sabato 29 agosto 2020
Manuale di Epitteto
MANUALE di Epitteto
1.
La realtà si divide in cose soggette al nostro potere e cose non soggette al
nostro potere. In nostro potere sono il giudizio, l'impulso, il desiderio,
l'avversione e, in una parola, ogni attività che sia propriamente nostra; non
sono in nostro potere il corpo, il patrimonio, la reputazione, le cariche
pubbliche e, in una parola, ogni attività che non sia nostra. [2] E ciò che
rientra in nostro potere è per natura libero, immune da inibizioni, ostacoli,
mentre quanto non vi rientra è debole, schiavo, coercibile, estraneo. [3]
Ricorda, allora, che se considererai libere le cose che per natura sono
schiave, e tuo personale ciò che è estraneo, sarai impedito, soffrirai, sarai
turbato, ti lamenterai degli dèi e degli uomini; se invece riterrai tuo solo
ciò che è tuo, ed estraneo, come in effetti è, ciò che è estraneo, nessuno ti
potrà mai coartare, nessuno ti impedirà, non ti lamenterai di nessuno, non
accuserai nessuno, non ci sarà cosa che dovrai compiere contro voglia, nessuno
ti danneggerà, non avrai nemici, perché non potrai patire alcun danno. [4] Ora,
se aspiri a così alta condizione, ricorda che non basta uno sforzo modesto per
raggiungerla, ma ci sono cose che devi definitivamente abbandonare, altre che
per il momento devi differire. Mentre se desideri averle, e in più desideri
cariche pubbliche e ricchezze, probabilmente, per il fatto stesso di ambire
alle prime, non otterrai neppure le seconde: in ogni caso, fallirai gli unici
presupposti che consentano libertà e felicità. [5] Quindi esercitati fin d'ora
a dire a ogni rappresentazione che ti colpisca per la sua asprezza: «sei
soltanto una rappresentazione, non sei affatto ciò che sembri in apparenza».
Poi analizzala e sottoponila alla valutazione degli strumenti in tuo possesso,
accertando - il primo e il più importante esame - se essa sia relativa a cose
che ricadono in nostro potere ovvero a quelle che non vi rientrano; e in questo
secondo caso abbi già pronta la conclusione: «per me non è nulla».
2.
Ricorda che il desiderio promette di farti ottenere ciò che desideri,
l'avversione di non farti incorrere in ciò che avversi, e che chi non raggiunge
l'oggetto del desiderio non ha la sorte dalla sua, mentre chi ricade in
qualcosa da cui sta rifuggendo patisce la cattiva sorte. Ora, se avverserai
soltanto ciò che è contrario alla natura tra le cose che sono in tuo potere,
non incorrerai in nulla di ciò che avversi; ma se avverserai la malattia, la
morte o la povertà, patirai la cattiva sorte. [2] Pertanto rimuovi ogni
avversione da tutto ciò che non dipende da noi e trasferiscila alle cose che,
tra quante dipendono da noi, sono contrarie alla natura. Per il momento
sopprimi completamente ogni desiderio: perché se miri a qualcosa che non è in
nostro potere inevitabilmente fallirai, e d'altra parte ancora non puoi
disporre di alcune tra le cose che sono in nostro potere, alle quali sarebbe
bene rivolgere il desiderio. Usa soltanto l'impulso e la ripulsa: ma in misura
leggera, con riserva, e senza trascendere.
3.
Di fronte a ogni singola cosa che ti attragga, ti si presenti utile o abbia il
tuo affetto, ricorda di pronunciarti sulla sua vera natura, a cominciare dalle
più piccole. Se ti piace una pentola, dirai: «mi piace una pentola»; quando
andrà in frantumi non ne sarai turbato. Se baci tuo figlio o tua moglie, ripeti
a te stesso che stai baciando un essere umano: la sua morte non ti turberà.
4.
Ogni volta che ti accingi a un'azione, ricorda a te stesso quale sia la sua
vera natura. Se esci per recarti al bagno pubblico, predisponiti mentalmente a
quello che succede in questi ambienti: la gente che ti spruzza, ti urta, ti
insulta, ti deruba. E così, se inizierai col dire: «voglio fare un bagno e
mantenere la mia scelta morale conforme a natura», ti disporrai ad agire con
più sicurezza. E fai altrettanto per ogni altra azione. Perché in questo modo,
se qualcosa dovesse impedirti il bagno, potrai dire prontamente: «non volevo
soltanto lavarmi, ma anche mantenere la mia scelta morale conforme a natura: e
non ci riuscirò, se mi infastidisco per quel che succede».
