sabato 24 aprile 2021
L' umanità deve ritrovare l'umanità.
L’umanità deve ritrovare l’umanità.
Mercoledì 21 aprile 2021 l’umanità in quel d’Europa ha mostrato ancora una volta la sua disumanità.
“ Niente è più disumano del chiudere la porta quando qualcuno ti chiede aiuto e ti implora di poter entrare. Abbiamo perso la bellezza di aprire le braccia verso chi ci corre incontro.”
Anonimo
130 esseri umani sono stati lasciati morire nel mar Mediterraneo, altri 40 su un’altra imbarcazione sono dispersi. Nonostante Mrcc Italia, Rcc Malta, la Guardia Costiera libica, l’Unhcr, allertati da Alarm Phone, fossero a conoscenza della situazione di pericolo delle persone in mare, nessuno è intervenuto. Ancora una volta il sistema mostra lo spregio per la vita umana, che con parole altisonanti i suoi rappresentanti dicono di mettere al primo posto in ogni situazione.
“ Quello che succede ogni giorno non trovatelo naturale. Di nulla sia detto “è naturale” in questi tempi di sanguinoso smarrimento, ordinato disordine, pianificato arbitrio, disumana umanità, così che nulla valga come cosa immutabile.”
B. Brecht, L’eccezione e la regola.
Mentre la produzione mondiale potrebbe soddisfare il doppio della popolazione del pianeta, assistiamo a due miliardi di persone sottoalimentate, 50 milioni di bambini che ogni anno muoiono d’inedia, condizioni di lavoro disumane e di vera schiavitù per milioni di esseri umani, non esclusi i bambini. Sempre più cresce la ricchezza di pochi e la miseria di molti.
L’attuale sistema è privo di ogni umanità con il profitto sul trono e l’essere umano, che vive solo con la vendita del proprio cervello o delle proprie braccia, sotto il tallone di ferro.
Gli esseri umani, che dentro il cuore e la mente hanno ancora il sentimento di umanità e di amore per la propria specie, devono mettere uno specchio nell’anima e lottare per far sì che ogni persona di qualsiasi razza, di qualsiasi colore della pelle, di qualsiasi nazione possa essere felice, uscendo dall’inferno del sistema attuale per andare a rivedere le stelle.
“La finalità del carattere mercantile è il completo adattamento, in modo da apparire desiderabile in tutte le situazioni del mercato delle personalità. E le personalità del carattere mercantile neppure “hanno” un io (come pure l’avevano gli individui del diciannovesimo secolo) al quale aggrapparsi, che appartenga loro, che sia immutabile, perché devono continuamente mutare il proprio io in obbedienza al principio: «Io sono come voi mi desiderate» […] Costoro hanno scarso interesse (almeno a livello conscio) per questioni filosofiche o religiose, quali a esempio perché si vive e perché si procede in una direzione anziché in un’altra; hanno il loro io, grande e in continuo mutamento, ma nessuno di loro ha un sé, un nucleo, un sentimento di identità. La «crisi di identità» della società moderna è in realtà prodotta dal fatto che i suoi membri sono divenuti strumenti privi di un sé, la cui identità riposa sulla loro partecipazione alle aziende (o ad altre enormi burocrazie). Dove non si abbia un sé autentico, non può esservi identità”
Erich Fromm, Avere o essere?
Senza un’identità, l’individuo si svaluta, decade e muore. Dentro. Si diventa come carne all’ammasso, senza sentimenti.
Se si vuole vivere una vita vera, che non sia solo esistenza, una vita che metta in risalto i sentimenti pìù profondi, le emozioni, i sogni, bisogna mettere in campo ogni energia fisica e mentale per giungere alla frontiera di un mondo nuovo dove ogni essere umano non sia solo una merce, ma una persona degna di vivere una vita che soddisfi ogni suo bisogno materiale e spirituale.
La luce per uscire dal labirinto di disumanità del sistema attuale è nella conoscenza.
“ Esiste un solo bene, la conoscenza, ed un solo male, l’ignoranza”
Socrate
martedì 20 aprile 2021
In piedi Signori...
In piedi, Signori, davanti ad una Donna (William Shakespeare)
Per tutte le violenze consumate su di Lei,
per tutte le umiliazioni che ha subito,
per il suo corpo che avete sfruttato,
per la sua intelligenza che avete calpestato,
per l'ignoranza in cui l'avete lasciata,
per la libertà che le avete negato,
per la bocca che le avete tappato,
per le ali che le avete tagliato,
per tutto questo:
in piedi, Signori, davanti ad una Donna.
E non bastasse questo, inchinatevi ogni volta che vi guarda l'anima,
perché Lei la sa vedere,
perché Lei sa farla cantare.
In piedi, Signori, ogni volta che vi accarezza una mano,
ogni volta che vi asciuga le lacrime come foste i suoi figli,
e quando vi aspetta, anche se Lei vorrebbe correre.
In piedi, sempre in piedi, miei Signori,
quando entra nella stanza e suona l'amore
e quando vi nasconde il dolore e la solitudine
e il bisogno terribile di essere amata.
Non provate ad allungare la vostra mano per aiutarla
quando Lei crolla sotto il peso del mondo
Non ha bisogno della vostra compassione.
Ha bisogno che voi vi sediate in terra vicino a Lei
e che aspettiate che il cuore calmi il battito, che la paura scompaia,
che tutto il mondo riprenda a girare tranquillo.
E sarà sempre Lei ad alzarsi per prima
e a darvi la mano per tirarvi su
in modo da avvicinarvi al cielo,
in quel cielo alto dove la sua anima vive
e da dove,
Signori,
non la strapperete mai.
giovedì 15 aprile 2021
Il dolce sapore del cielo. Un mondo nuovo per una nuova umanità.
“Oh, ma che trovo mai qua sotto… oro?
Oro giallo, lucente, oro prezioso?…
No, dèi, non formulo voti insinceri:
radici ho chiesto solo, chiari cieli!
Tant’oro come questo è sufficiente
a fare nero il bianco, bello il brutto,
giusto l’ingiusto, nobile il volgare,
giovane il vecchio, vile il coraggioso.
O dèi, perché? Che cos’è questo, o dèi?
Questo allontanerà dai vostri altari
i vostri preti e i vostri servitori,
e strapperà l’origliere di sotto
la testa dei malati ancora vigorosi.
Questo giallo ribaldo cucirà
insieme e romperà
a vicenda ogni fede,
renderà sacro l’empio,
farà gradita l’aborrita lebbra,
metterà i ladri nei posti migliori e
darà loro titoli onorifici e inchini
e generale approvazione
dai senatori seduto a consesso.
È lui che fa che l’avvizzita vedova si rimariti:
lei, cui l’ospedale e l’ ulcerose piaghe
in tutto il corpo fanno
apparire cosa disgustosa,
l’oro imbalsama,
rende profumata e
riconduce ai giorni dell’aprile.
Vieni, vieni, metallo maledetto,
tu, puttana di tutto l’uman genere,
motivo di discordia tra le genti,
saprò ben io quel che fare di te,
in modo cònsono alla tua natura.”
Shakespeare, Timone di Atene, atto IV, scena III.
“L’oro è una cosa meravigliosa!
Chi lo possiede e’ padrone
di tutto quello che desidera.
Con l’oro si può persino mandare
le anime in paradiso!”
Cristoforo Colombo, lettera dalla Giamaica.
“…In verità per l’uomo nulla ha poteri
così tristi e larghi come il denaro,
che città devasta , uomini strappa alle loro case,
istrutte le menti pure a concepir il male,
le perverte e le muta,
e del diritto indica il passo
e l’esperienza schiude di ogni empietà.”
Sofocle, Antigone.
Il denaro, in quanto possiede la proprietà di comprar tutto, di appropriarsi di tutti gli oggetti, è dunque l' oggetto in senso eminente. L'universalità della sua proprietà costituisce l'onnipotenza del suo essere, esso è considerato, quindi come ente onnipotente...Il denaro è il mediatore fra il bisogno e l'oggetto, fra la vita e il mezzo di vita dell'uomo. Ma ciò che media a me la mia vita mi media anche l'esistenza degli altri uomini. Per me è questo l'altro uomo. (---) Tanto grande è la mia forza quanto grande è la forza del denaro. Le proprietà del denaro sono mie, di me suo possessore: le sue proprietà e forze essenziali. Ciò ch'io sono e posso non è dunque affatto determinato dalla mia individualità. Io sono brutto, ma posso comprarmi la più bella fra le donne. Dunque non sono brutto, in quanto l'effetto della bruttezza, il suo potere scoraggiante, è annullato dal denaro. Io sono, come individuo storpio, ma il denaro mi dà 24 gambe: non sono dunque storpio. Io sono un uomo malvagio, infame, senza coscienza, senza ingegno, ma il denaro è onorato, dunque lo è anche il suo possessore. Il denaro è il più grande dei beni, dunque il suo possessore è buono: il denaro mi dispensa dalla pena di esser disonesto, io sono, dunque, considerato onesto; io sono stupido, ma il denaro è la vera intelligenza di ogni cosa: come potrebbe essere stupido il suo possessore? Inoltre questo può comprarsi le persone intelligenti, e chi ha potere sulle persone intelligenti non è egli più intelligente dell'uomo intelligente? Io, che mediante il denaro posso tutto ciò che un cuore umano desidera, non possiedo io tutti i poteri umani? Il mio denaro non tramuta tutte le mie deficienze nel loro contrario? (---) Poichè il denaro, in quanto concetto esistente e attuale del valore, confonde e scambia tutte le cose, esso costituisce la generale confusione e inversione di ogni cosa, dunque il mondo sovvertito, la confusione e inversione di tutte le qualità naturali e umane. (---) Il denaro, questa astrazione vuota ed estraniata della proprietà, è stato fatto signore del mondo. L'uomo ha cessato di essere schiavo dell'uomo ed è diventato schiavo della cosa; il capovolgimento dei rapporti umani è compiuto; la servitù del moderno mondo di trafficanti, la venalità giunta a perfezione e divenuta universale è più disumana e più comprensiva della servitù della gleba dell'era feudale; la prostituzione è più immorale, più bestiale dello ius primae noctis . La dissoluzione dell'umanità in una massa di atomi isolati, che si respingono a vicenda, è già in sè l'annientamento di tutti gli interessi corporativi, nazionali e particolari ed è l'ultimo stadio necessario verso la libera autounificazione dell'umanità.
K. Marx, Manoscritti economico filosofici .
VENTICINQUE ANNI DOPO... 1° febbraio dell’anno 2028.
«Nonna... nonna... nonna...! Vieni, Sharon si è svegliata e sta
piangendo!».
Giulia rientrò dal giardino in casa e corse verso la nipotina
nella culla. La prese in braccio.
«Sono qua Sharon... non piangere! Adesso ti preparo la pappa
».
In quel momento un’auto entrò nel giardino e si fermò davanti
al box.
«È arrivato il nonno!» gridò Jonathan, mentre correva fuori
verso Massimo.
Il bambino saltò letteralmente in braccio all’uomo, che, felice,
lo strinse a sé e lo baciò.
«Ciao, Jonathan!».
«Ciao, nonno!».
Insieme, mano nella mano, entrarono in casa.
«Ciao, Giulia!» disse l’uomo, rivolto alla donna, mentre la
baciava sulla guancia.
«Ciao, Massimo! Gli esami... tutto bene?».
«Sì, tutto bene. Pare che sia in piena forma, tenendo conto
dei miei ottant’anni».
«Bene... Meglio così. Fernanda e John hanno telefonato, dicendo
di essere all’aeroporto. Tra poco saranno qui. Tienimi
un attimo Sharon, mentre le preparo la pappa. Poi iniziamo
a prepararci per la festa. A mezzogiorno dobbiamo essere a
Tor Vergata. Oggi sono venticinque anni del Mondo Nuovo e
voglio proprio godermi questo grande giorno!».
«Anch’io voglio godermi questo anniversario! Sharon, vieni
dal nonno!». L’uomo prese in braccio la nipote e si accomodò
sul divano, con accanto Jonathan. Pochi minuti dopo il cibo
era pronto. «Dalla a me. Gliela faccio mangiare io» disse Massimo.
La bambina mangiò con foga e dopo, sazia, sorrideva alle
smorfie del nonno, che era felice di ridere e giocare con i suoi
nipoti.
Jonathan, di quattro anni, e Sharon, di un anno, erano i figli
di Fernanda, la loro figlia, che era, ormai, nel ventiseiesimo
anno di età, e di John Neale, della stessa età, newyorkese di
nascita.
Si erano conosciuti cinque anni prima a una conferenza sulla
situazione climatica del pianeta a Parigi e si erano subito
innamorati.
Fernanda era Presidente del Consiglio dell’Europa, John era
responsabile del Centro Europeo di Climatologia.
La figlia di Giulia e Massimo era uno dei cinque Presidenti
continentali.
A livello superiore c’era il Consiglio Mondiale, di cui era
Presidente Giulia e vicePresidente Massimo.
Il Consiglio mondiale era composto da venti membri, quattro
per continente, che rispondeva a un’assemblea di cento
membri, venti per continente.
La sede era a Roma.
I Consigli continentali erano composti dallo stesso numero
di persone, così come le assemblee e avevano la sede a Roma
per l’Europa, a Pechino per l’Asia, a New York per l’America,
a Sidney per l’Australia, a Il Cairo per l’Africa.
C’erano poi i Consigli regionali, composti da dieci membri
e con un’assemblea di cinquanta persone; i Consigli cittadini,
composti con gli stessi criteri di quelli regionali, e nelle città,
oltre i centomila abitanti, i Consigli di zona, composti da cinque
persone con un’assemblea di venticinque persone.
Tutti questi consessi elettivi avevano il compito di amministrare
la nuova società con l’unico obiettivo di garantire benessere
a tutti e godimento pieno della loro vita e dei beni
prodotti.
Coloro che venivano eletti a queste e altre responsabilità,
all’interno della società, erano revocabili in qualsiasi momento.
Avevano gli stessi diritti di ogni membro della società e gli
stessi doveri. Dovevano perciò dare il loro contributo produttivo
e dovevano partecipare alle ore di studio obbligatorio. La
loro responsabilità era intesa come un servizio alla società e,
chi accettava i vari incarichi, lo faceva per amore della dimensione
sociale in cui viveva e per amore verso gli altri cittadini.
Dedicava tanto tempo agli altri, ma era sempre uno di loro.
La nuova società era basata sul concetto: “Da ognuno secondo
le sue capacità, a ognuno secondo le sue necessità”.
In venticinque anni era sorto un Mondo Nuovo, sempre sognato
da ogni essere umano, che aveva seppellito le barbarie
del passato.
Ogni persona aveva un lavoro, a cui si doveva accedere compiuti
i diciotto anni.
Il tempo di lavoro era di due ore al giorno dal lunedì al venerdì.
Si lavorava, quindi, dieci ore alla settimana.
Due ore ancora della giornata erano dedite allo studio, sempre
dal lunedì al venerdì.
La nuova società voleva persone, che raggiungessero le più
alte vette della conoscenza e dava molta importanza a essa,
come fonte di sapere e di libertà.
Dopo aver dedicato al lavoro e allo studio quattro ore totali
della giornata, ognuno era libero di fare ciò che più gli piacesse.
I lavori più alienanti e faticosi erano svolti dai robot, impostati
per fare i compiti loro assegnati, che sembravano simili agli esseri
umani, dialogavano come esseri umani, ma non lo erano.
L’età lavorativa aveva termine a cinquant’anni per le donne e
a cinquantacinque per gli uomini.
Ogni cittadino era esonerato dal prestare lavoro e dal dedicarsi
allo studio per sei settimane all’anno.
In questo periodo di riposo poteva viaggiare, visitare ogni posto
del mondo, soggiornare in ogni luogo, con la possibilità di
usufruire di alloggi o dei Centri Alberghieri.
La stessa cosa si poteva fare ogni giorno, svolti i compiti lavorativi
e di studio, visto il livello di eccellenza dei trasporti,
che permettevano, tramite i Celesti 120, aerei velocissimi, di
raggiungere le località più lontane in pochissimo tempo.
Il tipo di organizzazione economica e sociale permetteva poi
di svolgere i propri compiti di lavoro e di studio in qualsiasi
parte del mondo.
Era possibile, quindi, per ogni cittadino, con un preavviso
di una settimana, dare il proprio contributo sociale e di studio
una settimana a Roma, una a Los Angeles, una a Mosca, una
Sidney.
In quarantasei settimane di lavoro ogni membro della società
poteva visitare quarantasei posti diversi del mondo.
La lingua non era più un problema.
Le nuove generazioni parlavano tutte l’inglese, scelto, per la
sua semplicità linguistica, come lingua ufficiale.
Le vecchie lo avevano imparato molto velocemente, avendo
la mente sgombra da ogni problema, in appositi corsi.
Nella nuova società non c’era denaro.
Non c’erano, quindi, stipendi, non c’erano banche, assicurazioni,
non c’era niente di collegabile al “vil denaro”.
Non c’erano più merci da vendere o da comprare, non vi
erano, di conseguenza, prezzi, che determinavano il valore di
una merce.
La produzione era esclusivamente per il consumo, per soddisfare
le necessità dei cittadini!
L’essere umano e i suoi bisogni materiali e spirituali era stato
messo al centro di ogni azione economica e sociale.
Ogni persona doveva solo dare il suo contributo produttivo
per ricevere tutto quello che a lei necessitava.
D’altronde i beni prodotti erano di una tale quantità che
ogni membro della società poteva usufruirne in abbondanza,
anche oltre le necessità.
I Centri produttivi avevano dei responsabili di centro e di
settore.
Costoro erano eletti dai lavoratori, che sceglievano chi ritenevano
più capace di svolgere il compito.
Lo Stato, che nei secoli, era stato sinonimo d’imposizione
della volontà di pochi su molti si era andato, negli anni, sgretolando.
Ormai era solo un ricordo!
Un organo molto importante, a cui si accedeva per elezione
revocabile, era l’Amministrazione sociale.
Questa struttura era responsabile di gestire l’anagrafe della
popolazione, la produzione e la distribuzione dei prodotti, i
Centri ristoro, i Centri alberghieri, la sanità, la scuola e i trasporti.
Era un organismo tecnico-organizzativo al servizio del bene
comune e di ogni cittadino.
L’Amministrazione sociale mondiale era strutturata con
gradi di responsabilità cittadina, regionale, continentale, che
rispondevano ai vari livelli dei Consigli.
Tutto veniva gestito con strumenti altamente tecnologici e
con l’ausilio di robot.
Non ci si interessava di altro!
I cittadini, dopo aver svolto il proprio lavoro produttivo e di
studio, erano liberi!
Non avevano imposizione su alcuna scelta individuale!
Ognuno poteva scegliere di vivere la vita che più desiderava.
Potevano unirsi con chi volevano e avere quanti figli sognassero.
Nel periodo di maternità la donna era esonerata dal lavoro.
Dopo la nascita del bambino il periodo di esonero era di un
anno.
Negli ultimi anni c’era stato un aumento delle unioni e delle
nascite.
Nel vecchio mondo un certo Edgar Lee Masters aveva detto:
“In cielo non ci sono matrimoni, ma l’amore sì”.
Nel cielo del Mondo Nuovo era proprio così, c’era tanto
amore e si cercava sempre più l’amore grande, immenso.
Le nascite aumentavano perché non c’era più il terrore del
domani per sé e per i propri figli, ma solo serena fiducia in un
futuro sempre più straordinario.
Questo amore portava le persone ad avere un rapporto diverso
dal passato, basato sull’affetto, sulla stima, sul rispetto.
I Centri ristoro erano sempre pieni.
Le persone volevano stare fuori casa, insieme agli altri, dialogare
con loro, godere della compagnia.
Le strade delle città non erano mai vuote e si respirava la
gioia di vivere ogni minuto della propria vita in modo intenso.
Si assisteva a canti, balli, voglia di essere felici!
Avevano preso piede ultimamente in ogni area del globo
le gare letterarie, che organizzavano gli stessi cittadini e che
riempivano i palazzi dello sport.
La gara consisteva in due sfidanti, che si facevano le domande
l’un l’altro sull’intero scibile del sapere umano con un
arbitro, che garantiva la giustezza o meno delle risposte.
La sfida poteva durare molte ore ed era successo che alcune
fossero durate giorni.
Il vincitore si aggiudicava, soltanto, la soddisfazione del sapere.
Poteva essere poi sfidato da chiunque lo volesse.
Il Consiglio mondiale, vista la rapida diffusione di questo
gioco letterario, stava pensando d’inserirlo nelle discipline
sportive e di organizzare dei veri campionati a livello regionale,
continentale, mondiale.
Pensava anche d’inserirlo nelle discipline olimpioniche
come prima gara a livello mentale in un insieme di discipline
fisiche.
Non che per la nuova società lo sport non fosse importante,
visto che tutti, praticamente, erano divenuti sportivi praticanti,
ma riteneva giusto dare spazio sia alla cura del corpo sia alla
cura della mente.
Per la nuova realtà sociale la salute del corpo era importante
quanto quella della mente.
Questa, per miliardi di persone, diveniva ogni giorno più
importante nel momento in cui capivano che un corpo, seppure
ben allenato, avrebbe potuto essere schiavo; una mente,
invece, allenata al sapere non lo sarebbe stata mai.
Il sistema sanitario era stato strutturato in modo da garantire
a ogni cittadino livelli di difesa della salute eccellenti.
“L’angelo custode” della salute dei cittadini era il “medico
amico”, che aveva la responsabilità della salute di duecento
persone.
Ogni cinquemila persone c’era un centro diagnostico specialistico,
chiamato Centro della salute, che garantiva visite
specialistiche e diagnostiche, in stretto collegamento con il
“medico amico”.
Ogni venticinquemila cittadini c’era un ospedale con cinquecento posti letto, in stretto collegamento con il “medicoamico” e il Centro della salute.
Gli ospedali e i centri, dall’esterno, non sembravano case di
cura, ma dei residence con intorno tanto verde.
Nella struttura ospedaliera c’erano stanze per accogliere i
congiunti del malato, che, volendo, potevano usufruire anche
dell’alimentazione.
L’ospedale era un centro di cultura, di ricerca scientifica, di
aggiornamento professionale continuo.
Ogni cittadino era in questo modo attentamente seguito
nella difesa della sua salute, avendo, oltretutto, l’obbligo di
fare esami generali al suo fisico ogni sei mesi.
Non c’erano liste di attesa e le visite specialistiche o eventuali
ricoveri in ospedale avvenivano in giornata.
Coloro che erano impossibilitati a muoversi ricevevano l’assistenza
domiciliare giorno e notte.
I più anziani non credevano ai loro occhi!
Non avevano mai visto un’assistenza sanitaria di questo
tipo!
La scuola metteva al centro del suo obiettivo l’innalzamento
della conoscenza umana.
Dai due anni ai cinque anni i bambini frequentavano la
scuola per l’infanzia, venendo dotati subito di un computer
per apprenderne l’uso, dai cinque ai dieci la scuola primaria,
dai dieci ai tredici la scuola secondaria, dai tredici ai diciotto
la scuola terziaria.
Queste fasi scolastiche erano obbligatorie, gli asili dalla nascita
ai due anni erano facoltativi.
La scuola, nelle sue varie fasi, aveva un orario complessivo
di otto ore, dalle otto e trenta alle sedici e trenta dal lunedì al
venerdì.
Pranzo e merenda venivano consumati nel Centro ristoro
scolastico.
Era una palestra di apprendimento, ma anche di sport e di
giochi. Era una palestra per far crescere la socialità di ogni
individuo.
Non esistevano compiti da fare a casa, tutto veniva svolto
nelle otto ore.
I programmi toccavano tutto lo scibile del sapere umano,
senza nascondere nulla della storia dell’umanità, affinché
ognuno con il suo sapere liberamente raggiungesse la verità.
Non esistevano voti, né bocciature, né promozioni, eppure
l’impegno degli studenti era massimo nel cercare di scoprire
nella conoscenza le strade dell’amore e della libertà.
Il compito degli insegnanti era quello di costruire persone
libere nella conoscenza e nel sapere, persone con l’animo
nobile, che arrivassero a conoscere bene anche se stessi e si
dessero al prossimo con amore, con rispetto.
Dopo i diciotto anni, iniziava il periodo lavorativo e ognuno
sceglieva in quale ambito operare secondo i suoi desideri e
secondo le sue attitudini.
Questa scelta non era definitiva. Se qualcuno avesse espresso
il desiderio di cambiare, avrebbe potuto.
I trasporti erano al servizio della comunità e venivano organizzati
in modo da servire le esigenze comuni in modo ottimale.
Tutti i mezzi di trasporto pubblico o privato utilizzavano
come carburante l’energia solare con batterie, che si ricaricavano
in continuazione.
La stessa energia solare era utilizzata per la produzione e per
il riscaldamento delle abitazioni e degli uffici.
Nel trasporto pubblico c’erano treni, aerei, elicotteri, bus.
Erano tutti dotati di ogni conforto e garantivano un viaggio
comodissimo.
Le grandi città avevano reti estese di metropolitana, che in
poco tempo collegavano le varie zone.
Ogni persona poteva avere anche più di un’auto. L’Amministrazione
non aveva posto limiti.
Ma i più, stranamente, spesso preferivano il trasporto pubblico
per la comodità, i tempi di percorrenza, la possibilità di
stare insieme ad altre persone.
La rete stradale e autostradale aveva avuto un forte incremento
negli ultimi anni e aveva raggiunto livelli di collegamenti
eccezionali.
Ogni città aveva una tangenziale, in certi casi due, in altri tre,
in altri ancora quattro. Il traffico era sempre scorrevole. Le
strade cittadine erano state impostate in stile romano ed erano
tutte costituite da grandi viali alberati.
I semafori non esistevano più. Agli incroci vi erano solo rotonde
con in mezzo coltivazioni di fiori, che le rendevano bellissime.
Le città erano cambiate, così come pure i paesi.
Non esistevano più case vecchie, brutte e fatiscenti.
Non esistevano grattacieli.
Erano rimasti solo i monumenti e abitazioni di valore storico,
simboli di epoche trascorse.
Le città erano composte tutte da villette singole con cinquecento
metri di area verde intorno.
In ogni zona erano state costruite delle grandi oasi verdi con
dei laghetti artificiali al loro interno.
Nelle stesse aree erano compresi campi da calcio, campi da
tennis, piste ciclabili, isole ginniche, che ogni cittadino poteva
utilizzare liberamente.
In ogni area verde c’era un Centro ristoro.
I più anziani erano strabiliati nel vedere le nuove città!
Dai diciotto anni in poi ogni cittadino aveva diritto alla casa,
oltre che al lavoro e all’auto.
Poteva decidere di abitare da solo o con chi volesse.
Per l’alimentazione, i vestiti, gli elettrodomestici e qualsiasi
altro bene desiderato ogni cittadino poteva utilizzare i Centri di
rifornimento, grandi strutture commerciali, poste intorno alle
città.
Gli anziani potevano ordinare i beni desiderati per telefono e
ricevere la consegna a domicilio.
Per lo più, però, le persone per l’alimentazione si recavano ai
Centri ristoro, sparsi per le città, i paesi, lungo le autostrade e le
strade più trafficate.
Preferivano stare con gli altri, più che con se stessi!
In questi centri i lavori di preparazione, di cottura, di servizio
erano affidati ai robot, così come i lavori di pulizia.
Ogni persona aveva in dotazione un robot, che si occupava di
ogni tipo di lavoro domestico.
Il Mondo Nuovo aveva liberato, finalmente, l’essere umano e,
soprattutto le donne dal lavoro domestico, un’occupazione tra
le più alienanti!
Le persone, che decidevano di avere un rapporto e si mettevano
insieme, non perdevano la loro casa.
Se avevano dei figli, che, prendevano il cognome della madre
e del padre, potevano tenerli in casa oppure, come dicevamo
sopra, portarli all’asilo, prima che iniziasse il periodo scolastico
obbligatorio.
Fino ai quattordici anni, oltre gli orari quotidiani dell’asilo e
delle scuole, c’era la possibilità di lasciare i figli, anche per alcuni
giorni, nei Centri per l’infanzia.
In caso di scelte di vita dei genitori non contemplanti un percorso
comune della loro esistenza essi potevano scegliere di
tenere i bambini o affidarli ai Centri per l’infanzia, i quali si
prendevano cura con amore della loro vita.
In qualsiasi momento comunque i genitori o un singolo genitore
poteva riportare nella sua abitazione il proprio figlio.
In caso di maternità indesiderata la donna era l’unica a poter
decidere se accettarla o meno.
Negli ultimi anni i casi di maternità indesiderata erano scomparsi.
La nuova società difendeva la vita di ogni essere umano e dei
bambini, in particolare, garantendo a tutti, in qualsiasi età, il
presente e il futuro.
La nascita di un bambino era sempre un momento di gioia,
mai di dramma.
La donna, al pari dell’uomo, assumeva sempre più nella società
un ruolo attivo, responsabile e ambedue, seppur diversi
fisiologicamente, si vedevano come esseri umani e parte attiva
di una nuova realtà, che si stava costruendo per il bene di tutti.
Nell’ultimo periodo la percentuale di anziani era diminuita,
proprio grazie a un’ondata imponente di nascite.
Costoro, dopo la pensione, dovevano continuare a frequentare
le due ore giornaliere di studio.
Il percorso della conoscenza non doveva mai essere abbandonato!
A meno che non ci fosse qualche impedimento fisico
o di salute.
In ogni zona delle città, in ogni paese, c’erano tanti Centri del
tempo libero, ove si organizzavano gite, serate gastronomiche,
letterarie, teatrali, cinematografiche, di ballo.
Questi luoghi erano sempre pieni di persone di qualsiasi età
e anche di anziani.
Gli anziani soli e malati erano seguiti da persone qualificate
a rendere la loro vita meno dura nelle loro abitazioni.
Gli ospizi erano stati aboliti, ritenendoli poco adatti a un
percorso di vita sereno.
Le arti e la cultura viaggiavano su livelli eccelsi.
Era un fiorire di nuovi scrittori, nuovi poeti, nuovi pittori,
nuovi scultori, nuovi autori di opere teatrali, cinematografiche,
musicali!
Tutte le opere degli artisti erano portati a conoscenza dei
cittadini, che erano ansiosi e bramosi di scoprirle e godere
delle emozioni, delle riflessioni, delle felicità di ogni prodotto
artistico.
D’altronde questo era l’obiettivo degli artisti: dare emozioni,
riflessioni, felicità al fruitore dell’opera.
I teatri, i cinema, le sale musicali, gli incontri letterari, le mostre
artistiche vedevano sempre una massiccia partecipazione
dei cittadini, che preferivano assistere a eventi dal vivo.
La televisione aveva assunto un carattere informativo culturale.
Non c’era più la pubblicità. Non c’era più nulla da vendere!
C’erano programmi informativi, a carattere scientifico, musicali,
teatrali, film, documentari, ma in casa si stava poco.
Si preferiva stare insieme agli altri e partecipare agli eventi.
L’informazione sia televisiva sia della carta stampata era basata
sul racconto dei fatti, sulla conoscenza globale.
L’obiettivo era di mettere ognuno in condizione di capire e
di promuovere la crescita delle menti e dei cuori delle persone.
L’informazione doveva formare i cittadini alla conoscenza
non all’ignoranza.
Nel Mondo Nuovo l’attività sportiva era ritenuta molto importante
per la salute fisica e psichica delle persone di ogni
età.
Le città erano dotate di innumerevoli Centri dello sport, ove
ognuno, fin da bambino, poteva avvicinarsi all’attività sportiva
preferita.
Tutte le persone facevano attività sportiva almeno tre volte
alla settimana.
Lo sport agonistico aveva campionati cittadini, regionali,
continentali, mondiali.
Veniva praticato in strutture coperte e climatizzate ed era
molto seguito.
Sia i protagonisti attivi dei vari sport sia gli spettatori vedevano
la competizione più come espressione delle proprie
qualità tecniche che come gara da vincere a ogni costo.
Si partecipava per passione e voglia di provare piacere nell’essere
protagonista o spettatore e un bel gesto tecnico, spesso,
dava più emozione di una vittoria immeritata.
Gli sportivi praticanti si dedicavano al loro sport preferito, dopo
aver dato il loro contributo sociale e culturale alla comunità.
Nella nuova società non si producevano armi e quelle che
c’erano erano state distrutte.
Non c’era un esercito e nemmeno un tipo di guardia qualsiasi.
Ogni cittadino era responsabile della sua società.
Molto importante era ritenuto il rapporto con la natura.
Non si utilizzavano fonti di energia inquinanti, si curavano
il territorio, i monti, i mari, i fiumi.
La natura era amata e rispettata, come meritava.
Ogni cittadino pensava che prendersi cura di essa era come
prendersi cura di se stessi, perché l’essere umano non poteva
fare a meno della natura.
Il Mondo Nuovo aveva ricreato le basi di un rapporto uomo
natura sereno, rispettoso, pieno di amore.
L’essere umano nella nuova società progrediva ogni giorno
di più in ogni campo.
Il cancro era stato debellato, l’AIDS pure.
Non esistevano più malattie mortali!
Erano tutte curabili!
La vita media era ormai di cento anni e le previsioni erano
che sarebbe cresciuta al ritmo di due anni per anno.
Nel 2053 sarebbe stata di centocinquant’anni!
Non c’erano più morti sul lavoro, né per droga, né per alcool.
Gli incidenti stradali erano molto rari e, quando accadevano,
a causa di un materiale speciale, scoperto nel 2015, il Prolin,
usato nella costruzione delle auto, non vi erano danni alle persone.
Si moriva solo di morte naturale, praticamente!
L’essere umano aveva trovato, finalmente, la sua vera dimensione,
in cui esprimere il massimo di se stesso, libero di
volare nello spazio dell’amore e della conoscenza!
Il superamento di ogni bisogno, la conquista del cielo, sogno
di ogni epoca umana era realtà.
Coloro che avevano visto il passato ricordavano con terrore
quell’epoca e la cancellavano subito dalla mente.
Tanto forte era il crampo che prendeva lo stomaco!
I nati nella nuova epoca, quando leggevano certi libri o vedevano
certi film erano restii a credere che il mondo avesse
visto realtà di quel tipo.
Non osavano immaginare che esseri umani potessero utilizzare,
come schiavi o finti liberi, altri esseri umani per avere dei
miseri pezzi di carta o dei pezzi di materiale ferroso.
Non osavano immaginare che tanta gente non avesse un lavoro,
una casa; che tante persone non mangiassero abbastanza
e altre morissero addirittura di fame; che i bambini morissero
per mancanza di cibo.
Non osavano immaginare che esseri umani uccidessero altri
esseri umani per motivi futili e banali; che ci fossero le guerre;
che si distruggessero con le bombe tesori millenari, testimoni
della storia dell’umanità; che un liquido brutto e nero fosse
così importante.
Non osavano immaginare che donne e uomini vendessero
il loro corpo e, a volte, anche la loro anima per apparire
in televisione, sui giornali; che le persone non esprimessero
quello che sentivano nei cuori, ma solo quello che conveniva
ai loro interessi; che un organo, chiamato Stato, imponesse
tasse e decidesse sulle scelte delle persone in tema di rapporti
d’amore e di vita, decidesse il giusto e l’ingiusto; che si nascondesse
la conoscenza e si diffondesse l’ignoranza; che un
malato dovesse pagare per essere curato; che la scuola non
insegnasse sapere, ma ideologie; che un laureato non trovasse
occupazione; che non si lavorasse o si lavorasse a segmenti; che
l’informazione fosse solo al servizio di chi godeva del Guadagno
e nascondesse la verità; che chi produceva era povero e chi
non produceva era ricco; che si andasse in pensione, ormai,
vecchi, e, dopo una vita di lavoro, fosse dura tirare avanti; che
non tutti avessero una casa e che le case fossero diverse da persona
a persona; che chi praticasse sport non lo facesse per passione
e piacere, ma per denaro; che la donna non fosse ritenuta
pari all’uomo e vivesse una condizione, spesso, negativa; che si
dovessero pagare i trasporti e che i mezzi fossero così carenti;
che gli anziani fossero abbandonati al loro destino, perché, ormai,
improduttivi.
Non riuscivano a immaginare che ci fossero le armi; che ci
fossero gli eserciti, la polizia, le guardie varie; che ci fossero le
banche, le assicurazioni.
Non riuscivano a immaginare una politica, fatta non per le
esigenze comuni, ma per gli interessi di comitati d’affare e, anche,
di bande criminali.
Non riuscivano a immaginare che la stragrande maggioranza
della popolazione, che viveva in condizioni precarie, non si ribellasse
e, anzi, prendesse a modello proprio coloro, che avevano
interesse a tenerli in quella situazione di sottomissione.
I figli della nuova epoca non osavano credere, studiando la
storia dell’umanità, che potessero essere esistiti periodi così bui
e tristi per l’umanità!
Quasi non volevano credere che l’umanità avesse dovuto
aspettare fino al 1° febbraio dell’anno 2003 per aprire le porte
della civiltà, dell’amore, della libertà, dell’uguaglianza, della fratellanza!
***
Si sentì il rombo di un motore di un’auto provenire dal giardino
della villa.
Jonathan corse sulla veranda.
«Mamma... papà... sono arrivati!».
Scese le scale e corse loro incontro.
Fernanda lo prese al volo in braccio.
«Ciao, Jonathan!» disse la donna, mentre lo baciava.
«Ciao, mamma!».
«Ciao, Jonathan!» disse John, appena sceso dall’auto.
Abbracciò e baciò, anche lui, il bambino e tutt’insieme, si
avviarono verso l’ingresso dell’abitazione.
«Sai mamma, il nonno mi ha parlato di Hitler e di Mussolini.
Mamma... come erano cattivi? Hitler bruciava le persone!».
«Oggi, per fortuna, non abbiamo più di questi problemi!»
rispose Fernanda.
Sulla veranda li attendevano Giulia e Massimo, che, appena
furono vicini, abbracciarono e baciarono la donna e l’uomo,
come se fossero due bambini.
Per i genitori i figli non hanno età!
Sharon dormiva nella culla nella stanza a fianco.
«Tutto bene?» chiese poi Massimo ai due giovani.
«Benissimo papà. Voi come state?» rispose Fernanda.
«Anche noi benissimo!» disse il padre.
«Se avete bisogno di qualcosa, fate pure, noi andiamo su a
prepararci» esclamò Giulia.
«Andate, io preparo un bel caffè per me e John... lo vuoi
pure tu giusto...» disse la ragazza, rivolta al ragazzo».
«Certo che lo voglio! Non si rifiuta un tuo caffè, visto che
sei un’artista in questo campo» rispose John.
Un pianto avvisò che la bambina era sveglia.
Fernanda, John e Jonathan accorsero da lei.
Sharon smise di piangere e sorrise, aveva riconosciuto la
mamma e il papà!
«Sharon, vieni... come sei bella...!» disse il papà prendendola
in braccio.
«Sharon... dammi un bacio» esclamò la mamma, prendendo
la bambina dalle braccia dell’uomo.
«Mamma... Papà... voglio andare sulla Luna!» disse il bambino.
«Tra un po’ non ci saranno problemi. Potrai andare sulla
Luna, su Marte e su Saturno. Forse anche su Plutone» rispose
il padre.
«Il nonno ha detto che il primo uomo che andò sulla luna è
stato un certo Armstrong nel secolo scorso».
«È così» disse John.
«Ma perché il nonno non è mai andato sulla Luna?».
«È una domanda che devi fare al nonno» rispose Fernanda.
Il bambino non aspettò che Massimo tornasse, salì le scale,
andò nella camera da letto dei nonni, dove Massimo stava
vestendosi e, sorprendendo l’uomo chiese:
«Nonno, perché non sei mai andato sulla Luna?».
Massimo ancora sorpreso rispose:
«Sulla Luna?».
