in Italia vi fossero leggi serie contro l’evasione, magari copiando gli U.S.A. o la Germania, la percentuale sarebbe minima. La realtà vera è che nessun partito politico vuole una lotta seria a questo cancro sociale, pur essendoci strumenti utili allo scopo. Tenendo conto che la spesa sociale dello Stato, senza gl’interessi del debito è di circa 500 miliardi, se tutti pagassero le tasse ci sarebbero soldi per superare tante situazioni difficili dei cittadini ed avere maggiore giustizia sociale.

lunedì 3 febbraio 2025

Il capitale, il tumulto e le liti

Il capitale, il tumulto e le liti "Il capitale - dice uno scrittore della Quarterly Review - fugge il tumulto e la lite ed è timido per natura. Questo è verissimo, ma non è tutta la verità. Il capitale aborre la mancanza di profitto o il profitto molto esiguo, come la natura aborre il vuoto. Quando c'è un profitto proporzionato, il capitale diventa audace. Garantitegli il dieci per cento e lo si può impiegare dappertutto; il venti per cento e diventa vivace; il cinquanta per cento e diventa veramente temerario; per il cento per cento si mette sotto i piedi tutte le leggi umane; dategli il trecento per cento, e non ci sarà nessun crimine che esso non arrischi, anche pena la forca. Se il tumulto e le liti portano profitto, esso incoraggerà l'uno e le altre. Prova: contrabbando e tratta degli schiavi". K. Marx, Il Capitale

La disumanità e la cattiveria crescono...

Sempre più nel mondo cresce la disumanità.
La cattiveria va di moda. I suoi rappresentanti più compiono azioni malvagie e più sono ammirati. Invece di provare vergogna, “arzuti e pettorilli”, si mostrano tronfi e orgogliosi. La storia nulla ha insegnato! Il colmo è che tante persone, vittime di tali azioni, si conformano a questi atti e quasi li ammirano. “ O gente umana per volar su nata, perché a poco vento così cadi?” Dante Alighieri “ O cecità dei grandi, camminano come fossero eterni, grandi su nuche piegate, sicuri dei pugni necessari, confidenti nel potere che già dura da tanto. ma tanto tempo non è un’eternità.” Bertolt Brecht Ma la storia non concede pause. Va avanti, tenendo conto che “l’acqua del fiume non è mai la stessa.” Possono credersi al massimo del potere, ma non si rendono conto, altezzosi, che si stanno “scavando la fossa.” La coscienza, nei cuori e nella mente attualmente di poche persone, si allargherà sempre più, proprio grazie alla loro vanagloria e alla conoscenza diffusa, e l’umanità intera si accingerà a vedere le stelle. Non c’è futuro per una società che inizia ogni giorno al suono di una sveglia, al grido di un’imposizione, alla dittatura di modi di vivere, di comportarsi, di comunicare, di rapportarsi socialmente, ad una vita, per tante persone, non vissuta, ma subita, alla divisione in razze, colore della pelle, a credi vari. La vita è bella e tutti meritano di viverla in tutto il suo splendore! Saremo padroni del tempo E gli daremo un senso!