5.
Non sono i fatti in sé che turbano gli uomini, ma i giudizi che gli uomini
formulano sui fatti. Per esempio, la morte non è nulla di terribile (perché
altrimenti sarebbe sembrata tale anche a Socrate): ma il giudizio che la vuole
terribile, ecco, questo è terribile. Di conseguenza, quando subiamo un
impedimento, siamo turbati o afflitti, non dobbiamo mai accusare nessun altro
tranne noi stessi, ossia i nostri giudizi. Incolpare gli altri dei propri mali
è tipico di chi non ha educazione filosofica; chi l'ha intrapresa incolpa sé
stesso; chi l'ha completata non incolpa né gli altri né se stesso.
6.
Non inorgoglirti per un merito che non ti appartiene. Se fosse il cavallo a
vantarsi: «sono bello», si potrebbe anche accettarlo; ma quando tu
orgogliosamente dici: «ho un bel cavallo», sappi che ti stai vantando di un
pregio del cavallo. Cos'è davvero tuo, dunque? Il tuo comportamento di fronte
alle rappresentazioni. Perciò, quando ti regoli secondo natura nell'uso delle
rappresentazioni, allora potrai essere fiero: perché in quel momento lo sarai
per un bene che è tuo.
7.
Come in un viaggio per mare, se la nave ha ormeggiato e sei sbarcato per
attingere acqua, cammin facendo potrà anche capitarti di raccogliere una
conchiglietta, una piccola radice, ma la tua attenzione dev'esser sempre fissa
alla nave, devi voltarti continuamente indietro, caso mai il timoniere ti
chiamasse, e se ti chiama devi lasciar perdere tutto, se non vuoi esser
caricato a bordo legato come una pecora: allo stesso modo anche nella vita, se
ti sono dati non una conchiglia o una radice, ma moglie e figlio, nulla ti
vieterà di avere la tua famigliola: ma se il timoniere ti chiama, lascia
perdere tutto e corri alla nave senza neanche voltarti. E se sei vecchio non ti
allontanare mai troppo dalla nave, in modo da non mancare, quando sarai
chiamato.
8.
Non devi adoperarti perché gli avvenimenti seguano il tuo desiderio, ma
desiderarli così come avvengono, e la tua vita scorrerà serena.
9.
La malattia è impedimento del corpo, non della scelta morale, a meno che non
sia proprio quest'ultima a volerlo. Essere zoppo è un impedimento della gamba,
non del proposito morale. Ripetilo a te stesso, a ogni accidente che ti
sopraggiunge: verificherai che è un impedimento per qualcos'altro, non per te.
11.
Non dir mai di nessuna cosa: «l'ho perduta», ma: «l'ho restituita». È morto tuo
figlio? È stato restituito. È morta tua moglie? È stata restituita. «Mi è stato
tolto il podere»: ebbene, anche questo è stato restituito. «Ma chi me l'ha
portato via è un malfattore». E a te cosa importa attraverso chi ne abbia
chiesto la restituzione colui che te lo aveva dato? Finché ti concede di
tenerlo, abbine cura come di un bene che non è tuo, come i viaggiatori della
locanda.
12.
Se vuoi progredire, lascia da parte i ragionamenti di questo genere: «se
trascurerò i miei beni non avrò di che vivere», «se non punisco il mio schiavo,
diventerà un furfante». Meglio morire di fame, ma libero da afflizioni e paure,
piuttosto che vivere nell'abbondanza, ma nell'inquietudine. Meglio che lo
schiavo sia disonesto, piuttosto che tu infelice. [2] Perciò comincia dalle
piccole cose. Ti spandono qualche goccia del tuo povero olio, ti rubano un po'
del tuo vinello? Di' a te stesso: «questo è il prezzo per la tranquillità
dell'animo, il costo dell'imperturbabilità». Gratis non si ottiene nulla. E
quando chiami lo schiavo pensa che può non ascoltarti, e può anche ascoltarti,
ma non far nulla di quello che vuoi: ma non ha certo il privilegio di avere la
tua tranquillità interiore in suo potere.
13.
Se vuoi progredire, sopporta pure che le circostanze esterne ti procurino la
reputazione di stolto e insensato, non cercare affatto di apparire sapiente:
anzi, se ci sarà chi ti considera qualcuno, diffida di te stesso. Perché devi
sapere che non è facile conservare la tua scelta morale conforme a natura e
insieme conservare le cose esterne: chi si occupa dell'una necessariamente deve
trascurare le altre, e viceversa.