«Sì, tu non sei mai andato sulla Luna, come mai?».
Il nonno sorrise.
«Nel vecchio mondo le nuove scoperte non erano per tutti.
Chi le scopriva ne diveniva proprietario. Se qualcuno avesse
voluto visitare la Luna doveva pagare e io non avevo tanti
soldi. Oltretutto avevo da fare sulla Terra».
«Proprietario! Cosa significa questa parola?».
«Il proprietario era colui che aveva il diritto di disporre di
una proprietà, cioè di beni».
«Come? Erano solo suoi?».
«Sì, erano solo suoi».
«Non era giusto».
«Lo so. Ma era così».
Mentre il nonno e il nipote parlavano, Giulia entrò nella
stanza.
Vide la scena, si commosse.
Guardò il suo uomo e sentì il cuore stringersi per l’amore,
che sentiva più forte di sempre verso Massimo.
In un istante rivide il loro primo incontro casuale a Torino
in una giornata di pioggia.
Rivide quella notte di aprile indimenticabile!
Ritornò con la mente agli anni bui, in cui erano stati lontani.
Rivisse il dolore della lontananza e la gioia del ritrovarsi.
Ricordò i suoi primi rapporti con l’associazione Mondo
Nuovo, creata da Massimo per far alzare a ogni essere umano
gli occhi oltre il cielo e dare all’umanità il sapore caldo della
speranza.
Ritornarono nella mente tanti momenti belli e meno piacevoli, quali il rapimento, il killer “Iena”, i giorni a Monte Serico,
il rapimento di Fernanda, prima della conquista del cielo.
Forse senza quell’uomo, ormai ottantenne, che parlava con
tanto amore con il nipote, la sua vita non sarebbe stata la
stessa!
Pensò come fosse importante incontrare la persona giusta
e saperlo capire.
Come fosse importante saper scegliere per non pentirsi; saper
sbagliare, ma saper tornare indietro.
Come fosse importante amare, perché l’amore era la vera
forza rigeneratrice di ogni essere umano e dell’intera umanità.
Ricordò una bellissima poesia di Edward Estlin Cummings,
le sue bellissime parole:
Il tuo cuore lo porto con me,
lo porto nel mio,
non me divido mai.
Dove vado io, vieni anche tu, mia amata.
Qualsiasi cosa venga fatta da me,
la fai anche tu, mia cara.
Non temo il fato,
perché il mio fato sei tu, mia dolce.
Non voglio il mondo,
perché il mio mondo, il più bello,
il più vero sei tu.
Questo è il nostro segreto profondo,
radice di tutte le radici,
germoglio di tutti i germogli,
cielo dei cieli di un albero, chiamato vita,
che cresce più alto
di quanto l’anima spera.
E la mente nasconde
la meraviglia che le stelle separa,
il tuo cuore esiste nel mio...
Ecco il segreto più profondo,
che nessuno conoscerà mai,
radice delle radici,
germoglio dei germogli,
e cielo dei cieli
di un albero chiamato vita,
che cresce più alto
di quanto l’anima possa sperare,
più vivo di quanto la mente
possa celare.
Prendo il tuo cuore,
lo porto con me... nel mio.
Sentì il cuore quasi scoppiare nel guardare il suo grande
uomo, il suo immenso amore.
«Nonna, tu sei andata sulla Luna?».
La domanda di Jonathan fece tornare Giulia al presente.
«No, ma ci andremo tutti tra poco» rispose la donna.
«Dai, Jonathan, andiamo giù. La nonna ci raggiunge subito»
disse il nonno al nipote.
Giulia rimase sola nella stanza.
Si guardò allo specchio, guardò le sue rughe di donna di
sessantasette anni e sorrise.
“Con l’amore abbiamo conquistato il cielo! Con questo
straordinario sentimento conquisteremo l’intero firmamento!”
disse a se stessa la donna.
Scese poi al piano di sotto, ove Massimo, Fernanda, John,
Jonathan e Sharon erano in attesa per recarsi alla festa di Tor
Vergata.
Giulia, il suo uomo e il nipote salirono su un’auto.
La figlia, John e Sharon su un’altra.
Ambedue le auto si avviarono verso la periferia romana, ove
milioni di persone attendevano la Fata e il Principe per dare
il via ai festeggiamenti del venticinquesimo anniversario del
Mondo Nuovo.
La medesima cosa nella giornata sarebbe avvenuta in ogni
parte del mondo.
Miliardi di persone avrebbero festeggiato questo giorno bellissimo
e straordinario come una sola mente e un solo cuore,
consapevoli che l’umanità aveva, ormai, conquistato il cielo,
sogno di ogni epoca, e che era dolce assaporare le cose belle
che esso portava.
Giuseppe Calocero, Il dolce sapore del cielo, cap.7
martedì 13 aprile 2021
ILO, Organizzazione mondiale del lavoro: " I sindacati in transizione".
CHAPITRE
ACTRAV
Ufficio
per le attività
dei lavoratori
I sindacati
in transizione
Documento OIL ACTRAV
Jelle Visser
Organizzazione
Internazionale
del Lavoro
Copyright © Organizzazione Internazionale del Lavoro 2020
Prima pubblicazione 2020
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I sindacati in transizione. Documento OIL/ACTRAV.
Roma, Organizzazione Internazionale del Lavoro, settembre 2020.
ISBN: 978-92-2-033712-7(pdf web)
Edizione italiana a cura dell’Ufficio OIL per l’Italia e San Marino.
Disponibile in inglese: Trade unions in the balance. ILO ACTRAV Working Paper, ISBN 978-92-2-134040-9 (pdf web),
Ginevra 2019; in russo: Профсоюзы на распутье. Рабочий документ МОТ/ACTRAV, ISBN 978-92-2-032602-2
(pdf web), Mosca 2020.
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Indice
Indice 3
Prefazione 5
Sintesi 7
Introduzione: quale futuro per i sindacati? 9
I. Lo stato attuale dei sindacati e il futuro del lavoro 13
1 / Occupazione e lavoratori: quanti iscritti ai sindacati? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
⏹ 1.1 Sviluppo economico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
⏹ 1.2 I tassi di sindacalizzazione nel mondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
2 / Cambiamenti nella struttura dell’occupazione e nei posti di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . 17
⏹ 2.1 La deindustrializzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
⏹ 2.2 Lavoro o sindacati in declino? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
⏹ 2.3 La digitalizzazione e il progresso tecnologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
⏹ 2.4 Il disinteresse dei giovani? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
⏹ 2.5 I sindacati nei servizi sociali e commerciali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
⏹ 2.6 L’aumento dell’adesione sindacale femminile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
3 / I cambiamenti nei rapporti di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
⏹ 3.1 La globalizzazione e le migrazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28
⏹ 3.2 Le migrazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28
⏹ 3.3 I lavoratori temporanei e a tempo parziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
⏹ 3.4 I lavoratori in proprio e i lavoratori autonomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
⏹ 3.5 Il lavoro e i sindacati nell’economia informale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
⏹ 3.6 Il lavoro e i sindacati dell’economia delle piattaforme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
4 / In sintesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
II. Perché esistono diversi livelli di sindacalizzazione? 43
1 / Lo sviluppo economico e l’economia informale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
2 / La diversità etnica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44
3 / La violazione dei diritti dei lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
4 / Garanzie istituzionali all’attività sindacale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
5 / Mancanza di garanzie istituzionali, frammentarietà e concorrenza sindacale . . . . . . . . . 49
III. Quattro possibili scenari 51
1 / Marginalizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51
2 / Dualizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54
3 / Sostituzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
4 / Rivitalizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60
Conclusioni 63
Riferimenti bibliografici 65
Note 71
Prefazione
Quest’anno ricorre il centesimo anniversario dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). Nel 2015, nell’ambito
dei preparativi per il centenario, il Direttore Generale Guy Ryder1 ha lanciato l’iniziativa dedicata al “Futuro del lavoro”,
che nasce dalla consapevolezza che il mondo del lavoro sta cambiando a un ritmo più rapido che mai, creando
nuovi sfide per il lavoratori e le loro organizzazioni di tutto il mondo2. Nel giugno 2019, i costituenti tripartiti dell’Organizzazione,
riunitisi nella centottesima sessione della Conferenza internazionale del lavoro, hanno adottato la
“Dichiarazione del Centenario dell’OIL per il Futuro del Lavoro”, che guiderà il lavoro dell’Organizzazione e dei suoi
costituenti negli anni a venire3.
La Dichiarazione del Centenario sottolinea che il mondo del lavoro sta vivendo importanti cambiamenti guidati dalle
innovazioni tecnologiche, dalla globalizzazione e dai cambiamenti demografici, ambientali e climatici, ma riconosce
allo stesso tempo i progressi storici del mondo del lavoro degli ultimi cento anni. Essa ricorda inoltre le enormi sfide
che siamo chiamati ad affrontare, come il persistere della povertà, le disuguaglianze, le ingiustizie, i conflitti, i disastri
naturali e altre emergenze umanitarie che influenzano il mondo del lavoro di oggi e costituiscono una minaccia per
quello di domani. La Dichiarazione ribadisce l’urgenza di agire per un futuro del lavoro più equo, inclusivo e sicuro,
che possa garantire una piena occupazione produttiva e liberamente scelta e un lavoro dignitoso per tutti.
La Dichiarazione del Centenario invita l’OIL a rafforzare il suo impegno a favore della giustizia sociale e a promuovere
il suo approccio sul futuro del lavoro incentrato sulla persona, che pone i diritti e i bisogni dei lavoratori e le aspirazioni
e i diritti di tutte le persone al centro delle politiche economiche, sociali e ambientali.
La Dichiarazione pone l’accento inoltre sull’importanza del multilateralismo e della coerenza delle politiche all’interno
del sistema multilaterale.
Il rispetto di tutti i principi e i diritti fondamentali del lavoro, inclusi la libertà di associazione e il diritto alla contrattazione
collettiva, è un pilastro dell’OIL ed è fondamentale per un efficace processo decisionale e politico. In un mondo
del lavoro in continua evoluzione, un dialogo sociale forte, efficace e inclusivo è e sarà fondamentale per costruire il
mondo del lavoro che vogliamo.
Le norme internazionali del lavoro sono un altro pilastro dell’Organizzazione internazionale del lavoro. La Dichiarazione
del Centenario riafferma l’importanza della definizione, promozione, ratifica e supervisione delle norme internazionali
del lavoro. È in occasione della centottesima sessione della Conferenza internazionale del lavoro che i costituenti
tripartiti dell’OIL hanno adottato una nuova Convenzione, integrata da una Raccomandazione, sulla violenza
e le molestie nel mondo del lavoro.
In quanto organizzazione tripartita, gli Stati membri e le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro contribuiscono
al successo del lavoro dell’Organizzazione. La Dichiarazione invita l’OIL a rafforzare la capacità dei suoi
costituenti tripartiti, in primo luogo promuovendo la creazione di organizzazioni delle parti sociali solide e rappresentative.
I sindacati sono chiamati ad affrontare enormi sfide. È difficile impegnarsi nell’attività sindacale oggi. Le violazioni dei
diritti sindacali sono all’ordine del giorno. Il progresso tecnologico e i cambiamenti economici influenzano la natura
e la tipologia dei posti di lavoro, e di conseguenza anche la capacità di organizzare e rappresentare i lavoratori tanto
nel Nord quanto nel Sud del mondo.
È in quest’ottica che i sindacati devono rivedere le loro strategie organizzative e di rappresentanza. Ma come rafforzare
i rapporti di lavoro garantendo al contempo ai lavoratori un’adeguata protezione, salari dignitosi e il rispetto
delle misure di salute e sicurezza sul posto di lavoro? È necessario che i sindacati garantiscano protezione e rappresentanza
anche a nuove categorie di lavoratori, come i lavoratori atipici e informali. Si pensi ad esempio agli addetti
alle consegne di Deliveroo e di Uber. Altro aspetto importante è attirare i giovani all’interno dei sindacati, integrandoli
nella loro struttura di governance. Infine, sebbene siano stati compiuti molti progressi in termini di uguaglianza di
genere, c’è ancora molto da fare per garantire parità di opportunità, partecipazione, trattamento e remunerazione.
6 PREFAZIONE
Cosa si può imparare dall’attuale esperienza per assicurare a tutti i lavoratori l’accesso alla formazione permanente,
per facilitare le loro transizioni lavorative e per garantire a tutti un’adeguata protezione sociale?
Come estendere l’ambito d’azione dei sindacati alle questioni socioeconomiche e ambientali che riguardano il mondo
del lavoro, ad esempio con riferimento a politiche commerciali, industriali o macroeconomiche o nell’ambito degli
Obiettivi di sviluppo sostenibile? E come replicare e potenziare strategie sindacali innovative e di successo per
influenzare il processo decisionale e il comportamento sostenibile delle imprese in un’economia globalizzata?
La discussione sul “Futuro del lavoro” dell’OIL rappresenta un’importante opportunità per tutti noi per costruire il
futuro che vogliamo, mettendo la dignità dei lavoratori al centro del dibattito. Per raggiungere quest’obiettivo è fondamentale
che i sindacati siano solidi e rappresentativi e partecipino in maniera attiva al processo decisionale dando
voce alle esigenze dei lavoratori.
È in occasione del Centenario dell’OIL che l’Ufficio per le attività dei lavoratori (ACTRAV) dell’Organizzazione ha commissionato
al Prof. Jelle Visser dell’Università di Amsterdam la ricerca intitolata “I sindacati a un bivio” per esaminare
lo stato attuale dei sindacati nel mondo. Il Prof. Visser esplora il modo in cui è cambiata l’adesione sindacale in tutto
il mondo negli ultimi decenni, sullo sfondo di importanti cambiamenti nell’economia e nel mercato del lavoro. Il documento
suggerisce anche quattro scenari, audaci ma ugualmente realistici, sul futuro dei sindacati: emarginazione,
dualizzazione, sostituzione e rivitalizzazione. Il futuro potrà dire quale dei quattro scenari si concretizzerà.
Sono infinitamente grata al Prof. Jelle Visser per questo eccellente lavoro e per la sua collaborazione. Invito i sindacati,
i responsabili delle politiche e altri attori coinvolti a leggere questo interessante lavoro sullo stato del movimento
sindacale e sugli scenari del sindacalismo nel futuro mondo del lavoro.
Maria Helena André
Direttrice dell’Ufficio dell’OIL per le attività dei lavoratori (ACTRAV)
Sintesi
Il mondo del lavoro sta cambiando rapidamente. Il declino dell’occupazione nel settore manifatturiero, lo sviluppo di
forme di lavoro flessibili e atipiche e dell’economia informale, i cambiamenti delle normative e dei comportamenti
in materia di lavoro e le limitazioni e violazioni dei diritti sindacali hanno causato un netto calo dei tassi di sindacalizzazione
nella maggior parte dei paesi del mondo. I rapporti di lavoro del ventunesimo secolo sono caratterizzati
da una “nuova instabilità del lavoro”, che ha significative ripercussioni sulle attività sindacali di tutti i paesi. In questo
contesto, i sindacati sono chiamati ad affrontare due sfide: l’economia digitale e il modo in cui trasforma il lavoro e
i rapporti lavorativi, così come il divario sociale tra i lavoratori con occupazioni stabili e retribuite da una parte e le
persone senza occupazione, i lavoratori instabili, mal pagati e precari dall’altra.
La prima parte di questa ricerca descrive l’attuale “stato dei sindacati” e l’andamento dei livelli di sindacalizzazione
dei lavoratori in 18 regioni di Africa, America, Asia ed Europa dal 2000. Questa analisi si basa su recenti dati trasversali
e longitudinali, considerati in relazione ai cambiamenti del settore economico e del mercato del lavoro, quali
sviluppo economico, progresso tecnologico, deindustrializzazione, globalizzazione, migrazioni, cambiamenti politici
e delle norme del lavoro. L’analisi si concentra tanto sui livelli di adesione sindacale quanto sui cambiamenti nella
composizione dei sindacati stessi.
Nella seconda parte si cercherà di valutare in che modo determinati fattori — alcuni esterni altri interni al mondo
sindacale — influiscono sui livelli di sindacalizzazione: i livelli salariali e la quota dell’agricoltura o dell’industria, la
dimensione dell’economia informale, la diversità etnica e i conflitti, le violazioni dei diritti del lavoro, le istituzioni della
contrattazione collettiva e dei rapporti di lavoro e la frammentarietà del movimento sindacale.
Il documento si conclude con l’analisi di quattro possibili scenari sul futuro dei sindacati: la marginalizzazione, dovuta
al proseguimento delle attuali tendenze di calo dei tassi di sindacalizzazione e di invecchiamento dei sindacati;
la dualizzazione dei sindacati, i quali, di fronte a una situazione di maggiore instabilità del lavoro e di riduzione della
protezione istituzionale, concentrano le loro risorse, tuttavia anch’esse in calo, nella difesa dei loro membri tradizionali,
a scapito dei lavoratori atipici e di chi è solitamente escluso dalla rappresentanza sindacale; la sostituzione
dei sindacati con altre forme di azione e protezione sociale garantite dai datori di lavoro, dalle autorità, dalle agenzie
di intermediazione, dalle ONG o dai movimenti sociali emergenti; e infine la rivitalizzazione, basata sull’adozione di
nuove politiche e sulla creazione di alleanze in grado di rafforzare il ruolo dei sindacati per dare spazio alla “nuova
forza lavoro instabile” dell’economia digitale.
Introduzione: quale
futuro per i sindacati?
Cosa possiamo aspettarci dai sindacati e cosa possono aspettarsi i sindacati stessi per i prossimi dieci o venti anni4?
Continueranno a essere grandi organizzazioni associative in grado di rappresentare la diversità del mondo del lavoro
di oggi o si limiteranno a rappresentare una piccola minoranza di lavoratori? Il declino degli ultimi decenni è destinato
a continuare oppure i sindacati riusciranno a reinventarsi nell’era digitale riaffermando la loro influenza sulle relazioni
sindacali che ha caratterizzato l’era industriale?
Il futuro dei sindacati è altamente incerto. Sulla base di questa consapevolezza, in particolare “la preoccupazione
che i cambiamenti del mondo del lavoro si stanno discostando dall’obiettivo della giustizia sociale5”, è stata lanciata
dall’OIL l’iniziativa del Centenario sul Futuro del lavoro. Il calo dell’occupazione nel settore manifatturiero e la nascita
di nuove forme di lavoro flessibili e atipiche (non standard) attraverso il subappalto e l’esternalizzazione in gran parte
del mondo sviluppato, nonché l’espansione dell’economia informale nei paesi in via di sviluppo, hanno provocato una
contrazione dei tassi di sindacalizzazione in quasi tutti i paesi del mondo. La copertura della contrattazione collettiva
in molte parti del mondo è pericolosamente bassa e in continuo calo (Visser, Hayter e Gammarino, 2015). Una “nuova
instabilità del lavoro” caratterizza i rapporti di lavoro del XXI secolo, “compromettendo i regimi normativi che hanno
organizzato e governato i mercati e i rapporti di lavoro per gran parte del XX secolo” (Stone e Arthurs, 2013). Ciò è
dovuto principalmente ai cambiamenti nel commercio internazionale, nei flussi migratori, nella struttura industriale,
nel comportamento e nelle politiche delle imprese.
In questo contesto, i sindacati devono affrontare due principali sfide: l’avanzata dell’economia digitale e il divario
sociale tra i lavoratori stabili e retribuiti da una parte e i disoccupati e i lavoratori instabili, mal pagati e precari dall’altra.
L’intelligenza artificiale e la robotica possono creare e allo stesso tempo distruggere posti di lavoro, ma dal punto di
vista dei sindacati, sono i posti di lavoro sbagliati quelli a essere distrutti. Le attuali statistiche sull’occupazione, che
riflettono la prima fase della “rivoluzione digitale”, indicano un calo dei posti di lavoro nelle posizioni intermedie dei
settori manifatturieri, nonché dei posti di lavoro qualificati e semi-qualificati nel settore industriale — proprio i posti
di lavoro che storicamente i sindacati hanno contribuito a rafforzare e che sono stati la principale roccaforte del loro
potere e della loro influenza nella politica e nei rapporti di lavoro. Siamo ancora lontani dal sostuire insegnanti e
personale addetto all’assistenza con computer e robot, ma questa tendenza potrebbe presto cambiare, mettendo in
pericolo l’esistenza di un’altra categoria di lavoratori altamente sindacalizzati.
La crisi delle fasce intermedie del mercato del lavoro rende ancora più urgente un rafforzamento del ruolo dei sindacati
nelle fasce superiori e inferiori. Inoltre, l’economia delle piattaforme, ancora agli esordi ma in rapida espansione,
compromette la principale attività dei sindacati, ossia la definizione delle condizioni di lavoro attraverso la contrattazione
collettiva e la gestione dei conflitti. Le nuove tecnologie digitali contribuiscono alla riduzione dei costi di transazione,
cosa impensabile fino a pochi anni fa, venendo meno i presupposti dell’esistenza delle imprese, dei datori
di lavoro e dei rapporti di lavoro stessi (Coase, 1937). Le piattaforme digitali possono così spingere i processi di decentramento,
networking, outsourcing, subappalto e suddivisione del lavoro in singole prestazioni o “gig” (lavoretto)
verso una nuova frontiera, dove tutto ciò che rimane dell’impresa è semplicemente una tecnica di profitto. Questa
tecnica, basata sull’uso di piattaforme o applicazioni, consente ai clienti di richiedere online prodotti o servizi e ai
lavoratori di rispondere a tali richieste accettando, svolgendo, consegnando e ricevendo il relativo pagamento per il
lavoro svolto, tutto ciò al di fuori delle tradizionali strutture e delle disposizioni definite dalla normativa in materia di
lavoro e sicurezza sociale e dai contratti collettivi. Questo modello di business può essere applicato a qualsiasi tipo
di attività, locale o mondiale, generale o specializzata, in una varietà di settori, quali: trasporti, servizi di consegna e
lavanderia, formazione personale, riparazioni, montaggio di mobili e cucine, editing, progettazione grafica, fotografia,
10 INTRODUZIONE: QUALE FUTURO PER I SINDACATI?
lezioni, visite guidate, traduzioni e cucina (Todolí-Signes, 2017). Per certi versi, ricorda il vecchio sistema di contrattazione
di lavoro a domicilio del primo capitalismo, ma ora aggiornato con l’uso di strumenti digitali di supervisione
del lavoro (Finkin, 2017). Poiché questo modello non prevede lavoratori dipendenti in senso tradizionale, la domanda
è: esisteranno ancora i sindacati? E se si, in che modo riusciranno a essere influenti e garantire protezione sociale?
Riferendosi al mercato del lavoro degli Stati Uniti intorno al 1980, Freeman e Medoff (1984) hanno scritto che i sindacati,
negoziando salari, orari di lavoro, garanzia del lavoro e benefici accessori, oltre a influire sulla produttività e
la partecipazione dei lavoratori, “trasformano quasi ogni… aspetto misurabile dei luoghi di lavoro e delle imprese”.
L’arma principale dei sindacati è la minaccia di uno sciopero o il ricorso ad altre forme di protesta, come lo sciopero
bianco. Ma se il lavoro non si svolge più nelle imprese e nelle industrie, intese come le entità legali, sociali e fisiche
in cui i lavoratori interagiscono, condividono esperienze comuni, rivendicano i propri diritti e agiscono in maniera
collettiva, i sindacati avranno lo stesso ruolo? Nelle economie avanzate, si tratta di un problema del tutto nuovo,
mentre nei paesi in via di sviluppo, dove la maggior parte del lavoro è precario e si svolge al di fuori delle imprese
formalmente registrate, questo problema esiste già da tempo (Breman, 2010).
Sono questioni che mettono in gioco l’esistenza stessa dei sindacati. Il rischio è che nel mercato globale, le reti digitali
indeboliranno le leggi esistenti in materia di lavoro e sicurezza sociale, aggiungendo una nuova dimensione alle
offerte al ribasso delle catene di fornitura globali. Tuttavia, la visione secondo cui l’esistenza dei sindacati è a rischio
sembra quasi essessivamente pessimista se guardiamo al secolo di storia di successo del sindacalismo e di sviluppo
del diritto del lavoro. I sindacati sono ancora oggi tra le più grandi organizzazioni del mondo. Le statistiche attuali,
relative a 150 paesi, contano fino a 519 milioni di iscritti ai sindacati, 214 milioni se si esclude la Cina e pochi altri paesi
dove non è riconosciuta ai lavoratori la libertà di aderire a un sindacato di loro scelta. La Confederazione sindacale
internazionale (CSI) conta 207,5 milioni di iscritti di 331 organizzazioni affiliate sparse in 163 paesi e territori6. Secondo
questi dati, non si può dire che si tratti di un movimento di piccole dimensioni o inesorabilmente in decadenza. Eppure,
da qualche tempo, i tassi di sindacalizzazione stanno puntando nella direzione sbagliata e “non è certo se in futuro
si assisterà a una ripresa dalla crisi del sindacalismo o al mantenimento dello status quo dei sindacati” (Avdagic e
Baccaro, 2016).
Si prospettano quattro possibili scenari:
1) Emarginazione: proseguendo con i trend attuali, caratterizzati da un calo della partecipazione sindacale e
dal declino del potere e dell’influenza dei sindacati nei mercati del lavoro emergenti, si andrà incontro a una
graduale emarginazione dei sindacati stessi. Questo può essere interpretato come il risultato di un processo
di liberalizzazione dei movimenti e di svincolo del capitale dalla sua dipendenza dal lavoro, dagli stati nazionali
e dagli obblighi internazionali.
2) Dualizzazione: invece di deteriorarsi lentamente, i sindacati difenderanno le loro posizioni e resisteranno negli
ambiti in cui sono attualmente maggiormente radicati (nelle grandi imprese, tra i lavoratori qualificati e
gli operai del settore industriale e della logistica, tra i professionisti del settore pubblico e dei servizi sociali).
Considerata la crescente instabilità del lavoro, ciò porterà a un divario sempre più netto tra le imprese
sindacalizzate e quelle non sindacalizzate, dove le seconde prevarranno sulle prime.
3) Sostituzione: i sindacati lasceranno gradualmente il posto ad altre forme di azione e di rappresentanza sociale
previste dalla legge (garanzie sui salari minimi, commissioni salariali, comitati aziendali, comitati di produttività,
organi arbitrali e di revisione), promosse dai datori di lavoro (coinvolgimento dei lavoratori, codici etici,
modelli di partecipazione e di condivisione) da parte di intermediari (studi legali, agenzie di intermediazione
del lavoro, uffici di consulenza) e nate da forme più o meno volontarie e sistematiche di azione sociale.
4) Rivitalizzazione: i sindacati troveranno un modo per rinnovare le pratiche sindacali, invertire l’attuale tendenza,
reinventarsi, estendere il loro ambito d’azione e garantire protezione e rappresentanza alla “nuova forza lavoro
instabile” dell’economia digitale.
Il primo e il terzo scenario sono in una certa misura affini a quanto previsto dal quadro unitario di riferimento dei
rapporti di lavoro e della gestione delle risorse umane, ossia il progressivo declino dei sindacati “esterni”, come
conseguenza del rafforzamento delle funzioni dei dirigenti di armonizzazione aziendale e di consolidamento della
fiducia. Allo stesso tempo, sono in linea con le teorie ortodosse di matrice liberista che presuppongono lavoratori
istruiti e pienamente informati che non necessitano di contrattazione e rappresentanza collettiva. Questa visione
tuttavia non trova conferma nella vita e nel lavoro di molti lavoratori nell’attuale contesto capitalista. Il secondo e il
quarto scenario presuppongono entrambi non solo la necessità, ma anche l’esistenza di un contropotere sotto forma
di azione collettiva da parte dei lavoratori, seppure su basi completamente diverse. Il secondo scenario prevede che
i sindacati continueranno a concentrarsi sui gruppi che godono già di tutele sindacali, a discapito di quelli più deboli
che, pur essendo difficili da integrare nelle strutture sindacali, beneficerebbero maggiormente della protezione e della
11
rappresentanza collettiva (Crouch, 1982). Infine il quarto scenario prevede la rinascita dei sindacati e un’inversione
dell’attuale tendenza di declino, attraverso un processo di rinnovamento del movimento sindacale e, in particolare,
attraverso politiche, istituzioni e alleanze che favoriscano l’inclusione dei gruppi più deboli e precari del mondo del
lavoro.
Questo lavoro si articola in tre parti. La prima parte descrive l’attuale “stato dei sindacati”, analizzando, sulla base
di recenti dati trasversali e longitudinali, l’andamento dell’appartenenza sindacale e dei tassi di sindacalizzazione in
relazione ai cambiamenti del settore economico e del mercato del lavoro. L’analisi si concentra tanto sui livelli di
adesione sindacale quanto sulla composizione dei sindacati stessi. La seconda parte cerca di valutare l’influenza
di vari fattori — alcuni esterni, altri di interni al mondo sindacale stesso — sui tassi di sindacalizzazione: i livelli
di reddito e la quota dell’agricoltura o dell’industria; la dimensione dell’economia informale; la diversità etnica e i
conflitti; le violazioni dei diritti dei lavoratori; le istituzioni della contrattazione collettiva e delle relazioni sindacali e la
frammentarietà dei sindacati. La terza parte si conclude con l’analisi di quattro scenari per il futuro dei sindacati —
emarginazione, dualizzazione, sostituzione e rivitalizzazione — per ciascuno dei quali sono approfonditi gli argomenti
a favore e contro.
I sindacati sono analizzati secondo due parametri, ossia l’adesione e la rappresentanza. I sindacati e il sindacalismo
sono qualcosa di più della semplice appartenenza e sarebbe sbagliato ridurre il potere sindacale di un determinato
paese, settore o impresa alla quota dei lavoratori che aderiscono a un sindacato. I sindacati si differenziano tra
di loro per diversi aspetti: i mezzi attraverso cui mobilitano la forza lavoro, le garanzie che offrono ai lavoratori e
quello che chiedono in cambio, il modo in cui cooperano tra loro e con altri attori sociali, economici o politici, il loro
potere contrattuale nei confronti dei datori di lavoro, le modalità di rappresentanza dei lavoratori sul posto di lavoro
e nell’economia in generale, la capacità di partecipare e influenzare le politiche e, non da ultimo, lo status giuridico.
I criteri di rappresentanza e riconoscimento, utilizzati per determinare la giurisdizione del diritto alla contrattazione
collettiva, nonché l’attribuzione di seggi nei comitati aziendali, nei comitati di sicurezza sociale o nei consigli tripartiti,
variano significativamente da paese a paese, così come nel corso del tempo. Oltre all’adesione sindacale, sarebbe
utile considerare anche i dati elettorali e l’opinione pubblica, nonché la capacità dei sindacati di mobilitare i propri
membri e indire degli scioperi. Tuttavia, l’adesione rimane la caratteristica fondamentale di un’organizzazione basata
su un’appartenenza volontaria come il sindacato ed è il modo migliore per garantire l’indipendenza da altre forze
e attori a livello sociale, per vincere elezioni e dare voce ai lavoratori in scioperi e proteste. Se non avessero dei
membri, infatti, i sindacati dovrebbero ottenere finanziamenti da altre fonti (partiti, governi, contribuenti, datori di
lavoro, sostenitori, ONG), e ciò comprometterebbe la loro indipendenza. (Rosanvallon, 1988).
Non importa quanto accurata sia stata la raccolta di dati e quanto questi siano affidabili e comparabili. Il confronto
tra i tassi di sindacalizzazione rimane soggetto all’interpretazione. Confrontando i tassi di adesione sindacale nel
corso del tempo all’interno della stessa unità di misura (paese, settore, azienda), salti rapidi e significativi indicano
dei cambiamenti nella struttura sottostante. Allo stesso tempo, il confronto tra i tassi di sindacalizzazione di vari paesi
va effettuato con cautela, poiché ciascun paese ha norme e procedure diverse: alcuni paesi, ad esempio, negano il
diritto di associazione ai funzionari pubblici, ai militari, alle forze dell’ordine, ai lavoratori delle piccole imprese, ai
lavoratori autonomi, ai migranti e ai lavoratori stranieri. Una delle questioni affrontate in questo lavoro è, infatti, la
rappresentanza sindacale di lavoratori autonomi, stranieri e migranti.
Infine, analizzando se e come i sindacati rappresentano i lavoratori della “nuova economia instabile” dell’era digitale,
non si deve perdere di vista qual è il loro obiettivo principale. Tale concetto è stato espresso in maniera estremamente
chiara in un documento della Federazione olandese dei sindacati (FNV) sul rinnovamento delle organizzazioni
sindacali:
I sindacati agiscono per conto di un gruppo privilegiato di lavoratori già iscritti o cercano di coinvolgere nuovi gruppi
di lavoratori? Danno priorità alla crescita dell’occupazione rispetto alle questioni ambientali o sostengono una crescita
sostenibile? Hanno procedure decisionali trasparenti e democratiche o le decisioni sono prese dietro le quinte?
Lottano davvero per la parità dei diritti o questo è un obiettivo puramente simbolico? Coinvolgono attivamente i loro
membri o li considerano dei consumatori passivi? (Kloosterboer, 2007)
È nello spirito di queste domande che è stata condotta questa indagine.
I. Lo stato attuale dei
sindacati e il futuro
del lavoro
Il lavoro e l’occupazione sono fondamentali tanto per gli individui quanto per le società7. La partecipazione al mercato
del lavoro apre la strada a nuove opportunità per uomini e donne e facilita l’adesione sindacale. Il lavoro retribuito
contribuisce alla realizzazione di importanti bisogni dell’uomo in termini di miglioramento lavorativo, libertà di azione,
sviluppo delle competenze e autodeterminazione, ricompensa, riconoscimento e autostima, nonché di partecipazione
a reti sociali più ampie, quali i sindacati, che possono fornire sostegno e senso di appartenenza. L’esclusione dal
lavoro retribuito e la precarietà lavorativa sono una minaccia per la salute e il benessere dell’uomo.
Sono tre le principali domande che si pongono i sindacati. Ci sarà abbastanza lavoro per tutti? Quali lavori sostituiranno
quelli in declino — e questi nuovi lavori saranno adeguati in termini di retribuzione, sviluppo delle competenze,
riconoscimento e diritti? In che modo il progresso tecnologico e i cambiamenti nell’organizzazione del lavoro incideranno
sui diritti dei lavoratori e i rapporti di lavoro? Le risposte a queste domande non sono ovvie, in quanto
dipendono in una certa misura dalle scelte politiche e dalle strategie sindacali. Osservando la prima fase della digitalizzazione,
al momento non si può parlare di una “fine del lavoro”, ma le cose potrebbero cambiare in futuro.
La distribuzione del lavoro nelle sue molteplici forme (quotidiana, annuale, permanente, combinata con altre attività,
quali l’apprendimento) rimarrà una certezza, ma richiederà allo stesso tempo nuove riflessioni e nuovi approcci
relativamente al reddito e alla sicurezza sociale. D’altra parte, quello che possiamo affermare con certezza è che
lavorare per un lungo periodo nello stesso luogo di lavoro o nella stessa azienda sarò sempre più raro, come pure
lo sarà il lavoro basato sull’apprendimento di una modalità di lavoro applicabile nel lungo termine. Inoltre, a causa
della digitalizzazione, alcuni lavori qualificati o semi-qualificati potrebbero scomparire, soprattutto quelli a medio
reddito. Questo avrà importanti ripercussioni sui livelli di adesione sindacale. Infine, molti cambiamenti nei rapporti
di lavoro dipendono dallo sviluppo dei mercati delle piattaforme digitali, in cui manca una chiara definizione dei salari,
dell’orario di lavoro, dei diritti e degli obblighi, tanto rispetto allo status di “dipendente” quanto a quello di “datore di
lavoro”. Tutto ciò costituisce un problema per il mondo politico, per il diritto del lavoro e per i sindacati, aggiungendosi
ai problemi causati dallo sviluppo del lavoro flessibile e, in molte parti del mondo, del lavoro informale. In breve, la
digitalizzazione rappresenta una sfida per i sindacati — non tanto in termini di quantità, quanto piuttosto di qualità dei
posti di lavoro — che incide sui diritti e i salari dei lavoratori.
Questa sezione sullo “stato dei sindacati” è organizzata in tre parti, con varie sottosezioni. La prima parte fornisce un
quadro della situazione sui numeri dell’appartenenza sindacale a partire dal 2000. Questo quadro è descritto alla luce
delle diverse fasi di sviluppo economico dei diversi continenti e delle diverse regioni del mondo. La seconda parte
si concentra sui cambiamenti nell’occupazione e sul progresso tecnologico, e soprattutto sul modo in cui questi due
fattori influenzano l’adesione sindacale. L’analisi parte dalla nota storia del declino industriale e cerca di comprende
in che misura il declino sindacale degli ultimi tempi possa essere attribuito alla scomparsa dei posti di lavoro nel settore
manifatturiero. Inoltre, l’analisi si sofferma sul forte calo di sindacalizzazione di chi entra nel mondo del lavoro
e sull’adesione sindacale dei giovani. L’occupazione nell’economia dei servizi può essere suddivisa in due parti, con
implicazioni molto diverse in termini di organizzazione sindacale: da una parte i servizi commerciali (commercio,
turismo, trasporti e comunicazioni, finanza e servizi alle imprese) e dall’altra i servizi personali e collettivi (pubblica
amministrazione, sicurezza, istruzione, sanità, arte e cultura e servizi privati, compresi i lavori domestici). Si vedrà
anche come la crescita della partecipazione femminile nel mercato del lavoro e nei sindacati sia strettamente collegata
all’espansione del settore dei servizi. La terza sezione è dedicata al cambiamento dei rapporti di lavoro. Saranno
analizzati nel dettaglio il lavoro temporaneo e part-time, il lavoro autonomo e a contratto, il lavoro informale e il lavoro
nell’economia delle piattaforme. La globalizzazione e le migrazioni sono due dei temi che fanno da sfondo a
questa sezione finale.
14 LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO
1 / Occupazione e lavoratori: quanti iscritti ai sindacati?
Il mondo del lavoro è in continua evoluzione sulla scia dei cambiamenti demografici, del progresso tecnologico, dell’integrazione
economica globale, delle migrazioni e dei cambiamenti politici. L’Organizzazione internazionale del
lavoro (OIL) stima che la popolazione mondiale occupata con età pari o superiore a 15 anni è di tre miliardi. Di questi,
quasi due miliardi, ossia il 61,2 per cento, lavorano nell’economia informale, per lo più in imprese informali o
come lavoratori autonomi, oppure sono lavoratori iregolari o precari nel settore formale (OIL, 2018a)8. L’OIL stima
che192 milioni di persone nel mondo sono disoccupate, ancora come conseguenza della crisi finanziaria del 2008
(OIL, 2018b). Il tasso di disoccupazione è in realtà molto più alto, poiché le statistiche ufficiali sulla disoccupazione
sottostimano il livello di diffusione della disoccupazione nelle regioni e nei paesi privi di un’adeguata assicurazione
contro la disoccupazione. Nella maggior parte delle regioni, il tasso di partecipazione nel mercato del lavoro è infatti
stagnante o in calo e non è tornato ai livelli registrati prima del 2008 (OIL, 2018b).
Stando alle attuali tendenze demografiche, 40 milioni di persone entrano nel mercato del lavoro ogni anno. I tassi
di crescita della popolazione variano notevolmente da regione a regione, ma si prevede che entro il 2030 i paesi
dell’Africa Subsahariana e dell’Asia meridionale ospiteranno il 38 per cento della forza lavoro mondiale, rispetto al
26 per cento del 1990 (OIL, 2018b). Poiché in queste due regioni si concentra la maggior parte dei lavoratori poveri
e vulnerabili del mondo, la quota media mondiale di lavoratori in condizioni non dignitose aumenterà, a meno che
non si compiano in tutto il mondo — e soprattutto in queste regioni — importanti progressi nel miglioramento della
qualità del lavoro.