14.
Se vuoi che i tuoi figli, tua moglie, i tuoi amici vivano per sempre, sei
stolto: vuoi che sia in tuo potere ciò che non lo è, e che quanto non ti
appartiene sia tuo. Così pure, se vuoi che il tuo schiavo non sbagli, sei
sciocco: pretendi che il difetto non sia difetto, ma qualcos'altro. Mentre se
non vuoi fallire quando desideri qualcosa, questo puoi ottenerlo. Perciò
esercitati in quello che puoi. [2] Chi ha il potere di procurare o di togliere
a un uomo ciò che questi desidera o non desidera è il suo padrone. Quindi chi
vuole essere libero non desideri e non rifugga nulla di ciò che dipende da
altri: se no, inevitabilmente, sarà schiavo.
15.
Ricorda che nella vita devi comportarti come a un banchetto. Una portata
girando tra i convitati è arrivata davanti a te: allunga la mano e prendi la
tua parte, con educazione; il piatto passa oltre: non fermarlo; non è ancora
arrivato da te: non protenderti inseguendo l'appetito, aspetta che ti sia di
fronte. Così fai con i figli, così con la moglie, con le cariche pubbliche, con
la ricchezza: e un giorno sarai degno di stare a banchetto con gli dèi. Se poi,
invece di prendere la porzione che ti sarà servita, la ignorerai, allora sarai
degno non solo della mensa degli dèi, ma anche di governare con loro. È per
questo comportamento che Diogene ed Eraclito, e gli uomini come loro furono
meritamente considerati divini, e tali furono in effetti.
16.
Quando vedi qualcuno in lacrime per un lutto, per la partenza di un figlio o
per la perdita dei beni, bada di non farti trascinare dalla rappresentazione,
pensando che egli soffra a causa di fatti esterni, ma abbi sottomano la
considerazione: «lo affligge non ciò che è accaduto (infatti altri non ne sono
afflitti), bensì il suo giudizio sull'accaduto». Non esitare, senza andare al
di là delle parole, a partecipare al suo dolore; eventualmente condividi i suoi
gemiti: ma attento a non gemere anche dentro di te.
17.
Ricorda che sei soltanto attore di un dramma, ed è chi lo allestisce a
stabilire di quale dramma: se lo vuole breve, reciti un dramma breve; se decide
che sia lungo, uno lungo; se ti riserva la parte di un mendicante, cerca di
interpretarla con bravura, e così quella di uno zoppo, di un magistrato, del
privato cittadino. Perché il tuo compito è questo: impersonare bene il ruolo
assegnato; sceglierlo tocca ad altri.
18.
Quando un corvo gracchia di malaugurio, non lasciarti trascinare dalla
rappresentazione, ma distingui subito dentro di te, dicendo: «nessuno di questi
auspici è diretto a me, ma a questo mio misero corpo, alla mia piccola
proprietà, alla mia povera reputazione, oppure ai miei figli, a mia moglie. Per
me ogni augurio è favorevole, se io lo voglio: perché, qualunque sia il suo
esito, dipende da me trarne beneficio».
19.
Puoi essere invincibile, se non entri mai in nessuna lotta dalla quale non
dipenda da te uscire vincitore. [2] Quando vedi qualcuno che gode di maggiori
onori, oppure è molto potente o reputato per qualche altra ragione, stai
attento a non farti mai trascinare dalla rappresentazione a considerarlo un
uomo felice. Perché se l'essenza del bene è nelle cose che dipendono da noi,
non c'è motivo d'invidia o di gelosia: e del resto tu non vorrai essere
stratego, pritano o console, ma un uomo libero. E c'è una sola via che porta a
questa meta: il disprezzo di ciò che non dipende da noi.
21.
La morte, l'esilio e tutto ciò che appare terribile ti siano quotidianamente
dinanzi agli occhi, più di ogni altra cosa la morte: e non avrai mai alcun
pensiero meschino né desidererai mai nulla oltre misura.
22.
Se aspiri alla filosofia, preparati fin d'ora a essere deriso e schernito dalla
gente: «ce lo ritroviamo di colpo filosofo», diranno, e ancora: «da dove ha
preso tutto questo cipiglio?». Ma sul tuo volto non vi sia cipiglio; attieniti
invece a ciò che ti pare il meglio, come un uomo assegnato dal dio a questo
posto. E ricorda che se resterai coerente agli stessi principi, quelli che
prima ti beffavano poi ti ammireranno, mentre se ti rivelerai inferiore a essi
riscuoterai un doppio dileggio.
23.
Se mai ti accadesse, per voler compiacere qualcuno, di volgerti alle cose
esterne, avresti perduto, siine certo, il tuo programma morale. Dunque, in ogni
circostanza, accontentati di essere filosofo, e se vuoi anche apparire
filosofo, mostrati tale a te stesso, e ne sarai in grado.
24.
Non affliggerti con questi pensieri: «vivrò senza onore e non sarò nessuno in
nessun luogo». Perché, se la privazione dell'onore è un male, non puoi patire
un male a causa d'altri, come neppure una vergogna. Ora, ottenere una carica
pubblica o essere invitato a un banchetto sono forse cose che dipendono da te?
No, affatto. Dunque non averle come può costituire una privazione di onore? E
come potrai non essere nessuno in nessun luogo, visto che devi esser qualcuno
soltanto nelle cose che dipendono da te, e in queste hai la possibilità di
giungere al più alto valore? [2] Ma, tu obietti, i tuoi amici resteranno senza
aiuto. In che senso dici "senza aiuto"? Non riceveranno un soldo da
te, e neppure potrai farli cittadini romani: ma chi ti ha detto che queste cose
rientrano tra quelle in nostro potere, che non ci sono estranee? E chi può dare
a un altro ciò che non ha neppure per sé? [3] «Allora tu acquisisci», dice
qualcuno, «in modo che noi possiamo avere». Se sono in grado di acquisire
conservando pudore, lealtà e nobiltà d'animo, indicami la strada e acquisirò.
Ma se ritenete che io debba perdere i miei beni perché voi abbiate quelli che
beni non sono, giudicate voi stessi quanto siete ingiusti e sconsiderati. Cosa
preferite, insomma? Del denaro o un amico leale e rispettoso? Allora aiutatemi
a esserlo, invece di chiedermi di compiere azioni che mi faranno perdere queste
qualità. [4] «Ma la patria», dirà qualcuno, «per quanto sta in me resterà senza
aiuto». Di nuovo: ma di quale aiuto stai parlando? Da te non potrà avere
portici o bagni pubblici: e con ciò? Nemmeno riceve calzature dal fabbro, né il
calzolaio le fornisce armi: basta che ciascuno esegua il proprio compito. E se
tu le procurassi un altro cittadino leale e rispettoso, non le gioveresti in
nulla? «Sì». Allora neanche tu puoi risultarle inutile. [5] «Ma», chiede,
«quale posto occuperò nello Stato?». Quello che puoi occupare continuando a
conservare rispetto e lealtà. Perché, se volendo giovare alla patria li
perderai, che beneficio potrai fornirle divenuto impudente e sleale?
26.
È possibile comprendere la volontà della natura nelle situazioni in cui non
siamo mossi da interessi personali. Per esempio, quando lo schiavo di un altro
rompe una coppa, viene fatto di dire: «sono cose che succedono». Allora, però,
quando è la tua coppa che si spezza, devi comportarti esattamente come quando
va in frantumi quella dell'altro. E la stessa condotta trasferiscila anche alle
circostanze più gravi. È morto il figlio o la moglie di un altro? Tutti, senza
eccezione, sanno dire: «è il destino degli esseri umani»; ma quando muore
nostro figlio, subito ci disperiamo: «ahimè, oh me sventurato!». Dovremmo
ricordarci, invece, la nostra reazione quando sentiamo che questo è toccato ad
altri.
27.
Come un bersaglio non è posto per esser mancato, così pure nell'universo non
esiste la natura del male.
28.
Se qualcuno affidasse la tua persona al primo che incontra, ti adireresti; e tu
che affidi la mente a chi capita, e, se questi ti insulta, la lasci cadere nel
turbamento e nella confusione, non te ne vergogni?
29.
Di ciascuna azione considera le premesse e le conseguenze, e solo dopo
accingiti a compierla. Altrimenti, all'inizio ti avvierai entusiasta, senza
aver minimamente calcolato il seguito, ma poi, al manifestarsi di qualche
difficoltà, ti tirerai vergognosamente indietro. [2] Vuoi vincere le Olimpiadi?