Rispetto ai tre miliardi di persone occupate, 516 milioni (ossia il 17 per cento) aderiscono a un sindacato9. Escludendo
i sindacati della Cina (e quelli della Bielorussia e di Cuba10), il numero totale delle persone iscritte a un sindacato
nel mondo è di 214 milioni e il tasso di adesione sindacale, calcolalo su oltre 2,2 miliardi di persone occupate, si
attesta circa al 10 per cento. Escludendo i lavoratori autonomi, i lavoratori nei contesti familiari e i datori di lavoro, e
quindi considerando un totale di 1,8 miliardi di dipendenti (1,1 miliardi escludendo Cina, Bielorussia e Cuba), il tasso
di sindacalizzazione mondiale è del 27 per cento (17 per cento senza Cina, Bielorussia e Cuba.). Questo significa che
circa una persona occupata su dieci e un lavoratore formale su sei si iscrive a un sindacato.
⏹ 1.1 Sviluppo economico
La grafico 1 in basso mostra la distribuzione e l’andamento dell’adesione sindacale a partire dall’anno 2000 in paesi
con diversi livelli di sviluppo. Da quest’analisi è possibile trarre una duplice conclusione. I tassi di sindacalizzazione,
misurati convenzionalmente come il rapporto tra il numero di lavoratori dipendenti iscritti al sindacato e il totale degli
occupati, non variano in maniera significativa tra i quattro gruppi di paesi con diversi livelli di sviluppo. Infatti, i tassi di
sindacalizzazione e i livelli di reddito, misurati come prodotto interno lordo (PIL) pro capite, sono scarsamente correlati,
sia tra i paesi che nel tempo. I tassi di sindacalizzazione non aumentano all’aumentare della ricchezza del paese.
Per quanto sorprendenti possano essere questi risultati, esistono due principali spiegazioni. In primo luogo, negli
ultimi trent’anni il declino dei sindacati ha riguardato principalmente i paesi industrializzati del Nord del mondo, ossia
Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda, Germania, Francia ed Europa centrale e orientale. Vent’anni fa, il
tasso medio di sindacalizzazione in questi paesi era molto più alto (grafico 1, colonna a destra). In secondo luogo, nei
paesi in via di sviluppo, solo un piccola parte dei lavoratori gode di uno status formale di dipendente. Ciò aumenta in
maniera irrealistica i tassi di sindacalizzazione dei paesi più poveri. Calcolando il tasso di sindacalizzazione sul totale
della forza lavoro11 piuttosto che sui lavoratori classificati come dipendenti, ne risulterà una relazione positiva tra
sindacalizzazione e sviluppo economico, con un tasso di sindacalizzazione più alto nei paesi più ricchi (r=0,56). Ciò
dimostra il grande problema dei sindacati della rappresentanza dei lavoratori autonomi e in proprio, tanto a livello
mondiale, quanto soprattutto nelle economie emergenti e in via di sviluppo. In tempi recenti, i sindacati stanno cercando
di risolvere il problema, seppure persista un ampio divario di rappresentanza. Nei paesi più poveri, solo il 4
per cento dei lavoratori gode di rappresentanza sindacale e nei paesi a reddito medio-basso meno del 6 per cento
(grafico 1, colonna a sinistra).
La colonna di destra della grafico 1 mostra che i tassi di sindacalizzazione tra i dipendenti sono in calo dal 2000,
con il maggior calo registrato nei paesi sviluppati e nei paesi a reddito medio-basso. In quest’ultimo caso, il calo è
dovuto da una parte a un rapido incremento dei posti di lavoro (India, Indonesia, Cambogia, Vietnam), che ha superato
l’aumento delle adesioni ai sindacati, mentre dall’altra all’enorme perdita di iscritti negli ex stati comunisti dell’Asia
OCCUPAZIONE E LAVORATORI: QUANTI ISCRITTI AI SINDACATI? 15
e dell’Europa orientale. I sindacati dei paesi sviluppati hanno perso 14 milioni di iscritti tra il 2000 e il 2008 e altri 10
milioni tra il 2008 e il 2017. I sindacati degli altri gruppi, pur essendo ancora in calo fino al 2008, hanno guadagnato
circa 11 milioni di iscritti dal 2008. Di conseguenza, la quota di adesione sindacale nei paesi sviluppati è scesa al 50
per cento del totale mondiale nel 2017, rispetto al 57 per cento del 2000.
Grafico 1: Livelli di sindacalizzazione per gruppi di paesi (livello di reddito),
2000–2016/17.
Tassi di densità sindacale 2016/17
00
05
10
15
20
25
30
tutti i
paesi
paesi
industrializzati
reddito
medio-alto
reddito
medio-basso
paesi in via
di sviluppo
lavoratori
dipendenti
Tassi di densità sindacale 2000 - 2016/17
00
05
10
15
20
25
30
2000 2008 2016/17
tutti i
paesi
paesi
industrializzati
reddito
medio-alto
reddito
medio-basso
paesi in via
di sviluppo
insieme dei
lavoratori
Nota: paesi sviluppati (in media oltre 52 paesi), paesi a reddito medio-alto (37 paesi, esclusa Cina, Cuba e Bielorussia), paesi a reddito medio-basso
(38 paesi) e in via di sviluppo (19 paesi). I dati sulla sindacalizzazione sono medie ponderate per ciascun gruppo di paesi.
Fonte: i dati di tutte le figure e tabelle presenti in questo documento sono stati calcolati dall’autore sulla base dei dati IRData (https://www.ilo.org/
ilostat/irdata) e del database ICTWSS (http://uva-aias.net/en/ictwss).
⏹ 1.2 I tassi di sindacalizzazione nel mondo
La Tabella 1 mostra l’andamento dei tassi di sindacalizzazione tra il 2000 e il 2016 in 18 regioni del mondo. Attualmente,
il 12 per cento dell’adesione sindacale mondiale si trova in Africa, il 24 per cento in America, il 30 per cento in
Asia e Oceania (esclusa la Cina) e il 34 per cento in Europa. Dalla crisi mondiale del 2008, l’appartenenza sindacale è
cresciuta in termini assoluti in ciascuna delle cinque regioni africane, principalmente nel Nord Africa (Tunisia, Egitto,
Marocco e Algeria) a partire dalla primavera araba del 2001, mentre nell’Africa subsahariana si è assistito alla nascita
di nuove organizzazioni sindacali nel settore informale, invertendo la tendenza negativa registrata prima del 2008. Le
organizzazioni sindacali hanno registrato un significativo incremento di adesioni anche nell’America del Sud (Brasile,
Uruguay, Cile e Perù), nell’Asia meridionale (Nepal e Bangladesh) e nel Sud-Est asiatico (Cambogia, Vietnam e Singapore).
Al contrario, i sindacati hanno perso un elevato numero di iscritti in Europa orientale e centrale, così come
nell’Europa sudorientale e nei Balcani, continuando il trend negativo di sindacalizzazione che ha caratterizzato tutti i
paesi post-comunisti dal 1989, compresa la Federazione Russa e l’Ucraina (Traub-Merz e Pringle, 2018). Nell’Europa
occidentale, il declino della sindacalizzazione è proseguito dopo il 2008, continuando una tendenza iniziata nel 1980.
Nell’Europa meridionale, invece, il declino si è intensificato dopo la crisi del 2008, soprattutto in Grecia, Spagna e
Portogallo, invertendo la tendenza leggermente positiva iniziata prima del 2008. In America, la maggior parte delle
perdite di adesioni dopo il 2008 si è registrata negli Stati Uniti, mentre i sindacati canadesi hanno guadagnato adesioni
prima e dopo il 2008, anche se non abbastanza da tenere il passo con la crescita dell’occupazione.
In considerazione delle difficoltà nella misurazione dei tassi di sindacalizzazione di cui abbiamo accennato, la Tabella
1 mostra anche i tassi di appartenenza alla Federazione dei sindacati di tutta la Cina (ACFTU, All-China Federation of
Trade Unions), se non altro per notare le sue enormi dimensioni. Con circa 302 milioni di iscritti, tra cui 140 milioni di
lavoratori migranti (persone provenienti dalle aree rurali e che lavorano nei centri urbani) e 2,81 milioni di sindacati
16 LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO
Tabella 1: Tassi di sindacalizzazione in 18 regioni del mondo.
Regione Paesi Appartenenza sindacale (in miliaia) Densità sindacale (in %)
1 2 3 4 5 6
Tutti (§)
Lavoratori
indipendenti
Lavoratori dipendenti Occupati
Solo
dipendenti
2016 2016 2016 2000–08 2008–16 2016 2016
Africa medirionale 10 6.044 429 5.615 –570 684 11,4 24,9
Africa occidentale 15 6.533 542 5.562 –570 170 5,3 11,6
Africa orientale 10 4.609 2.278 2.331 260 395 4,0 14,1
Africa del Nord 4 11.083 .. 11.083 497 4.016 22,7 33,9
Paesi arabi 10 1.137 102 1.035 471 –414 3,3 5,0
America del Nord 2 19.343 87 19.256 211 –1.020 11,4 12,2
America centrale e
Caraibi
15* 6.720 243 6.477 634 316 8,9 13,0
America del Sud 10 28.020 5.705 22.316 2.658 4.121 15,0 20,1
Cina 1 302.000 .. 302.000 108.556 89.829 38,9 42,6
Asia orientale 16 354 .. 16.354 –751 308 15,4 18,2
Asia sud-orientale 2 19.229 79 19.181 –3.092 2.545 6,7 12,4
Asia meridionale 6 18.780 2.914 15.867 2.892 2.969 2,9 11,6
Asia occidentale 7** 6.430 67 6.362 –424 –184 9,0 14,3
Europa orientale e
centrale
10*** 26.823 569 26.254 –18.479 –9.944 22,4 24,5
Europa sud-orientale
e Balkani
10 3.204 27 3.177 –532 –1.421 16,5 21,5
Europa meridionale 6 10.494 920 9.573 1.223 –835 21,0 24,4
Europa occidentale 9 21.067 510 20.557 –1.847 –1.253 17,0 19,1
Europa settentrionale 5 7.902 488 7.413 –121 17 60,7 63,2
Nota: nessun dato disponibile; (§) esclusi i pensionati e i membri disoccupati; * esclusi Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Yemen; ** esclusi
Cuba, Haiti e Jamaica; *** esclusi di Iran, Afghanistan, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, **** esclusi della Bielorussia
locali, l’ACFTU è più grande di tutte le confederazioni sindacali del mondo messe insieme. Se corrette, queste cifre si
traducono in una quota di sindacalizzazione compresa tra il 38 e il 44 per cento, superiore a quella della maggior parte
delle nazioni sviluppate, ad eccezione del Nord Europa. La realtà però è ben più complicata. Il modello cinese infatti è
prevalentemente gerarchico e dipende fortemente dai finanziamenti delle imprese, imposti dalla legge (Traub-Merz
and Pringle, 2018)12.
Tornando alla Tabella 1, si nota che, oltre ai lavoratori dipendenti, anche molti lavoratori autonomi, circa 14,5 milioni
in totale, sono iscritti a un sindacato. Molti di loro lavorano nel settore informale o in maniera irregolare in imprese
formali. Essi comunque sono inclusi nel calcolo dei tassi di sindacalizzazione di tutti gli occupati (colonna 5), mentre
sono esclusi dai lavoratori dipendenti (colonna 6). In entrambe le colonne si osserva un forte divario dei livelli di
sindacalizzazione tra le varie regioni del mondo. Troviamo ai due opposti da una parte l’Europa settentrionale, con
livelli estremamente alti di sindacalizzazione e dall’altra gli Stati arabi del Medio Oriente, con livelli estremamente
bassi. Questo scenario cambia se si includono i lavoratori autonomi, i lavoratori in proprio e il settore informale.
In questo caso, i tassi di sindacalizzazione sono inferiori al 10 per cento in sette regioni: gli Stati arabi del Medio
Oriente con il loro elevato numero di lavoratori migranti, l’Africa orientale e occidentale, l’America centrale e l’Asia
meridionale, sudorientale e occidentale. Va notato che questo vale in particolare per il settore informale, soprattutto
in Africa, nonostante la recente crescita in termini di adesione.
Concentrandoci solo sul settore formale e i lavoratori dipendenti, inclusi i lavoratori temporanei e a tempo parziale, nel
grafico 2 è possibile osservare l’andamento dall’adesione sindacale dal 2000 in diverse regioni del mondo. L’analisi
tiene conto anche dell’anno 2008 per determinare se la crisi e la successiva recessione hanno segnato una svolta
positiva o negativa nei livelli di sindacalizzazione. In Africa e in America, il declino dei sindacati si è fermato dopo il
CAMBIAMENTI NELLA STRUTTURA DELL’OCCUPAZIONE E NEI POSTI DI LAVORO 17
2008 come conseguenza della significativa crescita sindacale nel Nord Africa dopo la primavera araba del 2011, della
stabilizzazione dei sindacati in diversi paesi dell’Africa meridionale e della crescita dei sindacati nel Sud America. In
Africa orientale e occidentale l’appartenenza sindacale rimane molto debole e con una tendenza negativa. Lo stesso
vale per l’America settentrionale e centrale. Nel complesso, il livello medio di sindacalizzazione in Asia è inferiore
rispetto a quello dell’America e dll’Africa, attestandosi al 13 per cento in Asia, al 15 per cento in America e al 21 per
cento in Africa, mentre le variazioni tra le diverse regioni sono diminuite in modo significativo. Infine, in Europa, che
costituisce un’eccezione in quanto ha i tassi di sindacalizzazione più alti del mondo, il declino dell’adesione sindacale
ha interessato tutte le regioni europee, sebbene in misura diversa nel Nord Europa. La media europea infatti è scesa
dal 39 per cento nel 2000 e al 23 per cento nel 2017. Tale declino, tuttavia, è leggermente rallentato negli ultimi anni.
Grafico 2: Tassi di sindacalizzazione per regione del mondo, 2000–2016/17.
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2000 2008 2016
AFRICA
AFRICA
Africa meridionale
Africa occidentale
Africa orientale
Africa del Nord
AMERICA
America del Nord
America centrale
e Caraibi
America del Sud
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2000 2008 2016
ASIA
ASIA
Asia orientale
Asia sud-orientale
Asia meridionale
Asia occidentale
Paesi arabi
EUROPA
Europa orientale
e centrale
Europa sud-orientale
e Balcani
Europa meridionale
Europa occidentale
Europa del Nord
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2000 2008 2016
AMERICA
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2000 2008 2016
EUROPA
Nota: Gruppi di paesi e dati come nella Tabella 1.
2 / Cambiamenti nella struttura dell’occupazione e nei posti
di lavoro
Secondo le attuali tendenze, si prevede, a tutti i livelli di sviluppo, un aumento del numero di lavoratori occupati nel
settore dei servizi e una diminuzione nel lungo termine della quota di occupazione nell’agricoltura. Attualmente, l’agricoltura
rappresenta quasi il 70 per cento di tutti i posti di lavoro nei paesi in via di sviluppo, il 40 per cento nei paesi
a reddito medio-basso, il 16 per cento nei paesi a reddito medio-alto e solo il 3per cento nei paesi sviluppati (OIL,
2018b). Si prevede inoltre che la quota dell’occupazione nel settore manifatturiero continuerà a diminuire nei paesi a
reddito medio-alto e nei paesi sviluppati, mentre crescerà solo marginalmente nei paesi a reddito medio-basso. Ciò
conferma il fenomeno della “deindustrializzazione precoce”, secondo cui i paesi a basso reddito, soprattutto in Africa e
America Latina, stanno assistendo a una diminuzione dei tassi di occupazione nel settore industriale nelle prime fasi
del loro processo di sviluppo, rispetto a quanto accaduto invece ai paesi sviluppati (Rodrik, 2016). Nei paesi sviluppati,
la deindustrializzazione è stata a lungo una preoccupazione, spesso associata alla perdita di posti di lavoro di qua18
LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO
lità, al declino dei sindacati e all’aumento delle disuguaglianze. Nei paesi in via di sviluppo, la deindustrializzazione
rappresenta un problema poiché indebolisce un meccanismo che in passato ha aiutato le persone ad apprendere e a
diffondere nuovi metodi di lavoro e ad aumentare la produttività e il reddito. Con il calo dell’occupazione nell’industria,
sempre più persone passeranno a occupazioni scarsamente retribuite e a bassa produttività nel settore dei servizi.
⏹ 2.1 La deindustrializzazione
Attualmente, il settore manifatturiero rappresenta il 16 per cento dell’occupazione totale nei paesi a reddito medioalto,
il 12 per cento nei paesi a reddito medio-basso, il 13 per cento nei paesi sviluppati e solo il 6 per cento nei paesi
in via di sviluppo. Con poche eccezioni, il settore minerario, estrattivo e delle utilities rappresenta solo una piccola
percentuale dell’occupazione totale in quanto richiede grandi disponibilità di capitali. Nel 2017, il settore dei servizi
occupava la quota maggiore della forza lavoro mondiale, ad eccezione dei paesi in via di sviluppo a basso reddito,
dove la quota dell’occupazione nel settore dei servizi (21 per cento) è molto inferiore a quella dell’agricoltura (70 per
cento). Nel 2017, tre lavoratori su quattro erano impiegati nel settore dei servizi all’interno dei paesi sviluppati (OIL,
2018b).
I lavoratori del settore agricolo sono generalmente scarsamente sindacalizzati, ad eccezione dei lavoratori delle grandi
piantagioni, ad esempio in Kenya o in Uganda, dove i lavoratori agricoli rappresentano rispettivamente il 35 e il 21
per cento di tutti gli iscritti ai sindacati. Nelle economie emergenti, invece, (ad esempio in Brasile, India, Russia, Sudafrica
o Turchia) i lavoratori agricoli rappresentano meno del 5 per cento di tutti gli iscritti ai sindacati, mentre, nei
paesi sviluppati solo l’1 per cento circa di tutti gli iscritti ai sindacati lavora nel settore agricolo (inclusi l’orticoltura e la
pesca)13. In tutti i paesi del mondo, la quota di occupazione nel settore agricolo è inversamente correlata al livello di
sindacalizzazione (ragr=-0,44). Adeguata ai livelli di reddito, la correlazione negativa diventa più debole, ma rimane
comunque significativa.
Il processo di deindustrializzazione va avanti da tempo ed è responsabile di un importanti cambiamenti all’interno del
movimento sindacale. Oggi, in qualsiasi paese del mondo, la maggior parte dei lavoratori sindacalizzati appartiene
al settore dei servizi. Nei 18 paesi industrializzati avanzati dell’Europa occidentale e dell’America settentrionale, la
quota di iscritti ai sindacati appartenenti all’industria (manifatturiera, edilizia, mineraria e delle utilities) si è ridotta in
media di mezzo punto percentuale ogni anno, passando dal 43 per cento nel 1980 al 32 per cento nel 2000 e al 22,5
per cento nel 2015. All’interno degli stessi paesi, l’industria manifatturiera rappresenta in media il 17 per cento di
tutti i membri dei sindacati (grafico 3), mentre l’industria mineraria meno dell’1 per cento, le utilities (gas, acqua ed
elettricità) l’1–2 per cento e l’edilizia il 4–5 per cento. Purtroppo non disponiamo di dati sufficienti per calcolare i valori
medi di altri gruppi di paesi.
Il grafico 3 mostra i dati disponibili sulle quote di adesione sindacale del settore manifatturiero (compreso quello
minerario) in 52 paesi. Il 1980 è stato scelto come punto di partenza poiché in quell’anno l’occupazione e l’adesione
sindacale nel settore manifatturiero erano all’apice. Il 1980 ha segnato anche l’inizio della globalizzazione, l’apertura
dell’economia cinese, il ritiro dalle politiche di industrializzazione del processo di sostituzione delle importazioni
dei paesi in via di sviluppo, nonché una svolta verso le politiche neoliberali. La prima cosa da notare è la disparità
dei livelli di sindacalizzazione tra i paesi di ciascun continente. Inoltre, solo in alcuni paesi almeno un terzo di tutti i
membri dei sindacati appartiene al settore industriale, e nello specifico: Sudafrica, Zambia, Giappone, Turchia, Romania,
Repubblica Ceca, Slovacchia, Italia, Germania e Polonia. I sindacati tedeschi si distinguono per la loro forte
presenza nell’industria manifatturiera (soprattutto nel settore metallurgico e chimico). In alcuni paesi africani esiste
una industria grande mineraria fortemente sindacalizzata (con tassi di sindacalizzazione fino all’80 per cento).
La sindacalizzazione dell’industria mineraria raggiunge livelli importanti anche in Cile, Bulgaria, Romania e Polonia,
mentre è trascurabile nel resto del mondo. L’industria delle costruzioni (nel grafico 3 accorpato ai servizi pubblici,
come fornitura di gas, approvvigionamento idrico e produzione di elettricità) ha una quota di adesione sindacale pari
o superiore al 10 per cento negli Stati Uniti, in Australia e in Svizzera. Al contrario, l’industria manifatturiera ha una
quota di sindacalizzazione molto ridotta, che scende al di sotto del 10 per cento in Canada, Stati Uniti, Israele, Australia,
Lettonia e Regno Unito. In Svezia, Danimarca, Norvegia, Finlandia, Irlanda, Paesi Bassi, Grecia e Portogallo ci
sono attualmente meno iscritti ai sindacati nel settore manifatturiero che nella sanità o nell’istruzione.
Dal grafico 3 si evince che il declino sindacale nel “settore della produzione di beni” si è trasformato, a partire dal 1980,
in un fenomeno generale che ha coinvolto tutti i paesi, anche se da livelli di partenza diversi. Alcuni paesi (Stati Uniti,
Regno Unito, Danimarca, Paesi Bassi) sono stati colpiti prima di altri (Germania, Belgio, Italia). Sebbene il fenomeno
si sia rivelato più intenso nei paesi industrializzati, ha coinvolto anche i sindacati dei paesi in via di sviluppo, di solito
partendo da livelli più bassi nel settore manifatturiero.
CAMBIAMENTI NELLA STRUTTURA DELL’OCCUPAZIONE E NEI POSTI DI LAVORO 19
Grafico 3: Quote di adesione sindacale nel settore industriale, 1980–2016.
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Tasso di sindacalizzazione dei lavoratori dipendenti (%)
2016 2000 1980 Industria manifatturiera, 2016 Attività estrattive, 2016 Costruzioni e servizi pubblici, 2016
Uganda
Tanzania
Burundi
Malawi
Kenya
Ghana
Zimbabwe
Swaziland
Sudafrica
Zambia
Mozambico
Colombia
Canada
Stati Uniti
Brasile
Cile
Messico
Israele
Nuova Zelanda
Australia
Bangladesh
Filippine
Corea
Cambogia
Giappone
Turchia
Lettonia
Regno Unito
Grecia
Portogalllo
Irlanda
Lituania
Svezia
Francia
Norvegia
Estonia
Paesi Bassi
Spagna
Finlandia
Danimarca
Ungheria
Austria
Svizzera
Belgio
Bulgaria
Slovenia
Romania
Rep Ceca
Italia
Slovacchia
Germania
Polonia
Nota: Il settore industriale (o di “produzione di beni”) comprende l’industria mineraria, l’industria manifatturiera, le utilities e l’industria delle
costruzioni. Laddove il settore minerario non è rappresentato separatamente nel grafico, la sua quota di sindacalizzazione è talmente ridotta da
essere conteggiata insieme al settore manifatturiero.
Anche nella grafico 4, che mostra i tassi di sindacalizzazione nella produzione manifatturiera (compresa l’industria
mineraria), i dati differiscono enormemente tra i paesi all’interno dei quattro continenti — dall’Uganda al Sudafrica,
dalla Colombia all’Argentina, dal Bangladesh al Giappone e dall’Estonia alla Svezia. In alcuni importanti paesi con
un’ampia base di esportazione nel settore manifatturiero (Bangladesh, India, Messico, Repubblica Ceca, Repubblica
Slovacca e Polonia), i sindacati sono molto deboli. Osservando l’andamento dal 1980, possiamo concludere che i
livelli di sindacalizzazione sono in calo in tutti i paesi sui quali disponiamo di serie storiche. I primi e più significativi
cali si sono registrati negli Stati Uniti, in Canada, in Australia, nella Nuova Zelanda e nel Regno Unito, ossia nei cinque
paesi industrializzati avanzati in cui le politiche neoliberali di deregolamentazione finanziaria, dei prodotti e del
mercato del lavoro sono state più pronunciate, limitando il diritto dei sindacati di scioperare. In questi cinque paesi, il
tasso medio di sindacalizzazione nel settore manifatturiero è sceso dal 47 per cento intorno al 1980 al 17 per cento
nel 2017, il che significa che l’attuale livello di adesione sindacale corrisponde a circa un terzo di quella registrata
prima della vittoriosa ascesa della globalizzazione e del neoliberismo. Il declino dei sindacati ha interessato, seppur
in maniera più lieve, anche i paesi con una politica neoliberale meno influente. Dal 1980 al 2017, la quota media di
sindacalizzazione nel settore manifatturiero nei quattro paesi dell’Europa del Nord (Danimarca, Finlandia, Norvegia e
Svezia) è scesa dal 90 al 68 per cento, mentre nell’Europa occidentale continentale (Austria, Belgio, Francia, Germania,
Italia, Paesi Bassi, Spagna e Svizzera) dal 43 al 24 per cento. La chiusura e il ridimensionamento delle imprese
altamente sindacalizzate (miniere di carbone, cantieri navali, industrie siderurgiche), insieme all’aumento del lavoro
temporaneo e della disoccupazione, sono tra i fattori alla base del declino dei sindacati nel settore industriale.
Nel grafico 4 sono indicati anche i livelli di sindacalizzazione nel settore dei servizi commerciali, che nella maggior
parte dei paesi è diventato il più grande in termini di occupazione, comprendendo il commercio, la ristorazione, il
turismo, i trasporti, le comunicazioni, il settore finanziario e assicurativo, i servizi immobiliari, amministrativi e commerciali.
In generale, i sindacati più consolidati nel settore manifatturiero che nei servizi commerciali. In media, i
lavoratori del settore manifatturiero hanno il doppio delle probabilità di aderire a un sindacato, passando da 1,3 volte
in Finlandia, Svezia, Danimarca e Regno Unito a circa 3 volte in Germania, Polonia o Messico14. Considerati i vincoli
finanziari che frenano l’espansione dei servizi pubblici e sociali, coloro che entrano per la prima volta nel mercato del
lavoro e coloro che hanno perso il lavoro nel settore manifatturiero hannno più probabilità di trovare occupazione nel
settore in espansione dei servizi commerciali, piuttosto che nel settore manifatturiero in declino. Il divario tra i tassi
di adesione sindacale nel settore manifatturiero e nei servizi commerciali determina un problema strutturale che i
sindacati sono chiamati ad affrontare. Se i sindacati non riusciranno ad arrestare il calo dell’occupazione nel settore
20 LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO
manifatturiero, rafforzare la loro posizione nei servizi commerciali o espandere l’occupazione nei servizi pubblici e
sociali (dove i tassi di sindacalizzazione tendono a essere molto più alti rispetto al settore manifatturiero), sarà difficile
invertire la tendenza di declino. Questo vale soprattutto per paesi come la Germania, dove i sindacati sono deboli nei
servizi commerciali e il divario con i sindacati del settore manifatturiero è molto ampio.
Grafico 4: Tassi di sindacalizzazione nel settore manifatturiero e minerario, 1980–2016.
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Filippine
Tasso di densità sindacale, appartenenza sindacale in % dei lavoratori dipendenti
2016 2000 1980 Servizi commerciali 2016
Uganda
Malawi
Ghana
Swaziland
Tanzania
*Burundi
*Zimbabwe
Kenya
Zambia
Sudafrica
Colombia
Stati Uniti
Messico
*Cile
Canada
Brasile
Argentina
Bangladesh
India
*Israele
Australia
Turchia
Corea
Nuova Zelanda
Cambogia
Giappone
Estonia
Lettonia
Ungheria
Slovacchia
Francia
*Rep Ceca
Polonia
Grecia
Portogallo
Regno Unito
Svizzera
Spagna
Paesi Bassi
*Slovenia
Irlanda
Germania
Austria
Italia
Norvegia
*Belgio
Finlandia
Danimarca
Svezia
Nota: I tassi di sindacalizzazione del settore manifatturiero di tutti i paesi includono anche i dati del settore minerario. I servizi commerciali
comprendono il commercio al dettaglio e all’ingrosso, il settore alberghiero e la ristorazione, i trasporti e le comunicazioni, i servizi finanziari e
assicurativi, i servizi immobiliari, commerciali e amministrativi.
⏹ 2.2 Lavoro o sindacati in declino?
In che misura il declino sindacale è causato dalla scomparsa di posti di lavoro altamente sindacalizzati nell’industria
(mineraria, manifatturiera, delle costruzioni e delle utilities) e quanto invece dal calo degli iscritti ai sindacati? Per
rispondere a questa domanda, dobbiamo costruire uno scenario controfattuale e stimare quanti iscritti ai sindacati
si sarebbero registrati nel settore manifatturiero e minerario nel 2016 se i tassi di sindacalizzazione fossero rimasti
invariati dal 1980. Questi risultati possono osservati nella Tabella 2 per 18 dei paesi industrializzati membri dell’OCSE
per i quali si dispone dei necessari dati longitudinali sull’adesione sindacale e sull’occupazione. In circa quarant’anni, i
sindacati di questi paesi hanno perso in totale 20 milioni di iscritti nell’industria (colonna 2, ultima riga), di cui un terzo
(6,7 milioni, ossia il 33 per cento) a causa della scomparsa di posti di lavoro (colonna 3) e due terzi (13,3 milioni, ossia
il 67 per cento) a causa del calo degli iscritti (nei posti di lavoro rimasti) (colonna 4), ad esempio perché un minor
numero di giovani lavoratori del settore industriale ha aderito a un sindacato.
Come si evince dalla tabella, i rapporti variano da un paese all’altro. Ad esempio, in Belgio, Danimarca, Italia e Svezia,
i sindacati hanno perso la maggior parte degli iscritti a causa del calo dell’occupazione nell’industria. Nella maggior
parte degli altri paesi è accaduto il contrario. In Australia e Canada, il numero di iscritti ai sindacati è diminuito
nell’industria nonostante il settore abbia registrato una crescita dell’occupazione. Negli Stati Uniti, il declino del movimento
sindacale non è il risultato di un riduzione dei posti di lavoro nell’industria, quanto piuttosto di una crisi del
sindacalismo nell’intero settore. Il calo dell’occupazione nell’industria è legato principalmente alla ristrutturazione
dell’industria manifatturiera (ad esempio, il passaggio dall’industria pesante a quella leggera) e alla delocalizzazione
delle fabbriche negli Stati del Sud, dove vigeva una legislazione basata sul “diritto al lavoro”, che vietava ai datori di
lavoro di riscuotere le quote sindacali dei lavoratori secondo le disposizioni dei contratti collettivi.
Infine, è importante osservare le colonne 1 e 5 della Tabella 2, che mostrano i cambiamenti dell’appartenenza sindacale
in tutti i settori e nei servizi (in migliaia). Tra il 1980 e il 2016, i sindacati hanno perso complessivamente un quarto
dei loro iscritti. Questo calo è stato più accentuato in tre paesi, in ciascuno dei quali il numero degli scritti è diminuito
di 5–6 milioni di unità, ossia Germania, Regno Unito e Stati Uniti. Cinque paesi, tuttavia, hanno registrato un aumento
CAMBIAMENTI NELLA STRUTTURA DELL’OCCUPAZIONE E NEI POSTI DI LAVORO 21
dell’adesione sindacale: Belgio, Canada, Danimarca, Norvegia e Spagna. La Spagna, che nel 1980 aveva un livello di
sindacalizzazione molto basso, è in realtà l’unico paese in cui i sindacati hanno guadagnato più iscritti nell’industria
fino al 2008, quando si è registrato un forte calo. Forse cosa ancora più importante è che meno della metà di questi
paesi — Belgio, Canada, Danimarca, Italia, Norvegia, Spagna, Svezia — è stata interessata da un significativo aumentato
del numero di iscritti del settore dei servizi. Al contrario, questo non è accaduto in Australia, Francia, Germania,
Portogallo, Regno Unito e Stati Uniti, nonostante il fatto che nei 18 paesi della Tabella 2 l’occupazione nel settore dei
servizi sia aumentata in media del 77
Tabella 2: Andamento dell’adesione sindacale (in migliaia) dal 1980.
Tutti i settori Industrie estrattive e manifatturiere Servizi
1 2 3 4 5
migliaia % migliaia
per diminuzione
dei posti di
lavoro (%)
per diminuzione
dei lavoratori nei
tipi di lavoro (%)
migliaia
Australia* –1.021 –39,8% –573 +15% –115% –448
Austria –449 –31,1% –462 –18% –82% +13
Belgio 412 +25,0% –350 –71% –29% +726
Canada 1.042 +30,7% –504 +5% –105% +1.546
Danimarca 128 +8,0% –378 –54% –46% +506
Finlandia** –207 –13,5% –228 –45% –55% +22
Francia –1.307 –34,7% –846 –42% –58% –524
Germania*** –5.719 –47,8% –4.380 –34% –66% –1.309
Irlanda –54 –10,9% –80 –9% –91% +36
Italia –1.118 –15,6% –1.238 –57% –43% +120
Paesi Bassi –315 –20,8% –348 –34% –66% +32
Norvegia 312 +33,3% –117 –18% –82% +429
Portogallo –864 –59,2% –373 –23% –77% –491
Spagna 1.088 +98,0% +84 +30% +70% +1.024
Svezia –161 –5,2% –619 –57% –43% +530
Svizzera –165 –19,4% –208 –37% –63% +43
Regno Unito –5.675 –47,7% –4.521 –41% –59% –1.154
Stati Uniti –5.278 –26,3% –4.760 –10% –90% –519
Totale –19.414 –25,3% –20.002 –33% –67% +588
Fonte: Nota: * dal 1982; ** dal 1989; *** dal 1991.
⏹ 2.3 La digitalizzazione e il progresso tecnologico
I dati sulla crescita e sul calo dell’occupazione non riflettono il quadro completo. I posti di lavoro si evolvono in termini
di contenuto, requisiti formativi, responsabilità, autonomia e lavoro di squadra. I progressi tecnologici tendono
a rendere superflui determinati lavori, che generalmente corrispondono a quelli altamente sindacalizzati. La digitalizzazione,
la robotica e l’intelligenza artificiale riducono la domanda di posti di lavoro che si collocano al centro della
distribuzione delle occupazioni, quali operai, lavoratori specializzati, addetti alle macchine e al montaggio, personale
d’ufficio e amministrativo. I dati sull’occupazione tra il 1998 e il 2014 mostrano una diminuzione a livello mondiale di
tali posti di lavoro, tanto nei paesi sviluppati quanto in quelli in via di sviluppo (IPSP, 2018). Al contrario, è aumentata la
domanda di personale dirigente, professionisti intellettuali e tecnici, soprattutto nei paesi sviluppati e a reddito medioalto,
di personale addetto ai servizi e alle vendite nei paesi a qualsiasi livello di sviluppo e di occupazioni elementari,
soprattutto nei paesi in via di sviluppo e nei paesi a reddito medio-basso. Si prevede un proseguimento di questa
tendenza, alla luce della nota ipotesi di routinizzazione di Autor, Levy e Murnane (2003), secondo cui i computer e
gli apparecchi robotici possono sostituire i lavoratori in quelle mansioni facilmente codificabili in procedure e routine
che possono essere abilmente svolte dalle macchine. Le competenze manuali del settore manifatturiero, infatti, si
basano su attività precise ma ripetitive, che possono essere automatizzate. In maniera del tutto simile, il requisito per
un essere un impiegato bancario era un tempo la capacità di effettuare conti aritmetici in modo veloce e preciso, ma
22 LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO
oggi i computer possono effettuare calcoli in maniera ancora più precisa e senza alcun margine di errore. Tuttavia,
è difficile progettare un computer che sappia gestire, istruire e motivare le persone. Lo stesso vale per le attività di
pulizia e di assistenza. La prossima frontiera della digitalizzazione sarà probabilmente la preparazione, la consegna
e il trasporto di pasti, fino ad arrivare, un giorno, alla sostituzione degli uomini nell’insegnamento e nell’assistenza
infermieristica.
Il processo di digitalizzazione ha un forte impatto sui lavori altamente sindacalizzati, contribuendo in maniera significativa
al declino dei sindacati. Ciò è confermato dalle rilevazioni sulle forze di lavoro, disponibili tuttavia solo per
alcuni paesi. Queste ricerche mostrano che, all’inizio degli anni 2000, in Australia e negli Stati Uniti il tasso di sindacalizzazione
dei lavoratori qualificati e di quelli semi-specializzati, quali gli addetti alle macchine e al montaggio,
era superiore a quello di altri lavoratori, preceduto solo dal tasso di sindacalizzazione del personale tecnico e dei
professionisti intellettuali in Canada, Irlanda e Regno Unito. I livelli di sindacalizzazione dei lavoratori specializzati e
semi-specializzati erano il doppio di quelli degli addetti alle vendite ed erano significativamente più elevati rispetto a
quelli dei lavoratori del settore dei servizi, delle occupazioni elementari e del personale dirigente. Ciò significa che i
cambiamenti nella struttura dell’occupazione sono destinati ad avere un impatto negativo sull’adesione sindacale. In
Svezia e nei Paesi Bassi, i risultati delle rilevazioni sulle forze di lavoro mostrano che la differenza tra i tassi di sindacalizzazione
di lavoratori qualificati e non qualificati è meno marcata e il progresso tecnologico ha avuto un minore
impatto sul declino sindacale.
I tassi di sindacalizzazione dei lavoratori qualificati e degli addetti alle macchine e al montaggio è diminuita negli
ultimi tempi: in Irlanda, si è passati dal 45 per cento registrato nel 2000 al 33 per cento registrato nel 200815, in
Canada si è passati dal 39 al 35 per cento nello stesso periodo, in Australia dal 35 al 28 per cento nel 2012, nel Regno
Unito dal 34 al 24 per cento nel 2016 e negli Stati Uniti dal 20 al 13 per cento nel 2017. Nei Paesi Bassi, il tasso
di sindacalizzazione dei lavoratori non qualificati e degli addetti alle macchine e al montaggio è sceso dal 23 per
cento nel 2000 al 18 per cento nel 2012, mentre per i lavoratori qualificati il tasso è sceso dal 25 al 22 per cento. In
Svezia, il tasso di sindacalizzazione dei lavoratori manuali (qualificati e non qualificati) è diminuito in misura maggiore,
passando dall’83 per cento nel 2000 al 62 per cento nel 2016, rispetto ai lavoratori non manuali (gli impiegati), che
sono scesi dal 79 al 74 per cento (Kjellberg, 2018). In Svezia, il calo dell’adesione sindacale tra i lavoratori manuali
(non solo nell’industria) è fortemente legata ai cambiamenti delle politiche del governo sull’assicurazione contro la
disoccupazione gestita dai sindacati (Kjellberg e Ibsen, 2016).
⏹ 2.4 Il disinteresse dei giovani?
Negli ultimi trenta o quarant’anni, il declino sindacale è avvenuto in un contesto sociale in cui i lavoratori più anziani
e maggiormente sindacalizzati sono stati sostituiti da lavoratori più giovani, più istruiti e meno sindacalizzati.