Anch'io, per gli dèi: è un'impresa prestigiosa. Ma prima esamina le premesse e
le conseguenze, e poi passa all'azione. Devi disciplinare la tua vita,
sottoporti a dieta, astenerti dai dolci, importi gli allenamenti, alle ore
prestabilite, al caldo, al freddo; non devi bere acqua fredda, non devi bere
vino senza una regola, in una parola devi esserti consegnato all'allenatore
come a un medico; e poi, in gara, dovrai affondare nella sabbia, qualche volta
ti slogherai un polso, ti storcerai una caviglia, ingoierai tanta polvere,
qualche volta sarai fustigato e poi, con tutto ciò, sarai anche sconfitto. [3]
Riflettici, e poi dedicati all'atletica, se ne hai ancora l'intenzione.
Altrimenti ti comporterai come i ragazzini, che ora giocano ai lottatori, ora
ai gladiatori, ora suonano la tromba, poi fanno gli attori tragici; così anche
tu adesso fai l'atleta, poi il gladiatore, poi il retore, poi il filosofo, ma
con tutta l'anima non sei nulla: come una scimmia imiti tutto quello che vedi e
sei attratto da cose sempre diverse. Perché alle cose arrivi senza rifletterci
e senza considerarle bene da ogni punto di vista, ma a caso, assecondando un
vano desiderio. [4] Così ci sono persone che dopo aver visto un filosofo e aver
ascoltato qualcuno che parla come Eufrate (ma chi è davvero in grado di parlare
come lui?), vogliono dedicarsi anch'esse alla filosofia. [5] Uomo, osserva
prima la natura della cosa; e poi anche la tua natura, per capire se puoi
reggere. Vuoi darti al pentathlon o alla lotta? Guardati le braccia, le cosce,
esaminati i fianchi: per natura qualcuno è adatto a una cosa, qualcuno a
un'altra. [6] Se ti dedichi alla filosofia credi forse di poter continuare a
mangiare e a bere allo stesso modo, di lasciar corso al desiderio e
all'insoddisfazione come fai adesso? Devi vegliare, faticare, allontanarti dai
tuoi cari, subire il disprezzo di uno schiavo, la derisione di chi ti incontra,
essere sminuito in tutto, nell'onore, nelle cariche pubbliche, in tribunale, in
ogni minima faccenda. [7] Riflettici, se sei disposto a pagare questo prezzo
per avere in cambio l'immunità dalle passioni, la libertà, l'imperturbabilità;
altrimenti non ti accostare alla filosofia, non fare come i bambini: ora
filosofo, poi esattore di imposte, poi retore, poi procuratore di Cesare. Sono
cose che non si accordano. Devi essere un solo uomo: buono o cattivo; devi
lavorare sul tuo principio interiore o sulle cose esterne; devi impegnarti in
ciò che hai dentro o in ciò che sta fuori: in una parola, devi occupare il
posto del filosofo o quello dell'uomo comune.
30.
I doveri si misurano generalmente in base alle relazioni tra gli individui.
Prendiamo tuo padre. Sei chiamato a prenderti cura di lui, a cedergli in tutto,
ad accettare i suoi rimproveri, le sue percosse. «Ma è un cattivo padre». Già,
ma per natura dovevi forse essere assegnato a un padre buono? No: semplicemente
a tuo padre. «Mio fratello è ingiusto con me». Ebbene, tu conserva la relazione
che hai nei suoi confronti e non guardare cosa fa lui, ma cosa dovrai fare tu
perché la tua scelta morale sia conforme a natura. Perché nessuno potrà
nuocerti, se tu non lo vuoi: mentre avrai patito un danno nel preciso momento in
cui riterrai di subirlo. Così, se ti abituerai a osservare le relazioni fra gli
individui, scoprirai quali siano i doveri del vicino di casa, del cittadino,
dello stratego.
31.
Sappi che il punto fondamentale su cui si fonda la devozione verso gli dèi è avere
opinioni corrette su di essi - ossia credere nella loro esistenza, e nel loro
governo buono e giusto dell'universo -, ed esserti disposto a obbedire loro e a
sottometterti a tutti gli eventi assecondandoli spontaneamente, persuaso che
sono il prodotto della più alta intelligenza. Così infatti non ti lamenterai
mai degli dèi, né li accuserai di trascurarti. [2] Ma a questo risultato puoi
giungere soltanto a condizione di rimuovere il concetto di bene e di male dalle
cose che non sono in nostro potere e trasferirlo alle cose che dipendono da
noi, e unicamente a quelle. Perché se ritieni che qualcuna tra le prime sia
bene o male, è inevitabile, non riuscendo in quello che vuoi e incorrendo in
quello che non vuoi, che tu debba lamentarti dei responsabili e odiarli. [3]
Ogni essere vivente, infatti, per natura inclina a fuggire ed evitare quello
che gli pare dannoso e le sue cause, e a inseguire, invece, e ammirare ciò che
è utile e le sue cause. Quindi è escluso che chi si crede danneggiato gradisca
quello che gli pare danneggiarlo, come pure è impossibile che gradisca il danno
stesso. [4] Di conseguenza, anche il padre è insultato dal figlio quando non lo
fa partecipe di quelli che al figlio sembrano beni; e fu questo a rendere
nemici tra loro Eteocle e Polinice, il fatto che essi considerassero un bene il
trono di tiranno. Perciò il contadino impreca contro gli dèi, e così il
marinaio, il mercante, perciò imprecano contro gli dèi coloro che perdono la
moglie o i figli. Dove c'è l'utile, lì c'è anche la devozione. Cosicché chi si
preoccupa di avere giusti desideri e avversioni nello stesso momento provvede
anche a essere pio. [5] Ma libagioni, sacrifici e offerte di primizie secondo
il costume dei padri si devono compiere ogni volta con purezza, non sciattamente,
né trascuratamente, e senza risparmiare o spendere oltre i propri mezzi.
32.
Quando ti rivolgi alla divinazione, ricorda che non conosci quel che avverrà -
tant'è vero che sei venuto dall'indovino per apprenderlo da lui -, ma quale sia
la vera natura di un avvenimento, questo lo sapevi già al momento di varcare la
soglia, se davvero sei un filosofo. Se infatti è cosa di quelle che non
rientrano sotto il nostro controllo, è garantito che non si tratta né di bene
né di male. [2] Perciò non portare dall'indovino un desiderio o un'avversione,
e non avvicinarti a lui tremando, ma sicuro che ogni futura evenienza sarà
indifferente e non sarà nulla per te, e quale che sia la sua natura potrai
farne buon uso: nessuno te lo impedirà. Quindi rivolgiti con fiducia agli dèi,
come ai tuoi consiglieri: e poi, ricevuto il parere, non dimenticare a quali
consiglieri sei ricorso e a chi disobbedirai se non presterai ascolto. [3] E
accostati alla divinazione come Socrate riteneva opportuno, nei casi in cui
l'esame della questione si riferisce interamente all'esito e i mezzi per
risolvere il problema non sono offerti né dalla ragione né da altra arte.
Pertanto, quando si deve condividere il pericolo di un amico o della patria,
non chiedere all'indovino se è necessario affrontare questo rischio. Perché
anche se ti avvisa che gli auspici sono sfavorevoli - evidente preannunzio di
morte, di una mutilazione o dell'esilio -, ciononostante la ragione impone di
porsi egualmente a fianco dell'amico e di affrontare il pericolo per la patria.
Perciò dai ascolto a un più alto indovino, ad Apollo Pizio, che cacciò dal
tempio colui che non aveva soccorso l'amico mentre veniva assassinato.
34.
Quando ricevi la rappresentazione di una qualche forma di piacere, bada, come
del resto devi fare con ogni rappresentazione, di non lasciarti trascinare da
essa: fatti attendere dalla cosa, e concediti un rinvio. Poi, vai con la mente
a entrambi i momenti: quello in cui godrai del piacere e quello in cui, più
tardi, te ne pentirai e ti rimprovererai; e a questi contrapponi la gioia che
proverai se ti astieni da quel piacere, e l'elogio che potrai rivolgere a te
stesso. E se poi ti pare che sia un'occasione favorevole per intraprendere la
cosa, stai attento a non lasciarti sopraffare dal suo aspetto gradevole, dolce,
seducente, ma considera, in contrapposizione, quanto sia preferibile la
coscienza di aver colto la vittoria contro queste lusinghe.
35.
Quando, dopo aver deciso che una cosa dev'esser fatta, la fai, non nasconderti
mai mentre la compi, anche se la gente dovesse darne un giudizio negativo. Se
non agisci rettamente, evita l'azione stessa; ma se agisci rettamente, perché
temi chi ti rimprovererà non rettamente?
36.
Come le frasi «è giorno» e «è notte» hanno pieno valore se prese distintamente,
mentre coordinate perdono significato, così, a tavola, scegliere la porzione
maggiore avrà significato per il tuo corpo, ma non ha alcun valore per il
rispetto dello spirito comunitario del banchetto. Quindi, quando pranzi con
qualcuno ricorda di non considerare soltanto il valore delle vivande per il tuo
corpo, ma anche di osservare rispetto per l'ospite.
37.