Questo fenomeno è confermato da due statistiche: il forte calo dei tassi di sindacalizzazione dei giovani e l’aumento
della quota di iscritti ai sindacati con istruzione secondaria e terziaria (e la conseguente diminuzione della quota di
lavoratori non qualificati e con istruzione inferiore). Questo processo, insieme al calo dell’occupazione nel settore
manifatturiero in molti paesi, sta trasformando radicalmente la composizione dei sindacati. Non è del tutto chiaro
perché i giovani di oggi siano meno propensi ad aderire ai sindacati rispetto a quelli di una o due generazioni fa. Si
tratta, tuttavia, di un cambiamento che interessa quasi tutti i paesi industrializzati avanzati per i quali disponiamo dei
relativi dati (grafico 5).
I tassi di sindacalizzazione dei giovani lavoratori variano dall’1 per cento in Estonia (e praticamente lo 0 per cento
in Lettonia e Lituania) al 44 per cento in Belgio. Questi tassi sono calcolati in base alla percentuale di lavoratori dipendenti
iscritti al sindacato. Pertanto, queste percentuali non tengono conto dei numerosi studenti e disoccupati
nella fascia d’età tra i 16 e i 25 anni. Nei due terzi dei paesi indicati nella grafico 5, meno dell’8 per cento dei giovani
lavoratori si iscrive a un sindacato. Un calo considerevole dell’adesione sindacale dei giovani è stato registrato in Svezia,
Finlandia e Danimarca (in ogni caso legato ai cambiamenti nei sistemi di assicurazione contro la disoccupazione
gestiti dai sindacati), in Australia, Slovenia, Grecia e Portogallo, in questi ultimi due paesi a causa dell’impennata
della disoccupazione giovanile. Al contrario, il tasso di sindacalizzazione dei giovani in Canada è rimasto pressoché
invariato, come pure in Germania e Belgio, dove l’andamento, almeno dal 2000, non ha subito forti variazioni. Nei
paesi in cui l’accesso al mondo del lavoro avviene attraverso un percorso di formazione professionale che combina
lavoro e scuola, come in Germania, i sindacati attraggono maggiormente i giovani. L’esempio del Belgio fa notare
che spesso molti giovani con lavori occasionali o precari, temporanei o a tempo parziale, hanno difficoltà a iscriversi
a un sindacato a causa dei costi di adesione spesso proibitivi. In Belgio, infatti, i lavoratori di età inferiore ai 25 anni,
CAMBIAMENTI NELLA STRUTTURA DELL’OCCUPAZIONE E NEI POSTI DI LAVORO 23
compresi gli studenti e le persone in cerca di lavoro, godono di una riduzione o dell’esenzione del pagamento delle
quote associative, partecipando quindi all’attività sindacale e godendo dei relativi benefici. (Pulignano e Doerflinger,
2014). Secondo questi autori, il problema dei sindacati belgi non è la mancanza di adesione tra i giovani, quanto la
mancanza di partecipazione attiva.
Grafico 5: Tassi di sindacalizzazione nella popolazione compresa tra 16 e 25 anni.
00
10
20
30
40
50
60
70
Tasso di densità sindacale (% lavoratori dipendenti)
2014 2000 1990
Estonia
Ungheria
Polonia
Portogallo
Francia
Spagna
Stati Uniti
Messico
Slovenia
Grecia
Paesi Bassi
Slovacchia
Regno Unito
Australia
Italia
Canada
Germania
Austria
Irlanda
Danimarca
Finlandia
Svezia
Belgio
I sindacati spagnoli presentano un quadro contrastante: il tasso di sindacalizzazione dei giovani è molto basso e in
continuo calo. Di conseguenza, il divario con i tassi di adesione dei lavoratori anziani è molto ampio (grafico 5 e 6).
Secondo Pulignano, Gervasi e Franceschi (2016), questo scenario dipende dal fatto che la maggior parte dei giovani
è intrappolata in lavori temporanei, fuori quandi dalla copertura dei sindacati, che sono maggiormente radicati tra i
lavoratori permanenti. Questo “dualismo” si è intensificato a seguito della crisi del 2008 e delle conseguenti politiche
di austerità, che hanno provocato un aumento esponenziale della disoccupazione e del lavoro precario tra i giovani.
Questo potrebbe essere uno dei motivi per cui “Juventud Sin Futuro” (Gioventù senza futuro), un movimento che ha
denunciato la precarietà lavorativa dei giovani, nato nel 2011 parallelamente al movimento Indignados (Antentas,
2011), ha esplicitamente rifiutato qualsiasi legame con i sindacati (e con i partiti politici consolidati), sotto lo slogan
“Non ci rappresentano” (Flesher Fominaya, 2015; Hyman e Gumbrell-McCormick, 2017). Sebbene le due principali
confederazioni sindacali spagnole abbiano cercato di contrastare il calo degli iscritti reclutando le donne, i giovani
lavoratori e i lavoratori a tempo determinato (Heery e Adler, 2004), non sono stati ottenuti i risultati sperati a causa
delle limitate risorse a disposizione per questo scopo. (Keune, 2013).
Il divario nei tassi di sindacalizzazione dei giovani lavoratori che entrano nel mercato del lavoro e dei lavoratori anziani
prossimi alla pensione hanno raggiunto livelli molto elevati, non solo in Spagna. Il grafico 6 mostra le differenze nei
tassi di sindacalizzazione dei lavoratori nelle due fasce di età (16–24 e 55–64 anni) in cui il lavoratore medio entra
o esce dal mercato del lavoro16. Nel 2014 nei paesi industrializzati avanzati, i lavoratori anziani, quelli entrati nel
mercato del lavoro negli anni ‘70, erano in media 4,3 volte più sindacalizzati rispetto ai lavoratori entrati nel mercato
del lavoro nell’ultimo decennio (grafico 6)17. Quindici anni fa, questa differenza era circa la metà. Da ciò deriva un
invecchiamento dei sindacati e una crescita della quota di iscritti prossimi a uscire dal mercato del lavoro. L’età media
degli iscritti ai sindacati nei paesi europei è salita a 45 anni (calcolata nell’ambito dell’European Social Survey) e in
media il 20 per cento di tutti gli iscritti ha più di 55 anni, senza considerare i pensionati.
In quasi tutti i paesi, i tassi di sindacalizzazione tendono ad aumentare tra le fasce più alte d’età. Il problema di fondo
è che ci sono molte differenze tra i giovani e gli anziani. I tassi di sindacalizzazione dei lavoratori anziani sono elevati
perché lo erano altrettanto quelli delle generazioni passate. In altre parole, questi alti livelli di sindacalizzazione sono
il risultato delle decisioni prese circa trenta o quarant’anni fa. I lavoratori tendono ad aderire a un sindacato quando
sono giovani, il più delle volte quando hanno trovato il loro primo lavoro stabile o hanno iniziato a costruire una
famiglia (Visser, 2002). Anche le probabilità di abbandonare il sindacato sono più alte nei primi anni di adesione, per
24 LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO
poi diminuire drasticamente (Van Rij e Saris, 1993). I lavoratori che non si iscrivono a un sindacato prima dei 30 o 35
anni di età molto probabilmente non lo faranno mai. Ciò significa che, se da una parte negli ultimi trenta o quarant’anni
è diminuita l’appartenenza sindacale dei giovani, dall’altra è aumentata la quota di lavoratori che non si iscrivono mai
a un sindacato, come hanno dimostrato Booth, Budd e Munday (2010) con i dati degli Stati Uniti e Bryson e Gomez
(2005) del Regno Unito.
Grafico 6: Tassi di sindacalizzazione tra i lavoratori in entrata e in uscita dal mercato del
lavoro, 2014.
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20
30
40
50
60
70
80
Tasso di densità sindacale (% lavoratori dipendenti)
età 16–24 anni età 55–64 anni
Lituania
Estonia
Lettonia
Ungheria
Rep Ceca
Polonia
Portogallo
Israele
Francia
Spagna
Stati Uniti
Messico
Slovenia
Grecia
Paesi Bassi
Nuova Zelanda
Slovacchia
Regno Unito
Australia
Italia
Svizzera
Canada
Germania
Austria
Irlanda
Norvegia
Danimarca
Finlandia
Svezia
Belgio
⏹ 2.5 I sindacati nei servizi sociali e commerciali
La maggior parte dei nuovi posti di lavoro nell’economia delle piattaforme riguarderà i servizi commerciali — vendita
al dettaglio, settore alberghiero, ristorazione, catering e turismo, trasporto privato su strada, servizi alle imprese,
agenzie di noleggio e di lavoro, comunicazioni, sicurezza e servizi domestici. In queste attività, i tassi di sindacalizzazione
sono bassi anche tra i lavoratori con contratti di lavoro standard. Nell’ambito dei servizi commerciali, che
comprendono anche i trasporti pubblici, i servizi postali, bancari e assicurativi, sono sindacalizzate generalmente solo
le grandi imprese (grandi magazzini, società ferroviarie e compagnie aeree nazionali, trasporti stradali comunali,
servizi postali, banche e società assicurative di grandi dimensioni), soprattutto quelle a partecipazione pubblica. In
questi settori, il lavoro temporaneo e a tempo parziale è molto diffuso, soprattutto nel commercio al dettaglio, nel
settore alberghiero, nella ristorazione, nei servizi di sicurezza e in quelli domestici. Inoltre, la maggior parte delle persone
lavora in piccole o micro imprese con meno di 100 o addirittura 10 dipendenti, oppure in maniera “autonoma”.
Nel complesso, il tasso di sindacalizzazione nei servizi commerciali — oggi il settore più grande e maggiormente
in crescita in termini di occupazione nella maggior parte dei paesi — è molto al di sotto della media nazionale di
tutti i paesi (grafico 7). Questi tassi sono estremamente bassi negli Stati Uniti, in Colombia, Costa Rica, Honduras,
Messico, Francia, Turchia, Repubblica di Corea, quasi tutti i paesi dell’Europa centrale e orientale e diversi paesi africani.
Paesi come Cile, Canada, Brasile, Australia, Nuova Zelanda, Israele, Slovenia e una serie di paesi dell’Europa
occidentale si attestano al 10 per cento o appena al di sopra. In Sudafrica, Giappone, Irlanda, Austria e Italia i tassi
di sindacalizzazione si attestano in prossimità del venti per cento — un dipendente su cinque — mentre sono più alti
in Belgio e nell’Europa settentrionale. Confrontando i dati in maniera retrospettiva, possibile tuttavia solo per alcuni
parsi, si osserva che la crescita dell’occupazione ha superato la crescita degli iscritti quasi ovunque e che i tassi di
sindacalizzazione nei servizi commerciali sono diminuiti.
I tassi di sindacalizzazione nei servizi commerciali variano tuttavia anche all’interno del settore stesso. I livelli più
bassi si registrano di norma nel commercio al dettaglio, nel settore alberghiero, nella ristorazione, nel turismo, nel
trasporto privato su strada, nei servizi alle imprese (comprese le agenzie di noleggio e di lavoro) e nei servizi personali
(pulizia). A titolo di esempio, il tasso di sindacalizzazione del settore alberghiero e nella ristorazione è inferiore al 3 per
CAMBIAMENTI NELLA STRUTTURA DELL’OCCUPAZIONE E NEI POSTI DI LAVORO 25
cento negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Ungheria, al 4 per cento in Francia, al 5 per cento in Australia e Giappone,
al 6 per cento in Canada e al 7 per cento nei Paesi Bassi. In questi paesi, inoltre, i tassi di sindacalizzazione di questi
settori sono diminuiti nell’ultimo decennio. Nel commercio al dettaglio, i sindacati hanno la loro roccaforte nei grandi
magazzini, ma negli ultimi anni il mercato si è spostato sempre più verso lo shopping online e i servizi di consegna
come Amazon. Gli attuali tassi di sindacalizzazione variano dall’1 per cento in Tanzania, al 2 per cento in Polonia, al 4
per cento in Ungheria, nella Repubblica di Corea e negli Stati Uniti, tra il 5 e il 6 per cento in Francia e tra l’11 e il 13 per
cento nel Regno Unito, nei Paesi Bassi, in Canada, in Australia e in Giappone. I tassi di sindacalizzazione nei servizi alle
imprese, compresi i servizi finanziari e assicurativi, tendono a essere inferiori al 10 per cento e, come nell’industria,
i posti di lavoro amministrativi di medio livello stanno scomparendo, mentre la quota di lavoratori “autonomi” è in
aumento. Nel settore dei trasporti e delle comunicazioni, i sindacati sono particolarmente radicati nei servizi pubblici
o a partecipazione statale (ferrovie e linee aeree, servizi portuali e traghetti, trasporti municipali, servizi postali), ma la
privatizzazione, l’off-shoring (nei trasporti marittimi) e la concorrenza internazionale nei trasporti stradali e marittimi
e nelle comunicazioni hanno sottratto terreno ai sindacati.
La grafico 7 mostra anche i tassi di sindacalizzazione nei servizi sociali e alla comunità. Questo settore comprende
la pubblica amministrazione, la sicurezza sociale, le forze politiche e di sicurezza, l’istruzione, la sanità, l’arte e lo
spettacolo e altri servizi sociali e alla persona. Non sorprende che i tassi di sindacalizzazione in questi servizi siano
molto più elevati rispetto a quelli dei servizi commerciali. Fa eccezione il Cile, dove non è riconosciuto ai dipendenti
pubblici il diritto di associazione. In media, per i 49 paesi indicati nella grafico 7, il livello di sindacalizzazione è 3 o 4
volte superiore nei servizi sociali rispetto ai servizi commerciali. Di norma, in tutti paesi, i più elevati tassi di sindacalizzazione
si registrano tra i funzionari pubblici, gli amministratori, i dipendenti pubblici a livello locale e centrale,
gli insegnanti e, dove consentito, tra i militari e le forze dell’ordine. Questa tendenza può essere spiegata da diverse
ragioni, tra cui il supporto delle autorità ai sindacati, il livello di competenze e lo spirito di squadra, il riconoscimento
di particolari garanzie in caso di adesione a un sindacato e un più alto grado di stabilità occupazionale rispetto al
settore privato, sebbene i contratti a breve termine e il lavoro in somministrazione si siano ampiamente diffusi anche
in questo settore, soprattutto nell’istruzione, nella sanità e nei servizi pubblici sussidiari. L’analisi delle serie storiche,
disponibili per un gruppo più piccolo di paesi, rileva che il divario nei livelli di sindacalizzazione dei lavoratori dei servizi
commerciali e di quelli sociali (e di coloro che lavorano nel settore privato o pubblico in generale) si è rapidamente
accentuato negli anni ‘80 e ‘90 in seguito al forte calo di adesione sindacale nel settore privato (che ha interessato
il settore dei servizi tanto quanto quello dell’industria). Tuttavia, a partire dal 2000, i tassi di sindacalizzazione sono
diminuiti anche nel settore dei servizi pubblici, a causa della privatizzazione, dell’aumento dei contratti a tempo
determinato nella pubblica amministrazione e nell’istruzione, nonché del passaggio dal lavoro dipendente al lavoro
autonomo nell’assistenza sanitaria.
Nei paesi africani, gli insegnanti, che spesso costituiscono il gruppo sindacale più numeroso, sono stati determinanti
nella nascita dei sindacati. Essi rappresentanti il 53 per cento del totale degli iscritti che versano le quote associative
in Sierra Leone, il 47 per cento in Tanzania, il 31 per cento in Ghana, il 30 per cento in Uganda, il 29 per cento in
Zimbabwe e il 24 per cento in Malawi. La rappresentanza sindacale degli insegnanti supera quella di qualsiasi altro
gruppo professionale. Le stesse quote sono state registrate in alcuni paesi definiti a “bassa sindacalizzazione” del
mondo sviluppato, ad esempio negli Stati Uniti, dove l’adesione sindacale degli insegnanti rappresentava il 28 per
cento del totale degli iscritti nel 2017, il 22 per cento in Francia nel 2013 e il 20 per cento in Messico nel 2015. Anche gli
infermieri e i medici sono di solito ben rappresentati all’interno dei sindacati, anche se spesso attraverso associazioni
professionali al di fuori del movimento sindacale tradizionale.
In generale, lo spostamento dell’occupazione dall’industria ai servizi, e più in particolare ai servizi sociali e alla comunità,
è accompagnato da un aumento del livello di istruzione. I tassi di sindacalizzazione tendono ad aumentare
con il livello di istruzione. I dati di cui disponiamo, relativi solo ai paesi dell’OCSE, mostrano che, in media, più di
due membri sindacali su cinque hanno un livello di istruzione avanzata, due su cinque hanno un livello di istruzione
secondaria superiore e meno di un quinto non possiede un livello di istruzione secondaria. La Turchia, il Messico,
la Repubblica di Corea, la Spagna e il Portogallo sono i paesi con il maggior numero di lavoratori non qualificati e in
cui la quota di iscritti a un sindacato con un’istruzione inferiore supera il 30 per cento del totale degli iscritti. Come
il passaggio ai servizi, anche l’aumento della partecipazione femminile ai sindacati ha comportato un aumento del
livello di istruzione. Maggiore è la quota di donne nei sindacati, minore è la quota di iscritti che non hanno conseguito
un livello di istruzione secondaria (r=-0,57).
26 LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO
Grafico 7: Tassi di sindacalizzazione nel settore dei servizi, 2015–2016.
0
10
20
30
40
50
60
70
80
Tassi di densità sindacale (% lavoratori dipendenti)
servizi servizi commerciali servizi sociali e collettivi
Swaziland
Tanzania
Zimbabwe
Zambia
Malawi
Mozambico
Ghana
Uganda
Sudafrica
Kenya
Colombia
Stati Uniti
Cile
Messico
Costa Rica
Honduras
Brasile
Canada
Turchia
Rep di Corea
Australia
Giappone
Nuova Zelanda
Israele
Estonia
Lituania
Polonia
Ungheria
Slovacchia
Bulgaria
Rep Ceca
Lettonia
Slovenia
Francia
Svizzera
Spagna
Germania
Paesi Bassi
Portogallo
Grecia
Irlanda
Regno Unito
Austria
Italia
Belgio
Norvegia
Danimarca
Finlandia
Svezia
⏹ 2.6 L’aumento dell’adesione sindacale femminile
Oltre al calo dell’adesione sindacale nel settore industriale, il principale cambiamento del mondo sindacale degli
ultimi decenni è l’aumento della partecipazione femminile. Questo processo ha interessato quasi tutto il mondo e
ha avuto inizio intorno al 1970 in alcuni paesi dell’Europa settentrionale e del mondo anglosassone. Oggi, la quota
della partecipazione femminile supera quella maschile nell’Europa centrale e orientale, nell’Europa settentrionale,
nonché in Canada, Australia, Nuova Zelanda, Irlanda, Regno Unito, Israele, Cambogia, Nicaragua e Tunisia. In quasi
tutti i paesi, l’adesione sindacale delle donne è in costante aumento.
Tra il 2016 e il 2017, i tassi di sindacalizzazione femminile erano più elevati di quelli maschili in 27 dei 56 paesi riportati
nel grafico 8. Per circa trenta o quarant’anni, in molti paesi si sono registrati tassi di sindacalizzazione maschile
e femminile più o meno equi, inizialmente come conseguenza della crescente partecipazione femminile e in seguito
perché un elevato numero di uomini ha perso il lavoro, abbandonando di conseguenza anche i sindacati. Alla base di
questi sviluppi ci sono i cambiamenti strutturali di cui abbiamo già discusso: la deindustrializzazione, che ha colpito
maggiormente gli uomini rispetto alle donne e lo sviluppo dei servizi sociali e commerciali, che hanno creato maggiori
opportunità di occupazione e di sindacalizzazione per le donne. Negli ultimi anni, si è registrato in termini assoluti
un calo dell’adesione sindacale maschile e un aumento di quella femminile nella maggior parte dei paesi sviluppati.
In molti paesi, tuttavia, questa crescita è stata arrestata dall’introduzione delle politiche di austerità e dal ridimensionamento
dei servizi pubblici in seguito alla crisi finanziaria del 2007–2008 e la successiva recessione. In molti paesi
in via di sviluppo, soprattutto in Africa e in Asia, in seguito all’espansione dei sindacati nel settore informale, che di
norma offre lavoro principalmente alle donne, è aumentata la partecipazione sindacale delle donne.
I più bassi tassi di sindacalizzazione femminile e il maggiore divario tra il tasso di sindacalizzazione maschile e femminile
si registrano in Argentina, Pakistan, Turchia, Repubblica di Corea, Giappone, Austria, Germania, Grecia e Cipro.
Non sono chiari tuttavia i motivi di questa scarsa partecipazione delle donne. In questi paesi, ad eccezione della
Grecia, di Cipro e del Pakistan, esiste ancora oggi una forte tradizione industriale e quindi una predominanza del sindacalismo
industriale. Questo probabilmente ha ritardato la sindacalizzazione delle donne, maggiormente occupate
nei servizi pubblici e privati. Inoltre, hanno sicuramente influito fattori religiosi e culturali (come ad esempio il confucianesimo
in Giappone, l’Islam in Pakistan, la cultura sindacale maschilista nella Repubblica di Corea e in Giappone,
il machismo in America Latina, il paternalismo in Africa e il modello maschilista del capofamiglia in alcuni paesi dell’Europa
continentale) (si veda Cook et al., 1984). Tuttavia, queste spiegazioni religiose e culturali vanno considerate
con le dovute cautele, alla luce delle differenze nei livelli di sindacalizzazione registrati all’interno delle stesse regioni,
culture e persino religioni, e in alcuni casi, dei rapidi cambiamenti avvenuti nel corso tempo (ad esempio in Irlanda o
nei Paesi Bassi). Non molto tempo fa, l’ideologia cristiana imponeva alle donne di tornare a casa dopo il matrimonio
e il parto.
I CAMBIAMENTI NEI RAPPORTI DI LAVORO 27
Grafico 8: Tassi di sindacalizzazione per genere, 2016/2017.
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
tutti donne uomini
Burundi
Ruanda
Marocco
Ghana
Sudafrica
Guatemala
Stati Uniti
Messico
Cile
Brasile
Canada
Nicaragua
Argentina
Pakistan
Turchia
Filippine
Malaysia
Rep di Corea
Bangladesh
Australia
Giappone
Nuova Zelanda
Cambogia
Israele
Estonia
Lituania
Ungheria
Slovacchia
Rep Ceca
Polonia
Lettonia
Bulgaria
Slovenia
Romania
Croazia
Fed Russa
Francia
Portogallo
Spagna
Germania
Paesi Bassi
Svizzera
Grecia
Irlanda
Regno Unito
Austria
Lussemburgo
Italia
Cipro
Malta
Norvegia
Belgio
Finlandia
Svezia
Danimarca
Islanda
3 / I cambiamenti nei rapporti di lavoro
A partire dagli anni ‘80, abbiamo assistito a un indebolimento del rapporto di lavoro standard, tipicamente utilizzato
nelle grandi imprese, tra gli operai delle industrie sindacalizzate e gli impiegati con mansioni dirigenziali e d’ufficio.
Il declino del lavoro standard, come norma e modello anche per le imprese non sindacalizzate, è associato alla contrazione
del settore formale in Africa, Asia e America Latina. Il lavoro standard è stato il fondamento normativo delle
leggi e delle norme volte a tutelare i lavoratori da eccessivi orari lavorativi e condizioni di lavoro non dignitose, garantendo
loro il diritto di associazione e alla contrattazione collettiva, nonché a prestazioni sociali come assicurazioni
sociali e pensioni (Stone and Arthurs, 2013).
Nei paesi ad alto reddito, i rapporti di lavoro sono molto diversificati, passando da un’occupazione formale permanente
o stabile a diverse forme di lavoro atipiche (o non standard), in particolare il lavoro temporaneo, a tempo parziale,
in somministrazione, a chiamata e diverse forme di lavoro autonomo. Una maggiore flessibilità e diversità caratterizza
anche l’orario di lavoro, fino ad arrivare al lavoro mobile e al lavoro da casa. In virtù di queste nuove modalità
di lavoro, i lavoratori possono essere classificati come autonomi, indipendenti o in proprio, oppure possono essere
collocati da un’agenzia di lavoro temporaneo, distaccati temporaneamente in altri paesi o trasferiti dalla forza lavoro
principale di grandi aziende dominanti alle imprese più piccole e meno stabili dei loro fornitori.
Il lavoro occasionale è ampiamente diffuso nei paesi a basso e medio reddito e si sta facendo strada anche nei paesi
industrializzati. In Bangladesh, quasi due terzi del lavoro retribuito è occasionale; in Mali e Zimbabwe, un dipendente
su tre ha un lavoro occasionale, mentre in Australia, uno su quattro (IPSP, 2018). L’OCSE stima che il lavoro atipico,
che comprende i lavoratori autonomi, temporanei, a tempo parziale e a tempo determinato, rappresenta quasi un
quarto dell’occupazione totale. Il lavoro atipico, tuttavia, si è affermato ben prima della crisi del 2008. In media, quasi
il 2,6 per cento dei posti di lavoro a tempo pieno e permanenti nei paesi dell’OCSE sono andati distrutti a seguito della
recessione, con un conseguente aumento del lavoro atipico. L’OIL stima che l’incidenza del lavoro temporaneo nel
settore formale è dell’11 per cento, calcolata come media su 150 paesi, passando da meno del 5 per cento in Lettonia,
Norvegia e Sierra Leone a oltre il 25 per cento in Perù, Polonia e Spagna (OIL, 2018b).
28 LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO
⏹ 3.1 La globalizzazione e le migrazioni
Grazie all’eliminazione delle barriere commerciali, alla riduzione dei costi di trasporto e alla deregolamentazione dei
mercati dei prodotti e del lavoro, è diventato più facile per le imprese de-localizzare la produzione attraverso lo sviluppo
di catene di fornitura globali. Il principale vantaggio dei paesi in via di sviluppo era e rimane l’accesso a una
manodopera a basso costo. La strategia di sviluppo industriale orientata all’esportazione, spesso di stampo autocratico,
adottata dal Giappone negli anni ‘50, dalla Corea del Sud negli anni ‘60 e dalla Cina negli anni ‘80 e ‘90, richiede
un miglioramento delle competenze man mano che l’economia cresce e i livelli di reddito aumentano. Alcuni settori,
come quello dell’abbigliamento, migrano continuamente a causa dell’aumento dei costi del lavoro e con l’affermarsi
di nuovi siti produttivi in paesi come il Bangladesh, la Cambogia, l’Indonesia e il Vietnam. L’esternalizzazione della
produzione in catene di produzione globali ha creato milioni di posti di lavoro nel Sud del mondo, spesso nelle zone
industriali di esportazione (EPZ). Questo tuttavia non si è tradotto in un aumento dei livelli di sindacalizzazione dei
lavoratori industriali. La maggior parte dei posti di lavoro delocalizzati nel Sud del mondo sono lavori a basso contenuto
tecnologico nel settore manifatturiero o nei servizi essenziali, legati principalmente allo sviluppo del turismo e
dei trasporti e alle crescenti necessità di sicurezza.
Il maggiore calo dell’occupazione si è registrato nei settori industriali che si sono duramente confrontati con la concorrenza
cinese (Autor, Dorn e Hanson, 2016), che in molti paesi industrializzati ha creato fenomeni di declino economico,
spopolamento e decadimento urbano, come la Rust Belt americana. Ciò ha avuto un significativo impatto
su molti sindacati e sulla forza lavoro sindacalizzata. Anche il consolidamento delle zone industriali di esportazione
nei paesi in via di sviluppo ostacola la diffusione e la crescita dei sindacati. Esse sono generalmente promosse come
strumento per attrarre investimenti stranieri, introdurre nuove tecnologie e creare posti di lavoro, spesso attraverso
incentivi fiscali e l’indebolimento dei diritti dei lavoratori, a volte addirittura vietando l’associazione sindacale18 Senza
una rappresentanza sindacale, le norme del lavoro esistenti spesso non sono rispettate (Murray, 2018). Ad esempio,
in Bangladesh, le politiche del governo per vietare l’attività sindacale nelle zone industriali di esportazione si sono
attenuate solo dopo il crollo di un edificio che ha provocato la morte di oltre 1.100 lavoratori nel 2013.
⏹ 3.2 Le migrazioni
Oltre ai posti di lavoro, anche le persone si spostano. I flussi migratori verso le regioni del Nord del mondo si sono
particolarmente intensificati nei dieci anni precedenti la crisi finanziaria mondiale. Dopo la crisi, i flussi migratori
sono rallentati, per poi intensificarsi nuovamente, con un numero crescente di rifugiati in fuga dalla guerra e dalla
miseria (Afonso e Devitt, 2016). L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) stima che nel 2015 il numero
di migranti si attestava a quasi un miliardo in tutto il mondo, ovvero una persona su sette a livello mondiale (OIM,
2016). La grande maggioranza (740 milioni) è costituita da migranti nazionali, che si spostano principalmente dalle
zone rurali alle zone urbane, di cui 150 milioni solo in Cina. I migranti internazionali nel 2015 erano 244 milioni, con
un incremento del 41 per cento rispetto al 2000. I flussi migratori internazionali tra le regioni del Sud del mondo
coinvolgono 90 milioni di persone, ossia il 35 per cento di tutti i migranti internazionali, appena al di sopra della quota
dei migranti che si spostano dal Sud al Nord del mondo (che si attestano al 33 per cento), mentre solo il 23 per cento
si sposta tra i paesi del Nord e appena il 5 per cento dal Nord al Sud del mondo. I dati dell’OIL per il 2013 suggeriscono
che la maggior parte dei migranti internazionali, 130 milioni, si sposta per motivi di lavoro, di cui il 75 per cento nei
paesi ad alto reddito (OIL, 2015b). Rispetto al totale dei lavoratori, la quota dei lavoratori migranti internazionali varia
da meno del 3 per cento in gran parte dell’Africa, dell’America Latina e dell’Asia meridionale e orientale al 9–10 per
cento nell’Europa orientale e nell’Asia centro-occidentale, al 16 per cento nell’Europa settentrionale, occidentale e
meridionale, al 20 per cento nell’America settentrionale e al 35 per cento nei paesi arabi. Tra il 2003 e il 2013, i
migranti internazionali hanno contribuito aell’aumento della forza lavoro, in una misura del 70 per cento in Europa e
del 47 per cento negli Stati Uniti.
I sindacati dei paesi del Nord Europa non sempre hanno accolto i lavoratori provenienti dall’Europa meridionale,
dalla Turchia e dal Nord Africa nell’ambito dei programmi di accoglienza dei lavoratori migranti. Questo ha spesso
generato delle tensioni all’interno del nascente movimento sindacale dell’Unione europea (Penninx e Roosblad, 2000).
In seguito alla chiusura di questi programmi a causa degli shock economici degli anni Settanta, molti paesi hanno
adottato politiche di immigrazione zero, consentendo comunque ai migranti già presenti sul territorio di rimanere
e di riunirsi con le loro famiglie. Le politiche neoliberiste di globalizzazione degli anni ‘80 e ‘90 hanno portato a
una nuova fase delle migrazioni come risultato della riattivazione delle fabbriche, dello sviluppo dell’occupazione
I CAMBIAMENTI NEI RAPPORTI DI LAVORO 29
informale e dello sfruttamento del lavoro nelle regioni del Nord del mondo (Reyneri, 2003). I lavoratori migranti sono
stati tradizionalmente esclusi dai sindacati e meno sindacalizzati rispetto ai lavoratori nazionali con occupazioni simili.
Non è chiaro se ciò dipenda da una minore propensione dei lavoratori migranti ad aderire ai sindacati o se piuttosto
siano i sindacati a non avere interesse nei confronti dei lavoratori migranti.
Dal 2000,tuttavia, i sindacati dell’America settentrionale, dell’Europa occidentale e nel Sud-Est asiatico hanno adottato
un approcio più “inclusivo” nei confronti dei migranti internazionali (Caspersz, 2013). Essi hanno cominciato a
sostenere i canali legali dell’immigrazione per motivi di lavoro e a garantire forme di associazione ai migranti, a volte
creando uffici e strutture speciali all’interno dei sindacati o tramite collaborazioni con organizzazioni della società civile
(Connolly et al., 2014; Milkman, 2013; Tapia e Turner, 2013). Nei paragrafi successivi, troveremo esempi di paesi
come la Giordania, il Sudafrica e Hong Kong. Nell’Europa occidentale e nell’America settentrionale, i sindacati hanno
raggiunto la consapevolezza che l’applicazione delle norme del lavoro è uno strumento più efficace per proteggere il
mercato del lavoro rispetto ai controlli sulle migrazioni. Alcuni sindacati hanno adottato un approccio più restrittivo
di altri, ad esempio sostenendo e ottenendo nel 2004 una sospensione temporanea delle migrazioni di manodopera
dagli otto nuovi Stati membri dell’UE dell’Europa centrale e orientale (Dølvik e Visser, 2009). Tuttavia, attualmente i
sindacati si concentrano maggiormente sulla situazione e sul trattamento dei migranti presenti nel paese piuttosto
che sulla gestione dei flussi migratori (Krings, 2010). Nel 2000, la Federazione americana del lavoro — Congresso
delle organizzazioni industriali (AFL-CIO) degli Stati Uniti ha adottato delle politiche a favore dei migranti, abbandonando
il precedente approccio più restrittivo. La federazione è infatti impegnata nella difesa dei diritti degli immigrati
e nella regolarizzazione della posizione dei lavoratori irregolari presenti nell’America centrale e meridionale (Milkman,
2013). In diversi paesi europei, tra cui Francia, Spagna, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Regno Unito, i sindacati sono
diventati sostenitori dei diritti degli immigrati (Connolly, Marino, Martinez Lucio, 2014; Jacobson e Geron, 2011).
Il grafico 9 mette a confronto i tassi di sindacalizzazione dei lavoratori nazionali e stranieri di diversi paesi europei
relativi all’anno 2012. Purtroppo non disponiamo dei medesimi dati per i paesi extra europei. I dati riportati si basano
su rilevazioni sulle forze di lavoro (Irlanda, Paesi Bassi, Svezia, Regno Unito, Estonia) e sui dati derivati dall’ European
Social Survey, calibrati rispetto ai tassi di sindacalizzazione noti19. Ad esclusione di poche eccezioni (principalmente
Portogallo e Slovenia), i lavoratori migranti sono meno sindacalizzati dei lavoratori nazionali. Gorodzeisky e Richards
(2013) e Kranendonk e de Beer (2016), utilizzando i dati di diverse edizioni dell’ European Social Survey, concludono
che il fatto che in Europa i lavoratori migranti siano meno sindacalizzati dei lavoratori nazionali non dipende esclusivamente
da fattori come la loro maggiore concentrazione in determinati settori o tipi di attività meno sindacalizzati,
quanto piuttosto dalle differenze nelle politiche sindacali.
Nei paesi europei indicati nel grafico 9, i lavoratori nazionali hanno in media 1,3 volte più probabilità di aderire a un
sindacato rispetto ai lavoratori stranieri. Il divario maggiore si osserva in Spagna (2,3:1), Grecia (1,9:1), Ungheria
(1,6:1), Austria (1,6:1), Svizzera, Germania e Irlanda (1,5:1). In Francia e nel Regno Unito il rapporto è in media di 1,3:1.
Il divario inferiore invece si registra invece in Belgio, Italia, Finlandia, Svezia, Danimarca (con un rapporto di circa
1,1:1), nonché nei Paesi Bassi, in Norvegia e in Polonia (1,2:1). Purtroppo non disponiamo di serie storiche per la
Spagna o la Grecia che consentano di osservare gli effetti della recessione del 2008 e del conseguente forte aumento
della disoccupazione. I lavoratori migranti sono stati maggiormente colpiti dalla crisi? Hanno lasciato il paese o sono
rimasti? Hanno abbandonato i sindacati o sono stati i sindacati ad abbandonarli? I dati disponibili per la Svezia, la
Danimarca, l’Irlanda e i Paesi Bassi, consentono di effettuare un confronto con la situazione degli anni Novanta. Da
questa analisi risulta che il tasso di sindacalizzazione dei lavoratori migranti o di origine straniera in Svezia, Danimarca
e Irlanda è diminuito in misura maggiore rispetto al tasso di sindacalizzazione dei lavoratori nazionali. Nei Paesi
Bassi, invece, il tassi di sindacalizzazione di entrambi i gruppi sono diminuiti in misura pressocchè uguale, nonostante
l’impegno dei sindacati olandesi a favore dei lavoratori temporanei e dei migranti (Connolly, Marino e Martinez Lucio,
2016). Il forte calo dell’adesione sindacale dei lavoratori migranti in Danimarca e Svezia può essere attribuito ai
cambiamenti politici che hanno indebolito il sistema dei regimi di assicurazione contro la disoccupazione gestiti dai
sindacati, con un impatto fortemente negativo sul reclutamento e sull’adesione sindacale dei giovani lavoratori, dei
lavoratori temporanei e dei migranti (Kjellberg e Ibsen, 2016). In Irlanda, la quota dei lavoratori stranieri è aumentata
rapidamente negli anni 2000, passando da una prevalenza di cittadini di origine anglosassone a una prevalenza di
cittadini provenienti dall’Europa dell’Est. Molti migranti hanno esperienze diverse sui sindacati dei loro paesi d’origine,
alcune positive altre negative, che probabilmente influiscono sulla decisione di iscriversi a un sindacato nel paese di
accoglienza.
30 LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO
Grafico 9: Tassi di sindacalizzazione dei lavoratori stranieri e nazionali, 2012.
00
10
20
30
40
50
60
70
Tasso di densità sindacale (% degli occupati)
lavoratori autoctoni lavoratori nati all’estero
Estonia
Ungheria
Francia
Spagna
Polonia
Bulgaria
Rep Ceca
Grecia
Germania
Svizzera
Slovacchia
Paesi Bassi
Austria
Regno Unito
Irlanda
Portogallo
Slovenia
Italia
Norwegia
Belgio
Finlandia
Svezia
Fonte: Banca dati ICTWSS, calcolati nell’ambito dell’European Social Survey, calibrati rispetto ai tassi di sindacalizzazione noti.
⏹ 3.3 I lavoratori temporanei e a tempo parziale
In un gran numero di paesi, sia ad alto reddito sia in via di sviluppo, la maggior parte dei giovani ha un lavoro temporaneo.
Mentre i lavori con contratti a tempo determinato garantiscono alle persone che entrano nel mercato del
lavoro un lavoro retribuito, dando allo stesso tempo ai datori di lavoro la possibilità di reclutare il personale, la segmentazione
dei mercati del lavoro e la dura protezione dei lavoratori “regolari” dal licenziamento spesso si traducono
in catene infinite di lavori temporanei, riducendo la possibilità dei lavoratori di ottenere un’occupazione stabile. Nei
paesi per i quali disponiamo di dati, i posti di lavoro in somministrazione rappresentano dall’1 al 6 per cento del lavoro
retribuito. In Europa, è diventato più facile per le imprese, direttamente o attraverso agenzie di lavoro, “distaccare”i
lavoratori in un altro paese per un tempo determinato. I paesi asiatici, in particolare, hanno assistito, nel corso degli
ultimi decenni, alla crescita di varie forme di distaccamento del lavoro, in somministrazione, in subappalto o in “outsourcing”
(esternalizzato). Nel settore manifatturiero indiano, la quota del lavoro a contratto ha interessato il 34,7
per cento dei lavoratori tra il 2011 e il 2012, rispetto ai livelli trascurabili dei primi anni Settanta. Sridhar e Panda
(2014) citano fonti che mostrano che in molte aziende manifatturiere, il lavoro a contratto è salito al 60–70 per cento
dell’occupazione totale.
I sindacati hanno adottato un approccio più attivo e partecipativo nella difesa e rappresentanza dei lavoratori autonomi,
a tempo parziale e temporanei. Nei paesi membri dell’OCSE, la quota media di lavoratori iscritti ai sindacati
con un lavoro a tempo parziale o temporaneo è del 13 per cento, mentre quella dei lavoratori autonomi è del 2–3 per
cento, escludendo i lavoratori del settore agricolo (grafico 10). Non disponiamo di una stima per i lavoratori in somministrazione,
ma possiamo ipotizzare che anche la loro quota di adesione sindacale sia molto bassa, nonostante
l’apertura dei sindacati a questa categoria di lavoratori (Benassi e Vlandas, 2016). La quota dei lavoratori a tempo
parziale nei sindacati aumenta parallelamente alla quota dei lavoratori temporanei (r=0,53), il che suggerisce una
sovrapposizione dei dati che, quindi, non possono essere sommati.
Analizzando i tre gruppi separatamente, notiamo che la quota dei lavoratori temporanei è maggiore in Turchia e
Israele, seguiti da Irlanda, Stati Uniti, Italia e Australia. I sindacati di Paesi Bassi, Australia, Regno Unito, Irlanda
e Belgio hanno una maggiore quota di lavoratori a tempo parziale. Il lavoro a tempo parziale è meno sviluppato
nell’Europa centrale e orientale e la maggior parte dei sindacati non garantisce la rappresentanza a questa categoria
di lavoratori. Lo stesso vale per i lavoratori in somministrazione, che solo di recente hanno attirato l’attenzione
delle organizzazioni sindacali. (Bernaciak e Kahancová, 2017). Di norma, i sindacati offrono tutela e rappresentanza
a nuovi gruppi di lavoratori atipici quando raggiungono dimensioni considerevoli e in continua crescita e quando
I CAMBIAMENTI NEI RAPPORTI DI LAVORO 31
il loro intervento è essenziale per la loro sopravvivenza o per determinare la loro posizione contrattuale20. I dati
sull’adesione sindacale dei lavoratori autonomi (compresi i liberi professionisti, gli artisti, gli studenti, i lavoratori in
proprio e i gig-workers) sono disponibili solo per la metà di questi paesi. La loro quota rispetto al totale degli iscritti
è ancora bassa, seppur in crescita in paesi come Israele, Slovacchia, Finlandia, Svezia, Italia e Paesi Bassi.
Grafico 10: Quota dei lavoratori autonomi, temporanei e a tempo parziale iscritti a un
sindacato.
00
05
10
15
20
25
30
35
40
45
50
Quota di partecipazione (%)
autonomi lavoratori temporanei lavoratori part-time
Turchia
Israele
Irlanda
Stati Uniti
Italia
Australia
Lettonia
Spagna
Slovacchia
OCSE
Paesi Bassi
Belgio
Canada
Finlandia
Regno Unito
Portogallo
Svezia
Grecia
Svizzera
Danimarca
Norvegia
Germania
Polonia
Nuova Zelanda
Francia
Messico
Rep Ceca
Lituania
Austria
Giappone
Rep di Corea
Ungheria
Slovenia
Estonia
Nota: La quota dei lavoratori autonomi appartenenti a un sindacato è calcolata come una percentuale rispetto al totale dei dipendenti (lavoratori
dipendenti e autonomi); la quota dei lavoratori a tempo parziale e temporanei appartenenti a un sindacato è calcolata come una percentuale
rispetto al totale dei lavoratori dipendenti.
L’elevato ricambio del personale ha una correlazione negativa con l’appartenenza sindacale. Se pensiamo all’appartenenza
sindacale come al rispetto di una consuetudine sociale, di una reputazione o di una norma, sotto l’influenza
dei colleghi e dei pari (Booth, 1985; Checchi & Visser, 2005; Ibsen, Toubøl, e Jensen, 2017; Visser, 2002), perdere
o cambiare spesso lavoro fa venire meno questa influenza, ed è una delle ragioni più indicate dagli intervistati sul
motivo per cui hanno abbandonato il sindacato. La ricerca conferma anche che, nel caso della Germania, i comitati
aziendali dominati dai sindacati svolgono un ruolo importante non solo nel reclutamento di nuovi membri ma anche
nel rinnovamento dell’adesione di quelli già iscritti (Behrens, 2009; Goerke e Pannenberg, 2007; Leschke e Vandaele,
2018).
La scarsa sindacalizzazione dei lavoratori temporanei non dipende solo dal ridotto numero di adesioni e dai numerosi
abbandoni a causa dei frequenti cambi di lavoro, ma è anche il risultato di una mancanza di interesse da parte dei
sindacati stessi. Sebbene i sindacati europei abbiano adottato approcci differenti in risposta alla sfida del lavoro atipico,
secondo Gumbrell- McCormick (2011) tali approcci hanno un punto di partenza comune. Il loro iniziale obiettivo,
infatti, non era rappresentare questi nuovi lavoratori, quanto opporsi alla diffusione delle forme di lavoro atipiche,
chiedendone il divieto. Dopo aver fallito in questo intento, le organizzazioni sindacali hanno iniziato a comprendere
che il lavoro temporaneo si sarebbe rafforzato con il tempo e hanno adottato dunque un approccio più aperto, offrendo
a questi lavoratori tutela e rappresentanza. Il sindacato tedesco IG Metall, per esempio, si è rifiutato inizialmente di
rappresentare i lavoratori che facevano capo alle agenzie di lavoro, con la motivazione che ciò avrebbe dato legittimità
a queste agenzie. Consapevole del fatto che il lavoro in somministrazione era diventato una caratteristica del settore
metalmeccanico e aveva compromesso il potere contrattuale dei suoi membri, il sindacato ha lanciato la campagna
“Equal Work — Equal Pay”, durante la quale molti lavoratori in somministrazione si sono iscritti al sindacato (Benassi
e Dorigatti, 2015). Intorno al 2014, i sindacati dell’industria automobilistica ceca e slovacca, dove il lavoro in
somministrazione è molto diffuso, hanno aggiornato le loro politiche con l’obiettivo di integrare la politica di tutela dei
tradizionali membri (contribuenti), ossia i lavoratori permanenti, con i tentativi di rappresentare e migliorare la posizione
dei lavoratori in somministrazione (Bernaciak e Kahancová, 2017). Più concretamente, ispirandosi al “modello
organizzativo” importato dagli Stati Uniti, molti sindacati europei hanno organizzato campagne, in alcuni casi con un
32 LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO
notevole successo, tra i lavoratori temporanei e precari, quali le guardie di sicurezza ad Amburgo, i lavoratori dei call
center austriaci, gli addetti alle pulizie e al confezionamento della carne nei Paesi Bassi, i lavoratori dei fast food e
dei centri commerciali francesi, i lavoratori del commercio al dettaglio in Polonia, gli addetti alle vendite svedesi, i
lavoratori del settore alberghiero in Irlanda e gli addetti al confezionamento della carne nel Regno Unito (Berntsen,
2015; Connolly, Marino e Martinez Lucio, 2016; Czarzasty, Gajewska e Mrozowicki, 2014; Holtgrewe e Doellgast, 2012;
Murphy e Turner, 2016; Tapia e Turner, 2013). Alcune di queste campagne si sono ispirate al modello della campagna
statunitense “Justice for Janitors”, che ha avuto un notevole successo (Erickson et al., 2002).
Il cambio di approccio dei sindacati è motivato anche dalla consapevolezza che il lavoro in somministrazione e il lavoro
temporaneo sono una realtà per molte persone, soprattutto per i giovani. Con l’invecchiamento dei membri,
soprattutto — ma non solo — nell’industria, i sindacati hanno l’urgente bisogno di reclutare più giovani. Per farlo,
molti di essi hanno iniziato a interessarsi ai problemi nella transizione dalla scuola al lavoro e alla diffusione delle
forme di lavoro atipiche. Alla luce di ciò, i sindacati giapponesi si sono concentrati sulla situazione dei lavoratori a
tempo parziale, la maggior parte dei quali sono giovani, donne e persone con scarse garanzie di tutela del lavoro.
Se da una parte le loro campagne di reclutamento dei lavoratori a tempo parziale hanno riscosso un notevole successo,
dall’altra hanno incontrato diversi ostacoli legati alla struttura organizzativa dei sindacati stessi, un problema
che riguarda anche la Repubblica di Corea. I sindacati aziendali, infatti, spesso limitano l’adesione ai soli lavoratori
permanenti e non partecipano alle campagne per una politica di adesione più inclusiva organizzate dalle federazioni
sindacali settoriali a cui appartengono (Jeong, 2001; Lee, 2010).
Il tasso medio di sindacalizzazione nei paesi del grafico 11 è del 30 per cento per i lavoratori permanenti e del 14 per
cento per i lavoratori temporanei. In questi paesi, i lavoratori permanenti hanno una probabilità 4,2 volte maggiore
di aderire a un sindacato. Le maggiori differenze nell’adesione sindacale dei lavoratori temporanei si osservano in
Danimarca, Grecia, Ungheria, India, Lituania, Messico, Polonia, Slovenia e Spagna. Non si osservano grandi differenze
tra paesi estremamente diversi come Canada, Irlanda, Italia, Nuova Zelanda e Turchia. Ciò può essere attribuito a
diversi fattori, come le differenze nella tutela legale del lavoro, le politiche di reclutamento sindacale o la concentrazione
dei lavoratori temporanei in particolari settori o tra i giovani, che hanno un inferiore tasso di sindacalizzazione.
Ma perché la Danimarca, con il suo famoso concetto di equilibrio tra flessibilità e sicurezza (la “flexicurity”), con i suoi
contratti di lavoro a tempo indeterminato relativamente flessibili e con la sua politica di contrattazione collettiva inclusiva,
appartiene al primo gruppo di paesi? Probabilmente questo dipende dai cambiamenti del sistema nazionale
di assicurazione contro la disoccupazione.
I tassi di sindacalizzazione eccezionalmente elevati registrati in Danimarca, Islanda, Finlandia e Svezia (ma non in
Norvegia) sono attribuiti a un particolare regime volontario di assicurazione contro la disoccupazione noto come
sistema di Ghent. Tale sistema, fortemente sovvenzionato dallo Stato e amministrato da fondi sindacali, incoraggia
i lavoratori ad aderire ad un sindacato. Il Belgio ha un sistema parziale di Gent: sebbene l’assicurazione contro
la disoccupazione sia obbligatoria, i sindacati hanno mantenuto un ruolo importante nell’erogazione di tali sussidi
(Van Rie, Marx e Horemans, 2011; Vandaele, 201). Contrariamente alla maggior parte dei paesi in cui esiste una
correlazione negativa tra disoccupazione e appartenenza sindacale, i tassi di sindacalizzazione di questi paesi in cui si
applica in sistema di Ghent tendono ad aumentare in condizioni di crescente disoccupazione (Checchi e Visser, 2005).
Western (1997) ha dimostrato che il sistema di Ghent è particolarmente vantaggioso per i sindacati che rappresentano
i lavoratori manuali.
L’introduzione delle recenti riforme ha indeblito il legame tra l’assicurazione contro la disoccupazione fornita dai sindacati
e l’adesione agli stessi. I governi hanno infatti istituito dei fondi contro la disoccupazione “aperti”, non associati
all’adesione sindacale in Finlandia (1992), Danimarca (2002) e Svezia (2005). Questi fondi tendono ad essere più
economici e attrattivi per i lavoratori più giovani, soprattutto in Finlandia (Böckerman e Uusitalo, 2006), mentre in
Danimarca sono stati creati i presupposti per la nascita di nuovi tipi di “sindacati più economici” al di fuori del movimento
sindacale tradizionale che non partecipano alla contrattazione collettiva. In Svezia, il governo ha aumentato i
contributi per i sussidi contro la disoccupazione e ha introdotto criteri di valutazione dell’esperienza lavorativa, che,
in particolare, incidono sui membri dei sindacati degli operai. I rimborsi fiscali sulle quote dei fondi sono stati aboliti o
limitati, con ripercussioni ancora una volta sui sindacati dei lavoratori manuali e meno retruibuiti (Kjellberg e Ibsen,
2016). Molti fondi, inoltre, impongono le stesse commissioni a tutti lavoratori, a tempo parziale o a tempo pieno,
temporanei o permanenti. È quindi plausibile che i lavoratori a tempo parziale e soprattutto quelli temporanei, solitamente
con salari più bassi, siano tagliati fuori dall’erogazione dei fondi e dall’iscrizione a un sindacato. Anche in
Belgio il governo aveva in programma una riforma dell’assicurazione contro la disoccupazione, che tuttavia non è
stata approvata (Vandaele, 2017).
I CAMBIAMENTI NEI RAPPORTI DI LAVORO 33
Grafico 11: Tassi di sindacalizzazione dei lavoratori temporani e permanenti; Tassi di
sindacalizzazione dei lavoratori tempo parziale e a tempo pieno, 2015–16.
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
tempo determinato tempo indeterminato
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
Tasso di densità sindacale (% degli occupati)
part-time tempo pieno
Estonia
Costa Rica
Rep di Corea
Ungheria
Lituania
Slovenia
Polonia
Francia
Messico
India
Rep Ceca
Stati Uniti
Giappone
Spagna
Turchia
Grecia
Portogallo
Australia
Israele
Svizzera
Germania
Danimarca
Austria
Slovacchia
Paesi Bassi
Regno Unito
Nuova Zelanda
Cina
Canada
Irlanda
Italia
Svezia
Norvegia
Belgio
Finlandia
Estonia
Costa Rica
Rep di Corea
Ungheria
Lituania
Slovenia
Polonia
Francia
Messico
India
Rep Ceca
Stati Uniti
Giappone
Spagna
Turchia
Grecia
Portogallo
Australia
Israele
Svizzera
Germania
Danimarca
Austria
Slovacchia
Paesi Bassi
Regno Unito
Nuova Zelanda
Cina
Canada
Irlanda
Italia
Svezia
Norvegia
Belgio
Finlandia
Tasso di densità sindacale (% degli occupati)
Kjellberg (2018) cita l’esempio del sindacato svedese dei lavoratori del settore alberghiero e della ristorazione. Dopo
le riforme e l’abolizione dei rimborsi fiscali, la quota mensile del fondo è passata da 58 corone svedesi (SEK) nel 2006
a 430 corone nel 2009. Nel settore alberghiero e della ristorazione, molti lavoratori hanno un lavoro a tempo parziale
o determinato, molti sono giovani e stranieri, e il turnover della manodopera è molto elevato. Non c’è da stupirsi se
molti lavoratori decidono di risparmiare sull’iscrizione al sindacato. La sindacalizzazione tra i dipendenti del settore
alberghiero e della ristorazione è scesa dal 52 per cento nel 2006 al 40 per cento nel 2008 e al 27 per cento nel 2017.
Un calo simile è stato osservato anche tra i lavoratori temporanei e a tempo parziale in Danimarca e Finlandia.
Nel complesso, il divario nei tassi di sindacalizzazione dei lavoratori a tempo parziale e a tempo pieno si è ridotto
nella maggior parte dei paesi. Attualmente, i lavoratori a tempo pieno hanno il doppio delle probabilità di aderire a
un sindacato rispetto ai lavoratori a tempo parziale, ma questa differenza si riduce se si escludono le persone che
lavorano poche ore alla settimana, ossia meno di 12 ore. Non è chiaro tuttavia perché una persona che lavora 20 o
24 ore alla settimana sia meno propenso ad aderire a un sindacato rispetto a una persona che lavora 36 o 40 ore,
supponendo che il pagamento delle quote e i benefici siano ripartiti in base al numero di ore lavorate. Tuttavia, non
tutti i sindacati hanno adottato un approccio di questo tipo. Un’altra ipotesi è che i lavoratori a tempo parziale preferiscano
dare priorità ad altri interessi che non includono i sindacati. Infine, alcuni sindacati hanno iniziato troppo tardi
ad affrontare la questione del lavoro a tempo parziale. In Estonia o in Polonia, ad esempio, il lavoro a tempo parziale
è un fenomeno ancora piuttosto recente, spesso involontario e marginale, e i sindacati non hanno una tradizione di
reclutamento di questi lavoratori. Confrontando le attività dei sindacati greci e italiani nel settore delle telecomunicazioni,
in cui sono occupati molti lavoratori temporanei e a tempo parziale (“a chiamata”), Kornelakis e Voskeritsian
(2016) hanno riscontrato approcci molto diversi: mentre i sindacati italiani si sono impegnati nel reclutamento dei
lavoratori a tempo parziale, i sindacati greci cercano di mantenere l’adesione dei lavoratori permanenti e a tempo
pieno.
⏹ 3.4 I lavoratori in proprio e i lavoratori autonomi
I lavoratori in proprio e i lavoratori autonomi sono le principali categorie dell’economia informale. Il problema principale
di questi lavoratori è che spesso non sono riconosciuti e tutelati dalla normativa in materia di lavoro e protezione
sociale, che tende invece a concentrarsi sui lavoratori con uno “status di dipendente”. Nel 2002, la Conferenza internazionale
del lavoro dell’OIL ha adottato una risoluzione sul lavoro dignitoso e l’economia informale, che rileva la
34 LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO
necessità di estendere l’ambito di applicazione della legislazione sul lavoro e la protezione sociale e di riconoscere
il diritto dei lavoratori autonomi di aderire o formare sindacati e di partecipare alla contrattazione collettiva (OIL,
2002). Questo impegno è stato riaffermato nel 2015 con l’adozione della Raccomandazione dell’OIL sulla transizione
dall’economia informale all’economia formale (R204). I lavoratori autonomi con contratti d’appalto sono esclusi
dalla contrattazione collettiva in paesi dove non è consentito stipulare accordi sui prezzi in base alla legislazione vigenti
sulla concorrenza, ad esempio nell’Unione Europea e negli Stati Uniti. Nonostante questi ostacoli, l’estensione
della contrattazione collettiva ai lavoratori autonomi con contratti d’appalto e la negoziazione di accordi specifici per
questa categoria di lavoratori sono fondamentali per un’efficace applicazione di questo approccio nell’economia delle
piattaforme. Per questo motivo la questione è al centro delle attività sindacali.
Nei paesi dell’OCSE, i datori di lavoro e i lavoratori in proprio rappresentavano nel 2016 il 13 per cento di tutti i posti
di lavoro formalmente registrati, contro l’85 per cento dei lavoratori dipendenti e il 2 per cento dei lavoratori non
retribuiti in contesti familiari. Dal 2000, il lavoro autonomo è aumentato marginalmente, ad eccezione di alcuni paesi
in cui, al contrato, è cresciuo in maniera significativa — 25 per cento in Estonia e Repubblica Ceca, 33 per cento in
Francia, 40 per cento in Cile, 46 per cento nel Regno Unito, 55 per cento in Israele e 69 per cento nei Paesi Bassi (OCSE,
2018). Questi progressi riguardano il settore dell’edilizia, del trasporto di merci su strada e dei servizi commerciali, in
particolare i servizi finanziari e la consulenza. Generalmente alcuni di questi lavori sono associati a forme di lavoro
e di contrattazione basate sul web. Tuttavia, il lavoro autonomo è aumentato prevalentemente poco prima del 2008
ed è praticamente scomparso durante la grande recessione.
I lavoratori autonomi, oltre ad avere una minore certezza del lavoro e del reddito rispetto ai lavoratori dipendenti,
godono generalmente di meno benefici legati al lavoro, in particolare i sussidi di disoccupazione, le assicurazioni
contro gli infortuni e le indennità di malattia e di maternità (OCSE, 2018). Meno del 5 per cento dei lavoratori autonomi
intervistati nell’ambito dell’Indagine europea sulle condizioni di lavoro si definiscono lavoratori autonomi “dipendenti”
(Williams e Horodnic, 2018), anche se probabilmente queste risposte non sempre corrispondono alla realtà dei fatti.
Un gruppo di esperti del lavoro dell’UE ha concluso che tra le forme più comuni di lavoro precario, il lavoro autonomo
“dipendente” è al secondo posto dopo il lavoro irregolare. Kalleberg (2018) definisce il “lavoro precario” come “lavoro
incerto, instabile e insicuro”, in cui “i dipendenti si assumono i rischi del lavoro ... e ricevono limitate prestazioni sociali
e non godono del riconoscimento dei diritti”. Sono molti gli aspetti che contribuiscono alla precarietà dei lavoratori
autonomi: la mancanza di controllo, individuale o collettivo, sulle condizioni, sull’orario e sul ritmo del lavoro, nonché
sul salario; l’assenza di protezione legale e contrattuale in materia di salute e sicurezza sul lavoro e la discriminazione
o la negazione dei diritti applicabili ai lavoratori dipendenti. Questo riguarda ciò che è stato descritto come lavoro
informale, sebbene esistano forme di precarietà anche nel settore formale e tra i dipendenti (Mosoetsa, Stillerman e
Tilly, 2016). Ne è un esempio il caso degli infermieri riclassificati come collaboratori esterni in Polonia per aggirare
la direttiva europea sull’orario di lavoro (Kaminska e Kahancová, 2017), e i piloti polacchi della Ryanair che, come i
piloti della compagnia aerea nazionale LOT, sono considerati lavoratori autonomi, lavorando ad orari variabili senza il
riconoscimento dei diritti previsti dalla legge21. In Polonia, i lavoratori autonomi non possono costituire o aderire a un
sindacato. Tuttavia, a seguito di una sentenza del 2015 del Tribunale costituzionale polacco, la legge sarà modificata
in modo da riconoscere tale diritto ai lavoratori autonomi o con contratti di collaborazione. (Kaminska, 2018).
I liberi professionisti, che lavorano autonomamente o che si avvalgono dell’aiuto di qualche collaboratore, sono rappresentati
anche attraverso associazioni di categoria, camere di commercio e associazioni professionali di ogni tipo.
Alcune categorie (giornalisti e artisti freelance, medici, avvocati e architetti semi-autonomi) sono generalmente
ben organizzati, altri (appaltatori del settore edile, specialisti informatici, consulenti aziendali, autisti, lavoratori delle
piattaforme) molto meno (Ackers 2015). I paesi del Nord Europa sono sempre stati caratterizzati da un forte sindacalismo
tra i professionisti. Naturalmente, i sindacati tendono a concentrarsi sui lavoratori autonomi “dipendenti” o
“nascosti”, quelli che non hanno personale al loro servizio e che dipendono da una o pochissime fonti contrattuali. I
sindacati hanno risposto all’aumento dei “lavoratori atipici” e dei nuovi “lavoratori autonomi dipendenti” nel settore
edile, dei trasporti e del commercio, creando sindacati o sezioni speciali all’interno di quelli esistenti, ad esempio in
Italia, Olanda, Austria e Cipro (Pernicka e Blaschke, 2006; Benassi e Vlandas, 2016; Pulignano, Gervasi e Franceschi,
2016). Alcune di queste iniziative risalgono alla metà degli anni Novanta.
In generale, queste iniziative hanno riscosso un modesto successo in termini di adesione (Pedersini, 2010), ma hanno
una grande valenza simbolica perché indicano che i sindacati sono aperti al cambiamento. Alcuni dei nuovi lavoratori
autonomi si trovano in posizioni vulnerabili, con poche garanzie e un reddito instabile, come ha mostrado la recessione
del 2008, quando molti contratti sono stati improvvisamente risolti senza essere successivamente rinnovati.
Ma ci sono anche quelli che se la sono cavata abbastanza bene e potrebbero essere descritti come persone “orgoI
CAMBIAMENTI NEI RAPPORTI DI LAVORO 35
gliose delle loro capacità (...) impegnati nello sviluppo personale” e che aderiranno solo se “il sindacato si impegnerà
a sostenerli nelle loro aspirazioni” (leader sindacale olandese, citato in Schulze Bischoff e Schmidt, 2007). La questione
principale per molti sindacati è abbandonare gli approcci restrittivi e capire come aiutare queste categorie di
lavoratori.
⏹ 3.5 Il lavoro e i sindacati nell’economia informale
Il concetto di economia informale è emerso negli anni ‘70 per descrivere il lavoro non regolamentato e non protetto
nel mondo in via di sviluppo. In seguito alle recenti tendenze alla precarietà del lavoro e alla nascita di rapporti
di lavoro atipici, l’economia informale si è affermata anche fuori dai paesi in via di sviluppo. Molti paesi sviluppati
hanno la loro “economia sommersa” caratterizzata da lavoro informale e non protetto (IPSP, 2018). L’OIL definisce
l‘“economia informale” come l’“insieme delle attività economiche dei lavoratori e delle unità economiche che sono
— di fatto o di diritto — non coperte o non sufficientemente coperte da accordi formali22”. Il lavoro formale e quello
informale non sono due mondi separati, al contrario, sono spesso interconnessi, come i sentieri di un rapido pendio
che portano in cima alla vetta, ma da cui si può anche cadere (Breman, 2010). Questo concetto è importante per
vogliamo comprendere le modalità di organizzazione collettiva e sindacalizzazione oltre il divario formale-informale
(Lindell, 2008).
Uno studio di Chen, Madhav e Sankaran (2014) si concentra su tre gruppi, ossia i lavoratori a domicilio, gli addetti
alla raccolta dei rifiuti e i venditori ambulanti, attingendo ai risultati di uno studio che ha coinvolto dieci città in quattro
paesi (India, Ghana, Perù, Thailandia). I lavoratori a domicilio in questi paesi sono il gruppo più numeroso, composto
prevalentemente da donne con lavori a contratto o autonomi, coinvolte nella produzione e nel confezionamento di
tabacco, capi d’abbigliamento, prodotti artigianali ed elettronici, componenti automobilistiche e prodotti farmaceutici,
nonché nel lavoro d’ufficio, nei servizi di lavanderia, di parrucchieria ed estetica. Per questi lavoratori, la casa coincide
con il luogo di lavoro, quindi l’alloggio e le utenze domestiche (approvvigionamento idrico ed elettricità) sono
essenziali per lo svolgimento della prestazione lavorativa, come pure è altrettanto importante garantire il corretto
funzionamento della catena del valore e la protezione contro le pratiche di sfruttamento che possono derivarne. I
venditori ambulanti sono il secondo gruppo più numeroso, costantemente alla ricerca di luoghi sicuri per la vendita e
lo stoccaggio della merce, nonché proteggersi da molestie, estorsioni e crimini. Il terzo gruppo è quello degli addetti
alla raccolta dei rifiuti, responsabili di raccogliere e smistare i rifiuti e recuperare eventuali i materiali riciclabili. Questi
lavoratori sono esposti a elevati rischi sanitari, aggravati dall’impossibilità di accedere all’assistenza sanitaria e alla
protezione sociale. I lavoratori di queste tre categorie sono soggetti alle condizioni di punibilità della legge, ma la
stessa non garantisce loro adeguata protezione legale (p. 148), soprattutto nel caso di lavoratori migranti irregolari.
Il problema comune ai tre gruppi è il riconoscimento del diritto all’identità personale e alla dignità come lavoratori,
il diritto di associazione e di rappresentanza nei processi di elaborazione delle politiche pertinenti. Ciò è stato riconosciuto
in due strumenti dell’OIL, ossia la risoluzione sul lavoro dignitoso e l’economia informale (OIL, 2002) e la
Raccomandazione n. 204 sulla transizione dall’economia informale a quella formale (OIL, 2015).
Nelle sue recenti pubblicazioni statistiche, l’OIL (2018a) stima che il 61,2 per cento dei posti di lavoro in tutto il mondo
è concentrato nell’economia informale, oscillando dall’ 86 per cento in Africa al 25 per cento in Europa e in Asia
centrale. All’interno del settore informale, la maggior parte di questi lavori è svolta da lavoratori “autonomi”, ma ciò
non significa che i dipendenti abbiano sempre un rapporto di lavoro formale. L’OIL stima che in tutto il mondo, il 40
per cento di tutti i dipendenti lavora in modo informale e la loro quota va dal 15 per cento in Europa, al 26 per cento
nelle Americhe, al 50 per cento in Asia e nel Pacifico e al 57 per cento in Africa. Sebbene non tutti i lavori dell’economia
informale siano caratterizzati da salari bassi e instabilità, essi sicuramente non godono di protezione sociale
riconosciuta dalla legge, benefici accessori e sussidi di disoccupazione. Molti lavoratori del settore informale, inoltre,
non godono del diritto di associazione e della contrattazione collettiva. Mentre nei paesi industrializzati l’economia
informale è sviluppata solo parzialmente, in molte economie a basso reddito e prevalentemente agricole il settore
informale è “l’economia”(IPSP, 2018). L’occupazione formale e standard esiste limitatamente al settore pubblico, che
comprende i servizi di base e parte dell’industria manifatturiera. La contrazione del settore formale (pubblico) rende
ancora più urgente per i sindacati estendere la loro base associativa.
I sindacati hanno a lungo ignorato o sottovalutato il settore informale, considerandolo un fenomeno transitorio e troppo
difficile da organizzare (Gallin, 2001). L’iniziale risposta sindacale all’ascesa del settore informale è stata il rifiuto,
come mostrato da molti sindacati europei di fronte all’aumento delle agenzie per il lavoro, dei contratti temporanei e
del lavoro a tempo parziale (Heery, 2009). Per stare al passo, è necessario che i sindacati coinvolgano anche i lavoratori
informali (Breman, 2010). Alcuni sondaggi in Ghana, Nigeria, Namibia, Sud Africa, Zimbabwe e Zambia hanno
mostrato l’urgenza per i sindacati di organizzare e proteggere i lavoratori informali (ALRN, 2003). Negli ultimi anni,
i sindacati hanno fatto grandi passi avanti e hanno tentato, in molte parti del mondo, soprattutto in Africa, di orga36
LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO
nizzare i lavoratori informali o di aiutarli ad organizzarsi autonomamente, specialmente nel settore dei trasporti, nel
turismo e nella sicurezza (LO/FTF, nd). Rappresentare i lavoratori informali non è mai stato facile (Bonner e Spooner,
2011). I lavoratori informali, infatti, non hanno un posto di lavoro abituale che possa facilitare l’avvio del processo
associativo, in quanto sono sparsi in singoli luoghi di lavoro o abitazioni oppure sono in movimento, come nel caso
dei venditori ambulanti, dei tassisti e degli addetti alla raccolta di rifiuti o alle consegne. La maggior parte di essi, non
avendo un rapporto di lavoro o avendo un rapporto informale, non rientra nel quadro giuridico che disciplina i diritti
sindacali e del lavoro. Inoltre, essi spesso non hanno un datore di lavoro con cui stipulare accordi di contrattazione
collettiva. Laddove invece esiste un rapporto di lavoro, ad esempio nel caso dei lavoratori a giornata nell’agricoltura
o nell’edilizia o dei lavoratori tessili a domicilio, i luoghi di lavoro sono spesso così sparsi, piccoli o “nascosti” nelle
singole famiglie da non garantire potere contrattuale sufficiente nei confronti dei datori di lavoro, che spesso operano
attraverso “intermediari” inflessibili.
Non è facile instaurare un rapporto di solidarietà tra i lavoratori autonomi, i quali sono spesso in competizione tra
loro su contratti e clienti. Essi si riuniscono solo per ragioni specifiche, ad esempio per protestare contro le autorità
in situazioni di crisi, ma in questi casi l’unità di intenti e l’azione collettiva sono spesso deboli e di breve durata.
Creare un’organizzazione duratura richiede di norma l’aiuto, la guida e l’erogazione di contributi da parte di sindacati
e finanziatori. Un’altra grande categoria di lavoratori informali è quella dei lavoratori migranti. Spesso privi di uno
status giuridico ufficiale e desiderosi di voler “uscire dall’ombra”, essi sono particolarmente vulnerabili allo sfruttamento
e alle molestie e spesso non riescono a integrarsi nella cultura sindacale tradizionale. Infine, un altro problema
nell’organizzazione sindacale dei lavoratori informali riguarda la difficoltà del pagamento delle quote associative da
parte di persone che spesso hanno redditi relativamente bassi. Una strategia di sovvenzione incrociata all’interno
del più ampio movimento sindacale ha i suoi limiti, sebbene esistano degli esempi positivi, come quello dei sindacati
degli insegnanti, che, dotati generalmente di molte risorse, hanno contribuito alla nascita dei sindacati nel settore
informale in Ghana e Sierra Leone (LO/FTF, nd; Schurman e Eaton, 2012). Lo sviluppo dei sindacati è ulteriormente
ostacolato dall’esistenza di un sistema di iscrizione basato esclusivamente sul pagamento delle quote associative,
che costituisce un problema soprattutto per quelle persone il cui reddito è appena sufficiente per vivere. Dall’altra
parte, laddove i sindacati siano sostenuti da donazioni esterne, si corre il rischio di instaurare un rapporto di eccssiva
dipendenza da questi donatori.
Uno studio di Gallin (2001) distingue due approcci per favorire l’organizzazione dei lavoratori del settore informale:
ampliare l’ambito d’azione dei sindacati oppure creare specifiche associazioni o cooperative simili ai sindacati per i
lavoratori del settore informale. L’esempio più rilevante del secondo approccio è la Self-Employed Women’s Association
(SEWA), fondata nel 1972 in India, che rappresenta la più grande organizzazione di lavoratori informali con quasi
due milioni di membri nel 2013. Il primo approccio, invece, prevede l’estensione del campo di attività dei sindacati ai
lavoratori del settore informale, come hanno fatto il TUC in Ghana o il COSATU in Sud Africa nel 2000. Nello stesso
periodo, i sindacati del settore dell’abbigliamento in Australia e Canada hanno iniziato a reclutare i lavoratori a domicilio.
Ci sono anche esempi di confederazioni sindacali che hanno istituito un’associazione o un sindacato speciale per
i lavoratori del settore informale, come in Senegal nel settore dei trasporti o a Hong Kong, dove il principale sindacato
ha collaborato alla creazione della Federazione dei sindacati asiatici dei lavoratori domestici (FADWU), che riunisce
principalmente donne filippine e thailandesi (Swider 2000). I sindacati in Sierra Leone, supportati dai sindacati degli
insegnanti, hanno promosso la nascita di diversi sindacati degli addetti alle consegne. In Kenya, dopo decenni di declino
sindacale e una forte contrazione del settore formale dovuta ai licenziamenti di massa, all’esternalizzazione e
alla precarietà, negli ultimi anni la principale confederazione sindacale del paese si è concentrata sul settore informale.
Dal 2015, sette nuove organizzazioni si sono unite alla confederazione, che è cresciuta fino a raggiungere 2,7
milioni di membri, di cui 650.000 solo nel settore formale, principalmente pubblico. Riassumendo, negli ultimi anni
si è registrata un’impennata delle adesioni ai sindacati tra i lavoratori informali, soprattutto in Africa, tra gli addetti
alle consegne, i tassisti, i venditori ambulanti e i lavoratori nel settore dell’abbigliamento in Nigeria e in diversi paesi
del sud-est asiatico, nonché tra i lavoratori agricoli e a giornata in Nepal, Honduras, Repubblica Dominicana, Bolivia,
Colombia e Paraguay. Il grafico 12 mostra che in alcuni paesi (Kenya, Burundi, Swaziland, Togo, Sierra Leone) i
lavoratori del settore informale costituiscono la maggioranza degli iscritti al sindacato.
I tentativi di organizzare i lavoratori informali incontrano a volte degli ostacoli. Le esperienze in Sud Africa e in Brasile
hanno ottenuto risultati incerti, mentre in India questi processi sono avvenuti principalmente all’esterno del movimento
sindacale. In Sud Africa, la campagna del sindacato dei lavoratori dei trasporti per organizzare i conducenti
di minibus — un elemento critico nel sistema di trasporto pubblico in fallimento — che aveva inizialmente ottenuto
un discreto successo, è fallita a causa delle feroci intimidazioni dei datori di lavoro. Il sindacato dei lavoratori del
settore tessile, avendo perso migliaia di iscritti a causa della chiusura degli stabilimenti dopo le riduzioni delle tariffe,
ha esteso l’adesione ai lavoratori a domicilio. Il sindacato del settore minerario sta attivamente reclutando lavoratori
I CAMBIAMENTI NEI RAPPORTI DI LAVORO 37
informali a contratto nel settore edile. La xenofobia e la violenza contro i migranti hanno accompagnato i tentativi
dei sindacati di organizzare i venditori ambulanti e gli addetti alla sicurezza (Gordon e Maharaj, 2014). Negli anni
‘90, alcuni sindacati brasiliani hanno tentato di organizzare i lavoratori informali, ma i loro sforzi sono stati piuttosto
inefficaci, a causa delle limitate risorse organizzative e finanziarie (Ramalho, 2010; Frangi e Routh, 2014).
Grafico 12: Quota di adesione sindacale dei lavoratori del settore informale.
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
Quota (%) di partecipazione totale
2011 2017
Paraguay
Bolivia
Nicaragua
Honduras
Colombia
Rep Dominicana
Indonesia
Filippine
India
Nepal
Tanzania
Ghana
Zambia
Uganda
Niger
Zimbabwe
Malawi
Mozambico
Ruanda
Benin
Burundi
Swaziland
Togo
Kenya
Sierra Leone
Molti paesi, come il Pakistan, negano il diritto di associazione ai lavoratori dell’economia informale, come i lavoratori
a domicilio e quelli agricoli. Tuttavia, esistono anche dei segnali incoraggianti. In seguito alla riforma legislativa in
Giordania, tra il 2010 e il 2011, è stato abolito il divieto di associazione ai lavoratori migranti, che ora raggiungono
una quota del 12 per cento di tutti i membri. Nel 2015, è stata costituita la prima rete ufficiale di lavoratori migranti,
sviluppata soprattutto nel settore dell’abbigliamento. Questa rete, composta quasi per la metà da donne, ha l’obiettivo
di difendere i pieni diritti dei lavoratori a domicilio. In Libano, i lavoratori domestici, siano essi nazionali o stranieri,
sono esclusi dall’applicazione della normativa in materia di lavoro e subiscono violazioni dei loro diritti e libertà.
Dopo anni di lotte, la Federazione nazionale dei sindacati dei lavoratori e degli impiegati del Libano (FENASOL), con il
supporto delle ONG e della CSI, ha istituito un sindacato per i lavoratori domestici, descritta dall’Ufficio dell’OIL per le
attività dei lavoratori come un “eccellente esempio di lavoratori di varie nazionalità che si riuniscono in un contesto
legislativo restrittivo”.
Nell’ultimo periodo, abbiamo assistito a un graduale riavvicinamento tra le molte forme ibride di organizzazioni dei
lavoratori informali e il movimento sindacale ufficiale. Molte confederazioni sindacali hanno acconsentito all’adesione
dei lavoratori informali e delle loro organizzazioni. La CSI ha incoraggiato questo processo sin dalla sua fondazione
nel 2006. SEWA è stato il precursore ed è ora un membro a pieno titolo della CSI. Se da una parte è vero che le
forme di organizzazione volontaria dei lavoratori informali non possono essere considerate dei sindacati a pieno
titolo, dall’altra i sindacati e le confederazioni sindacali hanno mostrato un interesse crescente nell’organizzazione e
nella rappresentanza dei lavoratori dell’economia informale, direttamente o stringendo alleanze, e contribuendo alla
creazione di organizzazioni sindacali durature.
⏹ 3.6 Il lavoro e i sindacati dell’economia delle piattaforme
Nonostante le sue dimensioni ancora modeste, l’economia delle piattaforme (o gig economy) è cresciuta in modo
esponenziale in molti paesi. Essa solleva una serie di questioni relative al diritto al lavoro e alla protezione sociale,
all’organizzazione sindacale e alla contrattazione collettiva, tanto da guadagnare un posto centrale nelle recenti attività
dell’OIL23. Katz e Krueger (2016) hanno stimato che negli Stati Uniti la quota dei lavoratori impiegati attraverso
le piattaforme digitali come Uber o TaskRabbit sarebbe pari allo 0,5 per cento, includendo nell’analisi tanto i lavori
principali quanto quelli secondari. Pesole et al. (2018) evidenziano che in 14 paesi europei, in media il 2 per cento
38 LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO
della popolazione in età lavorativa lavora parzialmente o totalmente online nella cosiddetta gig economy. Analogamente
a Huws et al. (2017), essi hanno rilevato che, nella maggior parte dei casi, i lavori svolti nel settore delle
piattaforme non costituiscono l’occupazione principale dei lavoratori. Tuttavia, disponendo di pochi dati, tali risultati
sono da ritenersi indicativi.