Se hai assunto un ruolo che va oltre le tue possibilità, oltre a rimediare, in
quello, una brutta figura, hai trascurato il ruolo che era alla tua altezza.
38.
Come, camminando, stai attento a non calpestare un chiodo o a non storcerti la
caviglia, così fai attenzione a non danneggiare il tuo principio interiore. Se
lo tuteleremo in ciascuna azione, potremo agire con più sicurezza.
39.
Ciascuno ha la giusta misura dei suoi possessi nel corpo, come nel piede ha la
misura della calzatura. Quindi, se seguirai questo criterio, manterrai la
giusta misura, mentre se andrai oltre fatalmente finirai trascinato come in un
precipizio. Così pure nel caso della calzatura: se vai oltre le necessità del
piede, ecco le calzature dorate, poi di porpora, ricamate. Non c'è limite
alcuno, una volta al di là della misura.
40.
Appena compiuti i quattordici anni le donne sono chiamate «signore» dagli uomini.
Così, vedendo che a loro non tocca altro tranne il giacere con gli uomini,
cominciano a imbellettarsi e a riporre in questo ogni speranza. È bene, quindi,
adoperarsi perché capiscano che non sono onorate per nessun'altra ragione se
non per una condotta rispettosa e pudica.
41.
È segno di scarse qualità naturali dedicare troppo tempo alle cose del corpo:
per esempio un eccessivo indulgere agli esercizi ginnici, a mangiare, a bere, a
defecare, ad accoppiarsi. Attività che devono restare marginali: tutta
l'attenzione va rivolta alla mente.
42.
Quando uno ti fa del male o dice male di te, ricorda che agisce e parla nella
convinzione che gli convenga. Quindi è impossibile che egli segua ciò che
sembra a te: si attiene invece a ciò che sembra a lui; di conseguenza, se
prende un abbaglio, il danno è suo, perché è stato lui a ingannarsi. Infatti,
se uno ritiene falso un sillogismo vero, non ne è danneggiato il sillogismo, ma
chi si è ingannato. Partendo da questa constatazione, dunque, sarai indulgente
con chi ti insulta. Ogni volta dirai: «la pensa così».
43.
Ogni cosa ha due manici: con uno si può reggere, con l'altro no. Se tuo
fratello è ingiusto con te, non prenderla dal lato «è ingiusto», perché questo
è il manico con cui non puoi reggere la cosa, ma piuttosto dal lato «è mio
fratello», «è cresciuto con me»: così afferri la cosa per il manico con cui la
puoi reggere.
44.
Le affermazioni «sono più ricco di te, quindi ti sono superiore», «sono più
colto di te, quindi ti sono superiore», sono incongruenti. Più conforme alla
logica sarà dire: «sono più ricco di te, quindi il mio patrimonio è superiore
al tuo», «sono più colto di te, quindi il mio eloquio è superiore al tuo». Tu,
davvero, non sei né patrimonio né eloquio.
45.
Il tale si lava in fretta: non dire «male», ma «in fretta». Un altro beve molto
vino: non dire «male», ma «molto». Prima di aver distinto il giudizio che
presiede al suo agire, come sai se è «male»? Così non ti accadrà di ricevere le
rappresentazioni catalettiche di una cosa e di dare il tuo assenso ad altre.
46.
Non definirti in nessuna occasione filosofo e in generale non parlare tra gente
comune di principi filosofici, ma fai quello che discende da questi principi:
per esempio, a banchetto non dire come si deve mangiare, ma mangia come si
deve. Ricorda, infatti, che Socrate aveva a tal punto eliminato l'ostentazione
da ogni suo atteggiamento che c'era chi addirittura lo avvicinava per
domandargli di essere introdotto presso altri filosofi, e Socrate lo
accompagnava da loro. Tanto accettava il fatto di non essere considerato! [2] E
se, quando ti trovi tra gente comune, il discorso cade su un principio
filosofico, per lo più osserva il silenzio: è troppo alto il rischio che tu
rigetti immediatamente quello che non hai ancora digerito. E quando qualcuno ti
dice che non sai nulla, se non ti senti punto sul vivo, allora sappi che la tua
opera di filosofo è iniziata. Le pecore non portano il foraggio ai pastori per
mostrare quanto hanno mangiato, ma lana e latte sono il prodotto esterno della
pastura che hanno assimilato internamente: e tu alla gente comune non
sciorinare i principi filosofici, ma esponi i risultati che derivano dalla loro
digestione.
47.