L’aspetto probabilmente più rilevante è il tasso di crescita del settore. Farrell e Greig (2016) hanno stimato che lo 0,6
per cento della popolazione statunitense in età lavorativa era impiegata in 30 piattaforme digitali nel 2015, ma che
il numero di lavoratori che percepiscono un reddito da queste piattaforme è raddoppiato ogni mese nell’autunno del
2015. Uber, la più grande piattaforma di lavoro a chiamata (lavoro on demand), è cresciuta a un ritmo rapidissimo.
Dopo essere stata lanciata nel 2010, il numero degli autisti partner di Uber è quasi raddoppiato ogni sei mesi tra la
metà del 2012 e la fine del 2015 (Hall e Krueger, 2018). Questo tipo di lavoro è destinato ad aumentare, sia che si
tratti della principale fonte di reddito che di un secondo lavoro, soprattutto tra i giovani. Il settore, infatti, ha ancora
moltissime opportunità di crescita. Uber, ad esempio, si sta espandendo nel settore delle consegne di pasti a domicilio
(food delivery) con Uber Eats, in concorrenza con Deliveroo e Easy-Eat. Le principali aziende di questo settore si
stanno sviluppando in Cina, ed è facile immaginare un futuro in cui cucinare, come lavorare a maglia e cucire circa
cinquanta a cento anni fa, cesserà di far parte della nostra quotidianità, e questi servizi saranno forniti da grandi
imprese, che prenderanno ordini via internet consegnandoli a domicilio.
La diffusione degli intermediari digitali, ossia le piattaforme come Uber, Deliveroo, TaskRabbit, ClickWork o Fiverr,
sta trasformando radicalmente i rapporti di lavoro. Alcune sono specializzate in attività che possono essere svolte da
remoto da qualsiasi parte del mondo (ad esempio, editing o progettazione grafica), altre si rivolgono a aree specifiche
o richiedono la presenza fisica del lavoratore (food delivery, servizi di pulizia e di taxi o fotografia). Queste forme di
lavoro consentono ai lavoratori di agire in modo relativamente autonomo al di fuori delle strutture tradizionali stabilite
dal diritto del lavoro e senza una chiara definizione dell’orario di lavoro, dei salari minimi o degli obblighi.
Dall’altra parte, i datori di lavoro non devono investire nei luoghi di lavoro né fornire strumenti. A differenza del sistema
del sistema di contrattazione del lavoro a domicilio, che impediva la supervisione del lavoro, nelle reti online le
prestazioni possono essere facilmente tracciabili e il lavoratore può essere sottoposto a supervisione digitale (Finkin,
2016). La tappa successiva dello sviluppo del mercato lavoro digitale a livello mondiale potrebbe essere la nascita di
piattaforme specializzate in lavori che possono essere svolti a distanza, suddivisi in una serie di compiti o incarichi.
Questa nuova fase può essere considerata una nuova forma di globalizzazione nella sua massima espressione24. In
un ambiente di crowdsourcing online, in cui un lavoro può essere affidato in outsourcing a qualsiasi lavoratore potenzialmente
connesso da ogni parte del mondo, è possibile andare incontro a conflitti tra le diverse legislazioni nazionali
sul lavoro oppure è possibile che i lavoratori abituati a ricevere salari elevati si ritrovino a competere direttamente
con quelli abituati a lavorare in condizioni non dignitose. Molte delle caratteristiche appena descritte sono applicabili
anche al crowdsourcing che prevede lo svolgimento di prestazioni lavorative in luoghi fisici. In questo caso tuttavia,
sarebbe possibile applicare la normativa sul lavoro del paese di riferimento per risolvere eventuali conflitti, come ha
sperimentato Uber, la più nota azienda del settore.
I potenziali effetti destabilizzatori delle piattaforme sui mercati del lavoro sono notevoli e superano la loro importanza
in quanto fonte di occupazione. Si è tentato in varie occasioni di regolamentare il lavoro delle piattaforme attraverso
i sindacati, le cooperative, i comitati aziendali e le opportunità offerte dal web, ma siamo solo all’inizio e c’è ancora
molto da fare. I sostenitori del lavoro delle piattaforme affermano che esso genera vantaggi economici per i gruppi
socialmente emarginati, tra cui i disoccupati, i rifugiati o chi si trova isolato geograficamente, anche se questo non
sembra essere stato il caso di Uber (Hall e Krueger, 2018). Tuttavia, lavorare nella gig economy come principale
fonte di reddito non garantisce ai lavoratori un salario dignitoso, ferie e congedi retribuiti, il versamento dei contributi
pensionistici, l’accesso ad assicurazioni o a regimi sanitari, la regolamentazione dell’orario di lavoro e la sicurezza
del reddito (De Stefano, 2016).
Per comprendere le modalità di organizzazione dei lavoratori delle piattaforme, è utile effettuare un parallelismo con
i lavoratori autonomi, temporanei (OCSE, 2016) e informali. La maggior parte delle piattaforme classifica, infatti, i
lavoratori come lavoratori autonomi, ai quali, in molte giurisdizioni, non viene riconosciuto il diritto di costituire e
aderire ad organizzazioni sindacali e di partecipare alla contrattazione collettiva. Anche laddove tali diritti sono riconosciuti,
spesso è difficile applicarli a causa della prevalenza di forme di lavoro atipiche. Pertanto, i lavoratori delle
piattaforme devono affrontare diverse sfide nel tentativo di far sentire la propria voce, organizzare una rappresentanza
collettiva e stabilire regole del lavoro permanenti e applicabili. Le modalità di funzionamento di molti mercati
delle piattaforme non garantiscono il rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori (De Stefano, 2017). Alcune piattaforme
come Uber negano il ruolo del datore di lavoro, mentre altre come Hello Alfred (faccende domestiche), Shyp
(spedizioni) e Muchery (food delivery) considerano i fornitori di servizi come veri e propri dipendenti. Negli Stati Uniti,
è in corso una battaglia legale per stabilire se gli autisti di Uber debbano essere considerati lavoratori dipendenti o
I CAMBIAMENTI NEI RAPPORTI DI LAVORO 39
autonomi. Nel 2016 nel Regno Unito, due autisti di Uber hanno intentato una causa contro l’azienda in nome di un numeroso
gruppo di lavoratori, dimostrando che i 40.000 autisti di Uber non erano lavoratori autonomi e avevano diritto
al salario minimo e a ferie e congedi retribuiti. Sebbene Uber consideri formalmente i suoi autisti come lavoratori
autonomi, questi accusano l’azienda di trattarli di fatto come lavoratori dipendenti, cercando di controllare i loro modelli
di lavoro e la loro retribuzione. Nel 2017, in seguito a una protesta dei lavoratori delle piattaforme sostenuta dai
sindacati e avvenuta in Svizzera, i lavoratori hanno ottenuto un miglioramento dei salari e delle condizioni di lavoro e
il riconoscimento di non essere lavoratori autonomi (Vandaele, 2018). A Bologna, in Italia, è stata firmata una carta
tra il sindacato dei rider locali, le tre principali confederazioni sindacali, il consiglio comunale e le piattaforme locali di
food delivey Sgnam e MyMenu, che stabilisce una serie di standard minimi in materia di retribuzione, orario di lavoro
e assicurazione. Poiché piattaforme come Deliveroo, Foodora e JustEat non hanno sottoscritto tale documento, il
sindaco di Bologna ha invitato i clienti a boicottare tali piattaforme (Vandaele, 2018). Tuttavia, una recente causa in
Italia contro Foodora ha confermato che i gig-workers hanno lo status di lavoratori autonomi (Eurofound, 2018).
Riclassificare i lavoratori autonomi come lavoratori dipendenti è stato uno dei tradizionali approcci dei sindacati in
risposta alla diffusione dell’economia delle piattaforme (Johnston e Land-Kazlauskas, 2018). È chiaro tuttavia che
questo approccio non sempre funzionerà e non sarà facile convincere tutti i lavoratori. Un altro possibile approccio è
garantire a tutti i lavoratori, a prescindere dal loro status, l’applicazione delle disposizioni di base del diritto del lavoro
e della protezione sociale e il riconoscimento degli stessi diritti sociali e fondamentali di associazione e contrattazione
collettiva (Adam e Deakin, 2014). In questo modo, le piattaforme e le imprese sarebbero meno inclini a riclassificare
i lavoratori dipendenti ( i cui costi sono molto alti) come lavoratori autonomi. Per raggiungere questo obiettivo, è
necessario riconoscere ai lavoratori autonomi il diritto di associazione e di contrattazione collettiva, senza che questi
siano accusati di violazione delle leggi antitrust.
Analogamente, per comprendere le modalità di organizzazione dei lavoratori delle piattaforme, è utile prendere in
esame i numerosi tentativi di organizzazione promossi dai movimenti sociali e dei lavoratori, dai comitati aziendali,
dalle cooperative e dai sindacati veri e propri. Ne è un esempio lo sviluppo di “centri per i lavoratori” negli Stati
Uniti, in alcuni casi nati su iniziativa dei sindacati e in altri casi lanciati da sostenitori e attivisti che consideravano i
sindacati convenzionali poco adatti a organizzare e rappresentare i lavoratori “esclusi” (Fine, 2006; Milkman, 2013).
Sebbene i risultati ottenuti dai centri per i lavoratori non si rivolgano specificatamente ai lavoratori dell’economia delle
piattaforme, gli approcci adottati per l’organizzazione dei lavoratori atipici possono essere potenzialmente applicati
anche a quelli delle piattaforme. Il National Day Laborers Organizing Network degli Stati Uniti sottolinea che il lavoro
dei lavoratori a giornata e quelli delle piattaforme hanno delle carattestiche comuni. Il lavoro dei lavoratori a giornata,
infatti, si è trasferito sulle piattaforme digitali attraverso applicazioni come Taskrabbit e Handy. Un altro esempio è
rappresentato dall’Independent Workers’ Union of Great Britain (IWGB). Questa organizzazione opera al di fuori della
Confederazione dei sindacati (TUC) ed è stata fondata con lo scopo di sostenere e organizzare i lavoratori a basso
salario e gli immigrati. Nell’agosto del 2016, quando Deliveroo ha informato con una e-mail gli addetti alle consegne
a chiamata che le loro tariffe sarebbero state abbassate, i lavoratori hanno protestato davanti alla sede centrale di
questa organizzazione. Il Workers’ Union ha partecipato alle proteste e da allora si è unito a fianco dei lavoratori. Nel
tentativo di ottenere un riconoscimento ufficiale, il sindacato ha adottato un approccio geografico all’organizzazione
dei lavoratori in alcune aree di Londra, stabilendo dei siti di lavoro in base alle zone di consegna integrate nell’app
Deliveroo.
Alcuni sindacati offrono servizi dedicati ai lavoratori autonomi delle piattaforme. Ad esempio, il Freelancers Union negli
Stati Uniti, con 275.000 membri, opera come gruppo di difesa e garantisce prestazioni assicurative ai suoi membri,
compresi i tradizionali freelance e i gig-workers. In quanto “sindacato di minoranza”, non ha diritto a partecipare alla
contrattazione ai sensi del National Labour Regulation Act. La New York Taxi Workers Alliance del 2011, la prima organizzazione
dei lavoratori atipici affiliata all’AFL-CIO, è un altro esempio di sindacato di minoranza non riconosciuto
e privo del diritto di partecipare alla contrattazione collettiva.
Il sindacato tedesco IG Metall ha lanciato un sito web per i crowdworker (www.faircrowdwork.org) e un altro grande
sindacato tedesco, Ver.di, sta sviluppando servizi legali e di supporto su misura per i lavoratori delle piattaforme.
FairCrowdwork.org chiede ai lavoratori cosa apprezzano e cosa non apprezzano delle piattaforme attraverso le quali
lavorano, pubblicando i risultati di tali sondaggi. Utilizzando le risorse e il sostegno di IG Metall, si potrebbe promuovere
il concetto di un forum online e di un sistema di valutazione dei datori di lavoro per fornire un’idea di cosa significhi
lavorare per diverse piattaforme. Il sindacato ha anche sviluppato un codice di condotta firmato da otto piattaforme
con sede in Germania, in cui si impegnano ad aderire agli standard salariali locali (Vandaele, 2018). L’iniziativa dell’IG
Metall risulta ancora più rilavante grazie alla collaborazione di vari sindacati europei. Uno di questi partner è l’Unionen,
il più grande sindacato svedese, che conta circa 10.000 lavoratori autonomi tra i suoi 660.000 membri. Questo
40 LO STATO ATTUALE DEI SINDACATI E IL FUTURO DEL LAVORO
sindacato non si oppone al lavoro delle piattaforme digitale, ma ritiene che sia necessario regolamentarlo tramite la
definizione di norme specifiche, nonché tramite la creazione di nuove organizzazioni con la partecipazione delle parti
sociali responsabili di stabilire gli standard del settore e assicurarne il rispetto. Requisito per partecipare a questa
organizzazione è la firma di un contratto collettivo di lavoro da parte delle imprese.
In Austria, i lavoratori di Foodora che si occupano di consegne tramite app si sono recentemente riuniti in un comitato
aziendale con il sostegno di Vida, il sindacato che rappresenta i lavoratori del settore dei trasporti e dei servizi. I
lavoratori di Deliveroo in Germania (Colonia e Berlino) hanno adottato un approccio simile, in questo caso con l’aiuto
del sindacato dei lavoratori del settore alimentare e della ristorazione. In Svezia, sono stati firmati accordi collettivi con
le piattaforme, tra Bzzt e il sindacato dei lavoratori dei trasporti (Johnston e Land-Kazlauskas, 2018). In Danimarca,
Hilfr.dk, una piattaforma per i servizi di pulizie domestiche, ha firmato un contratto collettivo nell’aprile 2018 con 3F,
un sindacato danese. Il nuovo contratto collettivo garantirà ai lavoratori della piattaforma un’indennità di malattia,
ferie retribuite e i contributi pensionistici e lasciando ai lavoratori la libertà di scegliere il proprio status, se lavoratore
dipendente o autonomo.
L’esperimento di SMart (Société mutuelle pour les artistes), la principale organizzazione di servizi per i lavoratori con
contratti di collaborazione un’in Belgio, è abbastanza ambizioso. Lanciata nei primi anni 2000 come organizzazione
polivalente (agenzia di lavoro, cooperativa, sindacato, datore di lavoro) e responsabile della gestione di pratiche e
contratti di alcune centinaia di artisti e liberi professionisti, SMart è cresciuta fino a diventare un’organizzazione di
quasi 80.000 lavoratori a progetto nel 2015. Non sono mancati tuttavia i timori dei sindacati belgi sulla possibilità
che l’organizzazione facilitasse il “dumping sociale” normalizzando un nuovo tipo di lavoro occasionale (Vandaele,
2018; Xhauflair et al., 2018). Trasformatasi da società senza scopo di lucro in cooperativa, SMart ha iniziato ad agire
come datore di lavoro dei suoi membri. La sua principale vittoria risale al 2016, anno in cui ha firmato un protocollo
congiunto con due piattaforme di food delivery, Take Eat Easy e Deliveroo, che garantiva un numero minimo di ore
pagate dopo la prima chiamata, pacchetti assicurativi per i rider di Deliveroo e il rimborso delle spese professionali.
Pochi mesi dopo, quando Take Eat Easy è fallita lasciando scoperto il pagamento di centinaia di rider, SMart è riuscita
a ottenere l’ultimo pagamento (post-fallimento) per quanti di loro erano diventati suoi membri, dimostrando
serietà nell’assolvimento delle sue responsabilità come datore di lavoro (Xhauflair et al., 2018). Nel novembre 2017,
Deliveroo ha annullato unilateralmente l’accordo. Il nuovo “collettivo dei corrieri”, sostenuto dai sindacati, ha reagito
organizzando una manifestazione di protesta a Bruxelles e, nel gennaio 2018, uno sciopero che ha attirato l’attenzione
e il sostegno di diversi altri sindacati e organizzazioni di corrieri in Europa (Vandaele, 2018).
4 / In sintesi
Dal 2000, i tassi di sindacalizzazioni sono diminuiti in tutte le regioni del mondo tranne che in due (Nord Africa e
America del Sud), con significative differenze tra i paesi se si considera il totale della forza lavoro occupata, compresi
i lavoratori informali. I tassi di sindacalizzazione più bassi si registrano nelle regioni più povere (Africa subsahariana,
Asia meridionale), ma ci sono delle eccezioni, ad esempio i paesi arabi ricchi, in cui il livello di sindacalizzazione è
estremamente basso. La deindustrializzazione dell’economia ha portato a una riduzione dei posti di lavoro nell’industria
e a un calo del numero di adesioni tra i restanti lavoratori del settore. Questo processo interessa tutti i paesi,
sebbene con diversi livelli di partenza. Poiché chi entra per la prima volta nel mercato del lavoro e chi è in cerca di
occupazione ha maggiori probabilità di trovare un impiego nei servizi commerciali, il divario nei tassi di sindacalizzazione
tra industria e servizi commerciali prefigura un ulteriore declino sindacale e la necessità di un cambiamento
strutturale dei sindacati stessi.
Negli ultimi trenta o quarant’anni, il declino dell’adesione sindacale nei paesi sviluppati è stato accompagnato da un
ricambio generazionale dei lavoratori anziani, altamente sindacalizzati, con lavoratori più giovani, meno sindacalizzati
ma più istruiti. Non disponiamo di dati sufficienti per analizzare questi cambiamenti nei paesi in via di sviluppo e
nei paesi emergenti, ma sicuramente non risentono della pressione demografica dell’invecchiamento della società,
come invece accade in Europa o in Giappone. A partire dagli anni ’80, abbiamo assistito al progressivo abbandono del
rapporto di lavoro standard. Questo processo, che è diventato una norma e un modello anche per le imprese non sindacalizzate,
è accompagnato dalla contrazione del settore formale in Africa, Asia e America Latina. Ovunque i giovani
hanno maggiori probabilità di effettuare lavori temporanei o a tempo parziale, informali o occasionali. In tutti i paesi,
i lavoratori a tempo parziale e temporanei sono meno sindacalizzati rispetto ai lavoratori a tempo pieno e permanenti.
La contrazione del settore formale (pubblico) ha portato a un forte calo dei livelli di sindacalizzazione in molte
IN SINTESI 41
economie emergenti e in via di sviluppo, creando l’urgente necessità per i sindacati di ampliare la base associativa
ed estendersi nel settore informale. Recentemente, molti sindacati hanno iniziato a organizzare e a rappresentare i
lavoratori del settore informale o hanno intensificato la cooperazione con le associazioni dei lavoratori informali al
di fuori del movimento sindacale. Molti sindacati nei paesi sviluppati si sono impegnati per organizzare i lavoratori
temporanei, a tempo parziale e in somministrazione, estendendo l’adesione anche ai lavoratori autonomi. Oltre al
calo della sindacalizzazione nell’industria, il principale cambiamento dei sindacati degli ultimi decenni è l’aumento
dell’adesione femminile.
Nel Sud del mondo, la globalizzazione ha creato milioni di posti di lavoro nell’industria e nei servizi, senza tuttavia
portare a un aumento dell’adesione sindacale, mentre nei paesi sviluppati, ha messo in crisi i lavoratori e i sindacati
nelle loro tradizionali roccaforti industriali. Con l’aumento delle migrazioni per lavoro, i sindacati hanno adottato un
approccio più inclusivo nei confronti dei lavoratori migranti, seppure persista il problema dell’integrazione. Il lavoro
delle piattaforme, organizzato attraverso intermediari digitali, rappresenta ancora una fonte limitata di occupazione,
sebbene stia crescendo rapidamente, trasformando significativamente i rapporti di lavoro. Nonostante i vari tentativi
di regolamentazione del lavoro delle piattaforme attraverso i sindacati, le cooperative, i comitati aziendali e le
opportunità offerte dal web, siamo ancora all’inizio e rimane ancora molto da fare. Il lavoro delle piattaforme è particolarmente
sviluppato nel settore dei servizi commerciali — vendita al dettaglio, settore alberghiero, ristorazione,
catering e turismo, trasporto privato su strada, servizi alle imprese, agenzie di noleggio e di lavoro, comunicazioni,
servizi finanziari, sicurezza e servizi amministrativi — dove, anche tra i lavoratori standard, i tassi di adesione
sindacale sono generalmente molto bassi.
II. Perché esistono
diversi livelli
di sindacalizzazione?
Nella sezione precedente abbiamo analizzato l’andamento dell’adesione sindacale e i cambiamenti nella composizione
dei sindacati rispetto ad alcune variabili, quali i cambiamenti nella struttura dell’occupazione e nella natura dei
rapporti di lavoro, il progresso tecnologico, la digitalizzazione, la globalizzazione e le migrazioni. In questa sezione,
esamineremo alcuni fattori che possono spiegare perché in generale i sindacati di alcuni paesi sono maggiormente
sviluppati di altri. Inizieremo esaminando i livelli di sviluppo, di reddito e di urbanizzazione, per poi passare ad alcune
caratteristiche del mercato del lavoro, come la quota dell’agricoltura e dell’industria e la dimensione del settore informale.
In un secondo momento, esamineremo i fattori che influiscono sul tessuto sociale e sul contesto politico in cui
operano i sindacati, come i conflitti etnici e le violazioni dei diritti dei lavoratori. Infine, prenderemo in considerazione
alcune caratteristiche istituzionali legate alla contrattazione collettiva, al riconoscimento dei sindacati, alla rappresentanza
sul posto di lavoro e alle assicurazioni, nonché al livello di unità o frammentarietà dei sindacati stessi. Tutti
questi fattori saranno analizzati singolarmente e sarà altresì valutata la correlazione tra di essi. La variabile presa in
considerazione è il tasso di sindacalizzazione, calcolato sull’intera popolazione occupata, che si rivela essere la misura
più affidabile nei paesi a basso e medio reddito, con il minor rischio di errore dovuto a una errata classificazione
dello status dei lavoratori.
1 / Lo sviluppo economico e l’economia informale
È stato osservato che, fino a un certo limite, l’adesione sindacale tende ad aumentare con il livello dei guadagni.
All’interno dei paesi appartenenti all’OCSE, i tassi di sindacalizzazione tendono a concentrarsi in mezzo o appena al
di sopra della distribuzione dei salari (Checchi et al., 2010). Tenendo conto del numero totale degli occupati, i tassi di
sindacalizzazione più bassi si registrano nei paesi più poveri. Complessivamente, se consideriamo la totalità dei 143
paesi per i quali sono disponibili dati recenti per entrambe le variabili, esiste una chiara correlazione positiva tra il PIL
pro capite e il livello di sindacalizzazione (rGDP=0,56). In alcuni dei paesi più ricchi — per esempio nel Nord Europa
— il mercato del lavoro ha il più alto tasso di sindacalizzazione. Da questo si può concludere che un alto livello di
sindacalizzazione non ostacola la crescita economica. Tuttavia, gli esempi degli Stati Uniti o del Giappone dimostrano
che ci sono casi in cui a livelli medi di reddito corrispondono bassi livelli di sindacalizzazione. Da una prospettiva
più generale, è possibile affermare che, per gran parte del ventesimo secolo, l’adesione sindacale è aumentata con
l’aumento del reddito medio, ma che a partire dagli anni ‘70 i due valori si sono spostati in direzione opposta.
I paesi più ricchi sono caratterizzati da alti livelli di urbanizzazion e industrializzazione, hanno un approccio orientato
all’economia globale e all’esportazione e non dipendono dall’agricoltura. Non stupisce il fatto che esiste una correlazione
positiva tra popolazione urbana e adesione sindacale, mentre , al contrario, la correlazione diventa negativa se
si considera la popolazione rurale. Non è stata osservata invece alcuna relazione significativa, né positiva né negativa,
con il grado di apertura dell’economia. Un fattore che incide in maniera importante sui livelli di sindacallizzazione
è la dimensione dell’economia informale. Più grande è il settore informale, maggiore è la quota di occupati con lavori
informali e più basso è il livello di sindacalizzazione. L’informalità del lavoro implica vulnerabilità, insicurezza e
concorrenza tra i lavoratori, e di conseguenza una minore propensione dei lavoratori ad aderire a un sindacato. Ciò
trova conferma nella forte associazione negativa tra la dimensione del settore informale (infs) o la quota dei posti
di lavoro informali tra i dipendenti (infj) e il tasso di adesione sindacale calcolato sul totale dei lavoraotori occupati:
44 PERCHÉ ESISTONO DIVERSI LIVELLI DI SINDACALIZZAZIONE?
rinfs=-0,55 e rinfj=-0,51 (N=97, grafico 13). Il messaggio generale è chiaro: l’espansione dell’economia informale è
una minaccia sia per i lavoratori sia per i sindacati, poiché i lavoratori del settore informale hanno molte possibilità di
organizzarsi e di impegnarsi nel dialogo sociale e hanno meno probabilità di beneficiare della sicurezza del lavoro, di
un reddito stabile e di protezione sociale rispetto ai lavoratori del settore formale. Come dimostrato da studi scientifici
basati su serie storiche, l’aumento della partecipazione al mercato del lavoro e della quota del lavoro temporaneo
sta contribuendo al calo dei livelli di sindacalizzazione (Checchi e Visser, 2005).
Grafico 13: Sindacalizzazione e dimensione dell’economia informale.
0
10
20
30
40
50
60
70
80
10 20 30 40 50 60 70 80 90 100
Densità sindacale (% dell’occupazione totale)
% occupazione nell’economia informale
2 / La diversità etnica
La diversità etnica e i conflitti sono stati studiati in relazione alla crescita economica, allo sviluppo della società civile,
alla fiducia e al capitale sociale. Il concetto di diversità etnica è molto ampio e può spaziare da manifestazioni
estreme come guerra civile e genocidio, a periodiche rivolte etniche, a forme di diversità quotidiane, alle appartenenze
etniche e all’integrazione delle minoranze e dei migranti (Kanbur, Rajaram e Varshney 2011). È un tema che ha
acquisito importanza con l’aumento dei flussi migratori a livello mondiale. Horwitz e Horwitz (2007) osservano che,
in ogni circostanza, la “diversità” è un’arma a doppio taglio: da una parte, crea un bacino più ricco di competenze ed
esperienze, e quindi rappresenta un potenziale di innovazione e crescita, ma dall’altra, aumenta di coordinamento e
genera problemi di fiducia, e quindi potenziali divisioni e conflitti inconciliabili. Entrambe le facce della medaglia si riflettono
nell’ambito sindacale: da una parte le esperienze pregresse dei migranti — cruciali agli inizi del sindacalismo
e potenzialmente anche oggi — e dall’altra i problemi di comprensione reciproca e la concorrenza sui posti di lavoro
e i salari.
È possibile supporre che i sindacati delle società con una maggiore diversità etnica abbiano maggiori difficoltà rispetto
a quelli di società etnicamente più omogenee. Il livello di sindacalizzazione relativamente basso degli Stati Uniti
è stato spesso associato alle diverse ondate migratorie e alla conseguente diversità etnica del paese. Chiaramente
influiscono anche altri fattori, se si pensa invece che il Canada, giusto a Nord degli Stati Uniti, e altre società di immigrazione
come la Nuova Zelanda e l’Australia hanno dei livelli di sindacalizzazione costantemente alti. Il concetto
di diversità etnica include, tuttavia, anche una serie di motivi di divisioni a livello locale e potenziali conflitti non legati
LA VIOLAZIONE DEI DIRITTI DEI LAVORATORI 45
specificatamente alle migrazioni Ai fini di questo studio, è importate verificare se tali divisioni hanno limitato l’adesione
sindacale dei lavoratori. Prima di passare ai risultati, è necessario sottolineare che l’analisi non tiene conto dei
paesi attualmente o recentemente in stato di guerra (civile). In Afghanistan, Iraq, Siria, Yemen, Sudan, Sud Sudan,
Somalia, Libia, Ciad, i due Congos e Haiti non è stato possibile verificare i dati relativi all’adesione sindacale.
In alcune regioni del mondo (grafico 14), l’analisi ha rivelato una significativa associazione negativa tra il livello medio
di diversità etnica e il livello medio di sindacalizzazione (red =-0,61, N=18). Tra i paesi, tale relazione è più debole (red
=-0,37, N=125) a causa delle variazioni all’interno della regione. Più che la diversità, sono i conflitti ad ostacolare lo
sviluppo sindacale. Infatti, la relazione negativa tra diversità etnica e sindacalizzazione raggiunge valori più alti nei
venti o trenta paesi più poveri, dove i conflitti frenano tanto lo sviluppo economico quanto la sindacalizzazione. Questi
paesi si trovano nelle regioni dove le lotte etniche sono più violente: Africa subsahariana, Medio Oriente e alcune parti
dell’Asia. Chiaramente, i più alti livelli di sindacalizzazione si registrano nelle regioni e nei paesi etnicamente più omogenei,
ossia l’Europa settentrionale, seguita dall’Europa occidentale e meridionale. Ma ci sono come sempre delle
eccezioni: esistono paesi con una forte diversità etnica o linguistica che hanno livelli di sindacalizzazione piuttosto
elevati (Sudafrica, Belgio, Brasile), mentre esistono paesi relativamente più omogenei con bassi livelli di sindacalizzazione
(Germania, Portogallo, Polonia). Inoltre, la diversità etnica, sebbene sia in continuo mutamento a causa
dei cambiamenti demografici e dei flussi migratori, non è un fattore del tutto attendibile per valutare l’andamento
dell’adesione sindacale.
Grafico 14: Diversità etnica e partecipazione sindacale per regione del mondo.
00
Livello di sindacalizzazione (occupazione totale)
Indice di diversità etnica
0,10 0,20 0,30 0,40 0,50 0,60 0,70 0,80
10
20
30
40
50
60
70
3 / La violazione dei diritti dei lavoratori
A primo impatto, ci si potrebbe aspettare una chiara relazione tra la limitazione o la violazione delle norme del lavoro,
come definite nelle pertinenti Convenzioni dell’OIL, e l’effettivo livello di sindacalizzazione. La realtà, tuttavia, è più
complicata. Sebbene si sia cercato di migliorare l’indice di violazione dei diritti del lavoro, includendo i vari aspetti
legali e comportamentali delle violazioni, tale indice potrebbe non coprire tutte le condizioni socio-politiche e culturali
in cui operano i sindacati e non cogliere appieno il clima latente di fondo in cui si verificano tali violazioni (Kucera e Sari,
2016)25. Inoltre, sorge un problema endogeno, che Kucera (2007) descrive come segue: “Ci sono chiaramente casi (...)
46 PERCHÉ ESISTONO DIVERSI LIVELLI DI SINDACALIZZAZIONE?
in cui il fatto stesso di aver osservato delle violazioni indica l’esistenza di un movimento sindacale pienamente attivo
e, al contrario, casi in cui le violazioni non sono osservate e sono considerate assenti perché il movimento sindacale
è soppresso o minacciato”. Questo solleva una questione non solo di causalità, ma anche di misurazione. Ad ogni
modo, i dati mostrano una relazione negativa significativa tra le violazioni dei diritti dei lavoratori (lrv) e il livello di
sindacalizzazione: rlrv=0,46 (N=137).
Il grafico 15 mostra un rapporto curvilineo: oltre un certo livello di violazione dei diritti (a metà dell’indice di Kucera,
dal punto 6 al 10), l’attività sindacale è fortemente limitata, riuscendo a coprire nel migliore dei casi il 10 per cento
della forza lavoro occupata, sia perché interi gruppi sono legalmente e praticamente esclusi dal diritto di associazione
(lavoratori agricoli, piccole imprese, servizi pubblici, migranti, lavoratori temporanei e autonomi), sia perché non è
esercitato alcun controllo sui casi di soppressione e ostruzionismo. Laddove i diritti dei lavoratori sono fortemente
consolidati e le violazioni sono rare (ad esempio, tra il punto 0 e 1 dell’indice), i tassi di adesione sindacale possono
variare tra il 10 e l’80 per cento, indicando quindi che l’adesione sindacale in contesti di tutela dei diritti è influenzata da
altri fattori, in particolare dalle politiche e dalle attività sindacali. Questo porta direttamente al paragrafo successivo
sulle garanzie istituzionali all’attività sindacale.
Grafico 15: Livelli di sindacalizzazione e indice di violazione dei diritti dei lavoratori.
0
10
20
30
40
50
60
70
80
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Densità sindacale (% dell’occupazione totale)
Indice dei diritti sul lavoro (indice Kucera)
4 / Garanzie istituzionali all’attività sindacale
Gli studi comparativi sull’appartenenza sindacale indicano che alcuni fattori istituzionali influiscono sulle variazioni dei
tassi di sindacalizzazione tra i paesi e sul loro andamento temporale, nello specifico: l’organizzazione e la copertura
della contrattazione collettiva, la rappresentanza sul posto di lavoro, la partecipazione dei sindacati a varie forme di
assistenza e assicurazione contro la disoccupazione e l’erogazione delle prestazioni (Brady, 2007; Checchi e Visser,
2005; Ebbinghaus e Visser, 1999; Rasmussen e Pontusson, 2017; Scruggs e Lange, 2002; Western, 1997). Questi
studi prendono ad esame un insieme di circa 20 paesi industrializzati avanzati, con dati annuali che arrivano fino agli
anni Sessanta o addirittura Cinquanta.
GARANZIE ISTITUZIONALI ALL’ATTIVITÀ SINDACALE 47
Ai fini di questo lavoro, è utile comprendere fino a che punto le garanzie istituzionali incidono sui tassi di adesione
sindacale in tutti i paesi mondo. Si parte dall’esame dell’organizzazione e della portata della contrattazione collettiva,
definendo il processo di contrattazione collettiva come centralizzato quando almeno due terzi della sua copertura
si basano su trattative e accordi con le associazioni dei datori di lavoro piuttosto che con le singole aziende. Se le
trattative del settore rappresentano meno di un terzo della copertura della contrattazione, e la maggior parte o la
totalità della contrattazione avviene a livello di azienda o di impresa, la contrattazione è definita decentrata. Le situazioni
intermedie sono considerate processi di media centralizzazione. Nella nostra analisi sarà considerata solo la
contrattazione collettiva finalizzata alla conclusione di accordi che, in termini sostanziali o procedurali, sono vincolanti
per le imprese nella fissazione dei salari. In base a questi criteri, il set di dati può essere diviso in tre categorie: 44
paesi con contrattazione solo o principalmente a livello aziendale, 19 paesi con media centralizzazione e 25 paesi
con contrattazione centralizzata. Spostandoci da un gruppo all’altro, il tasso medio di copertura della contrattazione
raddoppia, passando da una media del 14 per cento di tutti i lavoratori con contrattazione decentrata, al 28 per cento
con centralizzazione media e al 65 per cento con contrattazione centralizzata. Per i restanti 52 paesi, esclusi Cina,
Cuba, Bielorussia e alcuni paesi arabi, non disponiamo di dati sufficienti sulla copertura e sull’organizzazione della
contrattazione collettiva. I tre gruppi sono composti in maniera omogenea da paesi con diversi livelli di sviluppo, il
che rende la nostra analisi sull’influenza del quadro istituzionale sui livelli di sindacalizzazione abbastanza attendibile.
La centralizzazione riduce i costi di organizzazione dei sindacati. La contrattazione collettiva di categoria consente ai
sindacati di stabilire i salari di riferimento dell’intero settore, limitando il rischio che i datori di lavoro “cattivi” prevalgano
sui quelli “buoni”. Inoltre, in situazioni di contrattazione centralizzata, per i sindacati sarà sufficiente organizzare
e mobilitare i lavoratori delle grandi imprese o delle aziende strategiche per stabilire un modello applicabile all’intero
settore. Ciò significa che, fintanto che queste imprese manterranno la loro adesione alle associazioni dei datori di
lavoro firmatarie del contratto collettivo nazionale o di categoria, o fintanto che questi accordi saranno pienamente
applicabili, i sindacati non dovranno occuparsi della sindacalizzazione dei lavoratori delle piccole imprese poiché
rientreranno nell’ambito di applicabilità di tali accordi (Hayter e Visser, 2018). Questo spiega, da un lato, perché la
correlazione tra la centralizzazione e la copertura della contrattazione collettiva è più forte (rcent/cov=0,78) rispetto
a quella che intercorre tra la centralizzazione della contrattazione e l’adesione sindacale (rcent/dens=0,51). Dall’altro,
spiega anche perché, in condizioni di contrattazione centralizzata, il divario tra l’adesione sindacale nelle grandi e nelle
piccole imprese può essere significativo. Torneremo tuttavia sulla questione nella parte conclusiva di questo lavoro.
Proseguiamo la nostra analisi concentrandoci sul riconoscimento dei sindacati e della rappresentanza sindacale
nei luoghi di lavoro, considerato un fattore fondamentale, insieme al coinvolgimento dei sindacati nei sistemi di
assicurazione sanitaria e contro la disoccupazione.
Il diritto alla rappresentanza sindacale sul posto di lavoro, consente ai sindacati di occuparsi di questioni di produttività,
di conciliazioni con i datori di lavoro, nonché di mantenere la “consuetudine sociale” dell’appartenenza sindacale
attraverso benefici diretti e contatti con i lavoratori. La rappresentanza sindacale sul posto di lavoro può essere regolamentata
in diversi modi. In alcuni paesi, come gli Stati Uniti o il Regno Unito, i sindacati devono “lottare” per il
riconoscimento da parte di ciascuna impresa, dimostrando di rappresentare realmente gli interessi della maggioranza
dei lavoratori. In altri paesi, come la Germania o l’Austria, la rappresentanza sul posto di lavoro è garantita
indirettamente come diritto stabilito per legge tramite il comitato aziendale eletto. In altri casi, invece, essa può essere
garantita sulla base di un accordo nazionale tra il sindacato principale e l’organizzazione dei datori di lavoro,
come accade ad esempio in Scandinavia. Quest’ultimo caso, ossia il riconoscimento tramite un accordo nazionale
firmato dai datori di lavoro, solleva meno problemi di applicabilità ed è quindi più efficace rispetto al riconoscimento
garantito come obbligo di legge per i datori di lavoro. Utilizzando una semplice codifica, dove “0” è il riconoscimento
sindacale a livello di ogni singola impresa, “1” è il riconoscimento legale e “2” è il riconoscimento mediante accordo,
risulta che il riconoscimento della rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro è fortemente correlato al tasso di
adesione sindacale, raccess=0,69.
La centralizzazione della contrattazione collettiva, il riconoscimento dei sindacati e la loro rappresentanza nei luogo di
lavoro riducono i costi dell’attività sindacale e la pressione delle forze “non sindacali” nelle trattative. Tuttavia, quando
i salari, i diritti e le condizioni di lavoro sono garantiti in egual misura tanto a chi aderisce ai sindacati quanto a tutti gli
altri lavoratori, i sindacati si trovano di fronte al problema del free-rider. In questo caso, è importante che i sindacati
facciano pressione sui lavoratori affinché contribuiscano alla causa comune, attraverso il “closed shop” o altre forme di
iscrizione obbligatoria oppure prevedendo l’erogazione di benefici rivolti esclusivamente ai membri. Poiché il “closed
shops” e la maggior parte delle forme di iscrizione obbligatoria — ad esempio quelle esistenti in Nuova Zelanda e in
Australia — sono state impedite o dichiarate illegali, sono state introdotte altre procedure che rafforzano l’adesione
sindacale, quali il riconoscimento agli iscritti di sussidi di disoccupazione, di un’assicurazione sanitaria o di servizi di
consulenza del lavoro. Come già accennato, esistono casi di fondi assicurativi contro la disoccupazione promossi dal
48 PERCHÉ ESISTONO DIVERSI LIVELLI DI SINDACALIZZAZIONE?
governo e gestiti dai sindacati in Svezia, in Finlandia, in Danimarca e in Islanda, in forma diversa in Belgio, nel settore
agricolo italiano e nell’edilizia olandese. Inoltre, i sindacati intervengono nella gestione dell’assicurazione sanitaria
in Argentina, Israele e Taiwan (fino al 1995), nei sistemi di protezione sociale, nelle pensioni e nei benefici legati alle
imprese in Tanzania, Egitto e Nord Africa, e, prima del 1989, nei sindacati dei paesi comunisti. Il netto calo dei livelli
di adesione sindacale in seguito al ritiro del sostegno statale a questi sistemi di protezione, come avvenuto in Israele
nel 1995, dimostra che essi fungono da incentivo all’adesione sindacale. In tutti i paesi esiste una chiara relazione
positiva tra la partecipazione dei sindacati ai sistemi di assicurazione sanitaria e contro la disoccupazione e i livelli di
sindacalizzazione (rins=0,67).