Quando avrai abituato il tuo corpo alle regole della vita semplice, non te ne
fare un vanto, e se bevi acqua non ricordarlo a ogni occasione. E se un giorno
vuoi esercitarti alla fatica, fallo per te e non per il mondo esterno: non
abbracciare le statue, ma quando, poniamo, la sete ti tormenta, prendi un sorso
di acqua fresca, poi sputala e non dirlo a nessuno.
48.
Condizione e carattere dell'uomo comune: non attende mai un beneficio o un
danno da sé stesso, ma dall'esterno. Condizione e carattere del filosofo:
attende ogni beneficio e ogni danno da sé stesso. [2] Segni di chi progredisce
nella filosofia: non biasima nessuno, non loda nessuno, non si lamenta di
nessuno, non accusa nessuno, non parla mai di sé come di chi sia qualcuno o
sappia qualcosa; di fronte a un ostacolo o a un impedimento, accusa sé stesso;
se si sente lodare, dentro di sé deride chi lo elogia; e, se qualcuno lo
biasima, non si difende. Come i convalescenti, procede con cautela, per non
muovere le parti in via di guarigione, prima che si siano definitivamente
rinsaldate. [3] Ha eliminato da sé ogni desiderio; e ha trasferito l'avversione
solo alle cose che, tra quanto è in nostro potere, sono contrarie alla natura.
Verso ogni cosa usa un impulso moderato. Non si cura che lo considerino sciocco
o ignorante. E, in una parola, si guarda da sé stesso come da un nemico insidioso.
49.
Quando uno si vanta di poter comprendere e interpretare i libri di Crisippo,
di' a te stesso: «Se Crisippo non avesse scritto in modo oscuro, costui non
avrebbe nulla di cui vantarsi». Che cosa voglio, io? Conoscere la natura e
seguirla. Per questo cerco un interprete che me la spieghi: sentendo fare il
nome di Crisippo, ricorro a lui. Ma non capisco i suoi scritti: allora cerco
chi me li spieghi. Fin qui non c'è ancora nulla di cui vantarsi. Poi, però,
trovato l'interprete, tocca a me applicare l'insegnamento che ne ho tratto: ed
è proprio questa, solo questa, la cosa di cui vantarsi. Se invece ammiro il
semplice atto dell'interpretare, che altro ho concluso, se non di fare il
grammatico in luogo del filosofo? Con la sola differenza che mi dedico
all'esegesi di Crisippo invece che di Omero. Piuttosto, ogni volta che uno mi
dice: «leggimi Crisippo», dovrei arrossire, quando non riesco a mostrare azioni
simili e conformi alle parole.
51.
Quanto aspetterai ancora per giudicarti degno delle cose migliori e non
trascurare in nulla le distinzioni operate dalla ragione? Hai ricevuto i
principi che dovevi approvare, e li hai approvati. Quale maestro attendi
ancora, per affidargli l'attuazione del tuo emendamento morale? Non sei più un
ragazzo, ormai sei un uomo adulto. Se ora ti abbandoni alla trascuratezza,
all'indolenza, e passi perennemente di proposito in proposito, e fissi sempre
un'altra data per intraprendere la cura di te stesso, non ti renderai conto di
non compiere alcun progresso, anzi non smetterai mai di essere un uomo comune,
nemmeno al momento di morire. [2] A questo punto, perciò, giudicati degno di
vivere come un uomo adulto sulla via del progresso morale: e sia per te una
legge inviolabile tutto ciò che pare il meglio. E se ti si presenta una fatica,
o un piacere, un onore o un disonore, ricorda che la prova è già in corso, che
le Olimpiadi sono queste, e non è più possibile rimandare, e che il progresso
morale si perde o si salva in un solo giorno e in una sola azione. [3] Così
Socrate giunse alla sua sublime realizzazione, senza badare ad altro di ciò che
gli si presentava, ma solo alla ragione. E tu, anche se non sei ancora Socrate,
devi però vivere come chi desideri essere Socrate.
53.
Per ogni evenienza, tenere a disposizione i seguenti concetti:
«conducimi, Zeus, e anche tu, Destino,
alla meta che mi avete assegnata:
poiché vi seguirò senza indugio; o se anche,
per viltà,
non volessi, non di meno vi seguirò».
[2] «Chi si è nobilmente conciliato con la necessità
per noi è saggio e conosce le cose divine».
[3] «Ebbene, Critone, se così piace agli dèi,
così sia». [4] «Anito e Meleto possono uccidermi, certo, ma non possono farmi
del male».