Infine, sono stati esaminati gli effetti di un approccio tripartito, inteso come l’esistenza di consigli sociali ed economici
tripartiti e di consultazioni regolari tra i sindacati, i datori di lavoro e il governo sui salari minimi e sulle politiche sociali,
che vanno ad aggiungersi al dialogo sociale bipartito e al coordinamento a livello centrale sulle politiche salariali
tra i sindacati e le associazioni dei datori di lavoro. Da tale analisi risulta che i tassi di sindacalizzazione non hanno
alcuna correlazione con l’approccio tripartito (rtri=0,09), mentre tale associazione esiste con il coordinamento bipartito
(rbi=0,51). Quest’ultimo, invece, risulta fortemente correlato da una parte con il riconoscimento da parte dei datori
di lavoro della rappresentanza sindacale sul posto di lavoro e dall’altra con la centralizzazione della contrattazione.
Queste correlazioni non si osservano per l’approccio tripartito. È pur vero che l’approccio tripartito è difficilmente
misurabile e le sue caratteristiche formali (l’esistenza di un consiglio, la sua composizione, il numero di consultazioni)
possono nascondere la realtà dei fatti.
L’ambito istituzionale appena descritto agisce nel suo insieme ed è difficile inserirlo in un’analisi multivariata. Pertanto,
è risultato più conveniente costruire una semplice scala o un indice delle garanzie istituzionali a favore l’attività
sindacale basata su quattro caratteristiche (centralizzazione, riconoscimento, sistemi di assicurazione e coordinamento
bipartito), ognuna con un possibile punteggio da “0” a “2”, e partendo da un valore base di “1”. Si ottiene così
un punteggio totale che può variare da 1 a 9. Il grafico 16 mostra che questo indice è correlato con i tassi di sindacalizzazione
per 96 paesi (R2index=0,62). A parità di condizioni, ad ogni aumento di un punto sull’indice corrisponde un
aumento di quasi quattro punti percentuali del tasso medio di copertura sindacale.
Grafico 16: Garanzie istituzionali all’attività sindacale e tassi di sindacalizzazione,
2016/17.
R² = 0,6162
00
10
20
30
40
50
60
70
01 02 03 04 05 06 07 08 09 10
Tasso di densità sindacale (% degli occupati)
Indice di sostegno istituzionale ai sindacati (0–10)
Nonostante i risultati siano abbastanza attendibili, la questione delle garanzie istituzionali lascia ancora domande
senza risposta. A qualsiasi livello dell’indice del supporto istituzionale all’attività sindacale corrispondono diversi
valori, come illustrato nel grafico 16. Ad esempio, in assenza di garanzie, il livello di adesione sindacale degli Stati
Uniti è del 10,4 per cento e quello del Canada del 28,4 per cento. Esistono altri parametri che non sono stati misurati,
ma che influiscono ugualmente sull’attività sindacale, come ad esempio il grado di ostilità dei datori di lavoro nei
confronti dei sindacati, il sostegno politico o la cultura giuridica? Probabilmente questi fattori differiscono tra Canada
e Stati Uniti, ma non sono rilevati nell’indice. Inoltre, perché in paesi con elevate garanzie istituzionali all’attività
MANCANZA DI GARANZIE ISTITUZIONALI, FRAMMENTARIETÀ E CONCORRENZA SINDACALE 49
sindacale, seppur in modo diverso, come Francia, Germania e Paesi Bassi, i tassi di sindacalizzazione sono così
bassi rispetto a quanto ci potrebbe espettare? Infine, è importante sottolineare che le garanzie istituzioni non sono
da considerarsi un parametro esogeno, quanto piuttosto il risultato delle scelte e delle politiche passate e presenti
dei sindacati stessi.
5 / Mancanza di garanzie istituzionali, frammentarietà e concorrenza
sindacale
Le garanzie istituzionali hanno sempre il rovescio della medaglia. Quando le istituzioni — come i consigli settoriali per
la contrattazione collettiva o i comitati aziendali — stabiliscono un monopolio di rappresentanza sindacale, ciò può
“diminuire la necessità dei sindacati di dimostrare la loro influenza attraverso la mobilitazione e ridurre gli incentivi
politici e organizzativi volti ad attrarre nuovi membri” (Ebbinghaus e Visser, 1999). Nella maggior parte dei paesi,
i sindacati devono guadagnarsi un posto nei comitati aziendali attraverso elezioni aperte anche ad altri sindacati e
organizzazioni. In molti paesi, il requisito dei sindacati per rappresentare i lavoratori nella contrattazione collettiva è
superare una soglia di adesione del 10, 33 o 50 per cento del forza lavoro totale dell’azienda o del settore di riferimento.
Tuttavia, ci sono paesi in cui tale criterio non si applica e il riconoscimento dei sindacati nella contrattazione non è
legato al numero di adesioni. In questi casi, spinti dai bassi livelli di sindacalizzazione, nuove organizzazioni o forme
alternative di rappresentanza sindacale possono tentare la fortuna e cercare di convincere i datori di lavoro a diffidare
dai sindacati esistenti. Casi simili sono stati osservati nei Paesi Bassi, dimostrando che, anche quando il diritto di
rappresentare i lavoratori nella contrattazione collettiva non è vincolato né a soglie di adesione né a criteri elettorali,
i sindacati possono comunque essere spinti da ragioni politiche o ideologiche per reclutare nuovi gruppi, come i
lavoratori a tempo parziale o migranti, scongiurando quindi il rischio di un ulteriore declino. In Germania, l’adozione
di clausole di apertura dai contratti settoriali da parte delle aziende ha spinto i sindacati a rafforzare il loro sostegno
sul posto di lavoro e ridurre la concorrenza dei lavoratori temporanei collocati dalle agenzie di lavoro.
Alcuni studi sulle strategie di rilancio e rinnovamento dei sindacati — effettuati per la prima volta negli Stati Uniti, nel
Regno Unito e in Australia — hanno rilevato che tali strategie trovano maggiore applicazione nei contesti con scarse
garanzie istituzionali a favore dei sindacati, cioè in paesi in cui il riconoscimento del diritto dei sindacati di rappresentare
i lavoratori e di partecipare alla contrattazione collettiva è legato alla mobilitazione dei lavoratori nelle elezioni.
Inoltre, in questi paesi i sindacati non godono del diritto di partecipazione a organi rappresentativi come i comitati
aziendali (Heery e Adler, 2004). Circa dieci anni dopo la loro prima introduzione, nuove “campagne di sensibilizzazione
sindacale” hanno attraversato l’Oceano Atlantico e la Manica per raggiungere paesi con una una “mancanza di
garanzie istituzionali” come la Polonia (Czarzasty, Gajewska e Mrozowicki, 2014) e l’Irlanda (Murphy e Turner, 2016)
e più tardi in paesi con contesti istituzionali più favorevoli per i sindacati, come la Danimarca (Arnholtz, Ibsen e Ibsen,
2016), la Svezia (Bengtsson, 2013), la Francia (Tapia e Turner, 2013), la Germania (Schmalz e Thiel, 2017) e
i Paesi Bassi (Connolly, Marino e Martinez Lucio, 2017). Cosa spiega questo ritardo? Hassel (2007) ha elaborato
l’interessante teoria secondo cui le garanzie istituzionali possono diventare una “maledizione”. Le stesse garanzie
istituzionali che “aiutano i sindacati a mantenere una posizione di forza nel loro tradizionale segmento di mercato (...)
impediscono loro di adattarsi alla mutevole composizione del mercato del lavoro”. L’autrice applica questa teoria per
spiegare il ritardo dei sindacati tedeschi nell’organizzazione delle donne, dei lavoratori a tempo parziale e dei lavoratori
in somministrazione. Marshall e Perelman (2008) hanno fatto un’osservazione simile per spiegare la resistenza
dei sindacati argentini nell’organizzazione di nuovi gruppi come le donne, i lavoratori a tempo parziale, i migranti e i
lavoratori dell’economia informale.
“Fintanto che il movimento sindacale avrà ancora una posizione istituzionale a cui aggrapparsi, il calo di adesioni
non sarà sufficiente a creare un senso di urgenza. I cambiamenti avverrano solo quando verrano meno tali sostegni
istituzionali” (Kloosterboer, 2007). Questo concetto si osserva chiaramente nell’esempio di Stati Uniti, Gran Bretagna
e Australia, dove i sindacati hanno perso le loro garanzie istituzionali rispettivamente durante le amministrazioni
Reagan, Thatcher e Howard. I sindacati di paesi con elevate garanzie istituzionali dovrebbero evitare di arrivare a
tanto. Soprattutto se ci si rende conto che in questi casi i vantaggi effettivi derivanti dal rinnovamento dei sindacati in
termini di incremento delle adesioni e del potere contrattuale sono stati deboli, a volte temporanei e spesso al di sotto
delle aspettative. Nella loro analisi delle strategie di rinnovamento dei sindacati, Ibsen e Tapia (2017) sottolineano che
per ottenere successo è fondamentale poter contare sul sostegno delle strutture istituzionali, ad esempio costruendo
le condizioni per una contrattazione collettiva di diversi datori di lavoro. Si osserva una certa analogia con il modello
50 PERCHÉ ESISTONO DIVERSI LIVELLI DI SINDACALIZZAZIONE?
di crescita sindacale di Freeman (Freeman, 1998). In questo modello, gli sforzi di organizzazione sindacale non sono
lineari, il che significa che sono più deboli quando il tasso di sindacalizzazione è molto basso o molto alto. Il motivo
è che a livelli di sindacalizzazione molto bassi, i sindacati non dispongono delle necessarie risorse per mobilitarsi,
e necessitano quindi del supporto di altri sindacati o di altre organizzazioni, come è stato dimostrato nel caso dei
sindacati africani. A livelli molto alti di sindacalizzazione, i sindacati possono pensare che il mercato degli iscritti sia
“saturo” e che siano necessari sforzi straordinari per convincere i pochi non iscritti rimasti, i quali probabilmente hanno
forti convinzioni ideologiche o religiose per non aderire ad un sindacato, o godono già dei benefici sindacali grazie agli
effetti di ricaduta (garanzie salariali più alte e migliori condizioni di lavoro, cosa che non sarebbe avvenuta in assenza di
un sindacato). Confrontando i dati nazionali, è possibile osservare nei paesi con il minor tasso di sindacalizzazione nel
2000, proprio a partire da quell’anno è registrata una leggera tendenza (r=0,31) verso una maggiore crescita sindacale
(espressa come aumento percentuale dei tassi di sindacalizzazione). Questo è dovuto principalmente all’apertura dei
sindacati nei confronti del settore informale in molti paesi in via di sviluppo. Nelle economie sviluppate, invece, non vi
è alcuna relazione tra il livello di sindacalizzazione registrato nel 2000 e la misura della crescita o del declino sindacale
degli anni successivi.
La frammentarietà dei sindacati e la loro rivalità, in termini di reclutamento di nuovi membri e affermazione della
propria influenza, sono spesso associate a livelli di sindacalizzazione molto bassi. È il caso di paesi quali Filippine,
Bangladesh, India, Indonesia, Perù, Messico, Cile, Polonia, Ungheria e Francia. Dall’altra parte, invece, troviamo
esempi di una grande crescita sindacale come risultato di una (ri)unificazione o del rafforzamento della collaborazione
tra le diverse organizzazioni sindacali, come accaduto negli ultimi anni in Tunisia e Uruguay, o mezzo secolo
fa in Finlandia e in Italia. Un’eccessiva competizione — sia da parte di datori di lavoro che da parte di sindacati o
confederazioni rivali che difendono le loro ideologie in un contesto sindacale frammentato — ha effetti negativi non
solo sul potere sindacale, ma anche sull’incremento delle adesioni. In una situazione del genere, i sindacati tendono
a lottare per guadarsi il sostegno politico piuttosto che a trovare soluzioni comuni. Questo scoraggia i potenziali
membri, poiché in situazioni simili i sindacati hanno poco da offrire. L’esistenza di monopoli sindacali, al contratio,
come quelli osservati nei paesi comunisti, ma anche altrove, può rivelarsi fatale per il rinnovamento dei sindacati e
portare al loro inesorabile declino.
I movimenti sociali, le cooperative, i centri per i lavoratori, i sindacati delle minoranze e le organizzazioni di tipo sindacale
possono essere il motore della rappresentanza dei lavoratori del settore informale, dei lavoratori delle piattaforme,
delle donne, dei giovani e dei lavoratori precari. L’avanzata delle donne nei sindacati, per esempio, si deve in
gran parte allo sviluppo del movimento femminile negli anni ‘60 e ‘70 (Cook et al., 1984). I sindacati tradizionali a volte
hanno bisogno di una “spina nel fianco”: organizzazioni o movimenti piccoli, indipendenti o alternativi, che si aprono
a nuove realtà, diventando pionieri di nuovi approcci. I sindacati che organizzano e rappresentano diverse categorie
di lavoratori e interessi possono alzare il livello generale di sindacalizzazione, come sembra essere accaduto in
Scandinavia, dove i sindacati e le confederazioni sindacali di operai, impiegati, professionisti e accademici coesistono
e cooperano tra loro già da parecchio tempo.
III. Quattro possibili scenari
Fino a questo momento ci siamo concentrati sul passato e sul presente: lo stato attuale dei sindacati, il modo in cui il
declino industriale, il progresso tecnologico, la digitalizzazione e la globalizzazione hanno cambiato i rapporti di lavoro
e l’adesione sindacale e le possibili ragioni alla base delle differenze nell’adesione e nell’organizzazione sindacale. È
ora di guardare al futuro. Quale sarà il futuro dei sindacati? Le tendenze del passato continueranno, peggioreranno o
si invertiranno? Come già accennato nell’introduzione, esploreremo quattro scenari o possibili futuri per i sindacati:
emarginazione, dualizzazione, sostituzione e rivitalizzazione. Ognuno di questi scenari si basa su una visione selettiva
e inevitabilmente di parte degli sviluppi presenti e passati. Saranno esposte le argomentazioni a favore dell’uno e
dell’altro scenario, seguite dalle dovute contro argomentazioni. Nel paragrafo conclusivo, cercheremo di determinare
la probabilità di ciascuno di questi quattro scenari.
1 / Marginalizzazione
L’ipotesi che i sindacati svaniranno gradualmente e perderanno la loro influenza nella regolamentazione dei mercati
del lavoro si basa sull’estrapolazione delle tendenze attuali. Se il declino degli ultimi venti o trent’anni continuerà, in
molti paesi la sopravvivenza dei sindacati sarà a rischio entro la metà del secolo. La copertura dei sindacati potrebbe
scendere al di sotto di una determinata soglia — 10 per cento, 5 per cento, 2 per cento — oltre la quale la loro
sopravvivenza diventerà difficile.
Dopo aver dimostrato che il tasso di declino sindacale in Australia ha subito una forte accelerazione nell’ultimo decennio,
Gahan et al. (2018) concludono che “se questo declino dell’adesione sindacale continuerà, entro la fine del
prossimo decennio i sindacati rappresenteranno solo una piccola quota della forza lavoro australiana, e i loro membri
saranno concentrati in un minor numero di settori”. A ciò seguirà un calo della copertura della contrattazione collettiva
e la crescita salariale raggiungerà i minimi storici. Secondo Pernot (2010), senza un rilancio dei sindacati tra
i lavoratori del settore privato, “il sindacalismo in Francia è destinato a svolgere un ruolo marginale o a rivolgersi a
frange sempre più piccole del settore pubblico e amministrativo, con alcuni giorni di gloria che non avranno nessun
seguito”. Milkman (2013) sostiene che negli Stati Uniti i sindacati sono tornati al punto in cui si trovavano prima degli
anni Trenta, le politiche del New Deal di Roosevelt e lo sviluppo del sindacalismo industriale. Con un tasso di sindacalizzazione
del 6,4 per cento nel settore privato, pari al quello registrato nel 1901, quando non si non c’erano iscritti
al sindacato nel settore pubblico, “il settore privato in questo paese è ora quasi privo di sindacati, in un modo che non
si vedeva da un secolo” (Rosenfeld, 2014). Sulla base di questi dati, è possibile affermare che i sindacati degli Stati
Uniti non sono più forti di quelli dei paesi in via di sviluppo, se si considera, giustamente, che in questi paesi il settore
informale occupa la più grande fetta del settore privato. Ma anche in molti paesi sviluppati, ad esempio nell’Europa
centrale e orientale, i tassi di sindacalizzazione del settore privato sono attualmente talmente bassi da significare che
sono quasi scomparsi tra i grandi esponenti economici.
Donado e Wälde (2002) sostengono che le tendenze a lungo termine dell’adesione sindacale, come mostrato nel grafico
17, rappresentano ovunque una curva a forma di U rovesciata, anche se in alcuni paesi i tassi di sindacalizzazione
raggiungono il picco più tardi rispetto ad altri (come nel caso dell’Europa rispetto a Stati Uniti e Giappone) e a livelli
più elevati (come nel caso dell’Europa settentrionale rispetto agli altri paesi). La definizione di “ovunque” è discutibile,
ma la tendenza generale degli otto riquadri del grafico 17 è certamente di declino. Per Donado e Wälde questa è la
dimostrazione che i sindacati hanno perso il loro ruolo di istituzione responsabile della regolamentazione del mercato,
lasciando spazio allo stato sociale, agli organismi di regolamentazione internazionale, all’istruzione e alla scienza
52 QUATTRO POSSIBILI SCENARI
moderna. Come è stato mostrato nelle pagine precedenti, il declino della rappresentanza e dell’azione collettiva incarnate
dai sindacati si deve principalmente ai cambiamenti della globalizzazione e del progresso tecnologico nei
mercati del lavoro e nelle istituzioni sociali e politiche. In alcuni casi, questo declino è stato esacerbato dalla risposta
tardiva dei sindacati ai cambiamenti in atto.
Grafico 17: Tendenze a lungo termine dei livelli di adesione sindacale.
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Stati Uniti Canada Australia Irlanda Germania Francia Italia Spagna Portogallo
MONDO ANGLO AMERICANO EUROPA OCCIDENTALE E MERIDIONALE
EUROPA OCCIDENTALE, PICCOLI PAESI EUROPA DEL NORD
AMERICA LATINA AFRICA
ASIA RUSSIA E EUROPA CENTRO-ORIENTALE
Regno Unito
Belgio Paesi Bassi Svizzera Austria Svezia Danimarca Norvegia Finlandia
Brasile Argentina Cile Costa Rica Messico Sudafrica Kenya Ghana Egitto Tunisia
Giappone Rep di Corea Malaysia Filippine Turchia Russia Polonia Rep Ceca Ungheria Slovacchia
MARGINALIZZAZIONE 53
Un’altra spiegazione dell’ascesa e del successivo declino del sindacalismo è la teoria del ciclo di vita del prodotto
(si veda. Bryson, Gomez e Wilman, 2018). Questi autori hanno inizialmente osservato che, ad esempio nel Regno
Unito, nel corso del tempo la quota di lavoratori che chiedevano di avere più “voce” è rimasta più o meno costante,
riscontrando tuttavia un passaggio dalla “voce” fornita dal sindacato alla “voce” fornita dal datore di lavoro. Essi
sostengono che la “voce”, o qualsiasi meccanismo per valutare e correggere le decisioni dei datori di lavoro, è un
bisogno generico o un “prodotto” di cui i lavoratori hanno bisogno in ogni tempo e in ogni luogo. I sindacati offrono una
soluzione per soddisfare questa esigenza. Nel farlo, hanno sempre fatto a gara con altre soluzioni o metodi esistenti
per dare voce ai lavoratori. Soluzioni alternative possono svilupparsi e prendere il sopravvento. Ritorneremo tuttavia
su questa possibilità — sostituzione dei sindacati — nel terzo scenario.
Una delle caratteristiche fondamentali dei sindacati è che possono organizzare scioperi di lunga durata, sospensioni
del lavoro, sit-in, proteste e manifestazioni. Tuttavia, come ha sottolineato Milkman (2013), con il declino dei sindacati
del settore privato, i grandi scioperi industriali sono diventati rari. Questa tendenza è iniziata negli anni Ottanta (Shalev,
1992) ed è stata osservata in quasi tutti i paesi sviluppati. Lo sciopero, infatti, si è spostato maggiormente nel settore
pubblico. Tuttavia, anche quando gli scioperi pubblici hanno avuto una partecipazione massiccia, esprimendo anche
il malcontento dei lavoratori del settore privato, come ad esempio in Francia, questo non ha portato a un aumento
della sindacalizzazione, come accadeva invece in passato per i grandi scioperi industriali (Pernot, 2010). Questo non
è solo il caso della Francia. Proteste simili si sono verificate nei Paesi Bassi nel 2004, in Grecia nel 2010 e negli anni
successivi, in Portogallo nel 2011 e nel 2012 e in Polonia nel 2013. Questo non significa che gli scioperi degli ultimi
anni siani falliti. Ci sono anche molti esempi di scioperi che, partendo da un obiettivo ben definito, hanno portato alla
diffusione di campagne di successo. È difficile dunque dire quale sia la chiave del successo.
Probabilmente il segnale più allarmante che punta verso un ulteriore calo dell’adesione sindacale è l’invecchiamento
dei membri dei sindacati, osservato in quasi tutti i paesi sviluppati. Questo dipende direttamente dal minore tasso di
sindacalizzazione dei giovani, a cui si aggiunge, in Europa o in Giappone, il cambio demografico, con l’ingresso nel
mercato del lavoro di un numero sempre inferiore di persone. Abbiamo già avuto modo di osservare che il rapporto
tra il tasso di sindacalizzazione dei nuovi iscritti rispetto a quelli prossimi all’uscita dal mercato del lavoro è passato
da 1:2 negli anni ‘70 e ‘80 a 1:4 negli anni 2000, il che significa che oggi i lavoratori che escono dal mercato del lavoro
hanno quattro volte più probabilità di essere sindacalizzati di quelli che entrano, ammesso che questi ultimi riescano
a trovare un lavoro. Nei paesi sviluppati, un quinto degli occupati iscritti ai sindacati ha in media più di 55, mentre
solo uno su venti ha meno di 25 anni. In alcuni paesi, come la Danimarca, l’Irlanda o il Belgio, la distribuzione è
più omogenea, ma la situazione è chiara: per mantenere l’attuale numero di membri, i sindacati dei paesi sviluppati
devono rimpiazzare ogni anno una percentuale stimata tra il 3 e il 4 per cento dei loro iscritti. Ciò comporterebbe
ad ogni modo una diluizione dei tassi di sindacalizzazione in contrapposizione all’aumento della popolazione attiva.
Per aumentare il numero di iscritti, i sindacati dovrebbero in qualche modo tornare ai tassi di sindacalizzazione tra i
giovani degli anni ‘70.
Tuttavia, raggiungere quest’obiettivo risulta impossibile perché i nuovi lavoratori di oggi sono sempre meno esposti ai
sindacati in una fase precoce della loro vita e della loro carriera. L’esposizione precoce è fondamentale perché molti
dei benefici dei sindacati funzionano come un investimento a lungo termine, rivelando la loro utilità molto tempo
dopo l’adesione. In questo senso, i sindacati sono simili a ciò che nella teoria dei consumatori è noto come un “bene
esperienza” (Gomez e Gunderson, 2004). Per questo motivo, è molto importante avere legami con colleghi, amici e
genitori che sono iscritti a un sindacato. Alcune ricerche britanniche e olandesi hanno dimostrato che i figli di genitori
iscritti a un sindacato hanno maggiori probabilità seguire l’esempio dei genitori (Bryson e Davies, 2018; Visser, 2002).
Esistono sono molte evidenze del fatto che “i membri attirano membri” (Waddington e Kerr, 2002). Il contatto con i
colleghi che aderiscono (attivamente) a un sindacato è essenziale per incentivare e mantenere l’adesione sindacale
e per adottare un atteggiamento “positivo” nei confronti della partecipazione collettiva (Ibsen, Toubøl e Jensen, 2017;
Visser, 2002). Nella realtà tuttavia, la probabilità che i giovani trovino lavoro in aziende e luoghi di lavoro in cui molti
colleghi sono iscritti a un sindacato, o dove c’è una viva attività sindacale, è drammaticamente diminuita. Con il calo
dei tassi di sindacalizzazione, in ogni generazione ci sono sempre meno genitori che possono trasmettere i valori
dell’appartenenza sindacale ai propri figli. Una bassa adesione giovanile significa che in ciascuna coorte aumenta il
numero di giovani che non avranno mai un’esperienza sindacale. Secondo uno studio di Booth, Budd e Munday (2010),
negli Stati Uniti a metà degli anni ‘80, il 58 per cento dei ventitreenni non aveva mai avuto un’esperienza sindacale.
Circa 20 anni dopo, questa cifra è salita al 71 per cento. I dati relativi al Regno Unito mostrano che il numero dei
non iscritti è aumentato dal 23 per cento a metà degli anni ‘80 a oltre il 50 per cento tra il 2005 e il 2006 (Bryson et
al., 2017). Bryson e Gomez (2005) hanno dimostrato che nel Regno Unito il declino dell’adesione sindacale a partire
dagli anni ‘80 si deve proprio alla diminuzione delle probabilità di aderire a un sindacato, piuttosto che alla perdita dei
lavoratori iscritti.
54 QUATTRO POSSIBILI SCENARI
Le migrazioni complicano la situazione. Nell’ Europa centrale e orientale, la disoccupazione, i bassi livelli salariali e
l’emigrazione hanno prosciugato i sindacati della partecipazione giovanile. In alcuni paesi come l’Estonia, la Lettonia
o l’Ungheria, non ci sono praticamente più giovani nei sindacati. Korkut et al. (2017) sottolineano che, invece di
aumentare il potere contrattuale dei sindacati limitando l’offerta, l’allontanamento dei giovani più intraprendenti ha
impedito il rinnovamento dei sindacati e minaccia la continuazione intergenerazionale dell’attività sindacale in molti
settori. Uno studio congiunto della Friedrich Ebert Stiſtung (FES) e dell’OIL giunge alla stessa conclusione riguardo
alle conseguenze negative dell’emigrazione sui sindacati libanesi26. L’abbandono dei giovani potrebbe diventare una
minaccia anche per i sindacati di alcuni paesi africani.
2 / Dualizzazione
Come per l’emarginazione, lo scenario della dualizzazione presuppone il proseguimento o addirittura un peggioramento
delle tendenze all’instabilità e alla precarietà del lavoro, tanto nei settori tradizionali quanto nella nuova economia
delle piattaforme. La principale motivazione è che, rispondendo alle richieste dei datori di lavoro, i sindacati
finiranno per tutelare i posti di lavoro dei loro membri tradizionali — professionisti e lavoratori di grandi aziende con
contratti a tempo indeterminato − potenzialmente a scapito degli “esclusi” e dei lavoratori atipici, ossia i disoccupati,
i lavoratori temporanei e occasionali.
Sebbene i movimenti sindacali siano generalmente sostenitori di un’ideologia di “parità dei diritti”, a volte non hanno
altra scelta che accettare politiche, riforme, compromessi o alleanze volte ad aumentare la produttività del lavoro
e a preservare i posti di lavoro, tutelando gli interessi dei loro principali membri e correndo il rischio di indebolire
ulteriormente la posizione degli “esclusi” (Emmenegger, 2014). Ad esempio, in alcune occasioni le organizzazioni
sindacali hanno acconsentito alla deregolamentazione dei settori dei servizi poco qualificati come modo per ridurre i
costi e preservare la competitività dell’azienda (Hassel, 2014). Di conseguenza, i sindacati sono stati accusati in alcuni
casi di ignorare i problemi dei lavoratori vulnerabili (Standing, 2011). Queste argomentazioni sono state sviluppate,
in particolare, per analizzare la strategia e le difficoltà dei sindacati in Germania e Francia (Palier e Thelen, 2010),
Giappone (Song, 2014) e Repubblica di Corea (Shin, 2010).
Il dualismo sindacale si osserva tra piccole e grandi imprese, sia come precondizione sia come risultato delle politiche
sindacali dualiste, nonché tra lavoratori permanenti e temporanei, nazionali e stranieri, anziani e giovani, e,
nei paesi in via di sviluppo, tra il settore formale e quello informale. Queste dimensioni sono strettamente correlate,
in quanto le piccole imprese sono spesso esentate dall’applicazione delle disposizioni legali sulla tutela dell’occupazione,
costringendo di fatto gli strenieri ad accettare lavori temporanei. Lee (2010) scrive sul “doppio dualismo” dei
sindacati aziendali giapponesi e coreani che, escludendo le piccole imprese, i sindacati escludono di conseguenza
anche i lavoratori temporanei e gli stranieri. Il fatto che i sindacati escludano le piccole imprese e rappresentino solo
o prevalentemente i lavoratori delle grandi imprese può essere considerato un’evidenza del dualismo delle politiche
sindacali.
Un’indagine dell’OCSE del 1990 cita studi e analisi condotti in Giappone, Germania, Svizzera, Paesi Bassi, Norvegia,
Francia, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti, secondo cui i tassi di sindacalizzazione aumentano con le dimensioni dell’impresa
(ad eccezione delle più grandi). L’indagine indica anche che i sindacati di Belgio, Danimarca e Italia hanno
ottenuto risultati eccezionali nell’organizzazione dei lavoratori delle piccole e medie imprese (Visser, 1991). Nell’ambito
del dibattito pubblico sulle strategie per stimolare la creazione di nuovi posti di lavoro, l’attenzione si è concentrata
sulle PMI, descritte come motori di occupazione. Anche se i dati variano, si stima che le PMI rappresentano il 53 per
cento di tutti i posti di lavoro nel Regno Unito e l’86 per cento in Grecia (OCSE, 2017b). Nelle economie dei mercati
emergenti, questi tassi sono più bassi, soprattutto nel settore formale. L’OIL, ad esempio, stima la quota dell’occupazione
delle PMI al 34,8 per cento nel 2016, in aumento rispetto al 31,2 per cento del 2003 (OIL, 2017). Tenendo conto
del settore informale, le piccole e microimprese che impiegano da una a cinque persone arrivano a rappresentare
fino al 90 per cento dell’occupazione totale.
Alcuni dati recenti, purtroppo disponibili solo per le economie dei paesi sviluppati, mostrano che, in media, il 62 per
cento di tutti gli iscritti a un sindacato lavora in grandi imprese con più di 100 dipendenti, il 27 per cento nelle piccole
e medie imprese (10–100 dipendenti) e l’11 per cento nelle piccole e microimprese (meno di dieci dipendenti). In
Giappone e nella Repubblica di Corea, quasi tutti gli iscritti a un sindacato lavorano in grandi imprese, mentre in
Germania, Francia e Paesi Bassi, questo dato supera di gran lunga il 70 per cento. Non disponiamo di dati per gli
Stati Uniti, mentre in Canada la quota delle grandi imprese supera il 50 per cento. In Belgio, Danimarca, Svizzera,
DUALIZZAZIONE 55
Grecia, Portogallo e Spagna, si registra una minore presenza di grandi imprese e di conseguenza una maggiore quota
di lavoratori delle PMI tra gli iscritti ai sindacati. Tali variazioni riflettono le differenze nella struttura dell’economia
dei vari paesi e l’eventuale presenza di grandi multinazionali. Per capire se effettivamente i sindacati si impegnano
esclusivamente nella rappresentanza dei lavoratori delle grandi imprese, trascurando o non riuscendo a raggiungere
i lavoratori delle piccole imprese, è necessario guardare al divario nei tassi di sindacalizzazione tra i lavoratori delle
grandi e piccole imprese (grafico 18).
Grafico 18: Tassi di sindacalizzazione per dimensione dell’impresa.
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
Tasso di densità sindacale (% dipendenti)
1-9 dipendenti 10-99 dipendenti a partire da 100 dipendenti
Giappone
Estonia
Rep di Corea
Lituania
Messico
Polonia
Costa Rica
Rep Ceca
Grecia
Slovenia
Australia
Francia
Spagna
Bulgaria
Portogallo
Germania
Ungheria
Sudafrica
slovacchi
Lettonia
Israele
Regno Unito
Romania
Italia
Canada
Irlanda
Austria
Paesi Bassi
Svizzera
Croazia
Lussemburgo
Cipro
Norvegia
Svezia
Danimarca
Finlandia
Belgio
In molti paesi, quali Giappone, Repubblica di Corea, Australia, Francia, Polonia, Germania e Spagna, le organizzazioni
sindacali sono praticamente assenti nelle piccole imprese con meno di dieci lavoratori. Non è chiaro se valga lo stesso
per i paesi in via di sviluppo, ma è probabile di si, a meno che i sindacati abbiano iniziato a organizzare i lavoratori
autonomi del settore informale. Molti fattori determinano l’assenza dei sindacati nelle piccole imprese. Dal punto di
vista dei lavoratori, lavorare a fianco del datore di lavoro può rappresentare un ostacolo all’iscrizione a un sindacato.
Dal punto sindacale, invece, creare e mantenere delle rappresentanze sindacali all’interno delle piccole imprese ha
un costo elevato. In molti paesi, inoltre, esistono degli ostacoli legali all’edesione sindacale e molti sindacati sono
soggetti al criterio della soglia minima di adesione. In Polonia, ad esempio, qualsiasi sindacato deve avere almeno
dieci iscritti per avviare la propria attività. Questo requisito, volto a combattere la frammentarietà sindacale, priva
molti lavoratori del diritto alla rappresentanza. In Thailandia, ad esempio, la soglia minima di rappresentanza sindacale
è di 10 dipendenti, in Romania di 15, in Honduras e in Perù di 20. Un simile approccio restrittivo può avere
delle conseguenze enormi. In Polonia, il 30–40 per cento di tutti i dipendenti, comprese alcune categorie del servizio
pubblico, è de jure escluso dal diritto di associazione. In Thailandia, circa il 15 per cento di tutti i lavoratori, occupato in
oltre 250.000 imprese industriali, quasi tre quarti del totale delle imprese registrate, è escluso dalla rappresentanza
sindacale (Brown, 2016). Milkman (2013) cita i dati relativi agli Stati Uniti da cui si evince che negli anni ‘90 il 22 per
cento dei lavoratori del settore privato, inclusi dirigenti, lavoratori autonomi, dipendenti delle microimprese, lavoratori
agricoli, a domicilio e in somministrazione, sia stato escluso dalle tutele del National Labour Relations Act del
New Deal. Altrettanto importanti sono i criteri per la rappresentanza negli organi istituzionali come i comitati aziendali.
Molti studi dimostrano infatti che tali organi possono aiutare i sindacati a reclutare nuovi membri e a rafforzare
l’appartenenza sindacale degli iscritti (per le evidenza sulla Germania: Behrens, 2009; Goerke e Pannenberg, 2007).
Le piccole imprese con meno di 10, 20 o anche 50 dipendenti sono di solito escluse dalla rappresentanza di tali organi.
56 QUATTRO POSSIBILI SCENARI
Confrontando i tassi di sindacalizzazione delle imprese di medie (10–99 dipendenti) e grandi (100 o più dipendenti)
dimensioni, le maggiori differenze si riscontrano in Giappone, Repubblica di Corea, Germania, Francia, Polonia e
Messico (grafico 18). Le differenze sono minime o nulle in Svizzera, Grecia, Danimarca, Finlandia, Finlandia, Svezia e
Norvegia, mentre il Regno Unito, i Paesi Bassi, l’Italia, la Spagna, l’Irlanda e Israele si trovano a metà. I dati del Belgio
suggeriscono addirittura una migliore organizzazione dei sindacati all’interno delle piccole imprese piuttosto che in
quelle di grandi dimensioni.
La presenza di un profondo divario tra i tassi di sindacalizzazione dei lavoratori delle piccole e grandi imprese costituisce
un indizio e non una prova dell’esistenza di politiche sindacali dualiste. Le grandi imprese hanno un’importanza
strategica per i sindacati in quanto attraverso di esse è possibile esercitare pressioni su altri datori di lavoro e sugli
attori politici. Rappresentando i lavoratori delle grandi imprese, i sindacati di categoria possono contribuire a migliorare
i salari e le condizioni di lavoro di tutto il settore, comprese le piccole imprese. Questo approccio ha guidato a
lungo le attività sindacali e la contrattazione collettiva di molti paesi, tra cui Germania e Svezia. Se il risultato di questo
approccio è il livellamento della produttività media, delle condizioni di lavoro e della retribuzione e la ricollocazione
dei lavoratori in esubero delle piccole imprese improduttive, si profilerà una situazione opposta a quella del dualismo
che non avrà nel complesso conseguenze negative. Tuttavia, estendere l’applicazione dei contratti economicamente
dispendiosi conclusi con le grandi imprese alle piccole imprese, senza tener conto delle loro ridotte capacità finanziarie,
è pericoloso e può generare un aumento della disoccupazione. Il decentramento della contrattazione collettiva
a livello aziendale è meno soggetto a rischi di questo tipo, ma può provocare un aumento delle differenze salariali
e delle disuguaglianze tra le aziende, nonché una riduzione dei livelli di sindacalizzazione e di copertura della contrattazione.
Il dualismo può assumere diverse forme e può diventare istituzionalizzato attraverso una contrattazione
o eccessivamente centralizzata o eccessivamente decentrata, che porta a enormi differenze nei livelli di rischio di
perdere il lavoro o in termini di retribuzione, condizioni di lavoro e opportunità di carriera. Il sindacalismo aziendale
giapponese è probabilmente il modo più sicuro per istituzionalizzare il dualismo tra i membri tradizionali dei sindacati
e gli “esclusi”. I comitati aziendali, laddove possono guidare le trattative salariali, come in Spagna, funzionano più o
meno allo stesso modo.
Il dilemma della politica della contrattazione collettiva può essere illustrato attraverso due esempi. Doerflinger e
Pulignano (2018) mettono a confronto le concessioni in ambito di contrattazione fatte durante la recessione del 2008
a due multinazionali in Belgio e Germania. In Belgio, la contrattazione in materia di salati, orario lavorativo e posti
di lavoro è ripartita tra il livello nazionale (settoriale) e locale (impresa), e le priorità stabilite a livello centrale dai
sindacati hanno un forte peso nelle trattative. In Germania, i rappresentanti sindacali delle imprese hanno la facoltà
di definire le loro priorità ricorrendo a clausole di apertura rispetto agli accordi di settore. Gli autori concludono che i
sindacati di entrambi i paesi miravano a tutelare i posti di lavoro, ma che quelli belgi hanno avuto maggiore successo
nell’attuazione di una strategia più inclusiva, preservando i posti di lavoro dei lavoratori temporanei e in somministrazione.
Gli autori aggiungono cautamente di non poter prevedere gli effetti a lungo termine di strategie così diverse
sugli investimenti e sull’occupazione.
In uno studio che mette a confronto i sindacati italiani e coreani, Durazzi, Fleckenstein e Lee (2018) sottolineano
l’importanza dell’opinione pubblica. All’indomani della crisi asiatica del 1997–98, che ha generato un aumento dei
lavoratori atipici, i sindacati coreani sono stati oggetto di crescenti critiche pubbliche per aver servito gli interessi dei
loro membri tradizionali ignorando i lavoratori e le persone in cerca di lavoro, entrambi ai margini del mercato del
lavoro. Questa situazione, avvenuta parallelamente al calo del numero di iscritti, è stata percepita dai leader sindacali
come una minaccia all’esistenza stessa dei sindacati. I leader delle organizzazioni sindacali più deboli (il potere effettivo
nella Repubblica di Corea è nelle mani dei sindacati aziendali) temevano che i sindacati avrebbero continuato a
perdere legittimità se non avessero iniziato a reclutare anche i gruppi che fino a quel momento erano rimasti esclusi.
La nascita dell’Alleanza per i lavoratori atipici, che unisce le forze sindacali e della società civile, ha ulteriormente
accelerato questa inversione di tendenza, portando tuttavia alla luce profonde divisioni. Il sindacato della società
Hyundai, ad esempio, è stato espulso dalla federazione dei lavoratori metalmeccanici per la sua posizione discriminatoria
nei confronti dei lavoratori atipici. Dopo la profonda riorganizzazione dell’industria cantieristica navale a causa
della crescente concorrenza cinese, i sindacati delle imprese del settore della costruzione navale e di altre industrie
metalmeccaniche hanno iniziato a rappresentare gli interessi dei lavoratori atipici, nella consapevolezza che il lavoro
irregolare a basso costo e il crescente divario tra lavoratori tipici e atipici sono, nelle parole di un leader sindacale,
“un ostacolo all’attuazione delle richieste dei lavoratori standard in termini di salari e condizioni di lavoro migliori”.
I sindacati aziendali hanno continuato a dare priorità ai lavoratori standard, seppur acquisendo consapevolezza sul
fatto che i lavoratori standard e non standard hanno interessi e bisogni comuni.
SOSTITUZIONE 57
La conclusione di questi due esempi non è che il dualismo sindacale cesserà di esistere. Al contratio, esso rimane comunque
una possibilità a causa dell’attuale tendenza al decentramento della contrattazione collettiva (contrattazione
d’impresa, “clausole di apertura”, alleanze locali), che dà maggiore spazio a chi è interessato a preservare il posto di
lavoro, ignorando di fatto tutti gli altri. Esistono tuttavia delle controtendenze anche nei paesi in cui il dualismo è più
marcato. Marx e Starke (2017) utilizzano l’esempio dell’introduzione del salario minimo nazionale in Germania nel
2014, dove i sindacati, dopo anni di dispute interne e di opposizione da parte dei sindacati del settore delle esportazioni,
si sono uniti in una coalizione a favore del salario minimo. Alcune misure, come l’estensione obbligatoria dei
contratti collettivi di settore e il salario minimo nazionale obbligatorio, sono a favore dei lavoratori precari con scarso
potere contrattuale, mitigando quindi gli aspetti più estremi del dualismo (Hayter e Visser, 2018; Trygstad, Larsen e
Nergaard, 2018). Molti sindacati in Africa, Asia e America Latina, motivati da un autentico senso di solidarietà o da
un senso di auto tutela, hanno iniziato a interessarsi ai problemi dei lavoratori informali e precari. Nei paesi in via
di sviluppo, inoltre, molti sindacati hanno trasformato le loro politiche nei confronti dei lavoratori temporanei e dei
migranti.
Secondo Doellgast, Lillie e Pulignano (2018), i sindacati europei “sono sempre più inclini a regolamentare il lavoro
precario e a rappresentarlo all’interno delle proprie organizzazioni”. Stando alle loro parole, lo fanno “sia per proteggere
i loro iscritti dalla concorrenza del lavoro a basso costo, sia in virtù del loro più ampio impegno a favore
dell’uguaglianza e della giustizia sociale”. Sulla base di nove casi studio comparativi effettuati in 14 paesi (Austria,
Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Polonia, Slovenia, Svezia, Regno Unito e Ungheria)
in diversi settori e professioni come il settore metallurgico e chimico, la vendita al dettaglio, i servizi di pulizia,
gli enti locali, i musicisti freelance, la logistica e la lavorazione delle carni, gli autori hanno osservato l’eseistenza
tanto di strategie di inclusione quanto di esclusione (dualismo). Nel loro studio, il dualismo non è la risposta sindacale
dominante all’aumento dell’instabilità e della precarietà del lavoro. Per offrire una risposta alternativa, tuttavia,
i sindacati hanno bisogno di un sostegno istituzionale inclusivo “derivante da una forma di combinazione tra potere
statale e sindacale al fine di estendere la tutela istituzionale dai gruppi più forti a quelli più deboli”(Doellgast, Lillie e
Pulignano, 2018).
Questi casi studio presentano alcuni esempi di sindacati che in Belgio, Danimarca, Finlandia, Italia e Svezia si sono
mobilitati con successo per l’attuazione di politiche inclusive grazie a una combinazione tra forza istituzionale e azione
collettiva. Bisognerebbe tuttavia comprendere se per i sindacati deboli o indeboliti privi di sostegno istituzionale e
politico l’unica alternativa al dualismo sia l’emarginazione, e viceversa.
3 / Sostituzione
Il terzo scenario riguarda la possibilità che in futuro i sindacati saranno sostituiti da altre forme di azione e rappresentanza
sociale. Il declino di molti sindacati tradizionali e lo sviluppo di nuove forme di occupazione instabili e atipiche (il
lavoro delle piattaforme, il lavoro autonomo dipendente, nonché il lavoro a domicilio e autonomo nei settori formali
e informali) hanno dato modo di sperimentare nuove forme di tutela e rappresentanza dei lavoratori. Allo stesso
tempo, tuttavia, è stato avviato un dibattito sulla loro efficacia e sulla loro capacità di sostituirsi completamente ai
sindacati.
Uno studio di Tapia, Ibsen e Kochan (2015) ha esaminato quattro di queste nuove forme: la partecipazione diretta dei
dipendenti e la rappresentanza fornita dal datore di lavoro, come i circoli di qualità; l’impegno volontario dei datori di
lavoro nel rispetto degli standard lavorativi, come nel caso della Responsabilità sociale d’impresa (RSI); gli Accordi
quadro internazionali (IFA) negoziati con i sindacati internazionali e le organizzazioni della società civile. Gli autori
concludono che l’efficacia di questi nuovi meccanismi non può essere misurata indipendentemente dai sindacati. La
presenza di clausole del lavoro negli accordi commerciali preferenziali, ad esempio, sembra essere direttamente
correlata con l’influenza dei sindacati (Raess, Dürr e Sari, 2018).
Questa conclusione è in linea con i risultati di uno studio sulle “istituzioni lavorative emergenti nel XXI secolo” del
National Bureau of Economic Research (Freeman, Hersch e Mishel, 2005). Gli autori si chiedono se quelle che chiamano
istituzioni non associative − gruppi di difesa dei diritti umani e del lavoro, gruppi di attivisti, campagne per i
salari minimi delle ONG, ispettorati del lavoro, associazioni professionali, intermediari della formazione e forme di
collaborazione tra lavoratori e dirigenti − sostituiranno i sindacati in declino. Le domande principali della questione
sono due: (1) Queste istituzioni che non hanno natura associativa possono fornire servizi e rappresentanza ai lavoratori
come tradizionalmente hanno fatto i sindacati? (2) In caso affermativo, saranno in grado di estendere il loro
58 QUATTRO POSSIBILI SCENARI
ambito d’azione fino a includere una parte consistente della forza lavoro che si affidava tradizionalmente ai sindacati?
I casi studio dell’indagine del National Bureau of Economic Research, che fa riferimento alla situazione degli Stati
Uniti, rispondono a entrambe le domande con un “no” categorico. “Le nuove istituzioni hanno ancora molta strada
da fare prima di poter fornire benefici economici lontanamente comparabili a quelli dei sindacati” (Freeman, Hersch
e Mishel, 2005). Anche laddove il ruolo dei sindacati è notevolmente indebolito, come negli Stati Uniti, questi ultimi
hanno comunque maggiore successo delle nuove forme di rappresentanza, che non sono riuscite a espandersi oltre
gruppi ristretti del mercato del lavoro e la cui efficacia è legata alla pressione esercitata dai sindacati.
Bryson, Gomez e Willman (2018) giungono a una conclusione diversa sulla base del Workplace Employment Relations
Survey (Indagine sui rapporti di lavoro), che abbraccia tre decenni e si concentra sui meccanismi di rappresentanza
nei luoghi di lavoro britannici. Questi autori osservano che in molti contesti si è effettivamente passati dalla
rappresentanza sindacale ad altre forme di rappresentanza. Allo stesso tempo, è stato osservato che la quota di posti
di lavoro privi di rappresentanza è rimasta pressoché invariata, attestandosi a circa un quarto. Al contrario, sia il sistema
a doppio canale, in cui esistono sia la rappresentanza sindacale sia altre forme di rappresentanza (come in molti
paesi dell’Europa continentale), sia i sistemi in cui vige solo la rappresentanza sindacale o addirittura il monopolio di
un singolo sindacato (il tradizionale modello britannico, americano o scandinavo) hanno subito una forte contrazione:
dal 30 al 14 per cento nel caso della doppia rappresentanza (sindacato e comitato aziendale), e dal 18 al 3 per cento
nel caso della sola rappresentanza sindacale. Nello stesso periodo, tuttavia, i meccanismi di rappresentanza forniti
dal datore di lavoro, basati sulla consultazione e sulla partecipazione senza l’intermediazione del sindacato, sono più
che raddoppiati, passando dal 25 al 58 per cento del totale dei luoghi di lavoro. I meccanismi di rappresentanza forniti
dai datori di lavoro, quindi, non riguardano più un gruppo ristretto di lavoratori, quanto piuttosto una maggioranza
di essi. Gli autori dimostrano che la rappresentanza sindacale tradizionale è maggiormente radicata nei luoghi di
lavoro di vecchia data, mentre i nuovi luoghi di lavoro sono più inclini ad adottare altre forme di rappresentanza non
sindacale. Le ricerche suggeriscono che la rappresentanza sindacale risulta più efficace delle forme alternative di
rappresentanza, soprattutto in situazioni di conflitti aziendali, quando la necessità è maggiore. Inoltre, quando non
esiste una rappresentanza sindacale aziendale, i lavoratori spesso non hanno altra scelta che accettare ciò che viene
offerto loro. Spesso è il datore di lavoro a scegliere per i lavoratori, per i quali l’unica alternativa sarebbe lasciare
l’azienda o il posto di lavoro.
I meccanismi di rappresentanza forniti dal datore di lavoro utilizzati in sostituzione ai sindacati assenti, indeboliti o non
riconosciuti sono rivolti ai lavoratori con posti di lavoro più o meno stabili in luoghi di lavoro “regolari”. Al contrario,
i centri per i lavoratori e le organizzazioni su base comunitaria si rivolgono ai lavoratori che non hanno un posto di
lavoro regolare. Essi sono supportati dai sindacati, o in alternativa, dagli attivisti dei diritti umani e dai difensori dei
lavoratori. Negli Stati Uniti, i centri per i lavoratori rappresentano tipicamente i lavoratori migranti e a basso salario in
settori o occupazioni in cui i sindacati sono assenti e, secondo la legislazione statunitense, esclusi dalla contrattazione
collettiva (Fine, 2006; Rosenfeld, 2014). Fine ha messo in discussione l’efficacia dei centri per i lavoratori, data la
loro limitata portata geografica, la frammentarietà e le scarse adesioni. Dopo il suo iniziale scetticismo, l’autrice ha
recentemente cambiato punto di vista, alla luce delle maggiori interazioni tra i centri per i lavoratori e i sindacati (Fine,
2011). Anche nella Repubblica di Corea e in Giappone hanno preso piede delle alleanze di lavoratori temporanei e
altre organizzazioni su base comunitaria volte ad assistere i lavoratori, soprattutto le donne, occupati in settori in
cui l’organizzazione sindacale è assente o debole o in cui le donne sono o si sentono escluse dai sindacati aziendali
tradizionali. La ricerca dimostra l’importante ruolo svolto dalle ONG nell’organizzazione delle donne occupate in
lavori scarsamente qualificati e a basso salario, e l’importanza della funzione delle organizzazioni femminili come
alternativa ai sindacati nella difesa dei diritti delle lavoratrici (Broadbent e Ford, 2008). Crinis (2008) osserva che, a
causa della mancanza di attività sindacali a tutela delle lavoratrici in Malesia, le sindacaliste si sono unite alle ONG
per sensibilizzare la comunità sui diritti delle donne in materia di lavoro, violenza domestica e molestie sessuali.
Il settore delle pulizie industriali ha acquistato visibilità nelle recenti campagne di Living Wage (salario minimo). La
campagna britannica Living Wage, nata negli anni 2000 con l’obiettivo di cambiare i comportamenti dei clienti, ha
introdotto pratiche di lavoro sostenibili e ha esteso la RSI all’interno delle catene di fornitura. Riunendo i grupi sociali
e i sindacati, la campagna si è inizialmente concentrata sui lavoratori del settore delle pulizie assunti dalle grandi
aziende con sede nel distretto finanziario di Londra. Dopo una serie di successi, in cui alcuni datori di lavoro si sono
impegnati a pagare agli addetti alle pulizie a contratto uno stipendio volontario superiore al minimo legale nazionale,
la campagna si è diffusa in tutta Londra e in altre città. Esistono esempi simili di campagne di Living Wage in varie
città degli Stati Uniti27.
SOSTITUZIONE 59
Tali iniziative sociali offrono un’alternativa ai sindacati. Esse hanno un ruolo importante nell’organizzazione dei lavoratori
informali, come i venditori ambulanti e gli addetti alla raccolta dei rifiuti in Ghana, India, Perù e Thailandia, come
discusso nello studio comparativo di Chen, Madhaw e Sankaran (2014). La questione importante è capire se tali iniziative
possono trasformarsi in organizzazioni permanenti con il potere di negoziare con le autorità locali o nazionali
e, eventualmente, con i datori di lavoro, e far rispettare i relativi accordi. In questi specifici ambiti, tuttavia, l’esperienza,
le competenze e la professionalità dei sindacati risultano ancora fondamentali. A questo proposito, il lavoro di
Holgate (2015) sul sindacalismo sociale è particolarmente significativo, poiché mostra che i sindacati di grandi città
hanno spostato le loro attività dal luogo di lavoro alla comunità locale e hanno iniziato a partecipare e a sostenere le
associazioni cittadine di Londra, Sydney e Toronto. In questa fase, l’attività sindacale si è estesa dall’ambito lavorativo
a quello sociale, ai diritti del lavoro e ai diritti civili.
Un recente studio di Heckscher e McCarthy (2014) esamina le differenze nel potenziale dei movimenti sociali e dei
sindacati. Essi sostengono che le forme tradizionali di solidarietà lavorativa sono in declino e che sono sostituite da
proteste e movimenti monotematici come Occupy, il movimento di Mozilla per l’accesso gratuito a internet o le campagne
studentesche per gli standard lavorativi. La “solidarietà collaborativa” che sta alla base di questi movimenti
è costruita su “legami deboli”, spesso stabiliti tramite piattaforme digitali, e si basa su valori condivisi e sull’empatia
piuttosto che sull’esperienza comune di lavoro e di appartenenza tipica dei sindacati. Questo tipo di legami, seppure
deboli, possono supportare l’azione collettiva, che assume la forma di “sciame”: azioni organizzate in modo indipendente
da singoli gruppi di sostenitori finalizzate al raggiungimento di un obiettivo comune, magari attingendo a
risorse comuni raccolte attraverso una piattaforma digitale. Un’azione collettiva di questo tipo, secondo Heckscher e
McCarthy, preannuncia un nuovo futuro, in sintonia con l’era di internet, e suggerisce che la sopravvivenza e il successo
del movimento sindacale dipendono dalla sua capacità di imparare da questi esempi e di accettare la solidarietà
apparentemente debole e collaborativa su cui si fondano. Sicuramente, i social media e le tecnologie dell’informazione
e della comunicazione possono diventare uno strumento per i lavoratori per condividere esperienze e far sentire
la propria voce in assenza dei sindacati, offrendo la possibilità di costruire “comunità virtuali” anche all’interno del
luogo di lavoro. Questi meccanismi possono essere utili soprattutto quando i sindacati non sono riconosciuti o sono
poco attivi, così come nei casi in cui i lavoratori sono sparsi in diversi luoghi geografici o lavorano in diversi settori
professionali o piattaforme digitali. Bryson et al. (2017) citano l’esempio di OUR Walmart, in cui è stata sviluppata
una strategia basata su Facebook e un’applicazione per organizzare delle campagne all’interno della nota azienda
antisindacale che conta 1,5 milioni di dipendenti.
Piuttosto che essere sostituiti da organizzazioni privi di una struttura associativa, i sindacati possono trasformarsi in
qualcosa di simile a gruppi d’azione o di pressione o forme di azione sociale, impegnandosi in movimenti di protesta,
campagne di diversa natura e altre forme di pressione politica che non si basano sulla contrattazione collettiva e
sull’organizzazione di scioperi. Esistono esempi di questi nuovi fenomeni in Slovacchia e in altri paesi dell’Europa
centrale e orientale, dove i tassi di sindacalizzazione sono progressivamente diminuiti e l’unica roccaforte dei sindacati
è il settore pubblico, anch’esso in declino. Per evitare di essere rimpiazzati dalle organizzazioni per i diritti civili, i
sindacati hanno aderito o si sono messi alla guida di un cambiamento che altrimenti non sarebbero stati in grado di
sconfiggere. È interessante notare che questa “innovazione”, che mette in secondo piano il concetto di “appartenenza”,
ha spostato l’attenzione − nelle campagne politiche e sociali ma non nella contrattazione collettiva − sui problemi
dei lavoratori vulnerabili e precari (Bernaciak e Kahancová, 2017). Inoltre, le attività sindacali hanno cominciato ad
assumere la forma di campagne o progetti, simili all’“organizzazione sindacale”, ma senza l’esplicito obiettivo di
attirare nuovi membri. Di conseguenza, questi sindacati, così come molti sindacati nei paesi in via di sviluppo, che
si occupano principalmente delle condizioni dei lavoratori informali, sono diventati più dipendenti dai finanziamenti
esterni delle ONG, delle organizzazioni internazionali, dei programmi di aiuto allo sviluppo dei paesi più ricchi e dei
sindacati e delle federazioni sindacali internazionali.
60 QUATTRO POSSIBILI SCENARI
4 / Rivitalizzazione
Il quarto e ultimo scenario è quello della rivitalizzazione, basato sulla premessa che i sindacati riusciranno a rinnovarsi
e a espandersi oltre la loro attuale base associativa, rappresentando anche la “nuova forza lavoro instabile”
dell’economia digitale. Esistono diverse evidenze a sostegno di questa ipotesi, quali lo sviluppo dei sindacati e delle
organizzazioni di tipo sindacale nelle economie informali di Africa, Asia e America Latina, nonché l’adozione da parte
dei sindacati dei paesi sviluppati di modi intelligenti per usare il web come strumento per comunicare e organizzare i
lavoratori delle piattaforme e per estendere l’adesione ai lavoratori “autonomi” dell’economia tradizionale e di quella
digitale.
Esistono altri elementi che lasciano ben sperare sul futuro sindacati, quali: i livelli crescenti di diversità e di istruzione
dei membri, gli enormi progressi compiuti nella partecipazione sindacale delle donne e, non da ultimo, l’impulso delle
innumerevoli campagne e iniziative di rinnovamento dei sindacati organizzate a partire dal 2000. Oggi, sempre più
dirigenti sindacali sono consapevoli dell’urgente necessità di rinnovamento, che dipende anche dalla giusta distribuzione
di risorse all’interno del movimento sindacale. I tassi di sindacalizzazione tra i dipendenti e i professionisti della
pubblica amministrazione, delle assicurazioni sociali, dell’istruzione e dei servizi sanitari sono ancora elevati anche
in molti dei paesi in cui i tassi di sindacalizzazione del settore privato sono ai minimi storici. Ciò solleva la questione
del corretto utilizzo e della divisione delle risorse all’interno dei sindacati.
Aumentare l’adesione sindacale dei giovani è la chiave di tutte le strategie di rinnovamento sindacale. Affinché si
verifichi un reale cambiamento, è necessario raddoppiare i tassi di adesione sindacale dei giovani sotto i 30 anni,
passando dall’attuale 11 per cento al 22 cento. Esistono vari modi per raggiungere questo obiettivo. Il reclutamento
sindacale precoce, nelle scuole professionali e nelle università e nel passaggio dalla scuola al lavoro richiede l’introduzione
di programmi speciali di affiliazione, con quote ridotte e benefici mirati a sostegno dei giovani in questa fase
della loro vita. Ciò comporta inevitabilmente uno spostamento delle risorse, dei benefici e delle politiche sindacali dai
lavoratori più anziani a quelli più giovani, come ad esempio un cambio ai vertici delle organizzazioni sindacali, che
aumenterebbe il numero dei giovani che ricoprono ruolo dirigenziali all’interno dei sindacati e delle confederazioni
sindacali. La Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL) ha fissato una quota del 20 per cento per i lavoratori
sotto i 30 anni nell’elezione di dirigenti sindacali. L’introduzione di una simile quota per le donne, sebbene molto più
alta, ha contribuito ad aumentare il numero della donne in posizioni dirigenziali nei sindacati. Questo cambiamento,
insieme ad un’inversione di tendenza delle politiche sindacali, ha aumentato l’interesse delle donne nei confronti dei
sindacati.
I sindacati godono spesso di un ampio sostegno pubblico, nonostante nel complesso l’adesione sindacale sia in calo.
L’importanza della reputazione dei sindacati nella società è un elemento da non sottovalutare. Due esempi lo dimostrano,
uno relativo al settore informatico indiano e l’altro all’industria automobilistica tedesca. Noronha e D’Cruz
(2017) affermano che “nel corso degli anni, si è diffusa una reputazione negativa sui sindacati indiani, criticati di avere
un comportamento irresponsabile, di far prevalere i loro interessi personali, di adottare strategie non idonee, di trascurare
le preoccupazioni dei loro membri e di ignorare il benessere della società in generale”. Gli autori dimostrano,
inoltre, che i datori di lavoro del settore IT hanno sfruttato la situazione per impedire o interrompere i tentativi di associazione
dei lavoratori, dipingendo i sindacati come arretrati, inutili, irrilevanti o addirittura pericolosi. Da questo
punto di vista, per non rivelarsi un fallimento, i tentativi di organizzazione tra i professionisti del settore IT hanno
evitato i contatti e le legami con i sindacati. Da questo esempio ne consegue che un’organizzazione di successo deve
contare sulla professionalità e sulle competenze dei sindacati come abili negoziatori. Nel caso tedesco, invece, IG
Metall ha sfruttato le opportunità create dalla crisi finanziaria del 2008. In quel periodo infatti, il sindacato ha proposto
e negoziato un programma di rottamazione delle auto e ha introdotto uno schema di lavoro a orario ridotto che ha
mantenuto in vita l’industria automobilistica e i suoi lavoratori qualificati. Questa strategia, ampiamente pubblicizzata
dai media, ha aggiunto influenza e prestigio all’innegabile potere del sindacato e ha contribuito a migliorare non solo
la posizione del sindacato nella società, ma ha anche aumentato il numero delle adesioni (Schmalz e Thiel, 2017).
Frangi, Koos e Hadziabdic (2016) dimostrano che una parte considerevole dell’opinione pubblica europea considera
i sindacati un’istituzione sociale di rilievo e che tale percezione è rimasta immutata nel tempo nonostante il calo
dell’adesione sindacale. Inoltre, il livello di “fiducia nei sindacati” è particolarmente elevato all’interno dei gruppi sociali
particolarmente vulnerabili: persone a basso reddito, giovani e migranti, ossia gruppi di solito sottorappresentati nei
sindacati, così come nella politica e nella maggior parte delle altre organizzazioni e istituzioni sociali. Nell’ottobre
2015, quando l’Australian Bureau of Statistics ha annunciato che i tassi di sindacalizzazione sindacale erano scesi
ad appena il 14,4 per cento del totale dei dipendenti, il livello più basso degli ultimi 25 anni, la principale società di
RIVITALIZZAZIONE 61
sondaggi del paese ha pubblicato dei dati secondo cui il 62 per cento degli australiani riteneva che i sindacati fossero
importanti. I dati mostrano anche che questa opinione si è rafforzata dal 2012. Nel 2015 infatti, solo il 21 per cento
degli intervistati riteneva che i sindacati non fossero molto rilevanti, rispetto al 27 per cento del 2012. Ancora più
in contrasto con il dato sulla bassa adesione sindacale è il fatto che il 45 per cento degli australiani ritiene che il
rafforzamento dei sindacati agevolerebbe i lavoratori28. In breve, sembra che ci siano i presupposti per uno sviluppo
ideologico e sociale dei sindacati.
Rinnovare i sindacati non significa tornare al passato, né nelle forme di rappresentanza né in termini di numeri.
Rinnovare significa fare le cose in modo diverso e con meno risorse, a partire dall’appartenenza sindacale e da ciò
che implica rispetto a obblighi, diritti e doveri. In futuro l’appartenenza sindacale sarà probabilmente più fragile e
“temporanea” e meno basata su un impegno permanente e “a tempo indeterminato”, rispecchiando i cambiamenti
nei rapporti di lavoro. La partecipazione sindacale dell’attuale e della prossima generazione di giovani che entreranno
nel mercato del lavoro potrebbe aprire la strada a nuove forme basate sul web, tra cui il crowd financing e il pagamento
di piccoli contributi per progetti specifici, il diritto di voto nelle elezioni sindacali, nei contratti collettivi, nei patti sociali e
nello sciopero. Questi cambiamenti richiedono nuove riflessioni e sperimentazioni, soprattutto rispetto a quello che è
e deve rimanere l’obiettivo dei sindacati: organizzare i lavoratori e rappresentare una posizione comune tra i lavoratori
nella conclusione di accordi vincolanti per i datori di lavoro e i governi. La contrattazione collettiva presuppone la
possibilità di indire scioperi e di impegnarsi nel rispetto dei relativi risultati. Questi obiettivi possono essere raggiunti
con forme di adesione più libere e meno vincolanti? La questione è ancora aperta e ha implicazioni legali.
Infine, il processo di rinnovamento implica la nsciata di forme di cooperazione e alleanze con altre organizzazioni e
gruppi sociali. Le storie di successo raccontate in una recente raccolta del FES tedesco — dei lavoratori dei trasporti
ugandesi, delle guardie di sicurezza keniote, dei lavoratori tessili nigeriani, dei venditori ambulanti indiani e degli addetti
alle pulizie sudcoreani — mostrano che i lavoratori atipici hanno superato le forme tradizionali di sindacalismo,
creando nuove associazioni o organizzazioni ibride in cui i lavoratori informali sono uniti ai lavoratori formali e viceversa.
La flessibilità organizzativa e una concezione più inclusiva della solidarietà e del concetto di lavoratore hanno
permesso ai sindacati di avvicinarsi ai lavoratori informali e di sperimentare modalità innovative di collaborazione
per rappresentare i loro interessi (Herberg, 2018). Esistono altri esempi incoraggianti di rinnovamento dei sindacati
nei paesi in via di sviluppo, come il ricorso agli IFA, agli accordi commerciali preferenziali o ai meccanismi di controllo
stabiliti da organizzazioni internazionali come l’OIL o l’OCSE; la nascita di alleanze politiche e sociali per la difesa della
democrazia, dei diritti civili e delle garanzie sanitarie (Karreth, 2018); l’adozione di un approccio inclusivo nei confronti
della diversità e dei diritti delle minoranze tanto nella composizione quanto nelle politiche sindacali.
Conclusioni
Tutti i quattro scenari appena descritti sono possibili, ma qual è il più probabile? Verosimilmente, la risposta varia in
base al luogo in cui ci troviamo. Non esiste infatti una sola risposta, né tanto meno una risposta esatta. Lo scenario
della marginalizzazione ha più probabilità di concretizzarsi laddove il declino e l’invecchiamento hanno raggiunto
livelli estremi e i sindacati non godono del sostegno delle istituzioni giuridiche e sociali ma, al contrario, vivono in clima
politico e sociale di ostilità o indifferenza (parti dell’Europa centrale e orientale e degli Stati Uniti). Lo scenario del
dualismo rappresenta una possibilità per i paesi in via di sviluppo, a meno che non si incoraggi l’auto-organizzazione
dei lavoratori informali, e anche per le le economie sviluppate se i sindacati rimarrano ancorati alla loro roccaforte
nei servizi pubblici, nelle grandi imprese e in alcuni settori manifatturieri. Lo scenario della sostituzione potrebbe
prenderà piede nei contesti in cui i lavoratori hanno bisogno di far sentire la propria voce e di essere rappresentati,
ma dove non esistono sindacati che possano sostenerli (luoghi di lavoro britannici o americani, la nuova economia
delle piattaforme, i lavoratori autonomi del settore informale in Asia meridionale e in America centrale). La rivitalizzazione
sta avvenendo ovunque, ma il suo successo dipenderà dalla disponibilità dei sindacati di risorse sufficienti a
garantire la loro resistenza, entrare in contatto con i giovani e trovare modi efficaci per stringere alleanze con altre
organizzazioni e movimenti.
Il punto principale che vale la pena di sottolineare è che in realtà i quattro scenari si stanno verificando contemporaneamente,
a volte negli stessi paesi ma in settori diversi (pubblico/privato; industria/servizi; lavoratori dipendenti/
lavoratori autonomi; vacchia economia/piattaforme da remoto), a volte in relazione tra di loro: il dualismo come
modo per impedire l’emarginazione; la sostituzione come ispirazione per la rivitalizzazione; la rivitalizzazione come
forma di “apertura” delle pratiche dualiste. I sindacati e i loro leader devono avere la consapevolzza che attirare nuovi
membri, tanto nella vecchia quanto nella nuova economia, è diventato più difficile di mantenere i legami esistenti.
Essi devono altresì riconoscere che per attirare nuove membri e aprirsi a nuove forme di partecipazione è necessario
agire in modo diverso, anche se l’obiettivo rimane sempre lo stesso: organizzare ed esprimere solidarietà tra i
lavoratori. Sono i mezzi che devono cambiare, non gli obiettivi.
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Note
1 https://www.ilo.org/ilc/ILCSessions/previous-sessions/104/WCMS_375766/lang–en/index.htm; https://www.ilo.org/ilc/ILCSessions/
previous-sessions/104/reports/reports-to-the-conference/ WCMS_369026/lang–en/index.htm
2 https://www.ilo.org/global/topics/future-of-work/lang–en/index.htm
3 https://www.ilo.org/ilc/ILCSessions/108/committees/committee-of-the-whole/WCMS_711674/lang–en/ index.htm
4 Jelle Visser; Amsterdam Institute for Advanced Labour Studies (AIAS), University of Amsterdam; Bremen International Graduate School for the
Social Sciences (BIGSSS), University of Bremen (Jelle.Visser@uva. nl). Questa pubblicazione è stata inizialmente concepita da Susan Hayter
(dell’Ufficio del Vicedirettore Generale dell’OIL per le politiche), che mi ha ispirato e che ringrazio per la sua fiducia. Un ringraziamento speciale va
anche a Helena André (Direttrice dell’Ufficio dell’OIL per le attività dei lavoratori) che ha reso possibile questa ricerca. Rafael Peels (Ufficio dell’OIL
per le attività dei lavoratori), uno dei più competenti ed entusiasti sostenitori di questo lavoro, ha fornito commenti preziosi e il suo contributo
è stato prezioso per completare la ricerca e la pubblicazione del progetto in tempo. Inoltre, ringrazio Alex Bryson, Rafael Gomez, Anke Hassel,
Richard Hyman, Mara Kahancová, Anders Kjellberg, Marcel van der Linden, Paul de Beer, Valeria Pulignano; Miroslav Stojanoviç e Kurt Vandaele
per aver letto la bozza della presente pubblicazione, fornendo prezioni commenti e suggerimenti per migliorarla. Un grazie a Philippe Pochet
dell’Istituto sindacale europeo (ETUI) per aver organizzato un seminario per presentare il mio lavoro ai rappresentanti dei sindacati, tra cui Rudy
de Leeuw, Presidente della Confederazione europea dei sindacati (CES) e Oliver Roethig, Segretario regionale dell’UNI-Europa. La responsabilità
del testo finale, dei suoi giudizi e dei suoi errori è esclusivamente dell’autore.
5 OIL, 2015a, Iniziativa del Centenario dell’OIL per il futuro del lavoro, Rapporto del Direttore Generale, Ginevra: OIL, punto 9. Si veda anche:
https://www.ilo.org/global/topics/future-of-work/lang–en/index.htm
6 Sito web della Confederazione sindacale internazionale, https://www.ituc-csi.org/IMG/pdf/18_02_02_list_of_affiliates_17th_gc.pdf (accesso
11/11/2018). L’elenco degli affiliati risale al novembre 2017.
7 Nei paragrafi successivi ho tratto ispirazione dal capitolo 7 (“The Future of Work: Good Jobs for All”) dell’IPSP (2018), Rethinking Society for the
21st Century. Rapporto dell’International Panel on Social Progress, Cambridge University Press, 2018, vol. 1.
8 Per settore informale si intendono le unità produttive, mentre per occupazione informale si intendono i posti di lavoro. I lavoratori familiari non
retribuiti di età superiore ai 15 anni sono sempre considerati informali. Nel caso di lavoratori autonomi e datori di lavoro, lo status occupazionale
informale del lavoro è determinato dalla natura formale dell’impresa. I dipendenti sono considerati lavoratori informali se il lavoro è svolto nel
settore informale o, quando è svolto nel settore formale, se il loro lavoro non è dichiarato, è occasionale, di breve durata e al di sotto della soglia
dei contributi previdenziali (OIL, 2018a:18–19).
9 I dati risalgono al 2017 o all’anno successivo e coprono 150 paesi registrati nel database ILOSTAT (https://www.ilo.org/ilostat/irdata), mentre
gli ulteriori dati sulla composizione dei membri e sui tassi di sindacalizzazione delle categorie di lavoratori provengono dal database ICTWSS, 6.0
(http://uva-aias.net/en/ictwss). Queste statistiche coprono oltre il 90 per cento della popolazione mondiale con un’equa distribuzione nelle regioni
del mondo e in termini di reddito. Sono esclusi i paesi colpiti da guerre (civili) o eventi catastrofici, tra cui Afghanistan, Iraq, Siria, Yemen, Libia,
Ciad, Somalia, Sudan, Sudan, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana, Congo, Repubblica Democratica del Congo e Haiti, mentre non ci sono dati
per Corea del Nord, Bhutan, Turkmenistan, Tagikistan, Uzbekistan, Qatar, Giamaica e Portorico. I sindacati sono vietati in Iran, Arabia Saudita ed
Emirati Arabi Uniti. Le statistiche sul numero degli iscritti tengono in considerazione la popolazione occupata (e in alcuni casi anche i disoccupati),
escludendo i pensionati e gli iscritti che si sono ritirati dal mercato del lavoro ma che hanno mantenuto la loro adesione al sindacato.
10 Questi sindacati devono essere esclusi perché non agiscono indipendentemente dallo Stato o dal partito, perché i lavoratori non possono scegliere
liberamente a quale sindacato aderire e perché è difficile verificarne i tassi di adesione. I 303 milioni di iscritti rivendicati dalla Federazione dei
sindacati di tutta la Cina (ACFTU) costituirebbero, se corretto, il 58 per cento della quota totale di iscritti a un sindacato a livello mondiale. Negli
ultimi tempi, i sindacati cinesi, pur essendo fortemente accusati di non rappresentare realmente i lavoratori, hanno svolto sempre più spesso un
ruolo di intermediazione tra le proteste dei lavoratori e la direzione o le autorità locali. (Chen, 2009; Friedman and Kuruvilla, 2014; Liu, 2019; 2014;
Taylor and Li, 2010; China Labour Bulletin, http://www.clb.org.hk/).
11 Le statistiche sull’occupazione totale includono i dipendenti, i lavoratori autonomi e i liberi professionisti, i collaboratori familiari non retribuiti e,
purtroppo, anche i datori di lavoro. Un calcolo più ristretto — escludendo i datori di lavoro e i lavoratori agricoli — sarebbe stato preferibile, ma tali
dati non sono disponibili per molti paesi e quindi non sarebbe possibile effettuare una comparazione tra le regioni del mondo. Ci accontenteremo
quindi di questo metro di valutazione meno preciso, ma più accessibile.
12 La legge sindacale stabilisce che le imprese in cui è stata istituita una rappresentanza sindacale devono contribuire con il due per cento del loro
reddito mensile ai fondi sindacali. I contributi da parte dei lavoratori sono limitati; https://www.clb.org.hk/.
13 In Italia, l’unico paese sviluppato con un’alta quota di lavoratori sindacalizzati (e di lavoratori agricoli), il tasso di sindacalizzazione raggiunge quasi
il 100 per cento. In questo paese i sindacati svolgono alcune delle funzioni assicurative e amministrative dello Stato.
14 Israele sembra essere un’eccezione, con tassi di sindacalizzazione più elevati nei servizi commerciali.
72 NOTE
15 Purtroppo non disponiamo di dati successivi.
16 i tratta di un’approssimazione, l’età media di entrata e di uscita dal mercato del lavoro è probabilmente più alta per i professionisti e per i laureati
rispetto ai lavoratori.
17 Per calcolare questa media e per facilitare il confronto con gli anni precedenti, sono stati omessi i valori estremi degli Stati baltici, dove non ci sono
praticamente iscritti ai sindacati con età inferiore ai 25 anni.
18 Nel 2006, 130 paesi hanno creato oltre 3.500 EPZ all’interno dei loro confini, che contano circa 66 milioni di lavoratori (Murray, 2018). Le più grandi
di queste si trovano in Cina, Indonesia e Bangladesh.
19 Nella maggior parte dei paesi in cui è possibile effettuare un confronto con i dati delle indagini sulle famiglie effettuate su un campione molto più
ampio, l’European Social Survey stima tassi di densità molto più bassi. I dati dell’European Social Survey sono stati calibrati rispetto ai tassi di
sindacalizzazione medi noti (si veda anche OCSE 2017 per questa procedura, che è stata utilizzata per calibrare altri dati sull’adesione sindacale).
20 L’attività sindacale tra i lavoratori atipici non è esogena allo sviluppo dell’occupazione non standard, come è stato dimostrato in altre sedi. Per
esempio, nei Paesi Bassi, le lavoratrici a tempo parziale si sono organizzate per rendere questa forma di lavoro più adeguata in termini di diritti del
lavoro e di equilibrio tra lavoro e famiglia, fino a farla diventare la “norma” e lo “standard” per molte donne con figli (Visser, 2001). Ciò non significa
negare i continui svantaggi del lavoro a tempo parziale in termini di carriera e di indipendenza finanziaria.
21 ‘Ryanair turns Polish pilots into precarious workers’, Financial Times, 1-11-2018.
22 https://www.ilo.org/dyn/normlex/.
23 https://www.ilo.org/global/topics/non-standard-employment/crowd-work/lang–en/index.htm.
24 Sarah O’Connor, ‘How to manage the gig economy’s growing jobs market’, Financial Times, 30-10-2018.
25 Per l’ultima risoluzione dell’OIL sull’indice dell’ottobre 2018 si veda: https://www.ilo.org/global/statistics-and- databases/meetings-and-events/
international-conference-of-labour-statisticians/20/WCMS_648636/ lang–en/index.htm.
26 https://www.ilo.org/beirut/events/WCMS_535008/lang–en/index.htm
27 Si veda https://www.ituc-csi.org/wagescampaign per la campagna in corso dell’ITUC per il salario minimo.
28 The Guardian, 27-10-2015.
Contatti:
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